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Il Mulino - 1 febbraio 1956
I discorsi del mese - I problemi dell'UGI
Dopo il Congresso di Modena: i problemi dell'Unione Goliardica Italiana

SOMMARIO: Il congresso dell'UGI svoltosi a Modena è stato ambiguo e pieno di contraddizioni, ha avuto il solo merito di evitare una "scissione": le forze laiche impegnate nell'Università avrebbero potuto sentire l'attrazione del "manifesto" lanciato dal partito radicale e sottoscritto da alcuni dei "principali esponenti del movimento goliardico". Contrasti e conflitti hanno fatto l'"immaturità" del congresso. Ma quali sono i "due problemi" decisivi per lo sviluppo delle "associazioni goliardiche"? Il primo è il "chiarimento" dei rapporti col "mondo politico Ufficiale"; molti leaders universitari hanno portato in questa sede "la logica, le speranze e le abitudini" partitiche. Era un errore, perché le vere battaglie dell'UGI devono essere quelle sui problemi universitari, che non rappresentano "attività deteriori". L'altro problema è costituito dall'Associazione laureati, sospettata da molti come uno strumento dei vecchi gruppi dirigenti per "mantenere il controllo sull'UGI". Il problema esiste, in quanto lo s

pirito dell'UGI deve prolungarsi anche dopo l'università. Il disinteresse per l'Associazione laureati significa anche non aver posto bene "il rapporto società italiana-Università". Questa, purtroppo, si è ridotta a struttura subalterna alla società. Una riforma dell'Università deve unirsi alla lotta per "riformare" il ruolo del laureato. Un suo fallimento significherebbe il fallimento anche dell'esperienza UGI.

(IL MULINO, n. 51 52, Bologna, Gennaio - Febbraio 1956)

Il recente Congresso modenese dell'Ugi non è riuscito nè a risolvere la crisi che in questi ultimi mesi ha paralizzato l'attività delle associazioni goliardiche, nè a portare una chiarificazione fra le varie correnti, dando una maggiore consistenza e chiarezza alle molte idee e agli opposti programmi. Ma bisogna sempre riconoscergli il merito - unico, ma non secondario - di aver impedito una scissione che, forse, oggi sarebbe stata irreparabile: le forze e le energie laiche, fin'ora impegnate nell'Università, potevano infatti sentire o subire tutta l'attrazione e il fascino del manifesto lanciato dal Partito radicale, manifesto che pur porta, fra i firmatari, i nomi dei principali esponenti del movimento goliardico: Marco Pannella, Franco Roccella, Sergio Stanzani, Paolo Ungari.

Spettatori di questo Congresso, non ne vogliamo ora raccontare la cronaca, che, riportata nei suoi termini obiettivi, assai difficilmente potrebbe mostrare al lettore i reali problemi che sottostavano alla crisi e i programmi concreti per cui si battevano le varie correnti. E dare delle giornate modenesi una interpretazione storica è assai difficile, se non impossibile; tra quelle avanzate, le due più importanti, anche se riescono a cogliere in parte la logica degli avvenimenti e la misura dei contrasti, non ci sembrano del tutto esatte, in quanto sono impostate su alcune tesi politiche dei partecipanti, che non possono valere, evidentemente, da giudizi storici.

Alcuni hanno visto in questo Congresso un semplice contrasto fra i giovani e gli anziani; contrasto, si badi, non fra due generazioni con esperienze e storie radicalmente incomunicabili, ma fra i giovani, da un lato, che desideravano operare un rinnovamento dei quadri dirigenti, e il personale del vecchio gruppo direttivo, dall'altro, quanto mai restio a cedere la direzione centrale dell'Ugi; e questo, se non altro, per il vuoto e la solitudine politica in cui così si sarebbero confinati. Perciò, sempre secondo questa interpretazione, avrebbero portato le loro antiche rivalità e i passati dissidi all'interno di una nuova generazione che a questi era rimasta estranea.

L'altra interpretazione poneva l'accento sul contrasto fra il moderato qualunquismo della base - interessata più alla sessione di febbraio che ai grandi temi della democrazia italiana: il dialogo coi cattolici e coi comunisti, la riforma dell'Università - e la concezione mistica ed escatologica di un Pannella, il quale, quasi convertendo la politica in religione, vedeva nelle associazioni universitarie goliardiche la nuova eccezionale esperienza destinata a trionfare su quelle dei comunisti e dei cattolici: gli universitari, alienati nelle politiche di questi partiti, non avrebbero potuto sottrarsi alla vocazione della loro generazione espressa dall'Ugi. Nella sua visione universalistica, o religiosa, non c'era spazio per gli infedeli e gli eretici: si trattava solo o di convertire le associazioni cattoliche e comuniste all'Ugi, l'unica legittima - in via di principio - a definirsi un'associazione universitaria, o di bandire le correnti più lontane dal suo programma. E Pannella sembrava il solo a non i

ndietreggiare di fronte a una crisi e a una scissione.

Ma queste due interpretazioni colgono solo parzialmente il problema: lo storico, caso mai, potrà ricordare l'immaturità di questo Congresso: la crisi era dovuta, più che a un effettivo contrasto, all'incapacità dei nuovi - e anche dei vecchi - dirigenti ad essere all'altezza del loro problema. I discorsi, che durano tre ore, anche se pieni di passione e di fede, sono un sintomo di debolezza e non di forza; il linguaggio ermetico ed allusivo non mostra una vivace intelligenza politica, ma cela solo una cultura affrettata, un'esperienza intellettuale "privata" che non è capace di farsi misura di situazioni oggettive, che non può esprimere una consapevolezza sociale e storica. E le nuove situazioni politiche non nascono da delle biografie. La sterilità dei contrasti deriva proprio da questo: da un lato, un Congresso composto in modo estremamente eterogeneo, che non riusciva a rendersi conto della consistenza dei problemi dibattuti e a comprendere gli uomini e le loro idee; dall'altro, i dirigenti - spesso aris

tocraticamente distaccati dalla base - incapaci di enucleare la loro politica in chiare parole d'ordine, facilmente comunicabili e comprensibili e, sopra tutto, aderenti alla complessa situazione oggettiva dell'Ugi. Troppo spesso, inoltre, i contrasti personali non nascondevano effettivi contrasti politici, e le posizioni dei vari leaders non presentavano quella coerenza di fronte a tutti i problemi che sarebbe stata auspicabile, anche per educare le nuove generazioni a saper scegliere con consapevolezza. E così, dietro l'incertezza e l'ermetismo, l'ambiguità e le astratte aspirazioni, il trasformismo ha tenuto in piedi il Congresso: alla stregua dei fatti, è stata l'unica "politica" capace di mantenere unita l'Ugi, fornendogli le condizioni per un ulteriore lavoro.

Nel fare la storia del Congresso di Modena, c' è il rischio di cadere in un'opaca ed arida cronaca o in un moralismo che troppo facilmente spaccia la superiorità delle proprie ragioni. Per questo preferiamo, sia come spettatori sia perchè partecipi, sentimentalmente e culturalmente, a questa nuova espressione della vita universitaria, limitarci ora ad indicare i due problemi, la cui soluzione riteniamo decisiva alla vita e allo sviluppo delle associazioni goliardiche.

Innanzi tutto ci sembra che l'Ugi debba chiarire i suoi rapporti col mondo politico "ufficiale". E' vero che le associazioni goliardiche sono nate e si sono sviluppate in nome del principio: "fuori la politica dalle università"; ma strada facendo i vertici, più vicini al dibattito politico romano che alla vita universitaria, sono venuti cedendo a compromessi con le varie impostazioni politiche dei partiti (l'unità dei laici, l'apertura a sinistra, il partito radicale), cercando in queste formule la copertura politica dei loro organismi o la possibilità di una più ampia presenza dell'Ugi nella vita del paese. E questo atteggiamento è stato facilitato dalla vastità dei problemi della società italiana: l'appartarsi nel chiuso e "piccolo" mondo delle università, poteva sembrare una diserzione, un inutile dispendio di forze e di energie che sarebbe stato assai più utile e proficuo utilizzare altrove.

E così gli esponenti dell'Ugi, simpatizzanti o iscritti nei vari partiti, hanno finito per portare - inconsapevolmente come Ungari o con deliberato proposito come Orsello, la logica, le speranze e le abitudini che muovevano questi nell'ambito delle associazioni universitarie. Ma da questa scarsa consapevolezza dell'originalità del proprio lavoro derivano numerosi pericoli. Il mondo dei partiti e il mondo dell'associazione, infatti, sono assai diversi, perchè diverse sono le dimensioni e gli ambiti in cui essi si muovono. Mentre i partiti tendono alla conquista dello Stato, hanno come fine ultimo la direzione totale della vita del paese, le associazioni nascono nella società civile la quale è assai più complessa e articolata, meno suscettibile di esser ridotta a quelle semplificazioni e a quelle schematizzazione che la struttura centralizzata dello Stato italiano richiede. I fini delle associazioni sono, così, assai più particolari e limitati; ma aderenti alle situazioni concrete in cui le associazioni si muo

vono, riescono a dar vita a forme più effettive ed efficaci di autogoverno. Inoltre, fra la cultura che sorregge l'azione dei partiti e quella che dovrebbe guidare l'associazione, c'è una profonda differenza: non si può, in sede dell'Ugi, richiamarsi - come ha fatto Ungari - al pensiero della Destra; dei De Santis, degli Spaventa, e poi dei Croce e dei Gentile (questo nome ha aggiunto con pudore: ma non poteva non seguire quelli), perchè queste persone furono ossessionate dal problema dell'autorità dello Stato, problema che sentono sopra tutto i partiti, che appunto di questo si vogliono servire, non le associazioni che nascono in nome dell'autonomia, dell'autogoverno, e per questo, di fatto, se hanno un problema politico da risolvere, non è quello dell'autorità dello Stato, ma dei limiti da porre a questa autorità. E, se si volevano fare delle citazioni storiche, era più legittimo fare i nomi di Montesquieu, di Hamilton, di Tocqueville, Cattaneo, e semmai, di Gobetti e del Gramsci dell'Ordine Nuovo.

In tal modo, rivendicata l'autonomia delle associazioni universitarie rispetto al centralismo del mondo politico italiano, dovrebbe risultare che la vera battaglia dell'Ugi non è quella del fronte laico, dell'apertura a sinistra, del Partito radicale, ma quella della sessione di febbraio, dell'assistenza medica, della presenza attiva in tutta la vita universitaria contro le vecchie oligarchie accademiche, chiuse nella routine della tradizione. I recenti episodi degli atenei di Milano, Palermo, Napoli, fornivano le vere occasioni per la battaglia politica dell'Ugi, battaglia che nessun partito politico italiano sarà mai disposto a combattere e che il Congresso di Modena, salvo qualche intervento demagogico, non è riuscito a impostare realisticamente.

Se questi sono i particolari compiti dell'Ugi, l'accusa frequente di "qualunquismo" non ha alcun senso, se riferita al disinteresse verso i problemi politici. Organizzare feste da ballo o conferenze, promuovere richieste sindacali o cercare di condizionare la vita accademica, non sono attività deteriori, da sopportare solo in quanto riescano a tenere unita la base in vista delle grande operazioni politiche degli uomini dei vertici, i nuovi despoti illuminati. Sono appunto queste iniziative quelle che riescono a creare quello spirito e quella mentalità associativa nella quale risiede il vero patrimonio culturale dell'Ugi. I grandi problemi (come il dialogo coi cattolici e coi comunisti) non vanno impostati esternamente, secondo gli usuali schemi della vita politica, ma in conformità alle esperienze e alla storia delle singole associazioni. Un lavoro così condotto - alla periferia e in vista di fini assai particolari - non è un lavoro inutile per l'avvenire democratico del nostro paese; è inutile solo per

le ambizioni e per le speranze di palingenesi, non certo per la democrazia e l'autogoverno. Se si vuole trarre una scelta politica da questa lunga premessa, ci sembra opportuno che, durante il prossimo Congresso di settembre, si debba venire a un maggior chiarimento dei rapporti fra le basi e i vertici, fra le associazioni universitarie e l'ufficio burocratico romano, nel senso di garantire ulteriormente l'autonomia d'azione e di sviluppo delle associazioni, col sottrarre ogni effettivo potere politico alla direzione centrale, la quale dovrebbe servire solo a comunicare le diverse esperienze e non già a imprimere all'Ugi un'unitaria e nazionale linea di condotta.

L'altro problema che, a nostro avviso, condizionerà gli sviluppi futuri dell'Ugi, è quello dell'Associazione laureati. Il compromesso, che all'ultimo momento ha salvato l'unità delle forze goliardiche, si è dato con il sacrificio dell'ambizioso programma che stava a cuore dei dirigenti del vecchio centro. I giovani non hanno sentito il problema: » se vi interessa questa nuova associazione fatela; essa non ci riguarda . E le loro parole mostravano, evidentemente, solo la preoccupazione che la nuova associazione dei laureati potesse esercitare, nel futuro, una tutela su quelle universitarie. Nè d'altro canto gli anziani riuscirono a dissipare il sospetto che si trattasse solo di un espediente diretto a mantenere il controllo dell'Ugi o a collocare i vecchi quadri che ora, per la prodottasi circolazione delle èlites, si trovano politicamente disoccupati e disponibili.

Ciò non ostante, il problema sussiste ed è essenziale: due sono gli equivoci che si celano dietro il troppo facile rifiuto di questa nuova prospettiva di lavoro. Innanzi tutto l'illusione che, dopo l'esperienza universitaria, il dirigente ugino possa tranquillamente iscriversi in uno dei partiti laici, quasi che l'associazione sia l'anticamera della vita politica, un serbatoio di riserva capace di fornire ai vecchi partiti nuove forze e nuovi quadri. »L'Ugi, se limiterà l'ambito delle sue azioni alle sole Università, non potrà svilupparsi ulteriormente e, crediamo, neppure tenere le attuale posizioni; finirebbero per prevalere da un lato il qualunquismo della deteriore tradizione goliardica, dall'altro le ragioni e gli uomini delle segreterie dei vecchi partiti. Il vero compito politico dell'Ugi è nell'organizzare in tutti i campi che le sarà possibile raggiungere, una sua autonoma e democratica presenza. Lo spirito dell'Ugi, cioè lo spirito, le esperienze e il metodo di un'associazione democratica, non

sono cose da mettere tra i cimeli di una giovinezza che la laurea conclude: sono, se vissuti consapevolmente, la scelta morale e politica di tutta una vita; diremo di più, in una società che come la nostra è povera di autentiche esperienze democratiche, essi possono valere come ideali politici nuovi, capaci di agire e parlare a tutto il Paese nelle misura in cui riusciranno a qualificare politicamente quella cultura che si è appresa nelle Università, facendola valere non soltanto sul piano subalterno degli impieghi o su quello esclusivistico e gretto delle "libere professioni", ma quale elemento essenziale per l'organizzazione della convivenza umana . E' passato ormai più di un anno da quando formulavamo questo giudizio (cfr. L'Ugi nella vita politica, »Il Mulino , n. 38, p. 766): non ci sentiremmo ora di mutarlo: non comprendiamo infatti come, con la laurea, ci si possa liberare da quello spirito o da quella mentalità che, nate a contatto con l'esperienza associativa, han portato a una critica delle ideolo

gie e della politica corporativa dei partiti italiani. Sarebbe dare perduta, prima di combatterla, la battaglia fondamentale dell'Ugi; rinunciare alla sua autonomia e libertà; sanzionare per sempre la sua funzione strumentale e subalterna, mostrando di non avere fede nei propri fini col ricavarli passivamente dalla società di cui si è parte. Il problema dell'Associazione laureati è quindi un problema che investe prima che i laureati, l'Ugi stessa, in quanto non serve solo a rendere più facile una circolazione delle classi dirigenti, ma perchè rende possibile un'ulteriore espansione e sviluppo dell'Associazione goliardica, dà un senso alla sua presenza nella società italiana.

Ma dietro il disinteresse verso l'Associazione laureati si cela pure un altro equivoco: quello di non avere posto sufficientemente in luce il rapporto società italiana-Università. Quest'ultima, da organo propulsivo della vita economica e culturale del Paese si è trasformata in un semplice ufficio burocratico, atto solo a sanzionare giuridicamente quei titoli che lo Stato considera necessari per espletare determinati compiti. In altre parole, essa è diventata un organo puramente subalterno, che subisce passivamente, e in ritardo, le richieste formulate dalla vita economica e culturale del Paese. Lo stesso ruolo subalterno che ha l'Università nella società italiana, lo occupa il laureato: o è un semplice funzionario, destinato solo a prendere ordini, o quel "libero professionista", la cui libertà si riduce al potenziamento di tutti gli istinti antisociali nella dura lotta per l'esistenza. Proprio per questa identità di dipendenza o di servitù, una lotta per la riforma dell'Università, per dare ad essa e a

ll'intelligenza che rappresenta una nuova dignità ed una effettiva egemonia, deve accompagnarsi ad una lotta (e lasciamo la questione scolastica se sia sindacale o politica) per riformare il posto del laureato, al fine di conferirgli una funzione dirigente nella vita del paese. Se non si riforma anche la società, che massicciamente condiziona la vita universitaria, proprio in quei luoghi dove questa incide ed è presente attraverso il laureato, ogni progetto di riforma dell'Università si rivelerà illusorio e utopistico.

In altre parole, è sempre emergente il pericolo che, col fallimento dell'Associazione laureati, fallisca l'Ugi stessa, una volta privata di ogni possibilità di espansione, di sviluppo e di conservazione di quel patrimonio culturale che, al livello universitario, era riuscita a creare. Le giovanili speranze, allora, lascieranno il posto a un'integrale sfiducia verso ogni forma di autonomismo: in quel giorno, le ragioni per cui un tempo si disse: »fuori la politica dalle Università appariranno illusorie, e il desiderio di trasformare la società italiana - che forse la delusione avrà reso più amaro ed essenziale, ma non spento - scoprirà che solo »la politica è tutto . Ma questa sarà una vittoria della tradizione, dello Stato accentratore italiano, sull'originale esperienza democratica che, sino ad oggi, l'Ugi ha più promesso che realizzato. La via scelta, però, era quella giusta, nella misura in cui si era compreso che la democrazia, per esistere, deve radicarsi nel cuore stesso della vita sociale, a dir

etto contatto con il mondo professionale e con la vita produttiva della nazione. Attraverso l'Associazione laureati, l'Ugi, un giorno, forse, sarebbe stata capace di organizzare forze sociali omogenee, in vista di interessi privati che potevano valere come fini pubblici: avrebbe cioè fornito alla cultura uno strumento concreto di influenza e di organizzazione politica capace, secondo la logica di uno Stato democratico, di contribuire a risolvere i contrasti sociali all'interno di una pacifica e illuminata convivenza umana.

 
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