di Leopoldo PiccardiSOMMARIO: Il testo dell'intervento svolto dall'avv. Leopoldo Piccardi nel corso dell'ultimo Consiglio Nazionale del Partito Radicale (14/15 dicembre 1957) sui seguenti temi: la resistenza; il pericolo clericale; ricostruire lo Stato, l'abolizione dei prefetti, la lotta contro i monopoli; il problema agrario, il sottogoverno
(Opuscolo del PARTITO RADICALE, stampato il 22 marzo 1958)
Quello che vi farò è un breve discorso improvvisato che ha per oggetto il programma del partito, ma che non ha naturalmente l'ambizione di esaurire l'argomento. Mi limiterò a darvi qualche notizia, anche a nome del Comitato Studi, sul progresso dei nostri lavori in questo campo, e qualche indicazione sulle linee programmatiche del nostro partito nella prossima battaglia elettorale secondo quella che mi pare essere l'opinione generale e concorde di tutti i nostri aderenti.
Come voi sapete, noi avevamo un disegno piuttosto ambizioso: quello cioè di fare un programma che non si esaurisce in quei pochi punti elencati sotto numeri o lettere, come si usa fare, ma un programma ragionato che trattasse punto per punto, problema per problema, i principali aspetti della vita politica ed economica del paese. Come vedete, era una grande ambizione: e già ve ne siete resi conto quando ve ne abbiamo parlato altra volta. Si trattava in sostanza, nelle nostre previsioni, di fare qualcosa che potesse rassomigliare, per riferirci a un esempio noto, ai saggi fabiani. A questo lavoro ci siamo accinti con larghe collaborazioni anche da parte di persone che non appartengono al nostro partito, ma che sono in certo modo nella cerchia, non voglio dire ideologica, ma di idee e di opinioni nella quale si muove il nostro partito. Le difficoltà che abbiamo trovate sono quelle che avevamo previste e forse anche superiori. In questo periodo, ci sono tuttavia pervenute alcune relazioni, e credo che esse siano
già state distribuite a tutte le Sezioni perché raccogliessero le opinioni e le osservazioni di tutti i nostri soci: non so se questa raccolta sia già avvenuta e vorrei raccomandare che si faccia senza ritardo. Comunque ci pare estremamente inverosimile che, nel breve giro di tempo che ci divide ancora dalle elezioni, possiamo mettere a punto il volume per essere tempestivamente stampato e pubblicato. Questo anche perché noi desideriamo che il volume sia espressione di opinioni che, se anche formulate a titolo personale per non impegnare troppo il partito, abbiano una certa rispondenza con il modo di vedere della generalità dei nostri aderenti.
Dovremo quindi affrontare la lotta elettorale, probabilmente, senza questo strumento di lotta, che ci sarebbe stato molto utile. Noi non ci nascondiamo naturalmente che le elezioni non si fanno coi volumi. Se anche lo avessimo avuto questo volume, questo avrebbe potuto fornire materiale di propaganda a tutti coloro che dovranno partecipare alla lotta elettorale, ma la sua utilizzazione non avrebbe potuto varcare certi limiti. Chi è pratico di elezioni sa bene quale è, nei comizi, il grado di approfondimento dei problemi. Riteniamo quindi che la cosa più importante sia da segnare alcune grandi direttive della nostra propaganda, direttive per quanto possibile concrete: e credo che questo risultato lo otterremmo semplicemente obbedendo al nostro temperamento, forse più concreto di quello di coloro che militano in altri partiti politici. Insieme alla concretezza, ci distinguerà da altri l'assenza di demagogia: e anche a questo proposito non dovremo fare altro che obbedire al nostro temperamento, che non è demago
gico. Finiremo quindi già coll'entrare nei particolari assai più di quanto non sia normalmente tollerato dal pubblico che si raccoglie su una piazza in tempo di competizione elettorale.
Non è facile dire in poche parole quali possono essere le grandi direttive della nsotra propaganda elettorale. Ma il mio compito è agevolato se si tiene presente che, per quanto il nostro sia un partito di problemi, per quanto noi vogliamo tradurre la nostra azione politica nella indicazione di possibili soluzioni, le nostre proposte hanno una validità solo in quanto si riallacciano a una linea politica. Quindi voi trovate già le fondamentali indicazioni programmatiche nella relazione del nostro segretario, l'amico Olivetti, il quale, ricordandovi le grandi direttive del partito, vi ha anche detto quali dovranno essere le linee della nostra propaganda elettorale.
La Resistenza
Direi, per riassumere in poche parole la nostra posizione, che il nostro partito parte della consapevolezza dello stato di totale disfacimento nel quale si trova il nostro paese all'atto dell'evvento del fascismo. Non ci illudiamo cha la dittatura fascista sia stata un fatto occasionale: tutti ci rendiamo conto che se il fascismo ha potuto giungere al potere è perché il vecchio Stato italiano era ormai completamente logorato e distrutto. Sappiamo che il fascismo non ha fatto nulla per la costruzione di un nuovo Stato italiano. Tutti abbiamo creduto che la fine del fascismo, la lotta di liberazione, la Resistenza, e la ripresa di una vita democratica avrebbero reso possibile la ricostruzione dello Stato italiano. Ma purtroppo questa azione è stata ostacolata da forze potenti e ha trovato in Italia anche scarse energie per attuarla. Quindi la nostra posizione è quella di un partito che non è rivoluzionario, perché noi siamo convinti che in Italia non esiste una situazione rivoluzionaria; che non è classista pe
rchè, a prescindere dalle nostre ideologie, non crediamo che in Italia esista una classe capace di creare da sola una nuova compagine sociale e statale; di un partito il quale ritiene che si debbono raccogliere tutte le energie disponibili nel disperato tentativo di rifare lo Stato italiano.
Quindi la nostra lotta politica e la nostra lotta elettorale vanno in due direzioni: chiamare a raccolta tutte le energie che esistono ancora in Italia per l'attuazione del nostro scopo fondamentale; contrastare le forze che si oppongono alla ricostruzione dello Stato italiano. Il primo problema ci mette di fronte a quell'aspetto della lotta politica attuale del quale avete avuto voi stessi coscienza attraverso le più recenti manifestazioni, voglio dire il problema di riunire ancora le forze scatenate dalla lotta contro il fascismo e dalla Resistenza, di valorizzarle, di riportarle in primo piano: quella lotta per la difesa dei valori dell'antifascismo e della Resistenza che ha avuto proprio in questo periodo dei momenti assai significativi. E voi avete visto che il PR in questa lotta è stato fra i primi, perché ritiene che essa sia fondamentale.
Noi siamo pienamente corresponsabili di quello che sta avvenendo, noi partecipiamo a tutte le riunioni nelle quali si sta delineando una politica che tende appunto a risollevare i valori della Resistenza. Procederemo con la consueta chiarezza, perché non siamo soliti fare confusioni: abbiamo detto e continuiamo a dire che noi siamo disposti a celebrare in ogni momento i valori della Resistenza con tutti coloro che vi hanno partecipato, ma che con alcuni di costoro noi non siamo disposti a fare un passo di più, oltre questa doverosa celebrazione della lotta comune.
Direi che, arrivati a questo punto, la responsabilità spetta al Governo. E sarà bene che cominciamo tutti a fare al Governo un chiaro discorso. Noi ritenevamo che i compiti della lotta antifascista e della lotta di liberazione si fossero esauriti con la caduta del fascismo e con la liberazione del suolo nazionale. Ci sorprende e ci rammarica vedere che questi problemi sono ancora vivi e che si deve oggi riprendere la lotta; e mette tutti noi in una condizione di disagio il dover partecipare a uno schieramento che non corrisponde alle nostre posizioni politiche attuali. Veda il Governo, veda la DC se è loro convenienza riportare la lotta politica italiana a una fase ormai superata, quando ci sono ben altri problemi che urgono.
Scusate la digressione ispirata dalle passioni che ci animano in questo momento, ma non c'è dubbio che uno degli aspetti più importanti della nostra campagna elettorale dovrà essere il costante richiamo alle forze dell'antifascismo e della lotta di liberazione, nelle quali noi riconosciamo le sole forze con l'aiuto delle quali si può tentare di costituire in Italia un nuovo Stato democratico. La parte positiva del nostro programma non si esaurisce in questa campagna per la difesa dei valori dell'antifascismo e della Resistenza, ma trova indubbiamente in essa il suo principale pilastro.
Il pericolo clericale
Accanto a questa opera tendente a stimolare e raccogliere le forze che possono concorrere alla ricostruzione dello Stato, vi è il compito della difesa di questo rinascente Stato italiano contro le forze che l'insidiano. Compito che parrebbe presentare due aspetti, ma che in realtà si svolge in unica direzione. Si potrebbe pensare all'esigenza di difesa della nostra democrazia dagli attentati del rinascente fascismo: ma, a dire il vero, io non ho grandi preoccupazioni al riguardo, e vorrei sperare non ne abbiate neppure voi. Non ci dobbiamo preoccupare oggi di una lotta contro il fascismo: la lotta positiva per la rivalorizzazione dell'antifascismo e della Resistenza comprende in se stessa quel tanto che ci può essere di reazione alle stolte provocazioni di gruppi che non hanno importanza per se stessi e che servono interessi contro i quali noi dobbiamo reagire in altre forme. Ma il profilo più importante della nostra lotta, della difesa di questo rinascente Stato italiano contro i pericoli che l'insidiano, i
l solo che conta, è la lotta contro il pericolo clericale. Non stanchiamoci di combattere questa battaglia. Io ho davanti a me il nostro amico Ernesto Rossi che potrebbe riassumere la sua vita in questo modo: fino a un certo punto lotta contro il fascismo, da quel punto in poi lotta contro il clericalismo. Una vita bene spesa. Non dobbiamo avere paura di sentirci dire, né da avversari, né da amici, che noi siamo persone ferme su posizioni ormai superate da un secolo, che noi siamo gente antiquata, che noi siamo gente che non capisce i problemi del giorno. Il problema del laicismo è il problema del giorno, qualunque cosa dicano questi : perché non basta che i preti vadano in motoretta e che le suore guidino la multipla per essere moderni; ci vuole ben altro. Noi siamo persuasi che i siamo noi, perché il problema della difesa dello Stato democratico contro qualsiasi concezione teocratica e soprattutto contro quella antica concezione teocratica che ispirava il potere temporale della Chiesa, è una lotta che è sempre più attuale. E' la lotta che è al fondo di tutta la situazione italiana. Io vado parlando in questi giorni qua e là sul problema del raduno della Resistenza e man mano che parlo mi convinco sempre di più che è inutile fare il processo a Zoli perché non autorizza il raduno. Il fatto che Zoli non autorizzi il raduno significa che egli è schiavo delle gerarchie ecclesiastiche. Nessuno può dire in buona fede che che Zoli sia un fascista: queste sono sciocchezze che si possono dire a scopo polemico e con ben scarso risultato. Se l'on. Zoli, Presidente del Consiglio, non può dare sfogo a quelli che sono stati sempre i suoi sentimenti, se è inchiodato su una posizione che evidentemente non gli piace, è perché egli è schiavo di forze di fronte alle quali la distinzione tra fascismo e antifascismo è irrilevante. La storia della Chiesa - e l'amico Rossi ce ne ha dato un'ampia dimostrazione - non è la nostra: non è stata la nostra quando si è fatta l'Italia, perché l'Italia si è dovuta fare cont
ro la Chiesa; né il fascismo ha trovato un oppositore nella Chiesa, la quale anzi lo ha ampiamente favorito. Sarebbe veramente troppo pretendere che la Chiesa si mettesse ora su una posizione di rigido antifascismo, di difesa dello Stato dal fascismo. Evidentemente per quel settore della vita italiana, fascisti e antifascisti sono tutti uguali purché siano pronti e genuflettersi al momento opportuno. E siccome questa propensione alla genuflessione si trova oggi più in quel settore che nel nostro, o in altri settori che ci sono vicini, così non ci sorprende affatto la preferenza di Santa Madre Chiesa e del partito da essa ispirato, verso certi ambienti che non sono quelli che piacciono a noi.
La lotta antinucleare va condotta a fondo. Credo che nella campagna elettorale sarà veramente la nostra nota distintiva, perché parleremo senza alcun riguardo, senza alcuna remora, dicendo tutto quello che pensiamo del partito che rappresenta il settore clericale della vita italiana e di quello che sta dietro a esso. L'alleanza che noi facciamo col PRI non ci impedisce questa azione, anzi potrà, sono certo, renderla più efficace. Comunque, sia ben chiaro che questa è la posizione nostra e che da essa nulla potrà farci deflettere.
Ai fini di una campagna elettorale credo che questa indicazione sia sufficiente. Noi abbiamo certe idee per quel che riguarda i rapporti tra Stato e Chiesa; voi tutti quanti conoscete il volume che contiene gli atti del Convegno degli , nel quale molti di noi hanno avuto occasione di esprimere il proprio pensiero. Quindi sapete quali sono gli orientamenti del nostro gruppo circa una possibile soluzione di carattere permanente dei rapporti tra Stato e Chiesa. Ma difficilmente voi avrete occasione di impegnarvi nella campagna elettorale sugli aspetti più concreti del problema, se si debba tenere un atteggiamento rigorosamente anticoncordatario, se si debba spingere il separatismo all'estremo, oppure se si debbano accettare le soluzioni che rappresentino un compromesso fra giurisdizionalismo e separatismo, e così via. Tutto questo in una campagna elettorale si perde. Quello che è importante che non si perda è la nota della difesa dello Stato, di anticlericalismo non inteso come antipatia versoun certo settore della vita italiana, ma come esigenza elementare della ricostruzione dello Stato. Come vedremo, tutti gli altri problemi si riconducono a questo.
Ricostruire lo Stato
Quando noi parliamo della scuola, il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa è in primissimo piano: il diritto dello Stato di educare è una delle prerogative che non possono essere contestate allo Stato se veramente lo si vuole ricostruire. Il diritto dello Stato di assistere i cittadini è un altra prerogativa fondamentale dello Stato moderno; se noi siamo disposti a cedere l'assistenza alla Chiesa, perché la faccia con i nostri quattrini, riducendola a semplice carità, lo Stato è finito. Come dicevo, questa è veramente la nota fondamentale di ogni nostro discorso.
Quando parliamo di difesa dello Stato democratico contro le forze che l'insidiano, noi non possiamo dimenticare però un altro dei nostri temi favoriti, che è sullo stesso piano, per quanto sembri appartenere a un mondo diverso, cioè al mondo dell'economia: voglio dire la lotta contro i monopolio. Lo Stato italiano non sorgerà mai finché vi sono delle forze, si chiamino spirituali o economiche, capaci di impedirne la nascita o di demolire le sue strutture mano mano che timidamente vengono costruite. La lotta contro i monopoli sarà un'altra delle grandi direttive della nostra propaganda elettorale.
Partendo da queste premesse, potremmo venire a problemi più concreti che sono sempre i problemi della ricostruzione dello Stato. Perché noi, facendo leva sulle forze che tentiamo di ridestare attraverso la rinnovata propaganda dell'antifascismo e dei valori della lotta di liberazione e con una lotta implacabile contro tutte le forze che si oppongono alla rinascita dello Stato democratico, dovremo tendere all'affermazione delle nostre vedute sulla struttura e sul funzionamento dello Stato. Qui naturalmente i problemi si affollano: e ben difficilmente nella propaganda elettorale potremo scendere in profondo nella trattazione di essi. Dovremo piuttosto concentrarci di dare alcune grandi indicazioni. Ricostruire lo Stato vuol dire rifarlo dall'interno, ricostruirne le strutture, e innanzitutto rimettere in piedi un'amministrazione che sia degna di questo nome. Però tante volte ho fatto questa esperienza: quando voi parlate dei problemi dell'amministrazione statale, subito il pubblico comincia ad avere l'impressi
one di trovarsi di fronte a un grande argomento tecnico, che non l'interessa. Quindi dovremo accontentarci di fare un'opera di critica - e la possiamo fare in buona coscienza - nei confronti di tutti i governi che si sono succeduti dalla liberazione in poi: perché di questo problema si sono mostrati tutti assolutamente inconsapevoli; e quando hanno voluto fare le viste di affrontarli, hanno inscenato quella commedia che si è chiamata riforma burocratica. Non tutti voi avrete avuto la pazienza o l'interesse di esaminarla nei suoi particolari, ma se lo avete fatto, vi sarete accorti che è veramente la più ignobile truffa che si sia perpetrata in questo periodo. I governi che si sono succeduti dalla liberazione in poi non soltanto non sono riusciti a mettere ordine nella caotica situazione della nostra amministrazione e dell'organizzazione dello Stato in genere, ma l'hanno lasciata continuamente declinare e peggiorare. Ragione per la quale non possiamo ben dire che lo Stato italiano oggi è arrivato così in bass
o come non era mai stato, neanche durante il fascismo. Questa è dunque una battaglia che possiamo fare con la coscienza tranquilla, perché tutti i governi che si sono succeduti finora ce ne hanno dato ampia occasione e ampia giustificazione.
L'abolizione dei prefetti
In questa materia vi sono forse alcuni punti che noi non ci potremo esimere dal trattare, perché sono punti che hanno una certa risonanza anche in un grande pubblico. Voglio alludere soprattutto al problema delle regioni. E' un problema delicato sul quale vi possono essere opinioni parzialmente divergenti: con questa avvertenza, non vorrei però rinunciare a dire che le regioni, secondo me, sono uno degli strumenti essenziali allo Stato democratico italiano. Tanto più essenziale in quanto la regione è il presupposto dell'abolizione dei prefetti, sulla quale noi ci dovremo battere senza nessuna esitazione. Non potrà farci esitare neppure il fatto che i comunisti ne hanno fatto la propria parola d'ordine; purtroppo accade spesso che da quella parte si tenti di rubarci il mestiere, ma questo non ci deve arrestare. Istituzione della regione e abolizione dei prefetti sono due problemi intimamente connessi: più si riflette e più la cosa appare evidente.
Lo Stato moderno è diventato cosa talmente complicata e complessa che giustifica al tempo stesso due esigenze opposte: quella di un massimo accentramento e quella di un massimo decentramento. Nella funzione che esercita uno Stato moderno c'è spazio sia per una e per l'altra tendenza. Ma per noi, democratici sinceri, il solo decentramento che merita di essere difeso è quello che si basa sulla realtà di una comunità locale; il vero decentramento è quello dei comuni, non dico delle provincie, perché se noi arriveremo alle regioni ci accorgeremo che le provincie risulteranno superflue alla nostra organizzazione. I comuni e le regioni sono la base naturale del decentramento; non i prefetti. Quello che si basa sull'istituto prefettizio è un falso decentramento, non è democratico, non funziona tecnicamente. Fin che si rimane nel campo di funzioni amministrative affidate a organi burocratici dello Stato, l'accentramento è inevitabile: le amministrazioni dello Stato obbediscono a quelle che sono le leggi di qualunque
organismo moderno, di qualunque impresa, e tendono quindi fatalmente all'accentramento; l'attribuzione di funzioni a organi burocratici, come le prefetture, significa renderle più arbitrarie, non decentrarle nel solo senso che può rispondere a esigenze di democrazia. Quindi, per parte mia, credo che noi la lotta contro i prefetti la possiamo fare apertamente e non in modo demagogico come lo fanno i comunisti, i quali mentre proclamano, rubando lo slogan a Luigi Einaudi, che bisogna cacciare via i prefetti, si battono per l'istituzione di nuove provincie. Ancora ieri hanno dato battaglia per la provincia di Isernia; in questo momento in cui si ha ragione di rivolgere tante critiche al Governo, il Governo è sotto accusa per non avere fatto una nuova provincia nel Molise: la provincia di Isernia. Questo naturalmente non è il terreno nostro. Non so se verrà in gioco il tema delle provincie, ma quello che è sicuro, costi quello che costi, che non seconderemo nessuna di queste piccole ambizioni o vanità locali,
le quali tendono a rendere il nostro Stato sempre più conservatore e sempre più reazionario. Le organizzazioni provinciali non sono che uno dei tanti mezzi dei quali si serve un ceto medio abituato allo sfruttamento delle classi inferiori per ritagliarsi piccoli posticini di comodo, di modesta portata economica, ma tuttavia sufficienti per appagare i limitati desideri di un ceto medio di scarse risorse come quello che è proprio di certe regioni italiane. Su questo terreno nessuna indulgenza. Ma la battaglia per le regioni e l'abolizione dei prefetti va fatta. E' inutile che io vi fornisca elementi per questa battaglia. Tutti voi sapete quello che sta succedendo nel campo delle amministrazioni locali; sapete qual è l'attuale funzione del prefetto, di questo agente elettorale che si presenta sotto la falsa bandiera dell'amministratore imparziale e, al coperto di essa, commette i più innominabili arbitri, dimenticando perfino le più elementari ragioni del decoro e della dignità. Direi che l'istituto prefettizio
andrebbe soppresso se non altro per la ragione morale che non è lecito allo Stato di ridurre la pubblica funzione fino a questo punto di degradazione.
La lotta contro i monopoli
Credo che, per quanto concerne l'organizzazione statale non sia facile dire molte altre cose in una campagna elettorale. Naturalmente vi sarà molto da dire nel settore economico. In questo campo dovremo proseguire, innanzitutto, la battaglia di cui vi ho parlato, la battaglia contro i monopoli. Per questa lotta noi possediamo già uno strumento efficace nei progetti di legge presentati dall'amico Villabruna e da esponenti di altri partiti, coi quali si tenta di avviare a una soluzione il problema. Credo che in occasione della campagna elettorale bisognerà andare oltre. Noi nel convegno dei monopoli avevamo detto chiaramente quale era la nostra posizione: noi non disconosciamo le esigenze dell'economia moderna, le quali spesso portano a grandi concentramenti di mezzi finanziari e materiali, ma riteniamo che debbano essere adottate tutte le misure opportune per evitare che esse facciano gravare sullo Stato il peso di una eccessiva influenza, impedendone il funzionamento democratico; e nell'ipotesi estrema, quan
do non vi sia altra possibilità di difesa, siamo disposti, noi che non siamo socialisti, anche ad arrivare alla nazionalizzazione di determinati settori. Nel nostro convegno avevamo propugnato la nazionalizzazione dei telefoni, problema che ora è avviato a soluzione, e avevamo indicato chiaramente, come prossima meta, la nazionalizzazione dell'energia elettrica. Questo è un tema che secondo me deve continuare ad essere dibattuto nel paese. E' un tema che verrà a scadenza abbastanza rapidamente perché i governi dell'epoca prefascista avevano già avuto la consapevolezza della direzione nella quale si muovevano le società moderne, e avevano disposto le cose in modo che, a un certo momento, attraverso il riscatto delle concessioni, lo Stato potesse acquistare il controllo di questo fondamentale settore produttivo. Ora ci andiamo avvicinando rapidamente alla scadenza delle concessioni di acque pubbliche, momento veramente determinante, nel quale il problema della nazionalizzazione dell'energia elettrica deve esse
re chiaramente impostato. E dobbiamo farlo con la coscienza che ponendo questo problema, non ci presentiamo come seguaci di idee non nostre, non ci lasciamo guidare dal mimetismo di posizioni socialistiche. La nazionalizzazione dell'energia elettrica è attuata nella maggior parte dei paesi moderni, compresi quelli dove non prevalgono ideologie socialistiche, è una misura imposta dallo sviluppo attuale dell'economia, ed è quindi una cosa che noi possiamo chiedere in base a una rigorosa applicazione dei nostri principii. E credo che sia anche un tema che non potrà non avere una risonanza fra i nostri elettori, perché noi non ci rivolgiamo ai pochissimi che hanno interessi collegati con quelli dei gruppi elettrici, ma ci rivolgiamo a un pubblico indifferente all'importo della bolletta dell'energia elettrica che si vede presentare alla fine del mese. Questo pubblico di media borghesia, di artigianato, di piccoli commercianti, non può non essere sensibile a questo problema: al quale, d'altronde, se avesse un magg
ior livello di intelligenza politica ed economica dovrebbe rivolgere la propria attenzione anche un vasto settore industriale, che non è avvantaggiato dai monopoli elettrici. Il monopolio dell'energia elettrica viene esercitato nell'interesse dei produttori e nell'interesse di quel ristretto settore della grande industria che si identifica in quei padroni del vapore dei quali Ernesto Rossi ci ha fatto un quadro indimenticabile.
Ma in materia economica noi dovremmo approfittare delle elezioni per dare due battaglie che purtroppo sono battaglie difensive. Una si ricollega a quella della nazionalizzazione dell'energia elettrica. Perché il problema della nazionalizzazione dell'energia elettrica, che per se stesso, avrebbe potuto forse essere differito di qualche anno, diventa indifferibile di fronte alla entrata in gioco dell'energia nucleare. Ricordo che, parlando con esponenti di quel partito socialdemocratico il quale vanta sempre il suo classismo e il suo marxismo, ci sentivamo dire: . E' venuta l'energia nucleare, e quel partito ha trovato soddisfacente il progetto Cortese, il quale con la nazionalizzazione non ha alcuna parentela. Questa, come dicevo, è una battaglia difensiva, perché se Italia perde la battaglia dell'energia nucleare, che purtroppo ha un carattere abbastanza tecnico per sfuggire all'attenzione della massa, il destino politico ed economico dell'Italia sarà segnato per un certo periodo. Io credo molto all'importanza di questi fatti concreti. Noi spesso ci perdiamo a discutere di idee generali e principii, mentre qualcuno sta compiendo fatti che non si cancellano più. Il giorno che i monopoli in Italia saranno stati ristabiliti per altri cinquant'anni - non facciamoci illusioni - la battaglia per la democrazia sarà una battaglia, non dico perduta, ma molto più aspra di quella che non avrebbe dovuto essere.
Un'altra battaglia difensiva che noi dobbiamo fare è quella della nominatività dei titoli. I governi che si sono succeduti finora, comportandosi in quel solito modo che non è certo un esempio di cristallina chiarezza e che ricorda scuole che non sono quelle che amiamo, hanno sempre cercato di agire nascondendo la mano. Si è sempre detto: ma certo! nominatività dei titoli; ce l'avete; ma che pensa ad abolirla; e così via. Mentre si diceva tutto questo c'era qualche ministro che agiva in senso opposto, che dimostrava le proprie simpatie verso chi si agita per la distruzione del sistema. Siamo così arrivati al punto che si è avuto il coraggio di portare davanti alla Corte Costituzionale con argomenti che ai colleghi avvocati qui presenti saranno apparsi addirittura risibili; e quando la Corte Costituzionale ha rigettato il ricorso, abbiamo letto sui giornali degli aspri e severi commenti contro questo supremo organo dello Stato che si è permesso di liquidare, in poche ore di seduta, una questione di tanta impor
tanza. Su questo problema della nominatività dei titoli si è fatto tutto il possibile per rendere la soluzione inevitabile: attraverso la tollerata agitazione degli agenti di cambio, che continua ancor ora, attraverso le dichiarazioni dei singoli uomini politici, di singoli membri del Governo, si è preparata una situazione nella quale, pur non parendo, lo stato d'animo della grande massa è già rassegnato. Certe volte basta suonare a morto perché ciò di cui si augura la fine veramente cessi di esistere. Si voleva la fine della nominatività dei titoli: si è continuato per anni a suonare a morto e ormai essa è morta nella opinione della maggior parte degli italiani. Noi dovremo dunque dare questa battaglia difensiva e ancora una volta possiamo farlo efficacemente perché abbiamo nel giro dei nostri amici chi si è occupato con grande competenza di questo problema: da Bruno Visentini che combatte valorosamente per la nominatività dei titoli da anni, a Tullio Ascarelli il quale ha portato al problema un originale
contributo, riconoscendo i difetti dell'attuale sistema e suggerendo il modo di evitarli, pur senza rinunciare alla nominatività a tutti i fini che le sono essenziali, primo fra tutti quello della progressività tributaria.
Altro argomento di attualità è quello dell'assetto delle aziende industriali dello Stato, del Ministero delle Partecipazioni, dello sganciamento delle aziende dello Stato dalla Confindustria: materia che vi è perfettamente nota e sulla quale è chiaro quali possono essere le nostre posizioni. Noi non siamo mai stati favorevoli a una socializzazione dell'economia del paese, ma abbiamo sempre riconosciuto che lo Stato moderno tende fatalmente a svolgere, nel campo economico, importanti funzioni: a questa tendenza risponde, sia pure in modo occasionale, la formazione del complesso di quelle che sono denominate partecipazioni statali. Il Ministero delle Partecipazioni rappresenta un primo grossolano tentativo di dare a questo settore una certa organizzazione che consenta allo Stato di valersi delle sue posizioni di controllo per i propri fini. La nostra propaganda non potrà non essere favorevole in modo particolare a quello sganciamento delle aziende dello Stato dalla Confindustria, sul quale l'amico Scalfari anc
ora di recente sull' ha scritto cose estremamente sensate e sul quale dovremo continuare a batterci, perché si tratta di un argomento nel quale una parte della società italiana, i detentori del potere economico, stanno dimostrando tutta la loro tracotanza. Ricordo di aver sentito dire da un alto funzionario dello Stato: . Altro che dare del tu! Ormai si dice allo Stato: tu non hai il diritto di disporre delle tue aziende; le tue aziende servono a noi, devono far parte delle nostre organizzazioni, ci devono dare i mezzi per fare le campagne politiche, per fare la stessa campagna contro le industrie dello Stato. Tutto questo si dice ammantando il discorso di eccezioni di costituzionalità, di appassionate difese delle libertà, che hanno un suono falso sulle labbra di chi se ne vale per fini particolari.Il problema agrario
Un altro argomento di grande importanza, è quello sul quale anni or sono richiamava la nostra attenzione il Prof. Antoni, il problema dell'agricoltura. L'amico Carandini ne ha parlato con la sua esperienza poco tempo fa, svolgendo una critica sacrosanta dell'azione che lo Stato è venuto svolgendo negli scorsi anni; è sacrosanto tutto quello che egli ha scritto sui sistemi assurdi e contraddittori seguiti dallo Stato nei suoi interventi nell'economia agraria; sono sacrosante le critiche rivolte alla riforma fondiaria, anche se in definitiva, dal punto di vista politico, noi possiamo non condannarla per le sue ripercussioni politiche e sociali. Difetto capitale della riforma fondiaria resta la concezione che l'ha ispirata e che è propria dell'ambiente clericale, la concezione di una piccola proprietà che consente a mala pena a una famiglia di contadini il proprio sostentamento, che la tiene in un forzato isolamento, lontano dall'ambiente sociale: e quindi in condizione di non nuocere. La riforma fondiaria è es
pressione di una politica che non tende a elevare le masse a un livello superiore di cultura e a un livello economico superiore, ma mira soltanto a tenerle buone: e questa certamente non è la nostra politica, perché la nostra è una politica che tende a suscitare energie, anche quando si tratti di energie che possano presentare pericoli. Noi siamo un partito che corre dei pericoli: questa è la caratteristica della posizione radicale. Potremo dunque svolgere utilmente la nostra critica della politica agraria governativa e potremo, anche in questo campo, elevare una voce di protesta contro lo sfruttamento a fine politico delle riforme. Perché tutti sappiamo che gli enti di riforma, in quali dovrebbero avere una funzione prevalentemente tecnica, sono anch'essi null'altro che strumenti elettorali, i quali fanno la loro politica di parte nel modo più svergognato, operando discriminazioni fra i contadini a seconda delle loro opinioni politiche e imponendo i sistemi del sottogoverno.
Credo che, in materia di agricoltura, questi temi possano bastare ai fini di una propaganda elettorale.
Vi è un altro grosso tema, che non è facile affrontare né in uno scorcio di seduta e neppure in un lungo convegno: quello della politica estera. Tema sul quale noi siamo d'accordo sulle grandi linee. Nessuno di noi dubita che quale debba essere la nostra posizione nel mondo. Su questo siamo d'accordo tutti. Quando andiamo poi a esaminare i problemi del giorno, Medio Oriente, Suez, ecc., ci possono essere delle divergenze. Ma non sono questi i temi propri alla propaganda elettorale. Ciò che importa è segnare una linea. Noi diremo quanto ci sentiamo lontani dai comunisti, i quali vorrebbero applicare da noi metodi che non sono i nostri, attirarci in un sistema che non è il nostro sistema. Questo lo diremo nel modo più chiaro possibile. D'altra parte non potremo non lamentare tutte le tergiversazioni e le contraddizioni di questo Governo, che oggi fa una cosa e domani un'altra, un po' inventa il neoatlantismo, un po' una teoria per il Medio Oriente, un po' si rimangia tutto, obbedendo alle labili ispirazioni de
i vari gruppi che dominano in seno alla D.C. e fuori della D.C. Questa critica della politica governativa potrà essere fatta in modo estremamente utile e con piena coscienza della sua fondatezza.
Il sottogoverno
Argomento fondamentale di propaganda sarà poi quel grosso problema morale dell'Italia di oggi che ho lasciato per ultimo, perché credo che sarà quello che darà il tono a tutti i nostri discorsi. Noi non siamo gente abituata a quelle che si chiamano, con una bruttissima parola, le speculazioni politiche, ma non è colpa nostra se dobbiamo fare una polemica morale contro i governi democristiani i quali hanno seguitato a dare sempre più ragione a questa triste polemica. Lo stato di corruzione della classe politica, della classe burocratica, dell'amministrazione è arrivato a qualcosa di indescrivibile. C'è stato un cattolico francese che ha detto che la democrazia cristiana ha orientalizzato l'Italia, intendendo per oriente i peggiori esempi che venivano una volta dal levante. Questa è la situazione attuale e di essa dovremo parlare molto ampiamente. Come dovremo parlare ampiamente dell'abuso del potere a fini di partito: credo che questa sia una delle nostre battaglie. Potremo forse tentare di formulare quelle c
oncrete proposte che qualche volta servono a fermare l'attenzione sull'essenza di un problema e sui mezzi che possono consentire di risolverlo. Oggi in Italia siamo arrivati a questo punto: che l'abuso del potere a fini di parte è la sola fonte delle risorse finanziarie dei partiti. Poiché un partito è rimasto al Governo da molto tempo, quello è il partito che si ritaglia la maggior fetta della torta. Qualche partito minore e qualche partito di opposizione, che non ha la fortuna di sedere al Governo, trae dalla propria ingerenza in enti locali più limitati benefici. Ormai tutto ciò fa parte del nostro costume; direi che è quasi ammesso. Quando l'On. Zoli in Parlamento ha dichiarato, con il suo amabile scetticismo, che un partito, essendo uscito dal Governo, aveva dovuto sospendere la pubblicazione del proprio giornale, non ha fatto che constatare il punto al quale simo arrivati. Un partito come il nostro, che non è mai stato al potere, e che se ci fosse avrebbe certamente le mani pulite, si trova oggi in que
lla condizione di inferiorità che tutti conoscete. Ma avere le mani pulite significa avere il coraggio di dire cose che nessun altro può dire.