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Carandini Nicolo' - 18 dicembre 1956
INIZIATIVA RADICALE
di Nicolo' Carandini

SOMMARIO: Se è vero che "tutto lo schieramento di sinistra è in crisi", come dice La Malfa, ciò che occorre è rafforzare "l'affiatamento e il coordinamento delle forze intermedie fra i due blocchi", come indicato dal partito radicale. La destanilizzazione non ha certo impedito "lo schiacciamento dell'Ungheria" da parte comunista; l'unificazione socialista non va avanti nei modi e tempi sperati e necessari, anche per la risposta della DC che ha sbattuto la porta in faccia a Nenni per isolarlo e punirlo. Così una grande speranza si è venuta affievolendo e si viene piuttosto "ricomponendo il silenzio e l'immobilità". Da questa manovra "nessun partito fiancheggiatore si salva", e la DC si prepara a un nuovo 18 aprile. Ha ragione La Malfa: occorre irrompere con un "fresco" raggruppamento di sinistra nella situazione, per modificarla. E' quanto il partito radicale va chiedendo [si riporta quindi un documento ufficiale del partito, in cui si chiede "una spinta decisiva verso una nuova politica", n.d.r.]. La propos

ta radicale vale per la "sincerità di intenzione" che le deve essere riconosciuta; dipenderà ora dalle forze cui essa si rivolge "il tradurla o meno in un atto di risanamento della vita italiana".

(IL MONDO, 18 dicembre 1956)

Il lamento e la proposta che Ugo La Malfa manifesta nel suo articolo "Un giusto richiamo" (Il Mondo, 11 dicembre) corrispondono alla ansietà ed alla attesa di una larga parte dell'opinione italiana. Siamo in molti a vedere con lui che "tutto lo schieramento della sinistra è in crisi" e che "a non essere coraggiosi e tempestivi, gli innumerevoli errori compiuti dai partiti democratici laici, durante e dopo la liberazione, saranno superati dai più gravi errori attuali". Per parte mia rispondo subito al suo richiamo assicurandolo che nel campo radicale, ove non si è tardato a manifestare costantemente idee assai chiare in materia, si è anzi convinti che non il solo schieramento politico italiano sia in crisi. Il tempo è più che maturo per indirizzarne il disfacimento e la involuzione al solo logico e salutare sblocco: la rottura dello stato di congelamento nei rapporti fra le forze politiche in gioco, provocato dalla presenza, fra comunismo e D.C., di uno schieramento di sinistra democratica capace di ridare un

a sana guida al paese attraverso le collaborazioni, le opposizioni e le alternative costituzionali in cui si manifesta e si rafforza una non illusoria democrazia.

L'amico La Malfa sa che il partito radicale ha capito e predicato queste cose dal giorno della sua nascita. Il partito radicale è sorto avendo di mira, come compito a lunga scadenza, il proprio sviluppo su base nazionale per i fini perenni ed inconfondibili che gli appartengono e, come missione contingente, l'affiatamento ed il coordinamento delle forze intermedie fra i due blocchi che oggi dominano pesantemente il governo e l'opposizione. Noi abbiamo, anzi, dell'immobilismo e delle possibilità di scioglierlo una visione più pessimistica dell'on. La Malfa. Per noi tutto quanto va succedendo da qualche mese a questa parte, non ha alterato la sostanza dello stagnare della nostra vita politica. Le crisi che turbano, in vario modo e grado, il comunismo ed il socialismo, le tentazioni che irrigidiscono la D.C. non sono sintomi di un generale movimento di riassetto dei rapporti fra i partiti e quindi del ricambio democratico. Sono, per ora, crisi di disfacimento che rivelano la decadenza del comunismo, la stanchez

za del socialismo, le divisioni della D.C. unita solo nel proposito di utilizzare il disordine che la circonda per una affermazione ancora più integrale, e quindi immobilizzante, del suo predominio.

Alla estrema sinistra le convulsioni che hanno scosso il partito comunista dopo il diluvio della destalinizzazione, il nuovo colpo che lo ha sconvolto, non tanto nei ranghi quanto nell'intimo delle coscienze, dopo la atroce repressione ungherese, parevano aver dato respiro ad un modo italiano di intendere e praticare il marxismo. L'illusione è stata breve. Il supposto ravvedimento del mondo sovietico è stato cancellato dalla più brutale riedizione del modo duro stalinista; l'accenno di liberazione del partito comunista è stato smentito dalla rinnovata dedizione alla sudditanza verso lo "Stato guida", l'ondata di senso umano che pareva aver penetrato il comunismo italiano è stata spenta nella più gelida approvazione dello schiacciamento dell'Ungheria. Qui dunque niente di nuovo.

D'altra parte tutta l'Italia liberamente pensante aveva salutato con istintiva speranza e ragionata fiducia l'ormai lontano clamoroso annuncio della unificazione socialista. L'aveva salutata, ed ancora l'attende, perché vi ha visto la realizzazione di un evento lungamente sperato: il distacco del socialismo nenniano della fraternizzazione (in veste di fratello minore) col comunismo ed il suo ingresso nella leale osservanza della democrazia e di tutto quanto essa comporta sul piano della politica interna ed internazionale. Ma l'abbraccio impetuoso di Pralognan e le caute schermaglie che lo hanno seguito, han dimostrato quanto e quale cammino corra fra la facilità affettuosa di una promessa ed il coraggio di realizzarla. La grande operazione si va da mesi trascinando, lontana ormai dallo slancio degli inizi e della sua prima aspirazione. Quello slancio è stato stroncato dalla mossa mancina della D.C. che ha chiuso la porta in faccia all'onorevole Nenni nel proposito di lasciarlo isolato e punito a mezza strada

fra l'attrazione del campo comunista dal quale si stava allontanando e la ripulsa del campo democratico al quale si stava avviando pur fra gravi difficoltà ed esitazioni. Per un calcolo che rivela la più profonda crisi di giudizio nel partito dominante, quello che sarebbe parso un anno fa un trionfo della democrazia pagabile al più alto prezzo, è stato scartato e respinto nel momento in cui gli eventi lo offrivano al costo di un controllabile rischio.

Così la miglior attesa della opinione italiana, quella, e non solo quella, che si era espressa tangibilmente nei suffragi elettorali accordati ai due tronconi del socialismo come viatico ed augurio alla attesa unificazione, sta cadendo in una delusione che lascia la coscienza democratica più sperduta che mai e fornisce il solo conforto alle disavventure del comunismo. Su questi fermenti che parevano porre tutte le premesse di un forte rinnovamento, e si va ricomponendo il silenzio e l'immobilità, sotto l'occhio vigile del partito di maggioranza che non sa vedervi se non la condizione per affrettare un nuovo pronunciamento elettorale che volga quella delusione verso un rassegnato plebiscito alla potenza confortatrice della protezione democristiana. Da questa manovra nessun partito fiancheggiatore si salva. Nella generale disistima di tutte le altre forze democratiche, rese incapaci o succubi, l'on. Fanfani coltiva la promessa di un nuovo 18 aprile da utilizzarsi questo volta con misura diversa da quella adott

ata dall'on. De Gasperi nel 1948.

La Malfa ha ragione: bisogna senza indugi irrompere con un fresco schieramento di sinistra democratica in questa torbida situazione che appesantisce anziché sciogliere la funzione della nostra democrazia. Ma chi, fra i democratici di ispirazione liberale ed i socialisti, romperà questi indugi? Quale incoraggiamento il socialismo democratico offre a questa iniziativa imposta dalla forza delle cose? Che cosa fanno i nostri amici repubblicani? Fino a che punto sono d'accordo con le idee espresse dall'onorevole La Malfa? Perché tanto silenzio nel momento in cui il paese attende da ognuno una indicazione franca e rassicurante? Noi radicali non abbiamo cessato di rinnovare l'espressione del nostro pensiero con fermezza e disinteresse. Proprio sabato scorso, contemporaneamente alla comparsa del "giusto richiamo" del parlamentare repubblicano, il Comitato Centrale del nostro partito, radunato a Torino, ha formulato un ordine del giorno pienamente esplicativo di cui è bene far conoscere integralmente la parte introdu

ttiva:

"Una nuova situazione politica si sta profilando nel Paese. In seguito al rapido evolversi degli avvenimenti internazionali, e di fronte al turbamento delle coscienze ed alla incertezza delle opinioni, tutti i vecchi schieramenti politici sono in crisi. Il lungo irrefrenabile travaglio comunista, la proclamata indipendenza del Partito Socialista Italiano, la disgregazione delle formazioni politiche di destra, hanno rotto l'immobile equilibrio degli anni scorsi: masse sempre più numerose di cittadini di ogni ceto e condizione hanno compreso che ogni prospettiva di libertà e di progresso è legata solo a quelle forze non-comuniste e non-clericali, votate - contro ogni sopraffazione di privilegi minoritari - alla difesa degli interessi generali, della Costituzione repubblicana e del carattere popolare, liberale e laico dello Stato italiano.

Di fronte all'ansia di rinnovamento generale, che coincide con la frana del sistema comunista, confermatosi alla prova dei fatti incapace di intendere le profonde esigenze di libertà e di democrazia delle masse popolari, i gruppi privilegiati oppongono una sempre più insidiosa difesa dei propri interessi, riparandosi dietro la politica conservatrice della Democrazia Cristiana e apprestando per il domani nuovi baluardi attraverso le forze congiunte della destra monarchica, fascista e pseudo-liberale. A questa chiusa politica di classe è un errore opporre un altro chiuso schieramento di classe in posizione di potenziale rivolta contro gli ordinamenti democratici. Solo una collaborazione tra il ceto medio, svincolato dalla subordinazione ai gruppi monopolistici, e le forze operaie, può ridare stabilità e vigore alla nostra democrazia.

Il Partito Radicale è convinto che i tempi siano maturi per una chiarificazione delle forze della sinistra democratica italiana. La stessa unificazione socialista, che ha destato tante speranze, ma che pure ha trovato sul suo cammino tanti ostacoli, non può risolvere da sola i problemi del rinnovamento del nostro Paese. Bisogna allargare i confini a un campo più vasto di forze e di esperienze. Su tutta la vita nazionale incombe la minaccia di una involuzione. Una spinta decisiva verso una nuova politica può essere impressa soltanto dallo sforzo comune di tutta la sinistra democratica che impegni - pur nella piena autonomia di ideali e di tradizioni - i partiti socialisti e i partiti, movimenti e gruppi di ispirazione laica e democratica, capace di rappresentare gli interessi e le aspirazioni di milioni di operai, di contadini, di artigiani, di piccoli e medi imprenditori, di impiegati, di professionisti, di uomini di cultura".

Conclude quell'ordine del giorno una breve elencazione programmatica, la sola di cui una parte della stampa abbia dato notizia, che comprende le condizioni di base perché un accordo di azione comune fra i partiti della sinistra democratica (radicale, repubblicano, socialdemocratico, socialista) risulti chiaramente fondato su una comune accettazione di principi e di propositi elementari nel campo interno ed in quello internazionale, senza equivoci, senza confusioni. Una impostazione onesta e sincera che lascia ognuno al proprio posto, mettendo in comune quanto ognuno può dare per il servizio delle libertà politiche e del progresso sociale, lasciando le incancellabili differenze dottrinarie per il tempo felice in cui quelle libertà e quel progresso saranno assicurati a beneficio di tutti.

Il martellante ritorno di questo nostro motivo di congiunzione fra elementi della vita italiana che hanno la stessa fiducia nei valori fondamentali della democrazia e nella incorruttibile maestà dello Stato laico, non rappresenta un nostro ristretto accorgimento, ma esprime la voce e l'attesa generale di una massa indiscriminata di cittadini ansiosi di uscire finalmente dalla alterna minaccia e protezione di parti estreme, nella limpida atmosfera di un normale ordine politico e civile. La nostra proposta, che non contiene nulla di nuovo perché riproduce il nostro immutato pensiero, sta per il valore reale che contiene e le fa credito una sincerità di intenzione che ci deve essere riconosciuta. Dipenderà dalle forze a cui ci rivolgiamo il tradurla o meno in un atto di risanamento della vita italiana. E' una proposta, lo sappiamo, che contiene le sue incognite. Ma in politica combattuta ed in tempi di mare grosso, la più lungimirante prudenza, se vuole essere costruttiva, comporta la accettazione del rischio,

come la fermezza per superarlo. Solo i rischi della immobilità non offrono via di scampo.

Da troppi anni il circolo chiuso della politica italiana attende di essere spezzato per ridare alla corrente della vita nazionale il suo corso normale a somiglianza delle grandi democrazie che ci precedono. Adattarsi ad una politica che riconduca fatalmente il paese, a passo obbligato, da un 18 aprile all'altro, è un piccolo e pericoloso gioco inadatto ad imbrigliare indefinitamente un paese che vuole meglio godere le sue libertà.

 
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