Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
gio 16 mag. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Pampaloni Geno - 30 gennaio 1956
Silenzi radicali
Lettera aperta a Guido Calogero di Geno Pampaloni

SOMMARIO: Si deplora che Guido Calogero, nel delineare le caratteristiche del costituendo partito radicale [testo n. 5953], non abbia nemmeno citato il Movimento Comunità. Enumera i problemi che il Movimento ha affrontato e ai quali ha cercato soluzioni con un metodo analogo a quello suggerito da Calogero per i radicali: da quello della "rappresentanza politica" a quello della "formazione democratica dell'Esecutivo". Ricorda poi le strutture già messe in opera in particolare nel canavese, come embrioni di una "autentica democrazia". Deplora infine che, pur avendo collaborato in varie forme con il Movimento Comunità, Calogero sia caduto nella "disattenzione" "intenzionale e politica" di cui il Movimento è fatto oggetto.

(COMUNITA', gennaio 1956)

Caro e illustre Professore,

abbiamo letto con molto interesse la Sua lettera in cui, dalle colonne del Mondo (24 gennaio), Ella si rivolge agli amici del Partito Radicale per testimoniare le speranze e i propositi di lavoro suscitati in Lei dalla nascita della nuova formazione politica.

Inutile dirle che le sue "precise" esigenze (necessità di un preciso programma che si esprima attraverso l'impostazione di precise e realistiche riforme; rifiuto di considerare il "potere" come una forza taumaturgica se affidato a "galantuomini" o a santoni democratici; fondamentale, preminente importanza data ad un Ufficio Studi che elabori seriamente e con indagini scientificamente condotte i progetti di riforma che poi i politici dovranno tradurre in operante legislazione; subordinazione dell'intervento attivo del Partito nella scena politica al chiarimento profondo dei problemi e delle riforme che ne costituiscano il reale impegno politico) ci trovano perfettamente d'accordo; come d'accordo ci trova la Sua esigenza di un partito "che riesca ad essere per un anno il miglior centro di Studi di riforma e pianificazione politica e sociale".

Ma appunto per questa singolare coincidenza dei suoi atteggiamenti e propositi con gli atteggiamenti e i propositi che da tempo sono anche i nostri, ci ha, lo confessiamo, stupiti e, in qualche misura, amareggiati, il fatto che nella Sua lettera non si trovi il minimo accenno al Movimento Comunità; tanto più che, al contrario, Ella si sofferma, sia pur brevemente, ad illustrare l'azione di altri gruppi "minori".

Noi non vogliamo assolutamente, portare in una discussione politica elementi di "prestigio": e il rammarico non è sostanziato tanto dalla "disattenzione", dal mancato riconoscimento dei nostri sforzi, quanto dal valore politico che questa disattenzione può assumere, e anzi di fatto assume.

Il Movimento Comunità, che affronterà di fatto per la prima volta nelle prossime consultazioni la battaglia elettorale politica, si è lungamente preparato a questo momento del passaggio all'azione, con una perseveranza e una concretezza molto simili ai metodi che Ella chiede al nuovo Partito Radicale. Per molti anni, dopo la pubblicazione dell'"Ordine Politico delle Comunità" (1946), che imposta in modo organico il problema dello Stato moderno, abbiamo concentrato la nostra attenzione sul nodo più grave: la rappresentanza politica (sì che sia garantita in modo serio l'espressione, nella libertà, delle forze vive che operano nella società).

Anche nei riguardi del problema della formazione democratica dell'Esecutivo noi siamo i soli ad avere presentato una soluzione organica, mentre il problema rimane in tutte le costituzioni europee del dopoguerra tecnicamente insoluto. Il compianto Mirkine Guetzevitch aveva indicato da tempo essere quello il problema cruciale della democrazia; senza una sua soluzione essa rischia di essere travolta.

Più recentemente il Lippmann poneva a nudo il problema: "La devitalizzazione del potere di governo - egli scrive - è la malattia degli stati democratici. Nella misura in cui questa malattia cresce, il potere esecutivo, cioè il Governo, diventa estremamente suscettibile all'interferenza se non addirittura all'usurpazione da parte delle assemblee elettive, cioè del potere legislativo. Il potere esecutivo è sottoposto a pressioni e tormentato dal mercanteggiare dei partiti, da rappresentanti di interessi organizzati, e dai portavoce dei settari e degli ideologhi.

Può trattarsi di una malattia fatale, e di una malattia mortale alla sopravvivenza dello Stato come libera società, se, quando le gravi e difficili questioni della guerra e della pace, della sicurezza, della rivoluzione e dell'ordine debbono essere decise, i poteri esecutivi e il giudiziario, con i loro funzionari ed i loro tecnici, hanno perduto l'autorità di decidere."

Per molti anni, dicevamo, il Movimento Comunità ha assunto un ruolo più di gruppo culturale che politico, più di "ufficio studi" che di movimento o partito. Ed è arrivato alla sua attuale organizzazione politica attraverso una elaborazione continua e multiforme dei propri temi di lavoro, svolto da una molteplicità di organismi, dalla casa editrice al lavoro degli urbanisti comunitari, dall'opera svolta in seno al Consiglio per i Comuni d'Europa ai Centri comunitari, che ne verificassero la reale concretezza nei diversi campi della vita nazionale od europea. In più, nel Canavese abbiamo dato mano a una verifica più dettagliata delle forze che si possono sprigionare a favore della democrazia concentrando l'azione, secondo i nostri metodi, nelle dimensioni di una piccola provincia. Dagli ormai sessanta Centri comunitari, cellule dinamiche della democrazia di base, alle amministrazioni comunitarie, alla Lega dei Comuni che raccoglie circa 80 sui 100 sindaci canavesani senza distinzione di colore politico all'IRU

R Canavese, embrione della Divisione agricola e industriale della comunità, che combatte la disoccupazione con intraprese industriali non capitalistiche e mettendo al servizio del naturale spirito cooperativistico delle nostre campagne un più moderno concetto della produttività, alle Comunità di fabbrica, che hanno impostato e cominciano a vincere, prime in Italia, il problema più massiccio, oggi, del mondo del lavoro, la riduzione d'orario a parità di salario: si viene costituendo un ben ramificato tessuto istituzionale, sia pure in embrione, in cui le strutture di una autentica, bene articolata democrazia, sorgano direttamente della fonte di potere, la Comunità territoriale.

Ora, tutto questo non ha, anche se a qualche osservatore può accadere di pensarlo, un carattere solo sperimentale ed episodico ma è invece la prima, fruttuosa prova (e il continuo realistico perfezionamento) della validità di un ordinamento istituzionale che si preoccupa innanzitutto di non tradire i valori universali e disinteressati espressi dalla cultura e i valori altrettanto universali dell'amore e della giustizia racchiusi naturalmente nell'animo umano.

Quando noi vediamo, nello stesso numero del Mondo, uno scrittore così attento e preparato come lo Jemolo dedicare un intero articolo alla questione del laicismo e non laicismo senza accennare neppure di sfuggita all'elaborazione che hanno dato a questo problema gli amici comunitari (richiamata anche in un volume recentissimo cui Ella stessa ha collaborato) e alle soluzioni che hanno proposto, noi siamo costretti a esprimere sostanziali riserve sulla volontà di dialogo del prof. Jemolo.

Si tratta forse di un caso limite, a cui non ricondurremmo certamente il Suo intervento, giacché noi conosciamo, e non da oggi, l'interesse, e più che l'interesse la partecipazione, con cui Ella ha seguito e segue il nostro lavoro nel campo della scuola e del servizio sociale. E tuttavia la occasionale "disattenzione" nei riguardi del nostro Movimento da Lei dimostrata nella Sua lettera agli amici radicali, può essere confusa con le "disattenzioni" intenzionali e politiche di cui siamo così spesso l'oggetto: può essere scambiata e confondersi con il rifiuto di soffermarsi ad esaminare una proposta organica di cominciare dal concreto quelle "riforme di struttura" di cui da dieci anni si parla (invano) in Italia. Ce ne dorremmo, perché significherebbe anche da parte Sua e degli amici che con tanta autorità rappresentano la cultura italiana nel Partito Radicale, una inconsapevole scelta per il "partito" e contro le riforme, per le "formule" contro i programmi, per il vecchio contro il nuovo.

Il che naturalmente non è nei nostri voti, (e neppure, crediamo nei suoi) come la nostra ideologia e la nostra azione da molti anni dimostra.

Mi creda, con antica stima ed affetto,

Geno Pampaloni

 
Argomenti correlati:
comunita'
stampa questo documento invia questa pagina per mail