di Paolo PavoliniSOMMARIO: Commento, pessimistico e sfiduciato, ai risultati delle elezioni politiche del 25 maggio (1958). Il loro bilancio è "amaro e preoccupante". La D.C. "ha aumentato di molto i suoi voti", il P.C.I., pur dopo gli eventi ungheresi e il rapporto Krusciov, ha "aumentato sensibilmente i suoi suffragi". Anche il partito liberale, non più di Benedetto Croce ma ridotto ad essere "un'agenzia della Confindustria", ha guadagnato in voti. Unica nota positiva il "progresso del P.S.I.", mentre è "ultimo tocco di un quadro oscuro" la mancata "catastrofe elettorale" del M.S.I.
Questi risultati sembrano tali da far dire che "questo popolo ha proprio ciò che si merita". E tuttavia qualche speranza può venire dall'Italia "diversa" delle "minoranze ardenti, sempre detestate" che ancora esistono e si battono per creare una "comunità libera, giusta e civile".
(IL MONDO, 3 giugno 1958)
Le elezioni politiche si chiudono con un bilancio amaro e preoccupante. Il tema che ha dominato tutta la campagna elettorale è stato l'attacco a fondo contro la D.C. da parte di tutti gli altri partiti. Il regime democristiano era stato veramente messo a nudo in tutto il suo squallore; la mediocrità dei dirigenti, la loro ansia di servilismo verso il Vaticano, il loro gareggiare nel concedere ai preti privilegi inconcepibili in un paese appena civile, i loro continui abusi di potere, le innumerevoli soperchierie amministrative, i gravissimi scandali da loro provocati, erano venuti ormai in piena luce: il triste panorama di dieci anni di malgoverno democristiano non poteva apparire più chiaro ed evidente. Alla resa dei conti la D.C. ha aumentato di molto i suoi voti.
Anche per il partito comunista le prospettive elettorali apparivano peggiori che in tutte le altre occasioni. Dal 1953 ad oggi ogni iscritto, ogni simpatizzante, ogni lettore comunista, aveva potuto conoscere quel sinistro documento che Kruscev lesse al ventesimo congresso del P.C. russo, e aveva potuto sapere della spietata repressione ungherese quale feroce violenza si può scatenare ad ogni istante nella parte del mondo dominata dai comunisti. Il P.C.I. era stato abbandonato da quasi tutti gli intellettuali e da una notevole frazione del proletariato industriale; pareva ormai noto a tutti che il voto dato a quel partito era un voto sprecato, inutilizzabile se si voleva ottenere un governo migliore e una maggiore giustizia, e che votando per il P.C.I. si poteva soltanto perpetuare il regime dei preti e dei padroni, nel quale, marxisticamente, i ricchi divengono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri (in dieci anni di governo democristiano e di inutile opposizione comunista non sono diminuiti di una
sola unità i due milioni di disoccupati). Ebbene, anche il P.C.I. ha aumentati sensibilmente i suoi suffragi.
E vediamo cosa è accaduto nel settore delle destre. Si parlava di un largo successo di Lauro. Costui, quando spadroneggiava a Napoli, compiendo come sindaco di quella città azioni più che censurabili, vi aveva ottenuto nelle elezioni amministrative un vero trionfo. A un certo punto Lauro viene spodestato dalla sua carica con una procedura che anche fra le persone oneste gli avrebbe potuto riconciliare molte simpatie: ma proprio quando è colpito dal ministro degli Interni per motivi di puro calcolo elettorale, Lauro è abbandonato da una parte dei suoi seguaci ed i suoi suffragi retrocedono. Nello stesso tempo il partito liberale, che arretrò sempre finché fu il partito di Benedetto Croce, non solo non ha perso voti come meritava, ma ne ha perfino guadagnati dacché è divenuto un'agenzia della Confindustria. E al pari dei liberali si rinforza lievemente la socialdemocrazia dopo aver seguito in questi ultimi anni una politica che ha addolorato tutti i sinceri democratici. Unico segno favorevole, nel generale spo
stamento a sinistra dell'elettorato, il progresso del P.S.I., staccatosi dai comunisti e avviato verso una vita autonoma e indipendente: ma siamo davvero certi che il partito dell'on. Nenni avrebbe ottenuto gli stessi voti se avesse portato fino alle ultime conseguenze la sua vocazione alla libertà? C'è da dubitarne: può darsi che sia stato abile da parte dei dirigenti socialisti l'indugiare nelle ambiguità e nella calcolata incertezza, l'assumere alcune posizioni da partito europeo senza dimenticare certe sfumature da partito balcanico; ma ci sia consentito di dire che fra il P.S.I. e i suoi partiti confratelli d'Europa corre ancora un bel tratto si strada. Ultimo tocco di un quadro oscuro, la mancata catastrofe elettorale del M.S.I.; si pensava unanimemente che i fascisti avrebbero subito un tracollo; sono diminuiti invece di una cifra irrilevante. Parecchi aguzzini nazi-fascisti siederanno ancora in un parlamento da essi oltraggiato per vent'anni.
Questi risultati non sono casuali, e il voto del 25 maggio non è il prodotto di una giornata nefasta. Ha votato il 94% degli elettori, praticamente tutti gli italiani che potevano votare, che non erano all'estero o si trovavano nell'impossibilità assoluta di dare il voto, o che erano morti fra la compilazione dei certificati elettorali e il giorno delle elezioni. Non c'è dubbio che i democristiani parleranno di un elevato senso di maturità civica e vanteranno le benemerenze di un popolo che compattamente si reca alle urne e decide con la scheda del suo destino. E da un certo punto di vista si può dar loro ragione. Niente da eccepire, infatti, se sommiamo i voti delle centenarie che vanno a votare per salvarsi l'anima, e sperano di ottenere un posto in paradiso favorendo i personaggi poco decenti indicati ad esse dal confessore; se apprezziamo i suffragi ottenuti con le scarpe spaiate, con i miracoli delle madonne pellegrine, con le calunnie del clero (dei radicali, favorevoli al controllo delle nascite, hann
o detto in chiesa che è un partito di infanticidi) con le canzoni repubblichine, con la promessa del sicuro avvento dei successori di Stalin, e talvolta anche di Stalin in persona. Per suggestioni di questo genere si è mosso a dare il proprio voto un popolo in cui esiste ancora un'altissima percentuale di analfabeti e in cui un terzo degli abitanti non legge nessun giornale, un popolo che considera la politica una cosa sporca cui non è il caso di dedicare un solo pensiero, ma che pure esercita in tale misura il suo diritto di voto come se sapesse davvero cosa vuole e perché lo vuole, spensierato, giulivo e disciplinato come non ne esiste un altro al mondo. E non si può dire che queste suggestioni siano state le sole da cui il nostro elettorato poteva essere mosso. La sinistra democratica e laica da anni aveva fatto conoscere all'opinione pubblica ciò che si cela dietro la facciata del regime, non dimenticandosi al tempo stesso di chiarire il genere dell'opposizione che comunisti e fascisti promuovevano contr
o il regime stesso. I rapporti tra Stato e Chiesa erano stati portati davanti al giudizio della nazione divenendo senz'altro il problema fondamentale della nostra vita politica. Erano stati denunciati innumerevoli casi di soperchierie e di abusi clericali, e le conseguenti abdicazioni dello Stato di fronte alla Chiesa. A maggior chiarimento non era mancato neppure il caso clamoroso del vescovo di Prato, che sembrò scuotere tutto il paese, unanime, così parve, nel condannare un prelato il quale aveva passato, e di molto, la misura consentita.
Nello stesso modo, con la stessa cura e sempre dalla stessa parte, si erano denunziati gli abusi del grande padronato, si era fatto comprendere ai cittadini come fosse impossibile far progredire economicamente e socialmente l'Italia finché tutta l'economia nazionale rimaneva nelle mani di un numero ristretto di grandi finanzieri che, grazie alla complicità dei governi, potevano fare e disfare tutto ciò che a loro piaceva. Nello stesso tempo erano stati rigorosamente indicati tutti quegli atti di corruzioni amministrative, di bassi favoritismi, di frodi, piccole e grosse, che il partito al governo non aveva temuto di commettere nei tanti anni della sua pessima amministrazione. E per tutti questi abusi, per quelli dei preti, per quelli dei ministri e dei padroni, la sinistra democratica non si era limitata a denunziare, a svelare, a criticare, ma aveva proposto concreti rimedi, articolati in proposte legislative, costituenti un programma di governo quale finora nessun altro schieramento politico era mai riusci
to o aveva mai voluto preparare. Ebbene, di tutto questo fervido lavoro, che sembrava aver suscitato consensi in ogni parte del paese, al momento del voto gli elettori sembrano esserci dimenticati totalmente. Il nostro popolo vota per i preti che afferma di detestare, per i padroni che odia, per i fascisti che teme, per la setta sterile dei comunisti con i quali non ha nulla in comune. Vota per gli imbrogli, per le violenze, per le ruberie sfrontate, per le nostalgie più fruste e sconfitte: poi si pente, protesta, afferma di aver capito, e il giorno delle lezioni si riversa a branchi alle urne e ricasca negli errori di sempre. Saremmo davvero tentati di dire che questo popolo ha proprio ciò che si merita.
Se non giungiamo a queste conclusioni è perché pensiamo ad un'Italia diversa, a un paese che può vantarsi di una tradizione culturale non inferiore a quella di nessun altro, che ha compiuto imprese meravigliose nel Risorgimento, nella lotta contro il fascismo, nella Resistenza. E' un'Italia fatta di minoranze ardenti, sempre detestate, sempre straniere in patria, una patria che sembra davvero quella degli altri; ma che può vantarsi di aver dato al paese tutto ciò che il paese di meglio ha saputo esprimere. Sia pure a prezzo di sacrifici gravissimi, di sconfitte acerbe e delusioni cocenti, queste minoranze da oltre un secolo spingono avanti faticosamente la nazione verso un avvenire di progresso e di civiltà, riuscendo ogni volta a farle raggiungere una condizione migliore di quella in cui la nazione ogni volta si trovava. Molti segni indicano che ancora oggi queste minoranze esistono e che la loto vocazione resta identica a quella del passato: occorrerà certo un lavoro lungo e penoso per fare del nostro paes
e una comunità libera, giusta e civile, ma in altri tempi minoranze simili a quelle di oggi, seppero conseguire traguardi apparentemente irraggiungibili. Per quelle di adesso è indispensabile resistere e non disperare.