Relazione al Consiglio Nazionaledi Leopoldo Piccardi
SOMMARIO: A partire da un giudizio positivo suo Convegni degli "Amici del Mondo", Piccardi rileva l'esigenza si creare una struttura permanente per lo studio dei maggiori problemi della vita nazionale: organizzazione dello Stato; organizzazione del governo; organizzazione ministeriale; autonomie locali; rapporto tra Stato e partiti; rapporto tra Stato e Chiesa; politica economica.
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Io non ho che da riallacciarmi a quello che è stato detto poc'anzi dall'amico Olivetti. Già Olivetti, nello svolgere la relazione politica, ha ricordato ancora una volta al Consiglio Nazionale quale sia stata l'importanza dei vari Convegni tenuti dal gruppo degli "Amici del Mondo": il quale è molto vicino al Partito e si può dire risponda schiettamente a una ispirazione radicale. Credo che sia inutile ricordare a voi quale è stata l'importanza dei Convegni, ma fa piacere a tutti noi riandare al lavoro degli scorsi anni, perché esso è stato per noi fonte di vere, grandi, notevoli soddisfazioni. Noi cominciammo questi Convegni degli "Amici del Mondo" sui problemi essenziali della nostra vita nazionale, con quel tale Convegno dei Monopoli, il quale ci diede per la prima volta la sensazione di quanto fosse fondata la nostra convinzione di sinceri democratici, che anche la voce dei privati cittadini, quando sapesse centrare un determinato problema e portarlo all'attenzione dell'opinione pubblica, potesse avere un
a rilevanza notevole, tanto da stare quasi a pari con le manifestazioni che possono venire dalle rappresentanze qualificate del paese.
Infatti il nostro Convegno dei monopoli, che trattava per la prima volta questo argomento su un tono non demagogico e col realismo col quale si devono affrontare i problemi della vita moderna, ebbe in tutto il paese notevoli ripercussioni; credo che si possa dire senza esagerazioni che da quel Convegno dei monopoli data un certo modo nuovo di considerare i monopoli in Italia, perché a prescindere dalle voci dell'estrema sinistra che combattono i monopoli partendo da certi dogmi, da certi miti, a prescindere dalla voce delle sinistre, dicevo, di monopoli in Italia non si era mai parlato seriamente come si è cominciato a parlarne da allora. E' stato ricordato in una delle nostre riunioni che perfino in un gruppo molto lontano dal nostro, quale è quello delle ACLI, l'organizzazione dei lavoratori cattolici, furono diffusi degli opuscoli di propaganda, i quali riprendevano tali e quali i motivi del nostro Convegno sui monopoli. Il che dimostra quale sia stata l'utilità di quel Convegno che ha portato - come dice
vo - alla ribalta un problema tuttora di attualità.
Sono seguiti, come voi ricordate, altri Convegni: quello sulla legge degli idrocarburi, il quale ci ha dato un'altra non meno notevole soddisfazione, per quanto di diverso genere, in quanto abbiamo avuto il piacere di vedere alcuni dei nostri postulati accettati dal Governo nel disegno di legge che era stato presentato al Parlamento e che è diventato legge dello Stato: confermandosi ancora una volta come un piccolo gruppo di cittadini, prospettando soluzioni che rispondono alle esigenze reali, possa ottenere i risultati che non sempre ottengono dei partiti organizzati, i quali hanno una notevole, o almeno più notevole della nostra, rappresentanza in Parlamento.
Sono venuti successivamente: il Convegno intitolato "I padroni della città" che concerneva i problemi delle aree fabbricabili e della distribuzione dei prodotti alimentari nelle grandi città - mercati e così via - che anch'esso ebbe ripercussioni sull'attività governativa e amministrativa, le quali non hanno avuto uno sbocco in formali provvedimenti soltanto per le traversie politiche di quest'ultimo periodo. Alludo alla presa di posizione del ministro allora alla carica, l'on. Cortese, il quale aveva dimostrato di voler fare proprie le istanze affermate nel nostro Convegno.
Una certa risonanza ha avuto il Convegno della Scuola, soprattutto per certe tendenze pedagogiche sostenute dal nostro amico Calogero, e soprattutto per la riaffermata esigenza della laicità della scuola: come pure hanno avuto successo anche questi ultimi Convegni, quello dell'Energia Nucleare e quello sui rapporti fra Stato e Chiesa. Direi che il Convegno fra Stato e Chiesa, come è già stato ricordato da Olivetti, segna per noi una svolta nella nostra attività politica, in quanto ha caratterizzato l'opera del nostro Partito e del nostro gruppo meglio di quanto si fosse potuto fare con qualsiasi altro tema. E ciò perché si tratta di un argomento il quale esercita un appello immediato sull'opinione pubblica, perché riguarda un problema che forse più degli altri sta, in questo momento, giustamente a cuore a tutti gli italiani. E' stato ricordato che il Convegno "Stato e Chiesa" che ha avuto luogo a Roma, ha avuto - diciamo - delle repliche in altri convegni che hanno avuto luogo, con uguale successo in altre c
ittà. Successo del quale la migliore riprova sta negli attacchi che sono venuti da tutta la stampa clericale al nostro Partito e al gruppo degli "Amici del Mondo" e che hanno dimostrato come si fosse colto nel segno. Direi anzi che, da quei nostri Convegni i discorsi su questo argomento hanno cambiato tono. Noi abbiamo avuto, delle discussioni, più o meno amichevoli, con i partiti di sinistra ai quali abbiamo lamentato la loro insensibilità per il problema, ma dobbiamo constatare che in questi ultimi tempi una certa maggiore sensibilità per il problema dei rapporti fra Stato e Chiesa viene dimostrata da tutti i settori. Se voi leggete la stampa e se si potesse fare un'indagine di carattere statistico per accertare quante volte le parole "Stato e Chiesa" ricorrano nella stampa di oggi, in confronto a un periodo di non molto anteriore, si dovrebbe registrare un notevole aumento di frequenza: il che vuol dire che, nonostante le resistenze opposte dalla demagogia, da certe esigenze dei partiti di massa e da tant
e altre ragioni, la nostra propaganda è penetrata in profondità e ha lasciato una traccia che è nostro dovere di non lasciar cancellare.
Arrivati a questo punto, noi ci siamo chiesti se non fosse maturo il momento di affrontare un'opera più vasta e di più ampio respiro, che caratterizzasse sempre più il nostro partito per quel metodo di lavoro che abbiamo finora seguito con tanta fortuna. Sappiamo bene che questa nostra attività si può anche fare dell'ironia: c'è chi ci ha chiamato "l'opera dei congressi". Ma, nonostante tutto, riteniamo si debba ragionatamente riconoscere l'importanza, per un movimento come il nostro, di un'attività di studio dei maggiori problemi della vita nazionale. Voi sapete bene che partito è il nostro; un partito nuovo, un partito che nasce da esigenze nuove e da uno spirito nuovo, un partito che meno di altri ha la tendenza a servirsi di slogan, di miti, che meno di altri ha la tendenza di andare alla ricerca delle corde più sensibili dell'opinione pubblica per portarla a un certo gradi di emozione. Il nostro è un partito che si propone una riconsiderazione seria di tutti i problemi della vita politica di oggi, parte
ndo da presupposti che si ricollegano alle nostre tradizioni nazionali, ma che ritrovano la loro validità soltanto attraverso questo contatto con la realtà attuale. Attraverso questi Convegni, attraverso questi studi, viene fuori la linea politica del partito. Noi ce ne siamo accorti fin dai primi Convegni che abbiamo fatto, perché abbiamo visto ben presto che, qualunque tema prendessimo in considerazione, eravamo fatalmente portati a soluzioni che erano imposte da una certa linea direttiva, da noi seguita anche senza esserne del tutto consapevoli. Ora si tratta appunto di approfondire questa consapevolezza, di rendere espliciti i nessi fra le varie posizioni da noi assunte, di risali da studi e da posizioni di carattere episodico a una visione complessiva della vita politica di oggi. Noi sappiamo bene che un'opera di grande impegno, un'opera di fronte alla quale c'è da tremare, ma riteniamo che attraverso un'opera di questo genere, per quanto provvisoria, si possa raggiungere per lo meno lo scopo di dare un
a più precisa qualificazione al nostro partito; un partito che, come ho detto, si giudica, più che dagli slogan che mette in circolazione, dalle posizioni che prende sui problemi essenziali. L'opinione pubblica si va abituando a ricollegare anch'essa le posizioni che noi stiamo prendendo; quando si vede, ad esempio, che quello stesso partito il quale prendeva in una certa occasione posizione contro i monopoli, in un'altra occasione assume la difesa dello Stato contro l'invadenza clericale, in un'altra occasione ancora lotta per far cadere certe bardature corporative, la gente comincia a comprendere che cosa è il partito radicale. E questo si comprende, si vede che lo studio, il ragionamento, l'argomentazione apparentemente fredda, sono animati da un sentimento, un pathos che è l'anima di qualsiasi movimento politico. L'idea di imporci l'onere di un esame sistematico dei maggiori problemi della vita pubblica ed economica di oggi è venuta - lo possiamo dire a suo riconoscimento - dall'amico Pannunzio, il quale
ci ha aiutati con la sua fede, a superare certe intime resistenze. Non ci si mette a fare un lavoro di questo impegno senza qualche esitazione, ma farle tacere ci ha indotti, oltre all'incitamento dell'amico Pannunzio, l'ormai lunga esperienza di un lavoro comune, la quale ci ha dimostrato come ogni volta che affrontiamo insieme un problema, ci accade di trovare senza difficoltà un punto d'accordo in una soluzione non casuale, ma rispondente a una certa costante ispirazione comune. D'altra parte dobbiamo necessariamente accompagnare l'impegno che prendiamo davanti a voi, con le necessarie riserve. Il tempo limitato che abbiamo davanti a noi non ci consente di sviluppare quell'ampio dibattito che potrebbe dare la nostro lavoro carattere veramente collettivo, tale di impegnare tutto il partito. Dovremo limitarci a chiedere la collaborazione di quegli amici che hanno una particolare esperienza in ciascuno dei campi da noi considerati. E, per quanto possiamo sperare di costituire gruppi abbastanza rappresentati
vi, il nostro lavoro sarà per il Partito una base di discussione.
Noi avremmo voluto presentarvi in occasione di questo Consiglio Nazionale qualcosa di più di quello che è stato presentato: voi avete ricevuto una specie di indice generale al quale fanno seguito indici particolari che vi sono stati dati a titolo esemplificativo, perché risultasse il metodo di lavoro che sarà seguito nella trattazione dei vari capitoli. Certamente tutto ciò è poco, ma le sommarie indicazioni che vi sono state fornite ricevono luce dal lavoro già fatto dal Comitato Studi e dall'azione politica svolta dal Partito.
Per cominciare dalla prima parte relativa ai grandi problemi dell'organizzazione dello Stato, la chiave della trattazione voi la trovate nella qualificazione fondamentale del nostro partito, il quale non è soltanto un partito democratico, ma ha una illimitata fiducia nel metodo democratico: quindi troverete in tutta questa parte una costante ripugnanza verso i metodi autoritari, verso gli strumenti polizieschi, verso i sistemi che importano arbitrio governativo o di polizia, mentre vi troverete un'immensa fede nell'azione libera dei cittadini, nel meccanismo delle autonomie, da quelle regionali a quelle comunali: questa è la chiave di questa prima parte del nostro lavoro. La quale si svolge in un ambito che è segnato dal sommario del primo capitolo dove affermiamo la nostra volontà di assumere come una piattaforma l'attuale Costituzione, senza porla in discussione. E' questo uno dei capisaldi fondamentali del nostro lavoro, perché riteniamo che si farebbe un'opera, peggio che inutile, dannosa se noi per un e
ccessivo amore dell'arte cominciassimo a rimettere in discussione quello che bene o male è stato deciso e risolto nella nostra Costituzione. Ogni giorno che passa si vede sempre di più come la Costituzione, bella o brutta che sia, è ormai una trincea dalla quale si difende la democrazia. Piaccia o non piaccia la Costituzione, da questa trincea si deve partire per arrivare a maggiori, a ulteriori conquiste democratiche.
Gli altri argomenti presentano quella che è oggi la problematica statale in tutti i paesi. Voi troverete qui il problema della organizzazione del governo, un problema che dovunque è stato affrontato, perché ormai non vi è chi non veda come l'attuale organizzazione ministeriale sia insufficiente a fare fronte ai compiti dello Stato moderno: vedrete quindi riproposti quesiti sulla posizione dei ministri e del consiglio dei ministri per sovraintendere a particolari attività. E troverete in modo particolare riaffermata l'esigenza di costituire una organizzazione capace di formulare una politica economica, secondo orientamenti già delineatisi nel Convegno dei Monopoli. Noi abbiamo sempre lamentato l'incapacità italiana di tracciare una politica economica e qui il problema ritorna nel quadro suo proprio dell'organizzazione ministeriale. Naturalmente trovate ancora qui il problema della organizzazione amministrativa e burocratica, che costituisce ancora un grande problema italiano, nonostante tutto quello che si è
detto da parte di chi ha ritenuto di aver risolto il problema della riforma amministrativa e burocratica con quel certo malloppo di leggi delegate che hanno lasciato le cose come stavano prima, se non peggiorate.
Argomento capitale, nello spirito che ci anima, è naturalmente quello delle autonomie locali. Non sta a me adesso preannunciare quelli che potranno essere i risultati delle nostre discussioni, ma mi pare di poter prevedere chiaramente un orientamento favorevole alle autonomie regionali, per lo meno nei limiti in cui sono previste nella nostra Costituzione. Argomento di particolare impegno è per noi quello delle autonomie comunali, per le quali i nostri sforzi dovranno tendere alla costruzione di un sistema di garanzie idoneo a porre i comuni al riparo dal malcostume degli arbitrii governativi e di partito. A proposito di partiti dovrà essere esaminata in questa prima parte del nostro lavoro anche il problema dei rapporti tra lo Stato e i partiti: non sono in grado di dirvi quali saranno le conclusioni alle quali giungeremo, ma posso fin d'ora affermare che sarà lontano da noi lo spirito poliziesco di chi vorrebbe imporre controlli ai partiti per fini di partito, con la segreta speranza di poter un giorno sot
toporre a gestione commissariale il partito avversario, quando dia troppo fastidio. Certamente non è questa la nostra strada, ma i rapporti tra partito e Stato vanno presi in considerazione: quest'ultima crisi politica ha ricordato all'opinione pubblica l'esistenza del problema.
Quando un Presidente del Consiglio dei Ministri ha constatato come un piccolo partito si possa fare le ossa soltanto stando al governo, il problema dei rapporti fra Stato e partito è stato posto nel modo più crudo e più realistico. Credo quindi che dovremo occuparci di questo tema: e credo anche che il punto di vista più fecondo per trattarlo utilmente, nello spirito del nostro partito, sia quello di un efficace tutela delle minoranze. Più si va riflettendo sui problemi della democrazia, più ci si convince che il vero problema della democrazia è il problema della tutela delle minoranze. Così in tema di rapporti fra Stato e partiti il pericolo sempre incombente è quello della subordinazione della funzione politica a fini di parte, con il suo tragico sbocco nello Stato di regime. E noi ci stiamo chiedendo se questo pericolo possa essere evitato o circoscritto diffondendo il sistema della rappresentanza delle minoranze, in certi punti che si dicono nevralgici dell'attività statale. Già ora esiste, per esempio,
la commissione della RAI, che funziona come funziona e cioè non funziona affatto; ma organismi di questo genere, resi efficienti, dovrebbero essere posti nei punti nevralgici dello Stato, là dove è possibile che l'azione di partito porti a una deviazione dell'azione statale verso fini che non sono fini pubblici, ma che sono fini di parte.
Infine si ripresenta il problema dei rapporti fra Stato e Chiesa, sul quale sarà nostro compito - compito non facile - di vedere quali concrete conseguenze si possono trarre dalle premesse di carattere generale che noi abbiamo posto nel Convegno "Stato e Chiesa". Anche qui lo spirito dal quale partiamo è molto evidente e noto a tutti: quello che è meno chiaro a quali conclusioni di concrete proposte si possa arrivare (una voce: radicali). Direi anch'io, radicali: ad esempio, in Italia nei tempi andati si parlava di abusi del clero e credo che se ne possa riparlare utilmente anche oggi; certamente si può parlare di una revisione della legislazione che tuteli il carattere laico della scuola, di una revisione dei punti fondamentali della legislazione scolastica; converrà parlare di una analoga revisione della legislazione in materia di assistenza; nè si potrà tacere del problema del divorzio.
I problemi della scuola sono stati già da noi toccati in un Convegno - dico toccati perché il problema è di tale vastità che in quel Convegno avevamo potuto considerarne soltanto alcuni aspetti. Credo che questa sarà l'occasione buona per esaminare in tutta la sua ampiezza questo problema della scuola italiana, che è un problema fondamentale della democrazia.
Sulla parte relativa alla politica economica non sarei forse io la persona più indicata a parlarne, perché di essa si sono occupati amici qui presenti, che sarebbero meglio di me in grado di ricordare i principi che ispireranno la nostra trattazione. Ma credo di poter dire che quei principi sono in sostanza i medesimi che ispirano la prima parte del nostro lavoro. La politica economica è politica anch'essa e quindi non può non essere determinata dai fondamentali principi ai quali si ispira l'azione politica. Una più precisa indicazione si può forse trovare nei nostri Convegni dedicati a temi di politica economica: e fra essi particolarmente significativi mi sembrano quello dei monopoli e quello concernente i problemi cittadini. Riallacciando le soluzioni da noi proposte per problemi che sembrano apparentemente così lontani, si trova forse la linea da noi seguita in materia economica; la quale è ancora una volta una linea di difesa della libertà, quindi di difesa dell'ampiezza, della ricchezza delle iniziativ
e. Ma non è naturalmente il nostro partito quello che può commettere l'errore, volontario o involontario - più spesso volontario - di confondere il problema della libertà col problema della iniziativa privata, senza distinzione di natura e di dimensioni dell'iniziativa. Noi abbiamo superato questa posizione, noi siamo convinti che la varietà e la vitalità delle iniziative vadano difese quando occorra, contrastando l'eccesso di singole iniziative, specie quando presentano le dimensioni che si raggiungono nell'economia moderna. Chi non fosse iniziato a questo nostro spirito, chi fosse ad esso completamente estraneo, potrebbe trovare curioso che noi, da una parte, propugnamo nazionalizzazioni importanti come quelle dell'energia elettrica, mentre d'altra parte, abbiamo un atteggiamento che sembra spiccatamente liberistico per quanto concerne per esempio l'organizzazione dell'approvvigionamento della città o altri problemi di questo genere. E' chiaro invece che vi è fra queste varie soluzioni una perfetta coerenz
a: noi siamo contrari a tutti quei vincoli che oramai è convenuto ed è comodo chiamare corporativi, perché non vengono proprio da reali esigenze dell'economia, ma dalla volontà di difesa di privilegi politici e sociali, mentre non possiamo non essere fautori di tutti quegli interventi statali che tendono a rendere più libera e più ricca e più molteplice l'iniziativa privata. Quando noi parliamo di controlli statali, parliamo di controlli che sono necessari, se noi vogliamo che veramente l'economia privata sia libera: non è volere la libertà della iniziativa privata il consentire che ci siano, per esempio, monopolio elettrici non soggetti ad alcun controllo, i quali possono imporre la loro volontà a tutti i cittadini e a tutti i privati imprenditori. Come vedete, vi è un filo conduttore il quale lega tutte le varie soluzioni alle quali noi potremo giungere. Non voglio passare a problemi particolari, ma non posso non ricordare che, nella parte economica della nostra trattazione, avrà un posto centrale il probl
ema Nord e Sud, l'eterno problema della nostra vita nazionale. Anche a questo proposito, seguendo quegli orientamenti moderni che hanno dimostrato come queste differenze di sviluppo economico fra varie regioni non si vadano sanando automaticamente, come una volta ottimisticamente si sperava, ma si vadano facendo sempre più profonde e più accentuate, ci faremo fautori di quegli interventi che soli possono avviare a una soluzione quello che è il più grave problema del nostro paese.
Credo, per parte mia, di potermi fermare a questo punto. E la discussione, in seno al Consiglio Nazionale, non potrà non essere altrettanto circoscritta, in relazione alla enorme vastità dei temi indicati nei sommari che vi sono stati distribuiti. Ma la mia breve relazione deve valere soprattutto come invito a tutti gli amici a volere portare la loro attenzione su questo programma e a fare pervenire alla Sede Centrale del Partito le loro osservazioni e le loro proposte, che ci saranno di grande aiuto nell'adempimento del compito che ci siamo assunti - una sempre più chiara e netta fisionomia di fronte all'opinione pubblica italiana.