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Paggi Mario - 24 dicembre 1955
Perché nasce in Italia un nuovo partito politico
di Mario Paggi

SOMMARIO: Malagodi ha cercato invano di "sopperire all'uscita della sinistra" facendo approvare al Congresso liberale tre leggi "tipicamente avversate dalla destra economica". Il gruppo parlamentare ha sùbito smentito il neosegretario del PLI, non votando le leggi da lui proposte, grazie allo "squagliamento". La formazione di una "destra costituzionale" è più difficile del previsto. C'è comunque da augurarsi che molti capiscano che "la via della conservazione" è la "riforma liberale della società". Altrimenti, avremo il "fatale incontro" tra la DC "integralista" e il PSI "nazionalizzatore e dirigista".

Per ciò che riguarda "il consolidamento dello Stato", l'operazione è difficile. Certo, socialdemocratici, repubblicani e liberali hanno in qualche modo svolto "un'opera storica di arginamento della destra", ma intanto lo Stato "non riusciva a riprendere quota". I problemi che occorre risolvere sono "l'ammodernamento tecnico" e un "serio adeguamento degli stipendi", specie in tre settori: scuola, fisco e magistratura. Per quanto riguarda la politica economica e la politica estera, occorrerà puntare su "un aumento generale del reddito nazionale", la riorganizzazione delle industrie dipendenti dallo Stato", la crescita della media industria, ecc., mentre in politica estera l'ottenuta edsione all'ONU ci consentirà di guardare anche ad altre situazioni "solo prospetticamente marginali", su cui potremmo avere qualche influenza.

(IL MERCURIO, 24 dicembre 1955)

("Della scissione del Partito Liberale Italiano e delle prospettive che si aprono alla nuova formazione politica alla quale hanno dato vita gli uomini sino a ieri appartenenti all'ala sinistra del P.L.I. ha già scritto nello scorso numero de" Il Mercurio "Umberto Segre. Ma una più appassionata valutazione della genesi e degli orientamenti radicali è quella che qui pubblichiamo, di Mario Paggi, che è tra i promotori e fondatori del nuovo partito.")

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Se la scissione del Partito Liberale e la costituzione del Partito Radicale siano fatti effimeri ed epidermici nella vita politica italiana, o se invece siano destinati a lasciare tracce profonde e durature, è questione che solo i Tiresia di professione o di gusto potrebbero porsi.

Ci parrebbe tuttavia azzardato negare che entrambi i fatti hanno posto a nudo quanto ci fosse di inconsistente e di arbitrario nel tentativo del Partito Liberale di farsi insieme paladino delle ragioni della destra economica e sostenitore di un Governo tripartito necessariamente volto a soluzioni di sinistra economica.

UNA DESTRA COSTITUZIONALE

Il tentativo di Malagodi di sopperire all'uscita della sinistra forzando il Congresso all'approvazione di 3 leggi tipicamente avversate dalla destra economica, la perequazione fiscale, gli idrocarburi, i patti agrari, ha generato finora due chiare conseguenze: la prima è stata la rivoluzione della destra autentica del Partito, che ha tentato legittimamente di porre il Congresso di fronte agli effetti della politica perseguita da oltre un anno e mezzo, rivoluzione domata solo a fatica dalla più sagace manovra di quel centro ministeriale che è rimasto fedele alla vecchia formazione; la seconda conseguenza è stata il voto del gruppo parlamentare sulla legge di perequazione tributaria. Tutti i deputati assenti tranne Marzotto che ha votato contro.

La reale volontà del Congresso, malamente soffocata dalla formale unanimità sulla mozione centrista, chiarì così le sue vere finalità. Il gruppo parlamentare continuò e perfezionò per suo conto la notturna rivoluzione della destra.

E questo è ancora nulla, perché tre progetti con questo animo approvati dal Congresso liberale, quello sulla perequazione tributaria è il meno importante per gli interessi della destra economica italiana. Vedremo che cosa accadrà quando arriveranno in discussione e votazione parlamentare gli altri due progetti. E il bello si è che - dopo lo squagliamento dei deputati ministeriali, che dovrebbero sostenere i progetti di legge approvati dalle loro direzioni, e sin dai loro Congressi terminati da poche ore - certa stampa italiana lamenta fortemente la sostituzione delle maggioranze!

La scissione liberale dunque ha detto che il processo di formazione della destra costituzionale (che pareva, ed era, la sola giustificazione politica della azione dell'ultima Segreteria liberale) è più difficile di quanto non sembrasse alle intelligenze di coloro che ravvisavano, come unico ostacolo alla operazione, la presenza nel partito della sinistra liberale. E' possibile che la strada per Lauro passi attraverso i collegi elettorali del Mezzogiorno, ma è totalmente impossibile che la strada per la destra economica del Nord passi attraverso il progetto-legge Cortese sugli idrocarburi e il compromesso Segni sui patti agrari. Quindi può darsi che la destra costituzionale, quella che è conscia della fatuità e della totale inutilità delle posizioni eversive monarchiche o missine, abbia perduto una delle sue ultime grandi occasioni con i risultati del recente Congresso liberale. Il che potrebbe essere non del tutto positivo agli effetti delle prossime lotte politiche italiane, se non fosse da augurare che mol

ti da questa esperienza avvertissero che la sola via della conservazione (non quella del »conservatorismo ) è quella della riforma liberale della società, e quella della manovra liberale degli strumenti morali ed economici dello Stato.

Altrimenti la sorte dell'Italia è chiaramente segnata dal fatale incontro tra la Democrazia cristiana integralista e il Partito Socialista nazionalizzatore e dirigista. In fondo a questa strada c'è la sicura definitiva vittoria dell'integralismo cattolico, più ricco di quadri, di alleanze internazionali, di mezzi e di fiducia finanziaria, e che alla fede comune nella manovra pianificatrice degli strumenti statuali, ne aggiunge un'altra più alta, più omogenea, più unificatrice.

Per impedire questa involuzione che è già nelle cose, e che è facilitata da uno spirito pubblico ormai scettico, depresso, e avvilito dalla sensazione della imminente sconfitta, si è costituito il Partito Radicale.

IL CONSOLIDAMENTO DELLO STATO

Raggiungere il fine appare arduo e quasi impossibile, tale ormai è la tensione della tendenza sopra indicata. Ma i cieli narrano da secoli solo la gloria di Dio; quella degli uomini è da scrivere ogni giorno sulla terra. E intanto non appare facile negare che qualcosa di nuovo appaia in quel campo del centro sinistra, dove maggiormente si è sentita la spinta della nuova formazione. Una nuova chiarezza e una nuova volontà sembra che circoli in quegli ambienti, anche se Saragat - come la destra, e per gli stessi illusori motivi - ha perduto di nuovo una grande occasione.

Invece di sentirsi rafforzato, ed agire in conseguenze, egli - assurdamente - si è sentito infiacchito (i soliti errori della politica ridotta a mero calcolo elettoralistico) e si è comportato in conseguenza.

Ma ormai sembrano passati i tempi in cui i socialdemocratici potevano aspirare a dirigere il settore di centro-sinistra del Paese. La loro azione apparve appesantita dal principio da una certa nostalgia marxista, del tutto incapace ormai di far breccia sulle classi medie intellettuali; successivamente la mancata presa di coscienza della realtà sociale e psicologica del paese, così varia, multanime e irreducibile a facili schematismi, aumentò la già gravi difficoltà di una pur necessaria vocazione ministeriale. Mentre la guerra fredda infuriava, e le destre parevano imbaldanzite dalla temporanea esclusione dal Governo delle classi proletarie, i socialdemocratici, e a volta a volta i repubblicani e i liberali, svolsero al Governo un'opera storica di arginamento della destra. Ma intanto, mentre tutta la società italiana risorgeva con faticosa fortuna, dalle rovine della guerra, lo Stato italiano, nella sua amministrazione e nella sua funzione di guida, non riusciva a riprendere quota. Ora è giunto il momento in

cui o si rafforza lo Stato, o anche la società minaccia di declinare. E le attuali agitazioni di tutti i dipendenti dello Stato ne sono una necessaria dimostrazione.

Su questo problema c'è un punto di accordo unanime: ed è che non sarà possibile ridare efficienza e prestigio allo Stato finché non si darà inizio al suo processo di ammodernamento tecnico, e ad un serio adeguamento degli stipendi che metta lo Stato - se non in grado di concorrere efficacemente con le organizzazioni private nell'acquisizione del personale più preparato - almeno in condizioni di consentire a quelli che una volta si chiamavano i suoi servitori non solo dignità di vita, ma soprattutto possibilità di perfezionamento tecnico. Il problema appare particolarmente delicato in due settori per ragioni diverse: il settore della scuola e quello del fisco; a non parlare della Magistratura che, temporaneamente soddisfatta nelle sue rivendicazioni economiche, vede ancora lontano il traguardo della sua efficienza strumentale.

Ma qui, giunti al punto del reperimento dei fondi necessari, termina l'accordo. Pare evidente che solo un cosciente e fermo atteggiamento di »austerità nazionale bandito, sorretto ed esemplato da una classe dirigente degna di questo nome, può essere in grado di superare questo punto morto della vita nazionale.

Sul piano sociale occorrerà riprendere in esame i problemi della famiglia, e finché non sarà possibile portarne gli istituti sulla linea di tutte le Nazioni occidentali, bisognerà almeno impedire che si continui a facilitare un indiscriminato aumento demografico, come anche recentemente si è fatto nella legge di perequazione tributaria.

POLITICA ECONOMICA E POLITICA ESTERA

La linea economica dovrà essere fissata in armonia con la assoluta necessità di un aumento generale del reddito nazionale, con quella del riassorbimento del maggior numero possibile dei disoccupati, con la rapida riorganizzazione delle industrie dipendenti dal controllo dello Stato, e con una decisa tutela e un sicuro potenziamento di quelle piccole e medie industrie, che formano l'ossatura più sana della vita economica italiana. I grandi complessi industriali e commerciali, che sono un prodotto inevitabile della tecnica moderna, dovranno essere controllati perché la loro potenza economica non trascenda a potenza politica.

L'ammissione dell'Italia all'O.N.U. induce finalmente a un totale ripensamento della nostra politica estera, non certo per quanto riguarda i problemi fondamentali di schieramento e di equilibrio internazionali - che sono risultati acquisiti e da non porre più in discussione - bensì per quei problemi solo prospetticamente marginali, e sui quali finora la nostra assenza dall'O.N.U. ci aveva consentito di non pronunciarci. Alludo particolarmente ai rapporti tra Israele e Stati Arabi, e alla situazione della Francia nel Nord Africa; problemi che potranno tornare all'Assemblea della Nazioni Unite nel prossimo avvenire.

E mentre impedire ogni minaccia su Israele appare un compito fondamentale di civiltà, di progresso e di equilibrio nel Mediterraneo, un'azione di appoggio a una politica francese priva di sottintesi colonialistici, libera da camarille oligarchiche locali, volta a guidare le popolazioni indigene alle forme dell'autogoverno, potrebbe rappresentare il primo passo verso quella permanente intesa italo-francese che ormai appare come il primo realistico indispensabile passo verso una più larga Comunità Europea. Il cammino è lungo ed aspro. Bisogna cominciarlo.

 
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