di Carmelo Palma
L'impegno per la riforma della legislazione internazionale sulle sostanze psicoattive e psicotrope rientra fra le priorità storiche del TRP. Le ragioni di questo impegno sono contenute e documentate in tutte le iniziative intraprese dal TRP anche in sede ONU, presso la Commissione Narcotici di Vienna o durante la sessione plenaria.
La legalizzazione delle droghe proibite è una strategia di contrasto alla diffusione delle droghe alternativa a quella di tipo puramente repressivo a cui oggi, in base alle Convenzioni Internazionali (New York, 1961, e Vienna del 1971 e 1988), è affidato il successo della 'guerra alla droga'.
Il TRP non ha mai sostenuto né promosso la 'libera circolazione' delle sostanze psicoattive e psicotrope; ha al contrario sostenuto la necessità di contrastarne la diffusione, e di porre rimedio al processo di 'liberalizzazione criminale' del mercato delle droghe, e alle devastanti conseguenze di ordine civile, economico, politico e sociale che derivano dal fallimento della legislazione proibizionista.
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Inoltre, il TRP ha costantemente giustificato le iniziative politiche per la legalizzazione delle droghe proibite, sulla base all'esigenza di tutelare principi contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (art. 5: 'equità e proporzione delle pene' e 25: 'diritto alla salute e alle cure'), oggi minacciati e violati dall'applicazione sistematica delle norme della legislazione internazionale sulle droghe e dall'indiscriminato inasprimento delle politiche repressive. E' la stessa Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo (art. 18: 'libertà di pensiero e di coscienza' e 19: 'libertà di espressione e di opinione') ad attestare la piena legittimità dei diritti dei singoli - e quindi delle organizzazioni politiche - a sostenere e difendere politiche alternative e antitetiche a quelle adottate dalla gran parte della comunità internazionale; qualora dunque il mero esercizio dei diritti politici e di opinione (a cui, come sarà illustrato in seguito, sono da ricondursi anche le iniziative nonviolente di diso
bbedienza civile) costituisse per il TRP una ragione di sospensione dello status di Ong di prima categoria presso l'Ecosoc, si commetterebbe, con il pretesto della 'war on drugs', un'ennesima violazione dei diritti fondamentali sanciti e tutelati dall'Organizzazione delle Nazioni Unite.
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In particolare, l'impegno del TRP si è rivolto alla contestazione della fondatezza giuridica e dell'efficacia politica delle leggi proibizioniste, rilevando, da un lato, l'incompatibilità della sanzione del consumo individuale con i principi degli ordinamenti giuridici di tipo liberale ('no crime without victime'), e documentando, dall'altro lato, come i risultati della politica repressiva contrastino con gli obiettivi dichiarati e dimostrino al contrario che la proibizione costituisce un incentivo alla produzione e alla diffusione illegale delle sostanze proibite e al rafforzamento del potere politico, economico e sociale delle organizzazioni criminali.
Come risulta da studi realizzati sia da agenzie delle Nazioni Unite sia da prestigiosi istituti indipendenti di ricerca, dall'approvazione della Convenzione Internazionale sulla Droga di New York del 1961 il volume della produzione, del commercio e del consumo delle sostanze proibite è stato moltiplicato negli ultimi 40 anni per XXXXX con un fatturato consolidato di XXXXX
Il 'proibizionismo', inoltre, consegnando un enorme potere finanziario e di influenza e corruzione politica alle 'mafie della droga', costituisce per i cosiddetti paesi 'produttori' un freno per lo sviluppo - se non addirittura un fattore di regressione sociale ed economica- ed è alla base di fenomeni di sfruttamento e schiavitù criminale, a cui nessun programma di 'eradicazione' o 'riconversione' delle culture, anche quando è stato finanziato dalla comunità internazionale, è riuscito a porre rimedio.
Il TRP ha inoltre documentato la progressiva trasformazione del 'proibizionismo sulle droghe' in 'proibizionismo sulle cure' e la evidente correlazione fra l'inasprimento delle politiche repressive e la diffusione di patologie correlate al consumo di droghe fra la popolazione tossicodipendente (in primo luogo l'Aids); proprio dalla sistematica violazione dei diritti alla salute dei cittadini tossicodipendenti, a cui è negato il diritto di usufruire di trattamenti di comprovata efficacia, deriva la denuncia del proibizionismo come politica di discriminazione e di violazione dei diritti umani.
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Da questa analisi - fondata su studi di natura 'scientifica' che hanno ampio credito e circolazione sul piano internazionale XXXXX (manca la nota con il riferimento ad una bibliografia)- consegue la denuncia della natura 'criminogena' del regime proibizionista, e di una politica che, malgrado gli auspici di quanti ne continuano a difenderne l'efficacia, accrescendo il valore 'di mercato' delle sostanze proibite e i legami criminali fra i consumatori e gli spacciatori di droghe, incentiva la diffusione della criminalità, consegna alla 'mafie della droga' un enorme potere di corruzione e condizionamento delle società e delle economie legali e rende più difficili e meno credibili le stesse strategie di cura e recupero di consumatori di droghe e tossicodipendenti.
Dunque, la politica per la legalizzazione delle droghe è finalizzata al ripristino di un effettivo potere di controllo e regolamentazione legale di un fenomeno che le legislazioni proibizioniste non riescono ad affrontare, e di cui aggravano le conseguenze di ordine sanitario, sociale e criminale. Il TRP propone che, rispetto alle droghe oggi proibite, sia attuata una riforma analoga a quella adottata fra la prima e la seconda guerra mondiale dagli Stati Uniti e da diversi paesi europei di fronte agli effetti fallimentari e 'criminogeni' del proibizionismo sull'alcool.
I pochi paesi della comunità internazionale che, pur avendo ratificato le Convenzioni Internazionali sulla droga, hanno parzialmente realizzato quanto da decenni il TRP promuove e propone in tema di 'politica sulle droghe' (la depenalizzazione del consumo delle droghe, la commercializzazione controllata delle 'droghe leggere', la somministrazione sanitaria dell'eroina ai tossicodipendenti) dimostrano non solo i risultati positivi di una politica di legalizzazione, ma anche l'assoluta coerenza di strumenti e leggi 'non repressive' con l'obiettivo di ridurre l'espansione del mercato clandestino, e quindi necessariamente criminale delle droghe.
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Diversi sono gli strumenti che il TRP ha utilizzato per promuovere la legalizzazione delle droghe oggi proibite:
· Organizzazione di campagne di informazione e proposta in tema di politica e legislazione sulle droghe (nel 1989 Il TRP promosse la costituzione della Lia - Lega Internazionale Antiproibizionista, che curò, fra l'altro, il rapporto internazionale 'Questioning prohibition' pubblicato nel 1994);
· Proposte legislative di iniziativa popolare (nel 1994 il TRP presento' al Parlamento Italiano una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione delle droghe leggere e la somministrazione controllata dell'eroina) e supporto alle iniziative politiche e parlamentari intraprese da altri gruppi politici;
· Proposte di referendum (proprio grazie ad un referendum promosso dal TRP in Italia nel 1993 i cittadini abrogarono le norme che disponevano la criminalizzazione del consumo di droga e la proibizione di alcune forme di trattamento farmacologico dei tossicodipendenti da eroina, in particolare della terapia metadonica oggi largamente diffusa tanto in Europa quanto negli Stati Uniti);
· Documentazione e denuncia, anche attraverso iniziative giudiziarie, della violazione del diritto alla salute e alle cure dei tossicodipendenti o consumatori di droghe, con particolare riferimento ai cittadini detenuti e/o affetti da HIV;
· Iniziative di disobbedienza civile volte alla denuncia politica e alla contestazione giuridica degli esiti paradossali a cui giunge la giurisprudenza in applicazione delle norme 'proibizioniste'.
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In questo quadro rientrano le iniziative di disobbedienza civile realizzate in Italia fra il 1995 e il 1997 consistenti nella distribuzione pubblica, preannunciata agli organi di polizia, di piccole quantità di droghe leggere. A differenza di quanto contenuto nella richiesta di sospensione dello status presso l'Ecosoc da parte della Federazione Russa (Csi), il TRP non ha invece mai organizzato, promosso o sostenuto alcuna distribuzione di droga per posta.
Come emerge dalla documentazione disponibile, e dalle stesse sentenze dell'autorità giudiziaria italiana, l'obiettivo di queste iniziative non era dunque la promozione o l'induzione al consumo di droga (da cui tutti gli imputati sono stati prosciolti od assolti), o la vendita di sostanze proibite (il reato di spaccio a fini di lucro non è mai stato contestato a nessuna delle persone coinvolte), ma la distribuzione pubblica e gratuita di piccole dosi di droghe leggere (hashish) per contestare l'equiparazione 'giuridica' della semplice cessione (senza fini di lucro) alla fattispecie dello spaccio di droga, e quindi dell'illecito arricchimento, che definisce una condotta di tutt'altra natura, con gravi conseguenze di tipo sociale e criminale.
Non vi è dunque alcun dubbio sulla natura meramente dimostrativa - politica e non criminale - delle iniziative di disubbidienza civile, consistenti nell'infrazione puramente simbolica di una norma di legge, e non certo nell'organizzazione di un commercio illegale di sostanze proibite. Lo scopo di queste manifestazioni era proprio quello di provocare l'incriminazione dei promotori e quindi la contestazione, anche in sede giudiziaria, dell'irrazionalità della equiparazione giuridica della 'cessione gratuita' allo spaccio di droga; questo percorso politico era ampiamente giustificato dalla previsione, dimostratasi esatta, che attraverso successive evoluzioni la stessa giurisprudenza sulle droghe avrebbe potuto correggere alcune distorsioni delle norme legislative; infatti, nel 1997. fu proprio la Corte di Cassazione (e non il Parlamento) a 'depenalizzare' in Italia una condotta non identica, ma analoga a quella contestata ai militanti radicali (la cessione gratuita ai fini di consumo di gruppo- Corte di Cassazi
one, Sezioni Unite Penali, sentenza del 28/5/97).
La vicenda giudiziaria che ha coinvolto i militanti radicali è ben lontana dalla conclusione, ma le stesse sentenze emesse sino ad oggi (tanto quelle di condanna, quanto quelle di assoluzione) hanno, per le finalità e le modalità di svolgimento delle iniziative, riconosciuto la natura manifestamente 'politica' delle azioni di disobbedienza civile: in un caso, infatti, sono state riconosciute all'imputato condannato le attenuanti dovute all'aver agito 'per motivazioni di particolare valore morale e sociale' (Tribunale di Roma, VII Sezione Penale, imputato: Pannella, sentenza del 18-1-2000); in un altro caso i tre imputati, per il fatto di avere pubblicamente distribuito piccolissime quantità di hashish, prive di efficacia drogante, e dunque tali da non rappresentare un pericolo per i potenziali assuntori, sono stati addirittura prosciolti dall'accusa 'perché il fatto non costituisce reato' (Tribunale di Milano, XXXXX Aula Gup, imputati: Pannella, Bernardini, Bertè, sentenza del XXXXX). .
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Su questa base, pare dunque dimostrato che, con riferimento alle iniziative antiproibizioniste, non ricorre alcuna delle condizioni previste nel paragrafo 57 (b) della Risoluzione del Consiglio Economico e Sociale per la sospensione dello status consultivo al TRP.
Al contrario, emergono sempre ulteriori e più gravi ragioni perché le stesse Nazioni Unite e le sue agenzie specializzate traggano, senza pregiudizi ideologici, un bilancio della politica proibizionista, rapportando gli immensi costi della repressione e i miseri risultati che essa riesce a conseguire, senza pero' riuscire minimamente ad arginare la crescita esponenziale della diffusione delle droghe proibite e le conseguenze dirette e indirette del mercato delle droghe proibite tanto sui paesi 'produttori' quanto su quelli 'consumatori'.