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Piccardi Leopoldo - 24 gennaio 1956
UNA LETTERA DI PICCARDI
di Leopoldo Piccardi

SOMMARIO: Rivolge un saluto agli amici di "Unità Popolare" e spiega le ragioni del suo "distacco". "Quel che ci univa - dice - era un modo di intendere e di sentire la democrazia", l'esigenza di favorire, pur senza essere comunisti, "l'ascesa delle masse". Da tale comune sentire era nata l'avversione alla "legge maggioritaria". Al formarsi del partito radicale, Piccardi ricorda di aver sollecitato a Unità Popolare una fusione con questo partito, e ora deplora il rifiuto opposto alla prospettiva: in primo luogo per aver ritenuto che il nuovo partito fosse scarsamente "sensibile all'imperativo della solidarietà con le classi lavoratrici". Ma l'ipotesi di restare legati in forme esterne al P.S.I. va giudicata solo una "generosa illusione". Nessun partito può vivere se non su posizioni "autonome", non subalterne. Chi avesse affinità di giudizi e di sentire col P.S.I. dovrà iscriversi ad esso; per quanto lo riguarda, Piccardi ritiene invece che l'obiettivo da raggiungere sia quello di creare "l'organizzazione pol

itica di quei ceti che [...] son definiti con l'appellativo di classe media"... Occorre fuggire (come invece gli sembra faccia "Unità Popolare") il complesso dell'isolamento.

(IL MONDO, 24 gennaio 1956)

Cari amici di "Unità Popolare",

Cari amici radicali,

l'ampia e franca spiegazione nel nostro Comitato centrale del 18 dicembre mi dispenserebbe, amici di Unità Popolare, dall'esporre le ragioni del mio distacco da voi, che erano già implicite nei convincimenti che ebbi a manifestarvi in quella occasione, anche se non ne fossero state tratte allora le inevitabili conseguenze. Ma non posso lasciarvi senza rivolgervi un saluto, il quale è necessariamente anche l'ultima giustificazione di un passo al quale, come potete comprendere, non sono giunto senza travaglio e senza rammarico.

Quella nostra discussione ha rivelato indubbiamente l'esistenza di gravi dissensi fra noi: tanto gravi da imporre ad alcuni una separazione. Ma essa ha confermato al tempo stesso una certa comunità di pensieri e di sentimenti, senza la quale non avremmo potuto incontrarci e combattere insieme battaglie delle quali serbiamo tutti un gradito e compiaciuto ricordo. Quello che ci univa era un modo di intendere e di sentire la democrazia. Noi tutti, ci chiamassimo o non ci chiamassimo socialisti, avevamo, come abbiamo tuttora, la piena consapevolezza della necessità e dell'urgenza dell'ascesa delle masse; avevamo ed abbiamo la ferma persuasione che uno Stato non può considerarsi democratico fino a che ampi ceti di cittadini, esclusi dai benefici della civiltà e della cultura, non riconoscano in esso il proprio Stato. Estranei all'ideologia classista, avversi a una soluzione comunista del problema italiano, eravamo tuttavia convinti, e siamo convinti, che i partiti di sinistra pongano una domanda alla quale non s

i può non dare risposta. Questi nostri convincimenti ci portano a guardare, prima con diffidenza, e poi con aperta deplorazione, ad un sistema di governo che, incapace di dare al problema dell'ascesa delle masse una soluzione sul piano democratico, si sforzava di opporre a questo fatale movimento una coalizione di interessi di conservazione sociale; incapace di dare una risposta alla domanda formulata dai partiti di sinistra, tentava di rendere fioca la loro voce. Ecco perché ci trovammo d'accordo contro la legge maggioritaria, contro il cosiddetto immobilismo governativo, contro le discriminazioni.

Ma quella base di convenzioni e di sentimenti che ci univa, come sempre ci unirebbe, nella lotta contro un pericolo da tutti ugualmente sentito, non bastava a determinare una comune linea di condotta politica. Lo si è visto quando l'Unità Popolare è stata chiamata a prendere una decisione. quale quella richiesta dall'invito dei liberali di sinistra di creare insieme una nuova formazione politica, che presupponeva un chiaro e concorde modo di intendere la posizione del movimento e della sua funzione. Per alcuni di noi - e io ero fra questi - quell'invito rappresentava un primo successo dell'opera da noi svolta per far convergere le forze laiche, fuori dei logori schemi del quadripartitismo, su una posizione autonoma che consentisse ad esse di portare un proprio contributo alla lotta per la democrazia. Ma la maggioranza di voi, pur conoscendo il significato del distacco dei liberali di sinistra dal P.L.I. e della formazione di un partito radicale, e pur auspicando che fra questo e Unità Popolare si stabiliss

ero rapporti di cordiale collaborazione, ha respinto la proposta di una confluenza in una unica formazione politica.

Atteggiamento che trova una spiegazione - in parte razionale, in parte sentimentale, ma non perciò mano valida - in quella coscienza della necessità e della indifferibilità dell'ascesa delle masse che ci univa e dalla quale molti di voi traggono l'impegno di stare vicino alle classi lavoratrici, per assisterle nei loro sforzi e per combattere, insieme ad esse, le loro battaglie: impegno che non evade , per alcuni, dal piano sentimentale, mentre assume in altri più ragionate, se pur diverse, motivazioni. Vi è fra voi chi, muovendo da posizioni non socialiste, pensa di poter raccogliere le forze che, per ragioni ideologiche o temperamentali si rifiutano di lasciarsi assorbire dai partiti classici, e di organizzarle in vista di una azione, concorrente ma differenziata, rispetto a quella del partito di sinistra che dimostra maggiori possibilità di sviluppo democratico: il partito socialista. Vi è invece chi, vantando una affiliazione socialista, ma rimproverando al P.S.I. una mancanza di costume democratico all'

interno e una insufficiente consapevolezza della sua

funzione, si propone di agevolare la sua evoluzione, con un'azione dall'esterno, fino a condurlo a uno storico incontro con le altre forze democratiche. Posizioni diverse, ma che tutte vi hanno egualmente indotti a respingere l'idea di una possibile confluenza con forze che vi sono parse meno sensibili all'imperativo della solidarietà con le classi lavoratrici e meno capaci di una azione comune con esse.

Quelle che vi ha mossi è una generosa illusione, ma pur sempre un'illusione. Quando voi avete preso quella decisione dalla quale io dissento voi avete dimenticato che nessuna formazione politica ha un titolo per esistere se non può vantare una propria autonomia funzione e se non ha dietro di sè forze proprie. Collaborare con il P.S.I., sia pure con un'azione differenziata da quella ad esso propria, non costituisce una funzione autonoma, perchè non c'è autonomia politica per chi si preclude qualsiasi alternativa: la storia dei partiti minori insegna. Nè, per un simile compito, si può fare affidamento su forze di apprezzabile consistenza. Coloro che sono disposti a svolgere un'azione comune con il P.S.I., senza entrare nelle sue file, formano in sostanza un gruppo di obiettori di coscienza: elemento umano spesso interessante, ma con il quale non si formano battaglioni per la lotta politica. Quelli fra voi che assegnano a Unità Popolare l'ambizioso compito di democratizzare il P.S.I.rinunciano anche più sc

opertamente a una posizione politica autonoma, perchè chi si propone di influire sulla vita e sull'azione di un partito agisce nel suo ambito anche se, per una qualsiasi ragione, preferisce non accettarne la disciplina. Senza dire che questa azione è destinata a rimanere sterile, perchè soltanto la pressione di altre forze politiche, e non l'efficacia persuasiva dei sermoni, può concorrere a modificare dall'esterno il comportamento di un partito.

Se si vuole svolgere una efficace azione politica non si può sfuggire a una alternativa. Quanti ritengono che un partito di ispirazione socialista debba essere lo strumento principale della trasformazione della nostra società, quanti, per formazione e per temperamento, si sentono vicini alle posizioni ideologiche e allo spirito animatore di un simile partito, trovano nel P.S.I. un terreno idoneo per partecipare alla lotta politica. Eventuali dissensi sul costume di questo partito e sulle sue direttive fanno parte della sua dialettica interna e trovano in quella sede la loro solo possibile definizione. E fra le tendenze che concorrono ad attribuire al P.S.I. la sua specifica fisionomia vi è indubbiamente quella che vorrebbe accelerare il distacco di quel partito da posizioni di lotta di classe, la sua espansione verso ceti da esso non ancora rappresentati, il suo avvicinamento a posizioni di collaborazione democratica. Ma chi trova nella propria formazione o nel proprio temperamento un ostacolo ad assume

re una posizione socialista o chi, pur obbedendo a una ispirazione socialista, ritiene insuperabile le obiezioni contro la linea di condotta e contro i metodi del partito che, piaccia o non piaccia, è oggi in Italia la massima formazione socialista, non ha altra scelta se non quella di trovarsi un'altra funzione politica. E a me pare che, a noi spetti un compito essenziale per lo sviluppo democratico del paese. Condivido con voi la speranza di assistere, in un non lontano avvenire, a un incontro fra il socialismo e la democrazia. Ma non giova il fare pressioni sul P.S.I. perchè acceleri la sua marcia verso posizioni astrattamente democratiche. Il ritmo di questa marcia dipende soltanto in parte dalla volontà degli uomini; e, nella misura in cui ne dipende, le decisioni devono essere lasciate a chi ne ha la responsabilità. Perchè non bisogna dimenticare che il processo di sviluppo democratico del socialismo non è immune da pericoli. Se esso fosse troppo sollecito, potrebbe accadere ai socialisti di arrivare i

n pochi all'appuntamento e di trovare di fronte, schierate in bell'ordine, non le forze della democrazia, ma quelle della conservazione. Vi è invece per noi un altro lavoro da fare, meno imprudente e più fecondo: quello di raccogliere le forze democratiche e di prepararle, perchè non manchino all'appuntamento. Un lavoro, a quanto pare, estremamente ingrato a tutta la nostra èlite intellettuale, la quale disdegna l'opera di organizzazione politica di quei ceti che, con eccessivo semplicismo, sono definiti con l'appellativo di classe media; ne ripudia la cultura, pur non uscendo in sostanza dai suoi confini; va alla ricerca di un pathos, che spesso cade nel vuoto, in mancanza di un'azione che ne possa essere stimolata e ispirata. Ma è quello il solo contributo che chi si trova nella nostra posizione può portare alla causa della democrazia anche se si tratta di un'opera che sembra allontanare che la compie dalle forze lavoratrici inquadrate nei partiti di sinistra.

A determinare il vostro atteggiamento ha però forse concorso, amici di Unità Popolare, quello che io chiamo il complesso delle isole. Non so se ricordate una novella di D.H. Lawrence, ove si narra di un uomo - "L'uomo che amava le isole" lo definisce il titolo del racconto - il quale si sente oppresso dalla folla, sia pure invisibile, dei suoi simili, che da ogni parte lo circonda; e, perseguitato da questo senso di oppressione, si trasferisce con la famiglia, la servitù, i beni, su una grande isola; ma anche qui quell'incubo lo raggiunge, spingendolo via via su altre isole più piccole, fino a che egli si riduce, nudo e solo, ma finalmente liberato, su uno scoglio. Molti, nel settore, in cui viviamo, sono gli "uomini che amano le isole". Questo complesso, fatto di insofferenza per la disciplina e il conformismo, ma anche di predilezione per certe atmosfere spirituali chiuse ed esclusive, ha indubbiamente operato in voi quando avete visto minacciata la pace della vostra isola; e ha fatto sollevare in voi

quegli aculei ideologici, che costituiscono l'apparato di difesa di ogni gruppo o partito.

E' precisamente una naturale reazione a queste tendenze il principale motivo della mia duplice decisione. Considero il frazionismo di quel settore politico che si suole denominare democrazia laica come una delle più gravi tare di classi e di gruppi, che, con la loro irriducibile avversione ad ampi e feconde convergenze, si precludono la possibilità di svolgere l'azione che risponderebbe a un loro compito specifico e che potrebbe efficacemente concorrere a determinare un migliore equilibrio politico. Quando demmo vita a Unità Popolare, fu una delle mie maggiori preoccupazioni quella che il nostro movimento non apparisse come un nuovo elemento di divisione, ma piuttosto come il tentativo di raccogliere intorno a una posizione politica valida tutte le forze che fossero o si rendessero disponibili. E successivamente ho sempre visto nel nostro gruppo il nucleo di una più ampia formazione, alla quale avremmo sacrificato volentieri ogni particolarismo e ogni esclusivismo. Ma purtroppo, quando si è presentata l

a prima occasione di una confluenza con un altro gruppo a noi vicino per la sua ispirazione e per i suoi propositi, Unità Popolare ha anch'essa subito il complesso delle isole. E io, per sfuggire a questo complesso, mi divido da voi, accostandomi a un altro lido, dove oggi risuona un appello all'unione al quale non so essere insensibile.

Ecco le cose che dovevo dire a voi, amici di Unità Popolare: le stesse cose che posso dire a voi amici radicali, e dalle quali comprenderete l'animo con il quale accolgo il vostro invito. Un animo nel quale non è spenta, nonostante tutte le delusioni, la fiducia che, in questo paese, si possa svolgere un'azione politica conforme a quei nostri convincimenti e propositi che noi riteniamo comuni a molti italiani e che non hanno finora trovato un'adeguata espressione.

E nello sbarcare su questo nuovo lido, non posso non rivolgere un ultimo sguardo al vostro scoglio, amici di Unità Popolare, inviandovi un saluto al quale si accompagna l'augurio che vi decidiate anche voi ad attraversare questo breve braccio di mare che ora ci divide.

 
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