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Valiani Leo - 15 maggio 1956
SOCIALISMO E RADICALISMO
di Leo Valiani

SOMMARIO: Valiani analizza i risultati dell'inchiesta promossa dall'Internazionale Socialista "sugli sviluppi ideologici del socialismo democratico" nei vari paesi. Dopo aver ricordato, con qualche perplessità e distinguo, il sarcasmo di A. Philipp, il quale ha osservato che "l'unica nazionalizzazione perfettamente riuscita" in vari paesi è stata quella del socialismo medesimo, Valiani avverte che "la natura stessa degli obiettivi" dei partiti socialisti è profondamente mutata. Non più la "socializzazione" di tutti i mezzi di produzione, ma "lo Stato del benessere", di tipo keynesiano, con il conseguente abbandono delle pregiudiziali classiste e marxiste (salvo eccezioni, come l'Austria, ad es.). In Italia invece i socialisti, per varie ragioni, non rinnegano i postulati marxisti, ma di fatto i loro programmi sono piuttosto "radicali" (cioè keynesiani) che non marxiani. Il partito radicale non dovrà però avere un ruolo "pedagogico", ma condurre "alla battaglia" le energie valide del paese.

(IL MONDO, 15 maggio 1956)

L'Internazionale Socialista ha chiesto tempo fa ad alcuni studiosi di fare il punto sugli sviluppi ideologici del socialismo democratico nei loro rispettivi paesi. I contributi forniti dagli storici od economisti che hanno aderito all'invito, fra i quali figurano anche dei capi di partito, come Gaitskell, vengono ora pubblicati in inglese a cura dell'Internazionale e vedranno la luce pure in italiano, presso l'Editoriale Opere Nuove.

Le condizioni storiche di sviluppo del movimento dei lavoratori non sono state, e non sono neppure oggi le medesime in Inghilterra e in Austria, in Francia e in Germania, in Italia e nei Paesi Scandinavi. Questa diversità si riflette necessariamente nella diversa gradazione e coloritura delle dottrine e dei programmi di rinnovamento sociale nelle varie nazioni. Chi ricordi l'originario fervore internazionalista dei partiti socialisti, può anche apprezzare la sarcastica osservazione del socialista europeista André Philipp, per cui l'unica nazionalizzazione perfettamente riuscita sarebbe quella del socialismo medesimo, ristrettosi a visuali che volutamente non si estendono al di là delle frontiere degli Stati nazionali esistenti e che perciò sposano, in ciascuno di questi Stati, la difesa degli interessi tipicamente locali. Come la maggior parte dei sarcasmi, anche questo rischia però di riuscire eccessivo. Quali che possano essere il provincialismo o anche il nazionalismo dei socialisti, i loro vincoli corpor

ativi o sezionali, il loro elettoralismo o ministerialismo, l'evoluzione dell'Europa nel secolo ventesimo non è dipesa fondamentalmente da siffatti elementi, sibbene da impulsi psicologici, militari, economici assai più potenti e complessi, ai quali i sindacati e partiti operai hanno dovuto adeguarsi al pari di tutti gli altri raggruppamenti, nessuno escluso. Singoli individui sono andati, stoicamente, contro corrente, ma i partiti non hanno potuto sottrarsi al flusso degli eventi.

Piuttosto, conviene sottolineare che dagli studi menzionati risulta la graduale formazione di nuovi principi che sono di nuovo comuni, al di là delle frontiere nazionali, al movimento dei lavoratori ansiosi di giustizia e di progresso sociale. Non ci riferiamo principalmente all'accettazione, ormai universale, del metodo parlamentare democratico, perché questa è fin troppo naturale nei partiti socialisti che solo in tal modo hanno potuto giustificare la loro ragion d'essere di fronte al sorgere e al diffondersi dei partiti comunisti, alimentati dai successi della rivoluzione bolscevica in Russia nel primo, in Cina e altrove nel secondo dopoguerra.

La natura stessa degli obiettivi dei partiti affiliati all'Internazionale socialista è profondamente cambiata nell'ultimo decennio. Lo "Stato del benessere" ha sostituito la meta finalistica della socializzazione di tutti gli strumenti di produzione e dell'abolizione dello Stato medesimo, conseguente alla scomparsa delle differenze sociali di classe. Caratteristici per lo "Stato del benessere" sono il pieno impiego assicurato con mezzi finanziari, l'accrescimento della parte del reddito nazionale netto spettante ai redditi di lavoro, la giustizia fiscale redistributiva, la coesistenza di un settore pubblico dell'economia, comprendente le leve del comando necessarie per l'esercizio di una direzione pianificata, con un vasto settore privato, ai cui proprietari viene peraltro garantito, non solo come espediente provvisorio, ma finalisticamente, il rispetto dei loro possessi. Con la franchezza che li contraddistingue, il partito socialdemocratico svedese e il partito laburista norvegese riconoscono esplicitament

e che, con l'adozione di questi obiettivi, hanno definitivamente rinunciato al marxismo che caratterizzava i loro programmi originari alla fine dello scorso secolo. Essi non si considerano più come dei partiti di classe, pur avendo dietro di sé la quasi totalità del proletariato del proprio paese, ma come dei partiti di popolo aperti a tutti i ceti socialmente utili. Il partito laburista inglese, come spiega Gaitskell nel suo scritto, non è mai stato marxista. Anch'esso ha subito però un'evoluzione ideologica profonda. Se l'utilitarismo radicale era, insieme al socialismo cristiano "metodista", già all'origine della sua ispirazione intellettuale, negli ultimi tre lustri esso ha adottato il pensiero economico keynesiano, notoriamente ben più radicale che non socialista. L'esperienza fatta l'ha reso, parallelamente, assai più guardingo in materia di nazionalizzazioni, sicché l'economia a due settori, con il riconoscimento dell'utilità della permanenza indefinita del settore privato, è anche per esso un dato pr

ogrammatico fondamentale e non una semplice fase transitoria sulla via della socializzazione integrale. Gli altri partiti dell'Internazionale, sebbene non lo riconoscano con tanta sincerità, costretti come sono a fronteggiare la penetrazione comunista fra le masse popolari, sono di fatto in condizioni analoghe, per quanto riguarda il loro programma reale. In pratica esso collabora strettamente, da oltre un decennio, con il partito cattolico, cui spetta, in generale, la direzione del governo di Vienna. Il marxismo dei socialisti austriaci odierni non è più perciò quello rivoluzionario di Otto Bauer, che ammetteva solo eccezionalmente in una fase critica, siffatta collaborazione. Più prosaicamente, la socialdemocrazia austriaca conserva la tradizione ideologica (ma non il programma sociale e politico) del marxismo, come un mezzo di resistenza e di eventuale contrattacco alla pressione clericale.

La condizione del socialismo italiano è più confusa, per la scissione fra socialisti e socialdemocratici, e per l'esistenza, in Italia, del più grosso fra i partiti comunisti occidentali. A dire il vero, il marxismo dei socialisti italiani non veniva preso alla lettera né nella Seconda, né nella Terza Internazionale, ancorché si riconoscesse la serietà scientifica di Antonio Labriola e la serietà morale dell'opposizione di Treves, Modigliani, Serrati alla guerra. Oggi, l'ideologia marxistica, sembra invece più radicata in Italia che non negli altri paesi dell'Europa occidentale. Le ragioni di questo fenomeno sono molteplici. Non v'ha dubbio però che la persistenza della mentalità fascista, l'egoismo miope e brutale dei gruppi dominanti, il peso della disoccupazione e la politica dei bassi salari, concorrono potentemente ad alimentare, per la contrapposizione lineare che generano, il marxismo o il classismo, non solo dei comunisti, ma anche dei socialisti italiani di varia tendenza. Lo diciamo come semplice c

onstatazione di fatto e non già per mettere in dubbio la proclamata fedeltà al metodo democratico, a proposito del quale va precisato che coloro che credono nella Libertà come valore supremo, non possono chiudere la porta in faccia a nessuno che si disponga ad accettare i valori della democrazia politicamente liberale.

Le giustificazioni storiche o contingenti del marxismo in Italia, non significano tuttavia che il suo programma finalistico abbia ancora validità ai fini del progresso dell'economia e della società italiana. Personalmente siamo inclini a ritenere che il meglio che possa sopravvivere delle teorie dell'autore del Capitale sia racchiuso nella proposizione in cui si afferma che il paese industrialmente più progredito indica agli altri paesi la via del loro domani. Se l'Italia continua a vivere, come ragionevolmente si può prevedere che debba continuare a vivere, nell'ambito della civiltà occidentale, questo significa che le concezioni economiche e politiche dei radicali, che il laburismo più progredito ha fatto proprie, in larga misura, a scapito di quelle del tradizionale socialismo classista o marxista, indicano la via del domani anche alle forze italiane di progresso. Il fatto stesso che i partiti che in Italia si richiamano al marxismo, non rivendichino di fatto socializzazioni o nazionalizzazioni su vasta s

cala, ma ripieghino sulle soluzioni tipicamente radicali del controllo dei monopoli, dell'assorbimento della disoccupazione anche nella società attuale, della giustizia tributaria, è di per sé indice eloquente di un mutamento ascosamente in atto.

Certo, il compito del partito radicale non è, in primo luogo, pedagogico. Le idee circolano attraverso libri, riviste, conferenze, osservazioni dirette, riflessioni personali, intuizioni collettive, che non si lasciano racchiudere nella propaganda specifica di un partito, né nella sua polemica verso altri partiti. Il partito radicale si caricherebbe di una bisogna impossibile e inutile se volesse fare il maestro di scuola dei partiti che operano alla sua sinistra o alla sua destra. Il suo compito è di organizzare e condurre alla battaglia, nonostante mille ostacoli e difficoltà, per il rinnovamento democratico della società e dello Stato, alla luce di una sua volontà europeista, supernazionale, le energie che già sentono, anche in Italia, come un problema loro, le esigenze che il radicalismo, il laburismo o il socialismo liberale hanno fatto prevalere in larghi settori dell'Occidente.

 
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