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Battaglia Adolfo - 15 aprile 1958
PARITA' DI PROPAGANDA
di Adolfo Battaglia

SOMMARIO: Sia la radio (nata sotto il fascismo) che la neonata televisione sono controllate dalla DC. Mentre la stampa "indipendente" mostra solo ossequio "ai gusti e alle idee comuni" nonché al potere esecutivo", anche la tv campa "sulla media e sulla mediocrità". La sua informazione è "tendenziosa" e nessuno se ne scandalizza. Ma in verità "non sono adeguatamente studiati e approfonditi i problemi che creano" i nuovi massmedia e i "vantaggi" che danno. La stessa Costituzione non se ne occupa. E' dunque necessario che la terza Legislatura si ponga questo problema prioritario, quello della "imparzialità" dei servizi. Solo l'imparzialità giustifica e rende anzi necessario il monopolio statale nel settore della TV. Il problema si fa urgente durante le vicende elettorali. Oggi i partiti hanno libertà di propaganda in tutto meno che nella TV, che fa in realtà solo "resoconto dell'opera di governo". In campagna elettorale i discorsi dei partecipanti dovrebbero avere, per la RaiTV, uguale valore e importanza. In

questo si distingue un regime veramente democratico. "Il problema è di una entità colossale", e in questo senso ha inteso porlo "l'iniziativa radical-repubblicana" sulla "parità di propaganda".

(IL MONDO, 15 aprile 1958)

I Servizi di radiodiffusione esistono in Italia da meno di quaranta anni. Quelli televisivi da meno di cinque. Da quando si è apprezzabilmente sviluppata come servizio di massa, fino al 1943, la radio è stata sempre strettamente controllata dal fascismo. Da alcuni anni è controllata dalla Democrazia Cristiana. La televisione è nata e cresciuta sotto questa stessa egida politica. E' comprensibile come non si sia ancora potuto creare nella RAI-TV un costume e una tradizione di indipendenza democratica. Ed è parimenti comprensibile come gli sbandamenti e la tendenziosità cui sono obbligati i dirigenti della RAI-TV non trovino contrappesi limitativi nel clima generale del paese. E' questo, in effetti, che rende tollerato anche l'uso dell'unico strumento pubblico di informazioni in un senso spesso opposto a quello della obiettività e della imparzialità, che dovrebbe istituzionalmente guidarlo. In un paese in cui la stampa "indipendente" si permette pochissimi sprazzi di indipendenza e moltissimo ossequio ai gusti

e alle idee comuni nonché al potere esecutivo, in cui la più balorda delle censure tenta di appiattire quanto può cinema e teatro, in cui anche i cinegiornali d'attualità vengono tagliati a fette per impedire che si allontanino dalla palude delle genericità, in cui non esiste una stampa politica di larga tiratura e non esistono, o sono allo stato rudimentale, gli strumenti e le strutture che possano permettere la migliore articolazione dell'opinione pubblica; in cui, infine, come causa e come effetto di tutto ciò, manca un'opinione pubblica attenta e impegnata, anche i servizi radiotelevisivi campano sulla media e sulla mediocrità. Nel conformismo, privi di sostanziale indipendenza dal Governo, e mancanti di un'esperienza di informazione obiettiva che nessuno gli ha mai richiesto, essi sono tendenziosi: e nessuno se ne scandalizza più che poco.

Ora, se è vero che in un regime dittatoriale la radio e la televisione non pongono problemi particolari, è altrettanto vero che, in un regime democratico, essi si palesano, dal punto di vista della propaganda politica, come fatti rivoluzionari della tecnica corrente: altrettanto rivoluzionari, agli effetti sostanziali, quanto lo fu, a suo tempo quel grande evento non tecnico ma politico che si chiama suffragio universale. La loro stessa novità non ha permesso finora, tuttavia, che fossero adeguatamente studiati e approfonditi i problemi che creano, i vantaggi che possono procurare. Anche nella nostra enciclopedica Costituzione, il fenomeno, pur così rilevante, è del tutto dimenticato. Al fenomeno della stampa e alla sua libertà, è dedicato uno degli articoli più lunghi della Carta, il ventunesimo, alla libertà di riunione e di associazione gli artt. 17 e 18, alla libertà di espressione il primo comma dell'art. 21: ma a meno che Radio e TV non debbano essere considerate tra quegli "altri mezzi di diffusione"

di cui parla genericamente lo stesso art. 21 ("Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione"), nella nostra Costituzione nulla lascia intuire che la società moderna si trovi alle prese con questi potentissimi strumenti di propaganda.

Se tutto ciò è vero, appare chiaro come il problema della RAI-TV, della sua efficienza, della sua obiettività, e della sua corrispondenza alle esigenze di una società libera, sarà tra quelli che dovranno essere decisamente affrontati nella terza Legislatura. E il criterio base di ogni discorso non potrà che essere quello della imparzialità dei servizi, che sono dello Stato e non del Governo, e si rivolgono alla collettività e non a una sua parte: essendo chiaro che sarebbe priva di senso la conservazione del monopolio statale in questo settore, se esso non fosse al servizio di tutti. La libertà di organizzazione dei servizi radiotelevisivi si risolverebbe oggi, con tutta evidenza, in un nuovo formidabile favore ai gruppi monopolistici privati, che già così potentemente detengono le fonti di informazioni convenzionali. Si tratterebbe, in sostanza, non di una libertà ma di un privilegio: così come oggi in Italia si risolverebbe in un fatto illiberale la libertà della scuola auspicata dalle forze clericali. Ma

tutto ciò è sostenibile se il monopolio statale è imparziale e al servizio di tutti; se dovesse continuare ad essere partigiano o tendenzioso, meglio allora, la libera concorrenza tra due, tre, dieci diverse fonti tendenziose!

In tempo d'elezioni il problema dell'imparzialità e dell'obiettività - che sono cose diverse - della RAI-TV si pone in termini più urgenti. Con la legge 4 aprile '56 n. 212 i partiti concorrenti alle elezioni sono stati posti in condizioni di eguaglianza per quanto riguarda l'affissione dei manifesti, i cartelli murali, le scritte propagandistiche ecc. Sono in condizioni di eguaglianza, in linea di diritto, per quanto riguarda la propaganda orale e la propaganda a domicilio, che erano fino a ieri gli altri due settori nei quali si impegnavano massicciamente le organizzazioni elettorali. Ma non sono in condizioni di parità, né teorica né pratica, per quanto riguarda la RAI-TV. In questo settore il partito di governo e di maggioranza continua a godere del vantaggio che gli è procurato dall'essere tale. I servizi politici della RAI-TV sono infatti in buona parte costituiti dal resoconto dell'opera di governo; e per il resto sono ispirati al criterio della maggiore importanza delle parole o degli atti degli uomi

ni del partito di maggioranza, su cui cadono le maggiori responsabilità in Parlamento, nella condotta del Governo, degli enti pubblici, delle amministrazioni locali, ecc. Non può disconoscersi, in verità, che un discorso di critica al Governo, tanto per fare un esempio, ha normalmente importanza politica diversa se venga pronunziato dall'on. Fanfani o, poniamo, dall'on. Rogadeo. Senonché questo criterio "obiettivo" - nella cui applicazione, normalmente, la tendenziosità è regina - si trasforma in criterio doppiamente tendenzioso in epoca elettorale, quando i partiti si presentano al corpo elettorale per gli stessi scopi, con le stesse possibilità, con gli stessi diritti. Allora il discorso dell'on. Fanfani e dell'on. Rogadeo, dell'onorevole Togliatti, o dell'on. Colitto, deve avere per i dirigenti della RAI-TV esattamente lo stesso valore: il giudizio su di essi non spetta più alla RAI in relazione a una situazione politica già data, ma spetta ormai alla fonte della sovranità, cioè al popolo che li giudicher

à con il suo voto, creando così nuove situazioni politiche e nuovi rapporti di valore: in base ai quali i futuri discorsi dell'onorevole Rogadeo o dell'on. Colitto potranno contare assai di più di quelli dell'on. Fanfani o dell'onorevole Togliatti.

Si dirà che questa ipotesi è poco probabile; lo ammettiamo. Ma un regime è democratico per definizione in quanto assicura al massimo il verificarsi di simili ipotesi. Più l'assicura e più è democratico: se ne trae la conseguenza che tanto più lo è quanto più i cittadini sono in condizione di scegliere liberamente l'uno piuttosto che l'altro partito: ma scegliere liberamente significa soprattutto essere consapevoli della scelta, cioè in ultima analisi essere giustamente, egualmente informati sui partiti da scegliere. Del resto, questo stesso criterio di eguaglianza è stato adottato per la limitazione della propaganda elettorale. A nessuno, nel corso delle discussioni parlamentari, è mai saltato in mente che i partiti maggiori, solo per essere tali, avessero diritto a spazi maggiori su cui affiggere i propri manifesti. Caso mai, il contrario. Ma neppure: poiché appunto la garanzia di un regime democratico sta nella condizione di parità in cui si presentano i partiti di fronte a chi dovrà giudicarli, valutando

di essi le opere compiute al Governo o all'opposizione non meno che i programmi futuri e le idee che li ispirano. Se si è ammesso il criterio dell'uguaglianza fra tutti i partiti quando si trattava di limitare il loro diritto soggettivo di buttare sul mercato quanti manifesti e cartelloni volessero, e se si è riconosciuto che ciò rispondeva ad una esigenza di democrazia, come si possono avere dubbi sull'applicazione dello stesso criterio quando si tratta dell'uso di uno strumento pubblico di informazione destinato, per definizione, all'intera collettività?

Il problema è di una entità colossale, perché secondo i dati più aggiornati, gli abbonati alla RAI sono 7 milioni e 43 mila, e gli abbonati alla TV arrivano a 843 mila. Se si calcola che un apparecchio radio serve intorno alle 4 persone, si ha che l'intero corpo elettorale italiano può essere influenzato attraverso il comodo mezzo della tesi a domicilio. Si deve concedere alla D.C. il diritto di riserva di propaganda radiofonica? O comunque la DC deve usufruire più che altri di questo strumento di influenza? L'iniziativa radical-repubblicana ha risolto il problema in termini che hanno incontrato favore in tutti i settori politici e giornalistici. Il metodo della libertà non consente discriminazioni e non ammette privilegi. Con la parità di propaganda, del resto, non avremo una nuovissima baraonda radiofonica; avremo un fatto nuovo di sostanzialissimo valore democratico quale il confronto diretto, in condizioni di eguaglianza, e dinanzi all'intero corpo elettorale, dei programmi e delle idee dei partiti. Comp

rendiamo come ciò possa anche dispiacere a chi concepisce le campagne elettorali come crociate, e si vale di contrapposizioni drastiche e formule mitiche. Ma nessuno negherà, speriamo, che è bene che il paese voti sui problemi politici e sui programmi dopo aver ascoltato il dialogo pacato dei partiti.

 
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