di Antonio CedernaTesto del discorso tenuto da Antonio Cederna al Ridotto del Teatro Eliseo in Roma, il 13 maggio 1956.
SOMMARIO: Opuscolo di 24 pagg., èdito a cura del Partito radicale, contenente il testo del discorso tenuto da Antonio Cederna il 13 maggio 1956 al Teatro Eliseo, in una manifestazione a sostegno del dibattito sull'urbanistica in corso al Comune di Roma, durante la campagna contro gli abusi dell'Immobiliare (per la quale L'Espresso" coniò il famoso slogan "Capitale corrotta, nazione infetta") che provocò un famoso processo intentato al settimanale dalla Società Generale Immobiliare.
E' impossibile sommarizzare il lungo fascicolo; esso inizia con la narrazione delle vicende che portarono l'Immobiliare a costruire sulle pendici di Monte Mario l'Hotel Hilton; segue una analisi dei danni urbanistici prodotti da tale costruzione alla città, danni messi a fuoco utilizzando gli strumenti della moderna critica urbanistica; si passa quindi al problema del Piano regolatore romano, e degli ostacoli che la sua progettazione incontrerà, quando essa cozzerà contro gli interessi della grande speculazione edilizia al cui centro vi è la Società Generale Immobiliare. Cederna passa quindi in rassegna i problemi urbanistici di cui soffre la città, dall'Appia Antica al centro storico, gravemente deturpato. Conclude tratteggiando brevemente i rimedi da assumere d'urgenza per avviare un nuovo discorso di salvaguardia e rinnovamento cittadino.
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L'argomento che voglio sommariamente trattare dinanzi a voi è la distruzione lenta e graduale del patrimonio artistico e naturale di Roma, di cui si è resa colpevole l'amministrazione democristiana in questi ultimi otto anni. Distruzione del patrimonio artistico e naturale di Roma: so purtroppo di trovarmi in posizione assai incomoda, perchè so bene quanto poco popolare sia quest'argomento, e quanto poco interesse molti di voi hanno mostrato in tutti questi anni per la continua irresistibile degradazione di Roma.
Tuttavia qualcosa di nuovo nel frattempo è successo. Da molto tempo la distruzione di Roma è oggetto di appassionante campagne di stampa; da molto tempo espressioni come Via Appia Antica e Monte Mario hanno assunto una risonanza strana e inaspettata; da molto tempo i problemi relativi alla tutela del patrimonio artistico e naturale di Roma sono stati violentemente discussi in Consiglio Comunale; da molto tempo interrogazioni e disegni di legge sono stati presentati in Parlamento; da tempo è persino in corso una causa tra un settimanale e una grossa società immobiliare, accusata di tirarsi dietro al guinzaglio la civica amministrazione (e si tratta di una società responsabile sopra tutte della rovina di Roma); da qualche mese è stata nominata dal governo una commissione di parlamentari e funzionari allo scopo di salvare l'Italia artistica (parole testuali) dalle "continue devastazioni" di cui è vittima; allo stesso scopo, da qualche tempo, si è costituita un'associazione di privati cittadini intitolata "
Italia Nostra", in cui troviamo personalità come Umberto Zanotti Bianco e Elena Craveri Croce; da un mese infine è successo perfino che l'amministrazione Rebecchini ha messo fine ingloriosamente ai suoi giorni proprio per una faccenda riguardante la conservazione di certe caratteristiche naturali e panoramiche di Roma... Dunque qualcosa è successo che può aver scosso la vostra sensibilità: perciò vado avanti, e comincio dalla fine, cioè appunto con la scandalosa questione di Monte Mario.
LO SCANDALO DI MONTE MARIO
Monte Mario è in parte ancora un bel colle, che costituisce l'ultima sponda verde del sempre più desolato, sempre più volgare e sempre più cementizio paesaggio di Roma. Il vecchio piano regolatore lo destinava, nella pendice che guarda Roma, in parte a zona di rispetto, in parte a parco pubblico, ville e villini, mantenendone in sostanza il carattere verde e panoramico: alla sua sommità, presso la chiesa barocca di S. Maria del Rosario, era stato previsto un vasto piazzale panoramico. Esisteva dunque un piano particolareggiato per questa pendice di Monte Mario, esisteva cioè un provvedimento di piano regolatore cioè un provvedimento di pubblico utilità e di interesse generale, studiato e preparato da autorità designate dalla comunità di tutti i cittadini. Invece, cosa succede? Succede che esistono anche i padroni della città, di cui vi ha parlato efficacemente nell'ultimo convegno degli "Amici del Mondo" Leone Cattani: esistono i pochi privilegiati che decidono a loro vantaggio come e dove Roma debba es
sere costruita e sviluppata. Esiste la Società Generale Immobiliare.
Questa Società Generale Immobiliare, come i serpenti a sonagli con i conigli, ha avuto in tutti questi anni uno straordinario potere di suggestione sull'amministrazione democristiana di Roma, un vero e proprio potere ipnotico. E la prova più clamorosa è stata fornita proprio dall'affare di Monte Mario: poichè l'Immobiliare è riuscita ad ottenere dalla giunta democristiana una variante al piano particolareggiato di Monte Mario al solo scopo di poter costruire in cima ad esso l'albergo Hilton, vera miniera d'oro per l'Immobiliare stessa e le illustri persone che la governano: la Società Generale Immobiliare è insomma riuscita a ottenere dai democristiani la conversione di un provvedimento di utilità generale in strumento del proprio esclusivo privato interesse: non solo, è perfino riuscita a ottenere che la Giunta proponesse questa variante fatta su misura all'approvazione del Consiglio Comunale, proprio nell'ultima seduta utile, il 6 aprile scorso, come se si trattasse di vita o di morte per l'eterna cit
tà, e quando d'altra parte si sapeva che l'opposizione avrebbe dato battaglia senza quartiere. Le cose sono per fortuna andate come sapete. L'opposizione con efficaci manovre è riuscita a confondere le pretese della Società Immobiliare e la remissività della Giunta, mettendo a nudo l'ossequio della maggioranza democristiana verso i padroni della città: e nonostante l'arrivo a Roma del sorridente Mister Hilton, la giunta non ha osato approvare l'albergo a Monte Mario senza più interpellare il Consiglio Comunale. Il Sindaco Rebecchini è stato silurato, e l'amministrazione democristiana di Roma ne è uscita, alla vigilia delle elezioni, con beffe e disdoro. Vedete dunque quanto importanti possono essere le questioni che riguardano la conservazione del patrimonio artistico e naturale di Roma.
Un'abilità specifica dei padroni delle città, dei distruttori d'Italia, degli speculatori di aree fabbricabili e delle società immobiliari, è quella di ingannare l'opinione pubblica con falsi ragionamenti e deplorevoli mezze verità. Voglio accennare a queste frottole, perchè esse, nella faccenda di Monte Mario, sono state calorosamente assunte dalla maggioranza consiliare e dalla stampa sedicente indipendente, cioè dal Tempo, dal Messaggero e dal Giornale d'Italia: vi accenno perchè possono servire a mettere in guardia molti di voi dal cadere in trappola, e perchè bene vi dimostrano l'allegra incoscienza dell'amministrazione democristiana e dei suoi fiancheggiatori.
Si è preteso che l'approvazione dell'albergo Hilton fosse urgente, adducendo la ragione che il capitale straniero (supposto che tale sia davvero) non poteva aspettare. Figuratevi. Qui si tratta di problemi urbanistici seri, si tratta della conservazione di Roma, si tratta di Roma, e non di Montecarlo o di Casablanca: e con Roma le scadenze contrattuali del capitale straniero nulla hanno a che fare. Tanto peggio per coloro che hanno all'inizio scelto sventatamente Monte Mario, per compiacere vilmente la Società Generale Immobiliare e la catena turistica Hilton.
Si è preteso che il nuovo albergo sia un toccasana per l'economia romana, perchè sarebbe un albergo residenziale e di lusso, e perchè, nella rozza fantasia dei consiglieri di maggioranza, i suoi futuri 400 ospiti sono immaginati nell'atto di rovesciare fiumi di dollari sulla testa dei cittadini romani. Ma qui si tratta di Roma, della bellezza del suo panorama e della sua natura: si tratta che i vantaggi del turismo derivano dalla conservazione delle bellezze d'Italia, non già dalla loro distruzione per far posto ad alberghi panoramici.
Si è preteso che la costruzione del nuovo albergo sarebbe assai benefica, per il fatto di impiegare per un paio d'anni manodopera italiana. Vedete come l'amore per i disoccupati si sveglia quando si tratta di far guadagnare miliardi ai padroni delle città: ma a parte ciò, la disoccupazione italiana non si risolve certo con simili graziosi regali, nè è necessario, per alleviarla, esaudire i capricci combinati della catena turistica Hilton e dell'Immobiliare.
Si pretende che la costruzione dell'albergo Hilton in cima a Monte Mario contribuisca a migliorare la deficiente attrezzatura alberghiera di Roma: e questo in vista delle deprecabili Olimpiadi, in vista di nuovi anni santi, in vista di congressi internazionali. Ma queste son cose che possiamo lasciar dire a Ugo D'Andrea, a Manlio Lupinacci o ai consiglieri neofascisti, al Tempo, al Messaggero o al Giornale d'Italia. Sembra che per la deficiente attrezzatura alberghiera di Roma non si sia potuto tenere a Roma il congresso internazionale del Rotary Club: pensate che sciagura, o cittadini romani! Nella mentalità provinciale della maggioranza, i congressi internazionali sono la panacea per i mali di Roma, e chi si oppone a nuovi alberghi in cima a Monte Mario è un nemico della città eterna. Ma perchè allora non trasformiamo in albergo il Colosseo o in giardino di delizie il Palatino? Il problema alberghiero non si risolve costruendo in cima a Monte Mario un albergo di lusso con 380 appartamenti, bensì con u
na seria e illuminata politica turistico-alberghiera. E per dimostrarvi che nulla di simile ci sia nella mente della maggioranza democristiana, basterà ricordarvi che si è lasciato manomettere e contraffare da cima a fondo l'ex-albergo di Russia in Via del Babuino, solo perchè questo faceva comodo a un altro dei padroni di Roma, cioè al cavaliere del lavoro conte Romolo Vaselli, che ha potuto così arrotondare le sue già floride fortune, affittando l'infelice edificio alla Radiotelevisione.
Si è preteso che la costruzione dell'albergo Hilton avvenga senza oneri per il Comune, e ci si compiace che l'Immobiliare offra gratuitamente la sistemazione urbanistica di Monte Mario, e la si dipinge quale fatina benefica, pronta a sborsare milioni 400 al Comune di Roma per la costruzione delle strade che da piazzale Clodio saliranno in cima al colle. Ammiriamo, o amici, la squisita sensibilità degli amministratori democristiani: essi inneggiano alla S. Immobiliare perchè è pronta a pagare qualche centinaio di milioni, quando non si tratta che di contributi di miglioria che solo per legge, per legge e nient'altro che per legge, essa deve pagare. A tal segno i padroni di Roma spadroneggiano, che la rara volta che trovano conveniente ai loro interessi pagare qualche tassa, l'amministrazione democristiana regala ad essi qualcuno dei colli fatali di Roma, ed esulta commossa come davanti a un miracolo.
Si pretende infine che con la costruzione dell'albergo Hilton, l'Immobiliare non danneggi urbanisticamente Roma e che non rovini natura e paesaggio, ma anzi li arricchisca di nuove attrazioni. A questo proposito i democristiani ricorrono ad un paio di ragionamenti che vi raccomando.
Uno è argomento caro al consigliere Libotte, cioè a persona eminentemente buffa: ed è che siccome Monte Mario è già rovinato, tanto vale costruirci anche l'albergo, e che non se ne parli più. E' un ragionamento caro anche agli studiosi di Roma, ai romanisti, cioè a quella strana genia di parassiti delle rovine di Roma, che ha un solo scopo nella vita, quello di piangere su ciò che viene distrutto: per la qual cosa ben si guardano dall'intervenire contro i vandali, anzi vivamente li incoraggiano: altrimenti come farebbero a piangere sulla Roma che fu? Non voglio fare torto alla vostra intelligenza discutendo questo balordo modo di ragionare, e passo all'argomento per così dire estetico, caro fra tutti al capocronista del Messaggero, Guglielmo Ceroni che, come ben sapete, è una delle più grosse sciagure di Roma. Dice infatti costui, che, siccome l'albergo sarà a superfici vetrate, esso, udite o amici, "assorbirà i colori naturali del cielo, e di mattina sarà azzurro e al tramonto color amaranto". Nella su
a fantasia di capocronista, l'albergo sarà dunque una specie di camaleonte celeste. Senza dilungarmi a controbattere questo singolare saggio di cattivo estetismo, vi posso assicurare che le cose andranno diversamente. Mettiamoci sul Pincio: a mezzogiorno l'albergo ci sbatterà negli occhi riflessi accecanti, alla sera, anzichè "amaranto", sarà una sagoma nera, poichè ovviamente il sole tramonta dietro Monte Mario e oltre ai vetri l'albergo avrà pure i suoi muri opachi: e alla notte? Alla notte, la baldoria dei miliardari ospiti dell'albergo sfolgorerà indecentemente nell'oscurità, al di sopra della cupola di S. Pietro, finora puro e superbo emblema dell'eterna città.
LA SOCIETA' GENERALE IMMOBILIARE
Ma basta di ciò. Tutti noi, purchè vogliamo scuoterci di dosso la pigrizia abituale, possiamo immaginare cosa sarà per Monte Mario questo albergo lungo 150 metri, alto più di 30, di 101.000 metri cubi, con i suoi cinque ettari di terreno intorno, con tennis, piscine, trampolini, ristoranti, gabbie, laghi, belvederi, terrazze, cascate, gradinate, scalee, rampe, ripiani, finte rocce, gruppi allegorici, e via dicendo. Smettiamo di perdere il tempo a discutere se un'architettura è bella o brutta, se sta bene o se sta male: un'architettura è buona se è utile e funzionale, se si inquadra in un'iniziativa di interesse generale cioè in un complesso urbanistico di pubblica, reale utilità. Ora gli autori del progetto, Ugo Luccichenti, Pifferi e Ressa, dovrebbero vergognarsi, perchè il loro albergo si risolve in danno irreparabile per il futuro sviluppo urbanistico di Roma.
Monte Mario è feudo privato della Società Generale Immobiliare. Sia che essa abbia direttamente costruito o abbia venduto i terreni fatto i piani o insegnato a farli ad altri, il colle è stato trasformato da campagna in un quartiere pessimamente costruito e pessimamente lottizzato, che nemmeno i selvaggi avrebbero potuto inventare: e invece ci abitano circa trentamila persone. Vie strettissime e in fortissima salita, densità edilizia eccessiva, rete stradale tracciata a casaccio, curvilinea oppure a reticolato come fossimo in pianura e in una colonia romana antica, palazzine e palazzi di inarrivabile volgarità, senza un giardino, senza un parco, una veduta, un riparo dai rumori: un quartiere quale avrebbe potuto disegnare un deficiente, solo invasato dal più cieco desiderio di sfruttamento di ogni palmo di terreno. Ebbene non basta: non basta neppure che parte delle opere a Monte Mario siano state realizzate del tutto illegalmente: oggi, a sentire il Messaggero, il Tempo e il Giornale d'Italia, si dovre
bbe anche ringraziare l'Immobiliare per la distruzione dell'ultima pendice ancora verde del colle: la si dovrebbe ringraziare, quando l'albergo Hilton altro non è che un nuovo comodo mezzo per far salire vertiginosamente di prezzo tutte le altre aree che l'Immobiliare ancora possiede a Monte Mario e dintorni.
Rendiamoci conto che ogni impresa urbanistica provoca conseguenze su tutta la città. L'albergo Hilton, facendo salire alle stesse il valore delle aree adiacenti, è invito immediato a quel fenomeno descritto da Cattani nell'ultimo convegno degli "Amici del Mondo", cioè l'urbanizzazione dei terreni agricoli, a vantaggio dei loro pochi proprietari, Immobiliare in testa. La costruzione dell'albergo Hilton è premessa alla distruzione delle zone verdi e delle campagne all'Ovest e al Nord di Roma, tra Aurelia, Trionfale, Camilluccia e Cassia, e alla loro conversione in intensivi e incivili tavolieri di cemento. Ciò significa espandere Roma anche al Nord e all'Ovest a fasce successive, come sta capitando in tutti gli altri punti cardinali. (E in questo senso si è espresso a più riprese anche un organo solitamente tanto prudente come l'Istituto Nazionale Urbanistica). Significa sviluppare Roma a macchia d'olio, cioè secondo le leggi del caos, in cui si combina l'impotenza degli amministratori col capriccio dei v
ari speculatori periferici, disposti tutt'intorno a Roma; significa rinunciare a imporre a Roma una forma e uno sviluppo e una struttura finalmente moderna. Espansione a macchia d'olio vuol dire ingrandimento equivalente e indiscriminato di una città in tutti i punti cardinali, vuol dire confermare il centro di gravità sempre sul vecchio centro storico e artistico, vuol dire quindi sempre maggior congestionamento del traffico al centro, sovraffollamento e paralisi della vita cittadina, vuol dire mescolanza e confusione degli impianti e degli edifici, suole ministeri abitazioni ospedali uffici banche, e via dicendo. Ma l'espansione a macchia d'olio è caldamente sostenuta da latifondisti e speculatori e mercanti di aree, da società immobiliari e grossi imprenditori, proprio perchè è il trionfo dell'anarchia, perchè è fonte di favolosi arricchimenti per pochi privilegiati, per pochi ricchi epuloni seduti intorno alla tavola rotonda della città. L'albergo Hilton è insomma un'altra delle infinite iniziative anarc
hiche e antidemocratiche che hanno funestato Roma durante otto anni di amministrazione democristiana: esso si presenta quindi, per le sue conseguenze presenti e future, come un'iniziativa disastrosa, come una nuova prova della colpevole leggerezza dell'amministrazione, come un nuovo insolente atto d'imperio dei padroni del vapore contro la vita della collettività.
Non importa che per ora l'iniziativa sia stata sventata. Importa osservare, o amici, che la simpatia e l'indulgenza degli amministratori democristiani verso la Società Generale Immobiliare, e in generale verso i padroni della città, appare congenita e direi quasi consustanziale. L'Immobiliare è infatti anch'essa, quasi quanto gli amministratori democristiani, associazione assai pia, e devota: i miliardi che essa si procaccia accarezzando gli amministratori democristiani e squartando Roma in tutti i sensi, appaiono accumulati a maggior gloria di Dio. Non vorremmo far nomi, ma certo è un fatto obbiettivo che nel suo consiglio di amministrazione troviamo l'ing. Enrico Pietro Galeazzi, direttore generale del Governatorato del Vaticano e architetto dei sacri palazzi; troviamo G.B. Sacchetti cameriere segreto del Papa, foriere maggiore dei palazzi apostolici, presidente dell'unione cristiana imprenditori dirigenti; troviamo Bernardino Nogara, consigliere delegato dell'amministrazione speciale della Santa Sede
; troviamo Marcantonio Pacelli, il quale è, come sapete, parente stretto dell'attuale pontefice. Senza contare che le persone nominate e le altre poche che le accompagnano sono altresì eminenze della Fiat, della Italcementi, della Sogene, dell'Acqua Marcia, della Banca Commerciale, della Beni Stabili, della Romana Gas, e via dicendo... Ora, con uomini così devoti sarà mai possibile per gli amministratori democristiani presenti e futuri mantenere una linea dignitosa e indipendente?
Per concludere, noi troviamo strabiliante che una società come l'Immobiliare, che allinea nelle sue file uomini così morigerati e così credenti, abbia osato pretendere di trasformare Monte Mario in castello incantato per pochi ricconi: Monte Mario, dove la leggenda colloca la visione della Croce di Costantino; Monte Mario, dove i pellegrini provenienti dal Nord, dopo disagevoli viaggi, avevano la folgorante visione della nuova Gerusalemme: come abbia osato questa società, così pia e così devota, detronizzare S. Pietro nel panorama di Roma, facendo ad esso sovrastare una così profana e mondana baracca, quale il progettato albergo Hilton. Davvero, amici, non c'è più religione.
CITTA' ANTICA E CITTA' MODERNA
Contro la prepotenza dei padroni della città, contro il caos e la speculazione si impone una regola, una regola che in otto anni l'amministrazione Rebecchini non ha saputo dare a Roma: un piano regolatore. Un piano regolatore è la norma organica e comprensiva di tutte le esigenze di una città, per cui l'interesse dei pochi privilegiati e beati possidenti viene sottomesso all'interesse generale di tutti i cittadini. Roma doveva avere un piano regolatore entro il 1955: ma i padroni di Roma l'hanno impedito, perchè fin che dura l'anarchia dura la loro pacchia. Un piano regolatore è legge di interesse generale che impone di costruire in alcune zone e vieta di costruire in altre, stabilisce l'ubicazione dei principali impianti pubblici, strade, ferrovie, scuole, ospedali, campi sportivi, chiese, industrie, parchi, eccetera: un piano regolatore è l'intervento attivo dell'uomo per rendere più umana la propria vita nelle città, è insomma la norma della convivenza civile, è la creazione di un ambiente in cui sia
possibile lavorare, vivere, progredire.
State attenti, o amici, anche qui alle frottole che i padroni della città in tutti Italia, da Milano a Roma, da Venezia a Siena, mettono in giro, prontamente raccolte dai giornalisti di buona volontà e dagli architetti senza scrupoli. Dicono costoro, scioccamente e qualunquisticamente, che le città si sono sempre sviluppate nei secoli senza tante storie urbanistiche, e una città antica come Roma o Venezia si può tranquillamente adeguare alle esigenze della vita moderna con qualche adattamento, sventrando i vecchi centri e ingrandendo la città alla periferia. Ora, amici, impariamo finalmente che una città moderna davvero non ha più niente da fare con una città antica, quali sono le città italiane, cresciute senza soluzione di continuità dal medioevo all'ottocento. Oggi un'elementare saggezza, ci impone se vogliamo davvero sentirci moderni e progrediti, di conservare i centri antichi delle nostre città e di costruire i nuovi centri accanto ad essi, senza contaminare reciprocamente l'antico e il moderno.
A parte il fatto che oggi la nostra posizione spirituale verso le testimonianze del passato è radicalmente mutata, e che il progresso stesso degli studi e delle discipline e delle scienze dell'antichità, e della storia dell'arte ci impongono, se non vogliamo tornare indietro di qualche secolo nella storia, di conservare i resti delle civiltà che ci hanno preceduto; a parte il fatto che la rivoluzione industriale ha creato nuovi materiali costruttivi, quali il ferro, l'acciaio e il cemento armato, che hanno dato all'architettura moderna un corpo e un'anima in tutto differente dal corpo e dall'anima di tutta l'architettura passata, dalle Piramidi all'Ottocento, per cui è necessario dare all'architettura moderna spazi ed ambienti nuovi e vergini, perchè possa esplicare tutte le proprie possibilità: a parte ciò facciamo una considerazione più elementare, e più prioriamente urbanistica. Pensiamo che per alcuni millenni, dai Faraoni a Napoleone, le città sono servite a un solo tipo di traffico, per cui la gen
te andava a piedi o in carrozza o a cavallo di un asino. Ora chi pretende di adeguare una rete stradale come quella, mettiamo, dei vecchi rioni di Roma o quella di Siena, fatte per andare in carrozza o a piedi, alle esigenze del traffico moderno, cioè al movimento di centinaia di migliaia di mezzi motorizzati, dimostra semplicemente di essere stupido. Sarebbe come pretendere di trasformare con qualche adattamento una sciabola in mitragliatrice o un tiro a quattro in fuoriserie. Occorre riconoscere la rottura definitiva che la rivoluzione industriale ha creato nella storia delle città, e impostare su basi del tutto nuove il loro rinnovamento. E ancora, l'incremento vertiginoso della popolazione e il suo inurbamento nei centri maggiori; l'utilizzazione e la scoperta di nuove fonti di energia e di produzione; l'industrializzazione, la moltiplicazione degli impianti e dei servizi pubblici necessari alla vita delle grandi città moderne; il peso e la concentrazione degli affari dei mercati dei commerci; la trasfor
mazione avvenuta di una grande città da centro consumatore in centro produttore; la novità e la standardizzazione dei sistemi costruttivi; l'immenso mutamento nei rapporti umani grazie al motore a scoppia e all'elettricità, quanto a mezzi di trasporto, traffico e comunicazione, eccetera eccetera, tutto ciò ha fatto sì che una città moderna sia cosa del tutto nuova rispetto alle città del passato. A esigenze e scopi nuovi occorrono strutture integralmente nuove e adeguate: occorrono tutti quei drastici provvedimenti che l'urbanistica moderna nel nostro Paese non ha saputo realizzare.
Noi in Italia, in tutte le nostre città, abbiamo continuato a credere, in questi ultimi cent'anni, che bastasse ampliare il comprensorio urbano in tutti i sensi, e riempire gli spazi vuoti al centro e alla periferia perchè sorgesse una città moderna. E oggi le nostre maggiori città, Roma prima di tutte, sono agglomerati caotici e idropici: il sovraffollamento, la congestione del traffico, le condizioni igieniche cattive, l'insufficienza dei servizi pubblici, gli spaventosi quartieri intensivi, le baracche, sono il risultato della nostra urbanistica arretrata, sono il risultato della nostra infinita insensibilità per i problemi urbani. E di pari passo è proceduta l'imperdonabile distruzione di meravigliosi monumenti e quartieri antichi. Non abbiamo saputo nè conservare l'antico nè costruire il moderno sul serio. A Roma dal '70 in poi i nuovi quartieri si sono andati addensando tutt'intorno al centro, in tutti i punti cardinali. A Roma abbiamo oggi un indice di affollamento di 1,50, abbiamo una cintura in
fame di borgate in cui vivono dalle cento alle duecentomila persone. Roma è oggi un agglomerato convulso al centro e in cancrena alla periferia, che minaccia di essere soffocato da anelli successivi e concentrici di cemento. Roma dai 200.000 abitanti del 1870, ne ha oggi 1.800.000: tra qualche tempo, essa avrà decuplicato la sua popolazione in meno di un secolo. La popolazione di Roma cresce ogni anno di più di 30.000 persone, ogni anno cioè si aggiunge a Roma una città come Civitavecchia o Grosseto: Roma cresce di circa 4 persone all'ora. Occorre dunque con estrema urgenza organizzare la sua mostruosa crescita, occorre rompere finalmente il suo accerchiamento ed imporle una misura, se non vogliamo veder distrutti i suoi tesori d'arte e se contemporaneamente vogliamo che diventi una città moderna.
E' NECESSARIO UN PIANO REGOLATORE
Rendiamoci insomma conto che una città moderna non nasce sulle macerie della città antica. Una città antica si salva e la nuova può essere edificata solo se si procede a due operazioni. La prima tende a svuotare gli antichi centri da quelle funzioni che la loro struttura non può tollerare perchè estranee alle civiltà in cui si sono formati; svuotarli cioè dai pesi del traffico e degli affari e simili, che decenni di urbanistica arretrata hanno continuato ad addensare nei vecchi centri: queste funzioni esorbitanti devono essere travasate in altre zone della città, che siano finalmente attrezzate a riceverle. Al vecchio centro resteranno le funzioni compatibili, di rappresentanza, cultura, residenza, artigianali, eccetera. La seconda operazione tenderà a impostare l'ampliamento moderno nella città secondo uno schema aperto nello spazio, in cui possano razionalmente inserirsi tutti i successivi sviluppi della città: è necessario scegliere una direttrice predominante di espansione, affinchè si rompa l'ingra
ndimento indiscriminato a macchia d'olio e affinchè il centro di gravità non torni più a gravare sul vecchio nucleo storico fino a farlo schiantare, ma continui a spostarsi nel senso della maggiore espansione. Non si salva il centro storico e non si creano nuovi quartieri razionali se non si prendono drastici provvedimenti alla periferia, se cioè non si procede a una pianificazione urbanistica di ampio respiro, organica e comprensiva e coordinatrice di tutte le complesse esigenze di una città nel loro condizionamento reciproco e reciproco influsso.
Possiamo quindi in sostanza affermare che solo conservando il centro storico di Roma, classico, medioevale, rinascimentale, barocco, neoclassico, solo conservando gli spazi verdi ancora liberi e i parchi e i giardini che ancora si aprono nel suo tessuto edilizio, si possono porre le premesse per lo sviluppo moderno di Roma. Conservazione dell'antico e creazione del moderno sono operazioni non contrastanti, ma strettamente complementari: solo conservando i vecchi centri si può procedere alla dislocazione delle funzioni moderne in nuovi centri moderni attigui agli antichi. Insomma solo conservando l'antico si è moderni e si può creare il nuovo, il nuovo autentico e veramente moderno.
Un abbozzo di piano regolatore, impostato su questi criteri è stato fatto da un ristretto comitato di buoni urbanisti, tardivamente nominato dal comune due anni fa. Purtroppo non è possibile che qui io ve lo illustri; basterà accennare, che in base a considerazioni sensate, quegli urbanisti hanno proposto nel loro progetto di massima la conservazione del vecchio centro, la formazione di un nuovo centro a Oriente di esso, e la massima espansione della città a Oriente, cioè nel grande ventaglio percorso dalle vie Nomentana, Tiburtina, Prenestina, Casilina, Tuscolana, Appia Nuova: in questa direttrice dovrebbero trovar posto i grandi e moderni quartieri della nuova Roma, spaziati nel verde, autosufficienti, civili e umani.
Va da sè che questo progetto è stato bocciato da una più grande commissione pure nominata dal consiglio comunale, in cui si trovano vecchi architetti tromboni e funzionari compromessi con i padroni di Roma e rappresentanti dei medesimi. Ho assistito ad una riunione di questa commissione, e vi assicuro che era uno spettacolo impressionante: era impressionante e deprimente vedere Roma proprio fisicamente in mano a quel gruppo di uomini, la cui maggioranza di tutto si preoccupa fuor che dell'interesse generale solo desiderosa di straziare il corpo della città disgraziata e di trascinarne gli sviluppi sui terreni dei padroni della città. Il piccolo comitato aveva proposto un'espansione a Oriente? La grande commissione ha proposto invece la massima espansione a Sud, e in ispecie a Sud Ovest verso quel bubbone malefico che è l'EUR e a Sud Est verso i Colli. Nulla appare dunque mutato dai tempi di Mussolini: e se pensiamo che all'Est, al Nord e all'Ovest la grande commissione indulge genericamente ad altri amp
liamenti, ci rendiamo conto che viene riproposta la espansione di Roma indiscriminata a macchia d'olio. Ancora un poco, e qualunque intervento atto a sanare le condizioni impossibili di Roma sarà del tutto vano.
I PADRONI DI ROMA
I padroni di Roma, i grandi monopolisti di aree agricole, cioè i vandali, mirano appunto a questo. Come vi ha spiegato Cattani nel convegno sui "padroni della città" essi, per trasformare i loro terreni agricoli in terreni edificabili, cioè per tirare Roma dalla loro parte, ricorrono a vari trucchi, in modo da obbligare poi il Comune a portarvi i servizi essenziali, acqua, fognature, strade, col risultato che i loro terreni si urbanizzano rapidamente e crescono di prezzo dieci e cento volte. In generale essi cominciano col presentarsi come filantropi, e lasciano che sul loro terreno si insedi una piccola comunità di diseredati: quando questa è abbastanza grande vanno in Comune. Può forse il Comune, dicono, lasciare senza strade e senz'acque tanta gente? E il Sindaco accorre a portare i servizi, e col denaro del contribuente, fa salire alle stelle il valore di quei terreni e di quelli circostanti. Con la spesa del denaro pubblico il filantropo speculatore ha guadagnato miliardi.
A Roma la situazione è particolarmente, per così dire, pesante. Pensate che solo sette od otto proprietari possiedono circa trenta milioni di metri quadrati di terreno, contro i cinque milioni che possiede il Comune. Secondo l'elenco fatto dall'onorevole Natoli in Consiglio Comunale, otto milioni possiede la Società Generale Immobiliare, 9 milioni possiedono Alessandro Gerini, senatore democristiano, e sua sorella Isabella, otto milioni possiede Scalera, sette milioni possiedono i fratelli Lancellotti, due milioni e mezzo possiede Romolo Vaselli, altri imprecisati latifondi possiedono i vari Puccini, i Gianni, i Federici, eccetera: tutti terreni disposti intorno a Roma, lungo tutta la rosa dei venti.
Facciamo un breve giro d'orizzonte. Perchè Roma si espande al Sud? Roma si espande a Sud perchè l'Immobiliare possiede 770.000 metri quadrati a Tormarancio e 530.000 metri quadrati a Tor Carbone. Perchè Roma si espande verso Sud Ovest, nella sballatissima direzione del mare nostrum come voleva Mussolini, cioè verso il nefasto bubbone dell'EUR? Perchè l'Immobiliare possiede circa 3.500.000 di metri quadrati presso la Via C.Colombo e si accinge a costruirvi poco meno di 2000 case. E pensate che con miliardi di denaro pubblico è stato costruito il primo tronco della Metropolitana, proprio in questa direzione superflua. Perchè Roma si espande all'Ovest? Roma si espande all'Ovest perchè l'Immobiliare possiede o possedeva a Monte Mario quasi 900.000 metri quadrati di terreno. Ora una miserabile città, che ha i due punti strategici in piazza della Balduina e in piazza Belsito, ha massacrato un colle che anche dal punto di vista edilizio poteva essere egregiamente sfruttato, purchè l'avidità di guadagno fosse s
tata contenuta entro limiti meno bestiali. Una contraffazione di nuova città, che a centinaia e centinaia di cosiddette palazzine, sta superando anche l'ultimo crinale, sta superando anche il fosso della ferrovia statale Roma-Viterbo, e sta calando nelle valli retrostanti, fino a risalire verso l'Aurelia, fino a mangiare la Pineta Sacchetti, e tutta la campagna occidentale. L'invasione dell'occidente di Roma si completa intanto con il disordinato ampliamento di Monte Verde, con il soffocamento della valle dietro il Gianicolo e oltre S. Pancrazio e lungo l'Aurelia e dietro il Vaticano mediante una deplorevole congerie di case e di conventi e di seminari e curie generalizie e quartier generali di ogni possibile ordine religioso. E ora si progetta di costruire da questa parte anche un inutile stradone, la cosiddetta strada olimpica, che farà arricchire altri proprietari e completerà la rovina di tutta la zona.
Perchè Roma si espande al Nord? Perchè con il forsennato sfruttamento di Monte Mario (e con la pretesa di costruire l'albergo Hilton) a poco a poco sono stati valorizzati tutti i terreni della Camilluccia, della Trionfale e della Cassia. Roma si espande al Nord perchè l'Immobiliare possiede un'imprecisata quantità di metri quadrati tra Cassia e Camilluccia, 50.000 metri quadrati sulla Salaria e 215.000 mq. sulla Cassia, dove sorge Vigna Clara, intorno alla quale si addensano a decine e decine nuove palazzine in schiera serrata completando l'accerchiamento di Roma dal Nord. Roma si espande al Nord e a Nord Est anche perchè l'Immobiliare possiede 1.336.000 metri quadrati sulla Via Nomentana e a Pietralata e perchè al di là dell'Aniene presso Tufello e Val Melaina, di fronte all'immensa muraglia di cemento del quartiere cosiddetto Africano, l'Immobiliare sta costruendo un abominevole quartiere popolare, intensivo, tetro, spaventoso, un penitenziario minaccioso e inumano. Fate un giro, o amici, e confrontat
e i paradisi terrestri che l'Immobiliare costruisce per i ricchi a Vigna Clara e le galere per i poveri al Nord dell'Aniene; imparerete a conoscere il concetto razzista che questo Leviatano persegue, e le sue velleità di dividere gli Italiani in buoni e cattivi, cioè rispettivamente in ricchi e poveri.
Perchè Roma si espande a Est, con prevalenza verso Sud Est, in maniera incontrollata e convulsa? Perchè l'Immobiliare possiede 90.000 metri quadrati sulla Via Prenestina e 470.000 metri quadrati sulla Via Tuscolana; perchè immense aree per centinaia e centinaia di migliaia di metri quadrati sono possedute dai fratelli Gianni tra Tiburtina e Prenestina, dai fratelli Lancellotti lungo la Prenestina, dai fratelli Gerini lungo la Tuscolana, al Quadraro, a Porta Furba, a Centocelle, a Roma Vecchia. Da questa parte, cioè a Sud-Est la espansione di Roma è specialmente mostruosa: andate a vedere, o amici, la squallida Villa Gordiani costruita dal Comune e i quartieri intensivi che le sorgono a fianco sulla Via Prenestina: visitate i quartieri intensivi che sorgono sulla Tuscolana, il quartiere di Piazza dei Consoli, il quartiere Don Bosco con l'obbrobriosa chiesa al centro, il quartiere dell'Impresa Lamaro. Andate a vedere e inorridite. Queste immense conigliere addossate le une alle altre con una inverosimile
densità edilizia sono il campione tremendo della Roma futura, sono il frutto della strapotenza dei vandali-padroni e della capitolazione dei pubblici poteri, delle leggi e della dignità umana di fronte ad essi.
Compiamo il giro e torniamo a Sud. Perchè la speculazione sta mangiandosi la campagna intorno all'Appia Antica? Perchè i fratelli Gerini possiedono, nella valle della Caffarella e dell'Acquataccio, centinaia di migliaia di metri quadrati, e perchè l'Immobiliare possiede 820.000 metri quadrati tra Appia Antica e Appia Nuova. Per la debolezza degli amministratori democristiani, le carni vive di Roma vengono stirate, strappate e straziate in tutti i punti cardinali.
LA COMUNITA' SERVA DEI PADRONI E DEI VANDALI
Questo non è che un brevissimo, appena indicativo giro d'orizzonte. Roma straripa con mostruose propaggini intorno a se stessa. E' tempo di aprire gli occhi e di convincersi che i vandali-padroni ingrassano a danno della collettività. Basterà considerare che l'incremento annuale del valore delle aree, a quanto ha affermato lo stesso assessore all'urbanistica, si aggira sui 50 miliardi: ora se il Comune avesse imposto il pagamento dei contributi di miglioria previsti dalla legge 1932 avrebbe in tutti questi anni incamerato una somma capace di ridurre in grandissima misura o forse anche di eliminare il disavanzo comunale di oltre dieci miliardi, e una situazione debitoria che supera i cento miliardi. Riflettete ancora che quell'incremento favoloso del valore delle aree a tutto beneficio di pochi privilegiati è stato reso possibile dal fatto che l'amministrazione democristiana, ipnotizzata dagli speculatori, ha apportato in quelle zone abusivamente urbanizzate i servizi pubblici: ha arricchito cioè gli spe
culatori col denaro di tutti i cittadini. E se riflettete ancora che su un gettito di 27 miliardi di imposte e tributi previsto per il 1956, l'onere maggiore risulta, come ha rilevato Cattani in Campidoglio, composto di imposte indirette e di consumo e di imposte sui commerci, le arti e le professioni, vi renderete conto che chi paga a Roma sono i cittadini meno abbienti, la popolazione che lavora: e che i loro soldi sono stati impiegati dall'amministrazione democristiana non già in opere di interesse pubblico, ma per portare i servizi nelle zone degli speculatori, che poi non pagano le tasse.
Altre sono le conseguenze dell'impero dei padroni della città e dell'inefficienza degli amministratori, ossia dell'indiscriminato ingrandirsi di Roma. L'anarchia urbanistica mantiene elevatissimo il prezzo delle aree, che si ripercuote in costi proibitivi delle nuove costruzioni, fino a un'incidenza del 50 per cento. A Roma in quattro anni sono stati costruiti circa 52.000 alloggi. Ma non si tratta di alloggi a carattere popolare: dove quindi, dato il costo del terreno, trovare le aree per le case di quelle 30.000 famiglie che ancora vivono in baracche e nelle cosiddette "abitazioni improprie" e per quelle 60-70 famiglie che ancora vivono in coabitazione?
Ancora possiamo ringraziare i vandali-padroni del dissesto e del cattivo funzionamento e dell'aumento delle tariffe delle aziende dei pubblici trasporti, dovuto al continuo allungamento di percorsi a cui le varie linee sono costrette, per tener dietro agli ampliamenti insensati cui la città è sottoposta come materia elastica, dai padroni di Roma. Dobbiamo ringraziarli per l'aumento del prezzo del latte causato dall'aumento dei prezzi di trasporto; dobbiamo ringraziarli anche quando manca l'acqua, non potendo le condutture star dietro all'inorganico ingrandimento di Roma voluto da essi. Di altro ancora possiamo ringraziare i vandali-padroni. L'Espansione a macchia d'olio, e la speculazione che la determina, rende impossibile ogni razionale iniziativa intesa a decentrare gli uffici, i luoghi di lavoro, i ministeri; rende impossibile la sistemazione dei parchi pubblici, dei campi sportivi, dei giardini, impedisce che si facciano strade larghe e che le case abbiano sufficienti spazi di aereazione e di isola
mento, rende impossibile la razionale soluzione del problema ospedaliero e dei mercati, rende impossibile l'organica ubicazione degli edifici scolastici (e a Roma mancano tremila aule), rende impossibile la realizzazione della zona industriale, che pure da quindici anni per legge si deve fare, e che è ancora sulla carta fra Tiburtina e Prenestina.
La speculazione e quindi l'espansione di Roma a macchia d'olio rende impossibile il rapido collegamento fra casa e luogo di lavoro, ed obbliga ogni giorno centinaia di migliaia di persone a consumare ore, a logorarsi spiritualmente e fisicamente sui mezzi di trasporto: la speculazione e il monopolio delle aree creano le borgate, l'inferno per decine di migliaia di famiglie. Sovraffollamento, coabitazione, analfabetismo, fatica di vivere, miseria, rovina economica, aggravamento di tasse, insufficienza di servizi pubblici, promiscuità, malattie, ecco le conseguenze dell'imperio dei padroni della città, dell'irresponsabilità degli amministratori democristiani e della mancanza di una norma urbanistica a Roma. Questi sono i pesi tremendi che i padroni-vandali, come i farisei del Vangelo, caricano sulle spalle dei cittadini romani, e che essi non toccano nemmeno con un dito. Capiamo finalmente che costoro prosperano e ingrassano a spese del denaro e della salute pubblica, e senza far nulla, senza rischiare, s
enza lavorare, "ammassano nel sonno" immense vergognose fortune, solo forti dell'inerzia delle autorità, istupidendo l'opinione pubblica, attraverso la stampa cosiddetta indipendente, in nome di un brigantesco liberismo urbanistico.
Ringraziamo anche i vandali-padroni della distruzione delle bellezze artistiche e storiche delle nostre città. L'espansione radiocentrica a macchia d'olio, a barriere successive di cemento, addensa nei vecchi centri storici tutte quelle funzioni moderne che un'urbanistica illuminata consiglia di travasare altrove, e quindi aumenta parossisticamente il congestionamento del traffico in essi. Succede allora che la stampa "indipendente" comincia a proporre qualche "sventramento": e gli sventramenti si fanno perchè lucrosissime sono le ricostruzioni che poi sorgeranno sulla rovina. Ma i risultati degli sventramenti sono diametralmente opposti a quelli che i vandali ipocritamente facevano sperare: a parte la distruzione senza contropartita di immensi tesori d'arte, d'architettura e di storia, ecco che attraverso i nuovi slarghi creati nella compagine della città antica nuovo traffico si riversa e nuova sempre crescente congestione si produce proprio là dove si voleva alleggerirla: e dopo il primo sventramento
un altro apparirà necessario, e così via fino alla totale distruzione della vecchia città.
Anche la rovina e la distruzione delle meraviglie artistiche del centro di una città come Roma, anche il sempre maggiore congestionamento del traffico sono dunque effetto della compiacenza delle autorità verso i vandali-padroni. Svegliamoci dunque, o amici, dal nostro sonno: anche la difesa delle caratteristiche artistiche e naturali di Roma, capiamolo finalmente, anche la difesa della Via Appia Antica o dei rioni del Rinascimento o la difesa di Monte Mario, non è estetismo, non è anacronistica pretesa di fermare il progresso, come dicono gli stolti al servizio dei vandali. Vuol dire invece essere moderni e creare le condizioni per il moderno rinnovamento di Roma. Vuol dire lottare per ripristinare il prestigio della legge e dell'intelligenza e della giustizia contro l'incultura e contro lo spirito di violenza di pochi monopolisti privilegiati.
ROMA SOFFOCATA
Il catalogo delle distruzioni delle bellezze artistiche e naturali di Roma può cominciare con la Via Appia Antica. In dieci anni la sua meravigliosa campagna è diventata una periferia qualunque, un bastardo agglomerato di ville, palazzine, palazzi e conventi. In dieci anni essa è diventata un vero serraglio di attrici, produttori, diplomatici, suore e stranieri e poveri diavoli: circa duecento sono le costruzioni che si possono oggi contare ai lati della Via Appia Antica, e di esse oltre la metà è abusiva, compresi i due conventi maggiori. Come se questo non bastasse, adesso all'altezza del Domine quo vadis? sta sorgendo addirittura un quartiere di una quarantina di palazzine di cooperative finanziate dallo Stato. Qualcosa abbiamo ottenuto con la nostra campagna sul "Mondo", che è, o amici, grazie al suo editore e al suo direttore, uno dei pochissimi giornali per natura immune e immunizzato dalle lascive lusinghe dei padroni di Roma. Abbiamo spinto il comune a provocare la sospensione di ogni licenza di
costruzione, abbiamo distolto molti proprietari dalle loro progettate furfantesche lottizzazioni, abbiamo impedito a molta gente di andare ad abitare sull'Appia, abbiamo provocato il disegno di legge La Malfa, ottima legge che propone distruzione senza indennizzo di tutte le costruzioni abusive e con indennizzo di quelle autorizzate dai funzionari incompetenti, abbiamo provocato la nomina di una commissione ministeriale presieduta da Umberto Zanotti Bianco, che, nonostante l'ostruzionismo dei funzionari del comune, ha steso un piano paesistico ancora in attesa di approvazione, e contro il quale gli sciocchi interessati stanno da tempo eccitando la stampa, con in testa il Messaggero e i fascisti del Borghese.
Oggi a Palazzo Venezia è organizzata una mostra: una mostra interessante ma assai deficiente, poichè è come un cerotto su una gamba stritolata da un treno, poichè non affronta i problemi sostanziali, quali quelli della distruzione delle costruzioni abusive e della destinazione agricola della campagna intorno all'Appia. Una mostra come questa sarebbe stata più utile se invece di documentazioni archeologiche avesse esposto l'elenco dei proprietari, l'elenco delle licenze di costruzione, l'elenco di funzionari che le hanno concesse, l'elenco delle costruzioni abusive e l'elenco delle leggi che quegli abusi avrebbero dovuto combattere. Non si salva la campagna della Via Appia Antica con filari di alberi: queste son cose che piacciono ai vari Busiri Vici e agli altri frivoli contraffattori dell'architettura moderna, ai romanisti, al capo cronista del Messaggero. Intanto il Consiglio di Stato ha autorizzato a costruire quei proprietari che, poveretti, avevano visto sospesa la loro licenza in seguito alla nost
ra campagna di stampa. Mentre pessime costruzioni sorgono nella Valle della Caffarella, ecco che il signor Marzi Marchesi ha costruito il suo mausoleo babilonese a specchio del Circo di Massenzio (autore Raffaele de Vico, cioè il progettista di un bislacco Parco Dantesco a Monte Mario); ecco che il principe Del Drago (quello che in occasione dei natali di Roma scrive i manifesti murali) sta costruendosi non una, non due, ma tre belle casette al sesto chilometro.
L'urbanistica è come una valanga e gli errori si accumulano. La rovina della campagna dell'Appia è la conseguenza della balorda caotica espansione di Roma verso il mare, cioè verso l'EUR e verso i Colli, che si è mangiata la zona di rispetto prevista dal piano regolatore del '31. Distruggere la campagna romana intorno all'Appia vuol dire bloccare Roma anche dal Sud, e quindi congestionare sempre più anche il centro: vuol dire distruggere quella campagna che, prolungandosi fin alla Passeggiata Archeologica, al Palatino e al Foro, una volta entrava fin nel cuore di Roma: vuol dire distruggere una riserva di salute, di verde e di aria che, se anche non c'erano i ruderi romani, qualunque urbanista appena sensato avrebbe inventato, e che andava conservata come la pupilla degli occhi.
Per completare il quadro ricordiamo che la prima villa in zona di rispetto fu costruita dall'ingegner Eugenio Gualdi, presidente della Società Generale Immobiliare: e a proposito di questa, per mostrarvi il cinico disprezzo che essa nutre per Roma, ricordiamo che qualche anno fa essa propose una lottizzazione dei ruderi della Villa dei Quintili, cioè del complesso più venerando e famoso della Via Appia Antica.
E non dimenticate nemmeno, amici, che l'Azione Cattolica e il CONI, hanno proposto l'anno scorso la costruzione di uno stadio olimpico sopra la catacombe di S. Callisto, e sono riusciti perfino a farne benedire la prima pietra dal Santo Padre: poi se lo sono rimangiato, anche perchè alcune persone si son messe a gridare. Le forze clericali, se appena guardate le nuove chiese che vengono costruite o i conventi con cui deturpano le più belle campagne, sono i peggiori vandali di Roma.
La distruzione della campagna a Sud di Roma si va completando anche con i palazzacci costruiti sulla Via C.Colombo, con le ville che si addensano in zona di rispetto all'interno delle Mura presso Porta S.Sebastiano, (figuratevi che una di esse, in zona di rispetto è di proprietà di un generale a riposo, che fu proposto come curator Viae Appiae!), con le ville che stanno mangiando il bellissimo Bastione del Sangallo, zona di rispetto e parco pubblico (proprietà del Federici), con le ville che sorgono e sorgeranno nel parco pubblico di Monte d'Oro, la bella collina tra Porta Metronia e Porta Latina: la rovina del verde a Sud di Roma si completa con lo sgangherato edificio della FAO sulla Passeggiata Archeologica e con la minaccia di costruzione sempre più intensa del Celio: figuratevi che a capo di una nutrita schiera di malintenzionati, Marcello Piacentini, l'intramontabile sciagurato massacratore di Roma, vedrebbe volentieri sorgere sul Celio, tra i SS. Quattro Coronati, i SS. Giovanni e Paolo e S. Greg
orio, addirittura la City romana.
La distruzione delle caratteristiche naturali e panoramiche di Roma determina costruzione di edifici e quindi il sempre maggior congestionamento delle abitazioni e del traffico. Mentre zone singolari che potrebbero essere finalmente trasformate in parco pubblico, come il Testaccio, sono lasciate in lercio abbandono, l'Aventino stesso deturpatissimo sta proprio fisicamente scomparendo. Dopo le palazzine in zona di rispetto, verso il Circo Massimo e in Via Fonte di Fauno, contro le quali accanitamente si battè, da assessore, Leone Cattani, e mentre molti dei vecchi villini vengono demoliti e trasformati in deformi palazzine, ecco che tutta la pendice su Viale Aventino viene sommersa: palazzine balneari sorgono a cavallo del tratto delle Mura Serviane, e un enorme, indecente palazzo, a furia di sotterfugi e di colpevoli debolezze dell'autorità, sta per essere completato in Viale Aventino: il Palazzo della Banca Nazionale del Lavoro; l'attuale destinazione intensiva di questa zona risale nientemeno che alle
follie megalomani di Mussolini: voleva che edifici colossali stupefacessero Hitler, in occasione del suo arrivo a Roma, dalla Stazione Ostiense.
Sulla Salaria i principi Lancellotti in tutti quest'anni hanno venduto e lottizzato e distrutto il parco della loro villa, e oggi ne resta una fettina col casino settecentesco, in bilico ancora nonostante il furore degli automobilisti e del capocronista del Messaggero. Altro imperdonabile scempio è quello della bellissima Villa Chigi tra Piazza Vescovio e Viale Libia, che aveva un parco lungo quasi mezzo chilometro, con lecci stupendi e decorazioni scultoree. I proprietari da anni hanno tolto le recinzioni e hanno lasciato che la gente riducesse il parco in terra bruciata: essi possono così ottenere dal comune la sua lottizzazione, cioè la scomparsa di una zona verde che poteva essere destinata a parco pubblico, nel desolato, intensivo, densissimo quartiere africano. La distruzione del verde e il successivo congestionamento delle abitazioni e del traffico continua lungo tutta la Via Nomentana, con la costruzione di pacchiane palazzine al posto delle vecchie ville. Tutto Monte Sacro viene alterato e da c
ittà giardino diventa un quartiere semiintensivo: ora la Villa Mecheri sta per essere costruita dall'Immobiliare, e il folto parco della Villa Anziani, tra via Asmara e Via Cheren, di circa due ettari, destinato dal piano regolatore del '31 a parco privato, è ora invasa dai più strani parassiti, che lo distruggono gradualmente, ed è in parte già costruito, e la distruzione totale è imminente. Sempre sulla Via Nomentana, all'angolo con la Via di S.Costanza, una strage di verde e di pini è stata fatta solo per permettere la costruzione di un ennesimo istituto religioso, S.Leone Magno.
Un caso clamoroso di insipienza dell'amministrazione democristiana è dato dalla Villa ex-Maraini all'angolo di Via G.B.De Rossi e Via XXI Aprile, destinata a parco privato, e in questi tre anni distrutta da cima a fondo: ora al suo posto sorge un'immensa baracca, che si chiama Tempio Nazionale Canadese: pensate che utilità per i cittadini romani. Il cosiddetto Tempio è tutto abusivo: le norme di piano regolatore permettono di costruire in zone destinate a parco privato, purchè gli edifici siano isolati, siano di lusso, non superino il ventesimo dell'area e purchè rispettino le alberature esistenti e le esigenze ambientali e panoramiche: neanche a farlo apposta il Tempio Canadese non rientra negli edifici di lusso perchè è una chiesa, non è isolato perchè è fatto sul filo stradale, non copre un ventesimo dell'area perchè ne copre un quinto, e quanto agli alberi e alle esigenze panoramiche ha distrutto i primi e completamente abolito le seconde. Anche un articolo del regolamento edilizio è stato violato,
e in sostanza la costruzione del "tempio" si è risolta in un illegale rovesciamento della destinazione della zona: vedete come i democristiani amministrano. La cosa è talmente illegale che recentemente il Consiglio di Stato ha condannato i padri (si chiamano sacramentini) che hanno costruito la chiesa: occorrerebbe mettere sotto inchiesta quei funzionari del Comune che nel 1952 hanno autorizzato la costruzione.
Villa Savoia è in pericolo. Esiste un piano particolareggiato del 1951 che ne prevede la destinazione a parco pubblico: ma i Savoia vogliono che tutto quanto sia costruito a palazzine. Pensate la bazza per le società immobiliari. Già si parla che un terzo soltanto del parco sarà destinato a parco pubblico, e il resto costruito: sappiamo bene come vanno queste cose, quando si comincia a cedere. Intanto una parte del parco, quello verso l'Acqua Acetosa, venduta durante la guerra da Vittorio Emanuele, è stata recentemente distrutta con strage di alberi, e al suo posto è sorto il solito quartiere di turpi palazzine, grazie agli intrighi di qualche pezzo grosso. Mangiata al Nord, minacciata dai Savoia in tutta la sua estensione, la Villa Savoia sta per essere accerchiata anche al Sud, dove la fascia di terreno tra Villa Savoia e Via Panama appartiene, tanto per cambiare, alla Società Generale Immobiliare, che da tempo arde di costruirvi. Possiamo quindi tranquillamente tirarle sopra un frego.
Non si finirebbe più di elencare i parchi distrutti o in via di distruzione. La Villa Balestra a furia di varianti è stata ridotta a una magra schiera di pini, la Villa Elia è stata mangiata dall'ignobile Via Archimede, la Villa Albani sta per essere costruita dalla parte che guarda viale Regina Margherita: in pericolo sono Villa Malta che a ogni momento si vorrebbe aprire al traffico, in pericolo Villa Torlonia: all'estremità della Via Flaminia la Villa Consalvi è in completa rovina. Che dire del Gianicolo accerchiato da conventi e seminari? Conventi e seminari sorgono in tutta la zona dell'Aurelia: sul colle del Gelsomino è stato costruito il quartier generale dei francescani, che val la pena di andare a vedere, poichè qui si può avere un saggio dell'ostentazione di sfarzo a cui oggi ricorrono le gerarchie ecclesiastiche, in gara col cinemascope e con le esercitazioni sportive sulle catacombe, per conquistare l'animo degli ingenui (e a proposito di chiese andate anche a vedere a piazza Euclide l'obbro
brio costruito da quell'altro intramontabile necroforo romanesco che è Armando Brasini, e a Valle Giulia la chiesa di S.Eugenio, che vi darà un saggio delle abilità dell'ingegnere Enrico Galeazzi, pezzo grosso della Società Generale Immobiliare).
ROMA DISTRUTTA
Accenniamo, per concludere, alla deturpazione del centro storico. Anche i bambini ormai dovrebbero avere imparato che un antico centro di città non è fatto solo dai monumenti maggiori, ma anche e soprattutto dall'insieme dell'edilizia minore che li circonda e che costituisce il tessuto vitale e l'ambiente necessario al loro risalto e al loro significato artistico. Non una casa intorno al Pantheon può essere demolita, senza che il carattere dell'antica Roma vada irrimediabilmente perduto: qualunque discriminazione tra architettura maggiore e minore è scelta arbitraria e ipocrita. Ogni sventramento, ogni demolizione nel centro è come abbiamo detto, disastrosa per l'aumento di traffico e di densità di popolazione che arreca.
Riflettiamo appena un momento, tanto per fare un esempio, sulle conseguenze che ha avuto l'isolamento del Campidoglio e l'apertura delle vie dell'Impero e del Mare: a parte la degradazione artistica che quell'operazione ha arrecato a monumenti insigni, che non c'è tempo di descrivere, basta osservare che se oggi la congestione del centro è quella che è, a Piazza Venezia, a Largo Chigi, a Largo Goldoni, in Piazza del Popolo e in tutte le vie e piazze centrali, questo è il risultato diretto di quelle due nuove vie sorte dall'insania archeologico-urbanistica degli sventratori littori, poichè esse hanno convogliato sul Corso, già allora insufficiente, tutto il traffico del Sud di Roma, dell'Appia Nuova e dell'Ostiense. Ma quelli avevano scambiato piazza Venezia con l'ombelico del mondo.
Danni gravissimi sono quindi anche le costruzioni là dove sembra non ci siano ambiente particolarmente interessanti, come i nuovi palazzi speculativi in Piazza S.Silvestro o in Largo Argentina o quello in corso, auspice il senatore Gerini, in Via del Tritone, o quelli lungo il Corso d'Italia all'interno delle Mura Aureliane. Alla stessa maniera è deplorevole e barbara la manomissione del carattere ambientale di Via Margutta: e qui poco ci importa di Via Margutta per le sue carnevalate o per la fauna subartistica che in essa si muove, munita di poco talento e di molto chiasso pubblicitario: ci importa la via come elemento di un quartiere unitario, ai piedi del Pincio: da anni le sue case, compreso l'ex-hotel Russia, vengono distrutte e ricostruite, raddoppiate di volume, contraffatte e sopraelevate, sempre per il comodo del cavaliere del lavoro conte Romolo Vaselli. La situazione è aggravata dalle distruzioni e dalle ricostruzioni intensive in fondo a Piazza di Spagna e in via di S.Sebastianello, in zona
di rispetto assoluto, dove a furia di intrighi è stato costruito quella specie di torre, che offende la classica veduta di Roma dalla Trinità dei Monti. Alla stessa maniera è deplorevole la demolizione e la ricostruzione del palazzo Sonnino in Via Quattro Novembre, che anche rovina un ambiente caratteristico formato dalla Torre dei Colonna e dalla chiesa di S.Maria del Carmelo: autore della manomissione è l'architetto Spaccarelli, compagno di Piacentini nel macello dei Borghi.
La confusione e la mancanza di idee della amministrazione democristiana, per quanto riguarda il centro di Roma, è dimostrata anche dalle cervellotiche e contradditorie iniziative che ogni giorno vengono minacciate, quali la costruzione del Palazzo dello Sport o dell'Auditorium lungo la via Flaminia, la costruzione del Ministero della Marina Mercantile in Piazzale Clodio, la costruzione di una gigantesca e grottesca autostazione al Macao, là dove dovrebbe prender corpo il nuove centro di Roma. Quanto alle iniziative insensate e particolarmente micidiali, ricordiamo la sempre sospesa minaccia di sventramento tra il Pincio e il Tevere, attraverso Via Margutta, via del Babuino, Via Vittoria e il Corso, progetto che distruggerebbe per sempre l'unità del bellissimo quartiere tra Piazza di Spagna e Piazza del Popolo: quattro anni fa, nonostante l'entusiasmo degli uffici comunali e dei romanisti, la cosa fu scongiurata, solo perchè in pochi volenterosi furiosamente ci dimenammo a protestare. Altra assurda alzat
a d'ingegno è stata due anni fa la pretesa di costruire un nuovo Ministero delle Poste e Telecomunicazioni a un passo dalla Fontana di Trevi, distruggendo tutto il vecchio e caratteristico isolato compreso tra Via delle Muratte, Via delle Vergini e Via dell'Umiltà: anche qui l'opposizione della stampa servì, ma la cosa tuttavia, per la caparbietà dell'ingegnere Romolo De Caterinis e del suo progettista architetto Rapisardi riuscì in parte, e ora, il cortile dell'ex-convento delle Vergini è scomparso sotto un aborto architettonico di tre piani.
Altra prova dell'arretratezza e della confusione d'idee dell'amministrazione democristiana è la minacciata costruzione, approvata dalle commissioni consultive comunali, del nuovo grosso Ospedale S. Giovanni in piazza S.Giovanni in Laterano. Ciò significherebbe non solo la rovina di una delle più straordinarie piazze di Roma, ma la negazione stessa di tutte le norme igieniche che ogni paese civile rispetta. Anche gli asini sanno che in una grande città i grandi ospedali vanno costruiti in zone eccentriche, in modo che abbiano aria buona, silenzio, isolamento e ampi spazi verdi intorno: invece il nuovo ospedale dovrebbe sorgere tra le Vie di S.Giovanni in Laterano e la Via Amba Aradam, cioè tra due vie di intensissimo traffico, senza un filo di verde, in mezzo al frastuono e alle esalazioni mefitiche.
L'odio contro i monumenti e l'incomprensione degli elementari principi urbanistici assume forme crudelmente barbariche: è dell'estate scorsa la proposta, entusiasticamente appoggiata dal capocronista del Messaggero, di isolare la Porta Pinciana, cioè di distruggere i tratti di mura laterali, con la ridicola pretesa di alleggerire la congestione del traffico tra Villa Borghese e Via Veneto; a parte l'attentato contro il più bel tratto di quell'insigne e unico monumento al mondo che sono le mura aureliane, già ovunque in mille modi sconciato, è intuitivo che la cosa si sarebbe risolta in un raddoppio di traffico per Via Veneto, ossia nella rovina del suo carattere. Adesso è la volta dell'ambiente del Colosseo. Con la costruzione di Via dell'Impero venne distrutta la sua meravigliosa piazza, venne distrutta la Meta Sudante, grandioso avanzo di fontana monumentale romana, venne distrutta la base del Colosso di Nerone: oggi il Colosseo è ridotto a perno della circolazione rotatoria. E ora sul colle Oppio è i
n via di costruzione un indecente palazzo a balconi sporgenti, e proprio di fronte al Colosseo la Unione Romana Ingegneri e Architetti intende costruire la sua sede sociale, in zona destinata a parco pubblico. L'architetto che non si è vergognato si chiama Vincenzo Passarelli. Un altro abominevole fabbricato informe e fuori misura, è sorto intanto a due passi dal Colosseo sulla Via Labicana.
Ma anche sventramenti veri e propri sono stati fatti negli ultimi anni, oltre all'incredibile sovrumano sconcio di Via della Conciliazione, operato da Piacentini e Spaccarelli, e che costituisce il più barbaro oltraggio che Roma abbia subito in settant'anni di storia unitaria. Guardate quanto è successo nel bellissimo rione Regola, in quella parte che si snoda da S.Maria in Monticelli a S.Paolino alla Regola alla Trinità dei Pellegrini, per poi sboccare in Piazza Capo di Ferro e Piazza Farnese. La sua unità è stata stroncata da un immenso squarcio tra le vie di S.Paolo alla Regola e via delle Zoccolette, e su di esso son sorti smisurati casamenti, che alterano il carattere, il volume, la densità di tutta la zona.
A Roma, amici, si è ripreso a brandire selvaggiamente il piccone.
Lo scempio peggiore che Roma abbia patito in questi ultimi tempi ad opera dei nuovi vandali è quanto succede in Via di S.Giovanni in Laterano. A centro metri dal Colosseo, tra Via S.Giovanni in Laterano e Via Labicana è all'opera un immenso cantiere; i cartelli ci informano che sono in corso lavori di demolizione e che si vendono i materiali di scavo e di risulta: sapete che cosa si è demolito e di quali materiali di risulta si tratta? Si tratta che è stata demolita, col suo convento, una bella chiesa barocca, ricordata da tutte le vecchie guide e carte topografiche di Roma, la chiesa di S.Maria di Loreto, altrimenti detta delle Lauretane, altrimenti detta chiesa di S.Maria al Colosseo. Una bella chiesa barocca con il bel convento dalla bassa e civile facciata, demoliti come fossero vespasiani o baracche abusive, per fare posto all'esattoria romana del Monte dei Paschi di Siena. Vedete che bei guadagni fa Roma. Tutte le autorità, compreso il Ministero dell'Istruzione e il deplorevolissimo direttore gene
rale Antichità e Belle Arti, Guglielmo De Angelis D'Ossat hanno dato il permesso (anche all'albergo Hilton costui ha dato, in via personale, il suo parere favorevole).
Con questa operazione viene distrutto un monumento importante, viene alterata l'unità di una delle più belle strade di Roma, che colla sua edilizia modesta e armonica inquadra il Colosseo da una parte e l'obelisco del Laterano dall'altra, viene barbaramente oltraggiata la vicina insigne basilica di S.Clemente, viene congestionata ancora di più di quanto non lo sia un'altra zona centrale di Roma, e si incrementa la definitiva intensificazione edilizia del Celio, già minacciata dal nuovo Ospedale di S. Giovanni e dalla City di Piacentini. Una città antica è come un castello di carte, e se si comincia a farne cadere una, a poco a poco irresistibilmente la rovina dilaga e diventa universale.
DI CHI E' LA COLPA
Amici, ho finito. Ora non vorrei che adesso mi rivolgeste quella domanda un tantino ipocrita che sembra inevitabile: ossia quali sono i rimedi. Ebbene a questa domanda la risposta è semplice. Se siete malati di appendicite non andate da un chirurgo ubriaco, ma da uno che sia sobrio. Non c'è niente di nuovo da inventare. Leone Cattani, nella sua conferenza sui "padroni della città" vi ha fatto l'elenco impressionante delle leggi che ogni giorno da anni a Roma, in fatto di urbanistica e di tutela del patrimonio artistico e naturale, vengono trasgredite: vi ha anche indicato le misure legali immediate da prendere. Convinciamoci che la comunità ha a disposizione i mezzi per difendersi dai vandali-padroni, purchè lo voglia. Ma convinciamoci inoltre che la responsabilità è di ognuno di noi, dico di noi che siamo persone oneste e normalmente colte e ragionevoli: dobbiamo svegliarci dalla nostra colpevole indifferenza per i problemi delle città, dobbiamo finalmente capire che non possiamo continuamente tollerar
e il trionfo degli ignoranti e dei violenti. Oggi il problema centrale della cultura, anzi della civiltà italiana, è l'ordinato e progredito sviluppo delle nostre città, cioè la salvaguardia dei tesori che la nostra storia ha creato e l'edificazione su basi veramente moderne delle nuove strutture urbane che il progresso e la novità dei tempi impongono. L'urbanistica, cioè la vita, la passione o la morte delle nostre città, è problema politico nel significato più alto del termine, è cioè problema umano, sociale, economico, giuridico, morale, artistico, in cui si riflette e deve impegnarsi la nostra azione in tutti i giorni. La vita delle città deve diventare cultura operante. Smettiamo soprattutto di scambiare per realtà la violenza e la stupidità dei vandali-padroni e l'impotenza dell'autorità. La realtà unica sola è lo sforzo di mutare la vergognosa condizione dei tempi. O interveniamo attivamente per rovesciare un intollerabile stato di fatto o rinunciamo per sempre a considerarci persone libere, democrati
che, civili.