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Boneschi Mario - 3 luglio 1956
Dopo il rapporto Krusciov: L'illusione del buon tiranno
Krusciov non ha il dovere di conoscere il pensiero di Vincenzo Cuoco, ma i nostri comunisti avrebbero questo dovere. Cuoco diceva che è ottima la costituzione fatta per i cattivi, pessima quella fatta per i buoni. Evidentemente la costituzione russa, che non ha previsto l'abuso di potere, è pessima.

di Mario Boneschi

SOMMARIO: La pubblicazione del rapporto Krusciov non è tale "da creare un vero sbandamento nelle masse comuniste, specialmente in Italia". Certe cose "il popolo le sapeva benissimo, ma non le disapprovava affatto". In realtà, con il suo rapporto, Krusciov "si presenta come il migliore allievo di Stalin": con questa sua autocritica, il comunismo "supera di mille cubiti" le dittature di destra. Le tare della tirannia vengono peraltro da Krusciov attribuite non al sistema ma "alla degenerazione personale del tiranno". Basterebbe aver letto V. Cuoco per capire che le cose non stanno così. C'è persino qualcosa di "simpatico" nella "ingenua scoperta dell'importanza degli spregiati diritti dell'uomo" borghesi, ma bisogna ricordare che "il diritto non si improvvisa". In conclusione si ribadisce che la superiorità degli Stati Uniti sull'URSS non è nel suo potenziale industriale o in altro, ma solo "nell'avere i nordamericani una Costituzione collaudata da quasi due secoli di vita".

(IL MONDO, 3 luglio 1956)

Il mediocre e vile - starei per dire ripugnante - documento che in questi giorni mette il mondo a rumore, non è in genere esaminato con occhio critico. Il livello mentale dell'anticomunismo è noto: gli sembra di aver toccato il cielo con un dito e si è buttato sul rapporto Krusciov, senza domandarsi se esso non contenga una vena di perfida ed astuta lungimiranza.

Quegli anticomunisti che ai tempi della rottura di Tito con Stalin giuravano di fiutare il trucco (si tratta del 99 per cento dei benpensanti italiani), non si domandano se per caso il vecchio Joe dall'inferno, limbo o paradiso dove ora si trova, non ammicchi soddisfatto della abilità dei suoi allievi, del tutto indifferente all'attentato alla sua memoria, lui che aveva insegnato a tanti vecchi comunisti essere modesta virtù borghese il sacrificio della vita per il movimento e l'idea, ma essere virtù bolscevica sacrificare anche l'onore per il bene del partito.

Ma anche il livello mentale del comunismo va tenuto presente e bisogna stare in guardia contro l'euforia che di primo acchito suscita il riconoscimento che sono valide tutte le ragioni per essere anticomunisti, senza per questo essere fascisti. E' una bella rivincita dopo questi anni di polemica. Ma una rivincita sul terreno intellettuale e nulla più.

Non mi pare che il documento, passato il primo chiasso ed il primo effetto, sia tale da creare un vero sbandamento nelle masse comuniste, specie in Italia.

Non si può seriamente pensare che il comunista italiano di base rimanga sbigottito nell'apprendere che Stalin era un immodesto e che si era deificato da sé. Queste cose il popolo le sapeva benissimo, ma non le disapprovava affatto. Queste cose il popolo le sapeva benissimo, ma non le disapprovava affatto. Stalin non viene moralmente condannato nel rapporto per i suoi delitti, ma per i delitti contro i comunisti. Le stragi di Lenin erano necessarie - dice il rapporto - perché dirette contro borghesi e controrivoluzionari; quelle di Stalin no, perché dirette contro la legalità rivoluzionaria, cioè contro il principio che si uccidano solo i nemici e non i compagni. Ma il buon senso popolare avverte che l'opera di Stalin è inscindibile e che la pretesa che Stalin, forte di 724.000 voti, non temesse i 4000 voti di Trotzki, è puerile, perché i 4000 voti potevano benissimo in un domani diventare 700.000, se non si sopprimeva Trotzki.

Stalin fu un pessimo stratega? Ma lo si può assolvere con la frase di Joffre: "Non so chi ha vinto, ma so bene che avrebbe perduto".

La difesa di Stalin, davanti al Tribunale del marxismo e con quegli accusatori, è estremamente semplice, ed anche se i comunisti non sono ufficialmente all'opera, la faranno nella propaganda spicciola. La difesa di Stalin - si dirà - implica l'accusa a Krusciov, quindi la polemica interna nel comunismo, e quindi la crisi. Vero, ma la dialettica marxista, come tutti i fideismi, supera ben altre secche. Krusciov con il suo rapporto si presenta come il migliore allievo di Stalin, e tutte le coscienze possono stare in pace.

Non si dimentichi che con questa colossale autocritica il comunismo supera di mille cubiti le spregevoli dittature di destra, le quali non avrebbero mai ammesso simili colpe, e che in definitiva lo sforzo di liberarsi dalle spire della dittatura, torna ad onore del comunismo, anche se non dei comunisti che, ieri perfetti e devoti seguaci del tiranno, oggi lo vituperano. Con questo non si vuol dire che il comunismo non sia entrato in crisi, ma si tratta di una crisi lenta ed a tempi assai lunghi, della crisi istituzionale e non di quella morale.

Il rapporto Krusciov descrive tutte le tare della tirannia, che noi abbiamo lette nei testi classici sui banchi della scuola e poi viste in atto durante il ventennio, ma ne riduce le cause, precisamente come nei più elementari e puerili testi scolastici, o nei più stupidi giudizi del filofascismo, al carattere ed alla degenerazione personale del tiranno. Krusciov denuncia una delle più abiette tirannie di tutti i tempi. "Gli ucraini scamparono a questo destino (la deportazione in massa) soltanto perché erano in troppi e non vi era possibilità di deportarli, altrimenti anch'essi avrebbero avuto lo stesso destino".

E' la sadica crudeltà che già si attribuiva a Nerone, o Caligola: "è deplorevole che il popolo non abbia una testa sola da poter tagliare".

Ma Krusciov non spiega come una delle peggiori tirannie abbia potuto vivere entro la costituzione sovietica, la più "democratica" del mondo.

Per Krusciov tutto è semplice. Lenin convinceva e convertiva gli oppositori interni e non li sterminava, sterminava solo i nemici.

Ma Krusciov non dovrebbe ignorare che la evoluzione delle rivoluzioni deve sempre passare dalla lotta esterna a quella interna e che, consolidato un sistema di verità ufficiali, gli eretici sono nemici peggiori degli infedeli. Né si possono confrontare i rapporti, che potremmo dire familiari, nell'interno di una équipe rivoluzionaria, nel pieno della lotta, gente imbarcata sulla stessa barca sul mare in tempesta, con le necessità della lotta politica in tempi ordinari, in un grande paese, anzi in un grande complesso di paesi.

Krusciov non ha il dovere di conoscere il pensiero di Vincenzo Cuoco, ma i nostri comunisti avrebbero questo dovere. Cuoco diceva che è ottima la costituzione fatta per i cattivi, pessima quella fatta per i buoni. Evidentemente la costituzione russa, che non ha previsto l'abuso di potere, è pessima.

C'è qualcosa di patetico nella finta ingenuità di quel rapporto, nel quale si sente l'angosciosa nostalgia per l'inascoltato appello di Lenin ai comunisti "non uccidetevi tra voi", e si sente lo sforzo di sfuggire alla terribile spirale del sangue, della violenza e dell'oppressione, che perseguita e segue i regimi nati dal sangue, dalla violenza e dalla oppressione.

C'è lo stesso pathos che destava Trotzki, liberale di intelligenza e di animo, rivoluzionario per coraggio e necessità, quando invocava per sé, contro Stalin, la libertà che egli aveva negato agli altri.

C'è qualcosa - perché no - di simpatico nella ingenua scoperta della importanza degli spregiati diritti dell'uomo borghesi, da parte di questa rivoluzione, così originale ed ardita nel sistema economico, così vecchia e retriva nel sistema politico.

I sovietici credevano, sulla linea della Comune di Parigi glorificata da Marx, di superare in libertà la democrazia borghese, con i consigli popolari contrapposti ai parlamenti e sono finiti nella tirannia. Oggi invocano la direzione collegiale, ma proprio in questo appello si sente l'impotente desiderio degli stessi governanti di un "bello e riposato vivere di cittadini", dove la perdita del potere non sia perdita della vita e dell'onore.

Ma queste cose non si ottengono con la buona volontà o con le buone qualità degli uomini, sono nelle cose o non sono affatto.

I bolscevichi scoprono il diritto ma il diritto non si improvvisa.

Dove si assiderà la legalità futura nello Stato sovietico? Nella democrazia interna di partito? Ma democrazia interna di partito significano l'addio al partito unico.

Si assiderà sulla oligarchia, sarà il dominio di un collegio di cardinali rossi, di principi del comunismo? Ma l'oligarchia è il regime più difficile da realizzare. Richiede finezza di costumi, stabilità sociale, masse quiete, gerarchie permanenti, classi definite, tutte cose che la società russa in evoluzione non sembra aver raggiunto.

Ricordo di avere sperimentato nel pieno della guerra fredda con comunisti e con borghesi anticomunisti il seguente giudizio: consistere la effettiva superiorità degli Stati Uniti sull'URSS, non nelle armi atomiche, non nel potenziale industriale, non nella coesione sociale, non nelle alleanze, tutte superiorità precarie, ma nell'avere i nordamericani una costituzione, collaudata da quasi due secoli di vita. Fui compatito dalle due parti, concordemente: fissazioni da leguleio.

 
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