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- 9 ottobre 2000
Tibet/Senato: proposta di Mozione

OGGETTO: PROPOSTA DI MOZIONE SUL TIBET

Il Senato della Repubblica,

viste

le risoluzioni sul Tibet del Parlamento europeo del 14 ottobre 1987, 15 marzo 1989, 15 settembre 1993, 17 maggio 1995, 13 luglio 1995, 14 dicembre 1995, 18 aprile 1996, 23 maggio 1996, 13 marzo 1997, 16 gennaio 1998, 13 maggio 1998, 15 aprile 2000;

le risoluzioni sulle violazioni dei diritti fondamentali in Tibet adottate dal Bundestag tedesco (15 ottobre 1987 e 20 giugno 1996), dalla Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati italiana (12 aprile 1989), dalla Camera dei Deputati belga (20 giugno 1990), dalla Commissione Affari Esteri del Parlamento irlandese (21 luglio 1998);

la risoluzione adottata il 23 agosto 1991 dalla Sotto-Commissione delle Nazioni Unite per la prevenzione delle discriminazioni e la protezione dei diritti delle minoranze;

la risoluzione dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa (D.E. 173, 5 ottobre 1988);

le risoluzioni adottate dal Congresso degli Stati Uniti d'America, dal Senato e dalla Camera dei Rappresentanti australiani, dal Parlamento del Liechtenstein e dal Parlamento ceco;

ricordando

che il Tibet fu invaso e occupato nel 1949 e 1950 dalle forze armate del regime di Pechino e che è tuttora occupato;

che la rivolta di Lhasa contro l'occupazione del regime di Pechino (10 marzo 1959) provocò la morte e l'incarcerazione di decine di migliaia di persone e l'esilio del Dalai Lama e di altre decine di migliaia di tibetani;

i rapporti del 1959 e del 1960 della Commissione Internazionale dei Giuristi sulla questione del Tibet;

che la lotta di resistenza del popolo tibetano negli anni '50 e '60 provocò la morte di oltre un milione di tibetani, cioè di oltre un quinto della popolazione di allora;

la distruzione di oltre 6.000 monasteri tibetani, l'incendio di centinaia di biblioteche, il saccheggio di templi, la razzia di tesori religiosi e culturali, le esecuzioni sommarie di decine di migliaia di tibetani eseguite dalle guardie rosse durante la cosiddetta rivoluzione culturale cinese del 1968;

le manifestazioni di protesta del 1987-88 contro l'occupazione cinese e la violenta repressione scatenata dalle autorità di Pechino;

la legge marziale imposta dalle autorità di Pechino in Tibet nel 1989 e 1990;

la trasformazione nel 1992 del Tibet in 'Zona Economica Speciale' e il conseguente trasferimento massiccio di coloni cinesi in Tibet, che, in pochi anni, ha reso i tibetani minoranza nel loro stesso Paese, anche a causa della pratica, mai cessata, delle sterilizzazioni e degli aborti forzati delle donne tibetane;

che il Governo tibetano in esilio è ospitato nella città indiana di Dharamsala;

che il "Decennio per la decolonizzazione" organizzato dalle Nazioni Unite si concluderà quest'anno;

ricordando in particolare

che l'"accordo in 17 punti" firmato sotto costrizione a Pechino dalle autorità tibetane, pur sancendo l'annessione del Tibet alla Repubblica Popolare, garantiva anche la piena autonomia del Tibet e, in particolare, il riconoscimento del suo sistema politico e il pieno rispetto della libertà religiosa;

che le risoluzioni delle Nazioni Unite 1353 del 1959, 1723 del 1961 e 2079 del 1965 chiedono la cessazione di qualsiasi pratica che privi il popolo tibetano dei suoi fondamentali diritti umani, compreso quello all'autodeterminazione;

l'istituzione nel 1965 della Regione Autonoma del Tibet (TAR) da parte delle autorità di Pechino;

i molteplici tentativi di dialogo rilanciati nel 1979, dopo la scomparsa di Mao Ze Dong, dal Dalai Lama e dal Governo tibetano in esilio nei confronti delle autorità di Pechino;

i tentativi reiterati di rilanciare il dialogo con le autorità di Pechino fatti dal Dalai Lama con il "Piano in 5 punti", presentato davanti al Congresso americano nel 1987, e con la "proposta di Strasburgo", presentata davanti al Parlamento europeo nel 1988;

il conferimento nel 1989 del Premio Nobel per la Pace al Dalai Lama;

la lettera inviata dal Dalai Lama a Deng Xiao Ping l'11 settembre 1992, nella quale si ribadiva la volontà di dialogo delle autorità tibetane con il Governo di Pechino;

le manifestazioni nonviolente europee di Bruxelles nel 1996 e di Ginevra nel 1997 per la libertà del Tibet e l'apertura di negoziati sino-tibetani, alle quali hanno partecipato migliaia di cittadini europei e tibetani;

facendo propria

la risoluzione del Parlamento europeo del 6 luglio 2000, con la quale si invitano "i Governi degli Stati membri dell'Unione europea a esaminare seriamente la possibilità di riconoscere il Governo tibetano in esilio come legittimo rappresentante del popolo tibetano qualora, entro un termine di tre anni, le autorità di Pechino e il Governo tibetano in esilio non abbiano raggiunto un accordo relativo a un nuovo statuto per il Tibet, mediante negoziati organizzati sotto l'egida del Segretario generale delle Nazioni Unite";

chiede

al Governo della Repubblica di adoperarsi con ogni sforzo perché venga siglato un accordo che garantisca la piena autonomia dei tibetani in tutti i campi della vita economica, sociale, culturale e politica, con le sole eccezioni della politica di difesa e della politica estera e quindi, qualora tale accordo non sia raggiunto entro 3 anni, di dare attuazione alla risoluzione del Parlamento europeo riconoscendo il Governo tibetano in esilio;

decide

che, se entro lo stesso termine il governo della Repubblica Popolare di Cina e il Governo tibetano in esilio non avranno raggiunto un accordo su uno status di piena autonomia per il Tibet, il Senato della Repubblica stabilisca rapporti ufficiali con il Parlamento tibetano in esilio;

impegna

il Presidente a trasmettere la presente mozione al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Camera dei Deputati, ai capi di Stato e di Governo e ai presidenti dei Parlamenti degli altri Stati membri dell'Unione Europea, alla Presidente del Parlamento europeo, al Presidente e al Primo Ministro della Repubblica Popolare di Cina, al Dalai Lama, al Governo e al Parlamento tibetano in esilio e al Segretario Generale delle Nazioni Unite.

 
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