Sig.ra Emma Bonino,
Sono un operaio edile di quasi cinquant'anni, abbastanza attivo politicamente sia sul posto di lavoro che sul territorio. Con ammirazione l'ho spesso seguita nel passato e spesso al suo fianco ho combattuto le stesse battaglie civili: dal divorzio all'aborto alla liberalizzazione delle droghe leggere, convinto, come lo sono tuttora, che fossero alcuni tasselli nella grossa battaglia per la libertà. Ma da un pò di anni non la capisco più, forse sono io che sono rimasto indietro culturalmente e per farmene una ragione ho soprattutto una domanda, abbastanza articolata per la verità, da porle.
Sono, ripeto, un'operaio edile, categoria che ha sempre disseminato giornalmente sui cantieri lutti e infortuni. Negli ultimi anni più che mai. Nel 2000 i morti sul lavoro sono cresciuti incredibilmente, e in alcune regioni, tipo la Toscana, sono addirittura raddoppiati. Nel mio piccolo ho notato, in modo forse semplicistico (ed è per questo che mi rivolgo a lei), che gli incidenti sul lavoro, morti compresi, crescono a dismisura soprattutto nelle regioni dove maggiore è la ripresa economica, innegabilmente legata ad una maggiore flessibilità della mano d'opera, dei salari e delle tutele sindacali, dove maggiore insomma è la liberalizzazione della mano d'opera. Nelle stesse regioni, tra parentesi, in modo direttamente proporzionale ai morti, sono cresciuti fatturati e utili delle imprese. Non a caso nell'edilizia, dove certo non si può parlare di mancanza di flessibilità e di liberalizzazione (ce n'è per tutti i gusti: libertà di licenziamenti, assunzioni a tempo, apprendistato, contratti di formazione, lavo
ro interinale; ma anche subappalto, intermediazione di mano d'opera, orari elastici, straordinari, lavoro a cottimo, turnazioni; ma anche lavoro nero, lavoro minorile, immigrazione, lavoro sottopagato) si muore più che in altre categorie. E non ci consola il fatto che le ristrutturazioni in corso in molte aziende metalmeccaniche, tessili, automobilistiche ecc (Lucchini a Piombino, per esempio) stiano avvicinando altre categorie ai nostri records (di cui non siamo ovviamente fieri!). Mi sembra che, per dirla in termini calcistici, ci sia un livellamento in basso del mondo del lavoro: si gioca tutti peggio, ma il campionato è più combattuto.
Considerato il suo impegno attuale verso una liberalizzazione ancora maggiore del mondo del lavoro, volevo chiederle:
1) Crede che ci sia qualche relazione tra flessibilità di vario genere e infortuni sul lavoro?
2) Se sì, crede che sia un equo prezzo da pagare per una società liberale, linbertaria, liberista?
3) Crede che sia giusto fare una battaglia per il lavoro senza parlare anche di qualità dello stesso?
4) Visto l'impegno suo e del suo partito verso ogni tipo di battaglia civile, non crede che anche la battaglia per non morire di lavoro, oltre che d'aborto, di droga, d'alcool, sia una battaglia che valga la pena di combattere?
Confido nella sua risposta e nella sua intelligenza. La prego di rispettare l'intelligenza altrui evitando frasi fatte come la maggior attenzione sul lavoro e la fatalità. La ringrazio.
Maurizio Prili