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Calogero Guido - 15 maggio 1956
LO SPECCHIO DEL DIAVOLO
RISPOSTE A "COMUNITA'" DI GUIDO CALOGERO

SOMMARIO: Si scusa garbatamente per non aver ancora risposto alla critica rivoltagli da Geno Pampaloni, cioè di non aver neppure citato, tra le forze e i gruppi "minori" presenti sulla scena italiana, il Movimento Comunità; e coglie ora l'occasione per replicare a certe osservazioni fatte sul giornale di quel Movimento al Convegno degli "Amici del Mondo" sulla scuola. In particolare, a quella per cui certe "riforme senza spesa" non potrebbero essere realizzate senza prima migliorarne le condizioni economiche, ecc.

(IL MONDO, 15 maggio 1956)

Ho da parecchio tempo il rimorso di non avere ancora risposto alla gentile "lettera aperta" indirizzatami da Geno Pampaloni nel numero di gennaio di Comunità; e ora vedo che nel fascicolo di marzo della stessa bella rivista Luigi Caiani, in un ampio articolo dedicato al Processo alla scuola, cioè al Convegno degli "Amici del Mondo" sui problemi scolastici, torna su certe mie tesi, con rilievi che meritano seria considerazione. Non posso quindi più tardare a rispondere a entrambi.

Pampaloni si riferisce alla lettera, pubblicata nel Mondo del 24 gennaio, nella quale io sostenevo che la fondazione di un nuovo partito, come il Partito Radicale, doveva giustificarsi col proposito di non seguire più il metodo degli altri partiti italiani, avvezzi a chieder mandati all'elettorato solo in base a generici appelli di fedeltà a tradizioni o a ideologie, e di studiare invece a fondo i più urgenti problemi di riforma legislativa e amministrativa, onde acquistare senza fretta consensi in forza della plausibilità delle precise soluzioni proposte. Pampaloni approva questi intenti, ma si duole del fatto che io non abbia ricordato come essi siano stati da tempo professati e messi in atto dal Movimento Comunità:

»Appunto per questa singolare coincidenza dei Suoi atteggiamenti e propositi con gli atteggiamenti e i propositi che da tempo sono anche i nostri, ci ha, lo confessiamo, stupiti, e, in qualche misura, amareggiati, il fatto che nella Sua lettera non si trovi il minimo accenno al Movimento Comunità; tanto più che, al contrario, Ella si sofferma, sia pur brevemente, ad illustrare l'azione di altri gruppi "minori".

In quel che segue, Pampaloni aggiunge che il suo "rammarico non è sostanziato tanto dalla disattenzione", dal "mancato riconoscimento" degli sforzi del Movimento Comunità, "quanto del valore politico che questa disattenzione può assumere, e anzi di fatto assume". Posso anzitutto dirgli che, se mai disattenzione da parte mia ci fu, essa non ebbe assolutamente alcun intento o significato politico? Ma non direi neppure che ci sia stata disattenzione. Quei "gruppi minori", la cui scarsa precisione programmatica io lamentavo, erano pur sempre partiti. Solo nell'ambito dei partiti propriamente detti aveva infatti ragion d'essere l'esame e il paragone, appunto in quanto si trattava di sapere se di un nuovo partito si giustificasse o meno la nascita. E il Movimento Comunità non era un partito, così come non lo è, a stretto rigore, neppure adesso, nonostante che abbia deciso di partecipare in pieno alla battaglia elettorale. Che nel confronto (del resto esso stesso molto rapido ed esemplificatorio) esso non sia stato

ricordato, non è quindi dipeso da alcuna svalutazione della sua attività e della sua importanza, ma solo dalla necessaria delimitazione del terreno del confronto medesimo. Se io avessi invece fatto un elenco completo delle organizzazioni che in Italia hanno svolto precise ricerche nel campo sociale, economico e politico, e fornito dati preziosi per ogni futura pianificazione, certo avrei ricordato in primo piano anche il Movimento Comunità.

D'altra parte, credo di poter capire abbastanza il disappunto dell'amico Pampaloni, perché non c'è dubbio che, in generale, noi ci leggiamo e seguiamo tutti troppo poco a vicenda. A me capita molto spesso di sentirmi preso dall'irritazione nel vedere Caio o Tizio che dice, come cose nuove, cose da me dette dieci o vent'anni fa. E siccome non credo di essere un'eccezione, così immagino che spesso sarò io motivo di analoga irritazione in Caio o Tizio. il fatto è che spendiamo tutti tanto tempo a scrivere, che ce ne resta poco per leggere. D'altra parte, come rimediare a questa nostra cattiva educazione, se perfino i nostri scolari non potranno mai sperare di far carriera universitaria senza aver "prodotto" almeno alcune centinaia di pagine di carta stampata?

Nella sua relazione circa il Processo alla scuola degli "Amici del Mondo", Caiani fa molte osservazioni interessanti, che vanno considerate con tanto maggiore attenzione in quanto il suo giudizio d'insieme sul convegno è favorevole. Per citarne solo qualcuna (non potendo qui riferirle tutte), dirò che mi sembra giusto il rilievo che nel Convegno romano hanno avuto scarso posto "problemi e interessi relativi all'insegnamento di materie scientifiche e tecnico-professionali", e che "sarebbe desiderabile che a questo Convegno svolto in sede, per così dire, centrale ne seguissero altri, e che questi venissero svolti anzitutto in sede locale, con riferimento alla situazione scolastica di una determinata provincia o al massimo di una regione", oltre che per singoli problemi, e con la collaborazione delle diverse categorie interessate. Altrettanto giusta è l'osservazione che il "carattere dialogico o colloquiale e sperimentale dell'insegnamento", da me rivendicato soprattutto parlando della scuola secondaria, "dovre

bbe assumere il massimo rilievo proprio nelle Università, dove esso invece è del tutto ignorato o reso impossibile dalle attuali strutture e dall'attuale sistema di insegnamento". Ma, se è vero che di questo tema non si è trattato largamente, non è esatto che io non l'abbia menzionato, come il Caini stesso potrà rilevare dal volume degli atti del Convegno, di imminente pubblicazione presso l'editore Laterza.

Non sono invece d'accordo sul punto che le "riforme senza spesa" non siano attuabili fino al giorno in cui, migliorate le condizioni economiche degli insegnanti medi, essi possano ritornare a studiare e ad "aggiornarsi culturalmente" risollevandosi da un "grado di avvilimento e di scadimento che non ha precedenti nella storia". Francamente, questo mi pare esagerato. Possibile che, p.es.; l'abolizione della versione dall'italiano in latino non sia attuabile senza un previo aumento di stipendi? E i professori delle Facoltà di Lettere, allora, dovremo forse passarli dal grado terzo al grado secondo, prima di poter abolire la distinzione tra materie fondamentali e complementari? Mi scusi il Caiani: ma questo finisce per essere un modo di schivare la discussione su quelle riforme didattiche, col pretesto che nulla è possibile senza nuovi stanziamenti di bilancio. Così, penso che egli supponga che io immagini che tutti i professori di scuole medie dovrebbero di punto in bianco trasformarsi in maestri di "scuola at

tiva". Ma io non ho mai detto questo, pur pensando, certo, che ciò sarebbe l'ideale. So benissimo che questo non s'improvvisa, soprattutto nelle condizioni disgraziate in cui oggi si trova il personale insegnante. Io ho chiesto solo che i professori siano liberati dall'ossessione di svolgere tutto un programma, e che siano lasciati liberi di insegnare più pacatamente quelle parti della loro materia che conoscono meglio ed amano di più. Vogliamo proprio essere così pessimisti da credere che tutti sappiano tutto egualmente male, e non amino nulla di ciò che sanno? A questa stregua, invece di difendere i professori medi noi finiamo proprio per offenderli!

E neppure direi, infine, che nelle mie considerazioni "è in fondo presente un determinato e a ben guardare ben limitato tipo d'insegnante: l'insegnante di filosofia", giacché quello d'italiano, per esempio, non potrebbe altrettanto bene "esercitare gli allievi alla discussione e all'autonomo discernimento", partendo magari anche da un solo testo. E perché? Se un professore d'italiano trovasse interessante leggere e discutere coi suoi ragazzi, per tre anni, soltanto la Divina Commedia, crede il Caiani che il suo insegnamento riuscirebbe peggiore che se fosse costretto a legger loro anche testi i quali lo interessassero meno, e su cui quindi si annoiassero di più lui e loro? E se il professore di fisica (per riprendere un altro suo esempio) approfondisse solo il problema della gravità, crede che non li appassionerebbe di più alla fisica, che non farebbe loro meglio capire che cosa significa studiare fisica, di quanto può accadergli facendo loro studiare a memoria uno dei soliti suntini manualistici di tutta qu

anta quella materia? - Già, si risponde: ma allora i ragazzi non imparerebbero chi era Petrarca o Guido Cavalcanti. - Ecco dunque di nuovo fra i piedi la solita "cultura generale", ovvero la scuola messa a servizio di "Lascia o raddoppia"!

 
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