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Pannella Marco - 22 marzo 1959
La logica schiacciante della III internazionale
di Marco Pannella

SOMMARIO: Viene qui riportato l'articolo di Marco Pannella, apparso nel 1959 su "Il Paese", cui risponderà in seguito Palmiro Togliatti (testo n. 327), che solleva un interrogativo centrale della storia politica italiana, se sia possibile cioé l'alleanza della sinistra democratica e di quella comunista per la difesa e lo sviluppo della democrazia. Nel rispondere per suo conto in modo positivo a questo interrogativo, Pannella afferma che è compito serio della sinistra democratica proporre, in un lavoro di elaborazione programmatica, la corresponsabilità del PCI, senza per questo chiedergli "garanzie" preventive di rottura delle proprie alleanze internazionali o di abiurare solennemente i propri dogmi, richieste queste che costituirebbe solo una "secca perdita di tempo". Sarebbe invece più urgente e necessario che i comunisti mostrassero un più preciso e spontaneo interesse ad una alternativa democratica di governo, cessando quindi di proporre mirabolanti politiche che nemmeno da soli potrebbero attuare, non c

onfondendo la volontà di realizzare uno Stato democratico, che è politica, con lo sdegno contro ogni ingiustizia e sofferenza, che è protesta morale oppure inseguendo, come fa l'on. Amendola, "una politica di alleanze richiamandosi all'atteggiamento che i comunisti assunsero fra il '43 e il '46 nei confronti della Chiesa e della monarchia. Vale a dire: una politica di compromesso con i monarchici ed i reazionari contro azionisti, socialisti e repubblicani; compromesso con i clericali sul Concordato, contro tutta la sinistra e i liberali".

[Sul dibattito suscitato da questo articolo di Marco Pannella vedi i seguenti testi: 2944, 2945, 2946, 327, 2947, 2948, 2949, 2950, 2951, 2952, 2953, 4141, 2954, 2955, 2956, 2957]

(NOTIZIE RADICALI n· 51 dell'11 marzo 1988 che ripubblica l'articolo apparso su IL PAESE del 22 marzo 1959)

Sono le cose, in Europa, a porre in modo drammatico l'interrogativo se sia possibile l'alleanza della sinistra democratica e di quella comunista per la difesa e lo sviluppo della democrazia. Chi come me ritenga di rispondere affermativamente ha il dovere di non ignorare le difficoltà ed i rischi di questa politica e di dichiararli, perché si superino.

Da decenni, ormai, poche lotte si sono combattute più aspre e continue di quelle che hanno opposto democratici e comunisti; non furono e non sono dissensi tattici.

Chiedetene agli anarchici e ai repubblicani spagnoli e comprenderete tra l'altro l'avventura, altrimenti incomprensibile, dell'antifascista Pacciardi e degli anarchici di Carrara che lo mandano in Parlamento; chiedetene ai socialisti di mezza Europa e tra questi all'on. Saragat e sentirete operante il giusto ricordo di Benes, di Masaric, di Nagy, della eliminazione fisica della classe dirigente socialista dell'Europa orientale; chiedetene ai socialisti d'oltralpe e ricorderete con loro l'atteggiamento dei comunisti francesi nel '39; chiedetene ai polacchi, ai socialisti lettoni, estoni, lituani, finlandesi, fino ai comunisti yugoslavi. Sono ricordi ancora vivi nella coscienza dell'antifascismo e sono rispettabili qualunque sia il grado di rinuncia o di debolezza raggiunto da alcune delle forze e degli uomini democratici di sinistra. Debbono capirlo i comunisti, e profondamente, quando, come oggi, chiedono in Europa una reale alleanza con i democratici e non più una generosa solidarietà frontista.

In Italia la situazione non manca di chiarezza. Prigionieri o decisi nemici del Pci fino a un recente passato, socialisti, radicali, e repubblicani annunciano, con buona pace dell'on. Vecchietti, uno schieramento unitario e tracciano ormai un programma di governo in alternativa a quelli democristiani. Non intendono escludere, né possono, i cattolici dal rinnovamento democratico, ma ne assumono essi l'iniziativa, contro l'attuale Dc. Proporre in questo lavoro una corresponsabilità del Pci; operare senza ipocrisie e senza paure in questo senso, è compito serio della sinistra democratica, cosciente della propria irriducibile autonomia non meno che del proprio diritto a porsi come forza che si candida al potere. Se per edificare in Italia uno Stato democratico e moderno, almeno quel tanto che è previsto dalla Costituzione, è necessaria una nuova maggioranza nel paese nel Parlamento perché, fra le altre, non verificare l'eventualità di un'azione comune della sinistra democratica, di una parte dei cattolici e dei

comunisti?

Dieci anni non sono trascorsi invano. Diversa, anche se non sempre grave, è la situazione internazionale; ma soprattutto diversa è quella italiana. Allora gran parte della cultura laica sembrava divisa fra la tentazione accademica e la frana su posizioni di sostegno al Pci; il socialismo sembrava destinato ad una funzione subordinata; lo stesso sindacalismo era mobilitato nella politica di guerra fredda; il Partito d'Azione era scomparso; ancora convogliate nel frontismo le giovani generazioni intellettuali: il Pci appariva da solo come una reale alternativa di regime, sull'onda della instaurazione violenta delle »democrazie popolari . Anche se nulla quindi sembra oggi mutato nel comunismo italiano sarebbe infantile non considerare il diverso contesto storico in cui è chiamato ad operare.

Ma come arrivare a una proposta, come scavalcare le obiezioni, i timori, i ricordi e lo smarrimento che si sono accumulati persino in chi, come noi, matura i giudizi che andiamo a esprimere?

Diciamo subito che nei confronti del Pci rifiutiamo la via della richiesta di »garanzie e di »chiarezze artificiose e antistoriche, così come, nell'ambito della sinistra democratica, non concordiamo con chi vorrebbe la rottura della Cgil e delle amministrazioni »frontiste : sappiamo d'altra parte che secca perdita di tempo si realizzerebbe col chiedere al Pci di rompere preventivamente le proprie alleanze internazionali o di accettare il Mercato comune o di abiurare solennemente i propri dogmi. Possiamo invece rilevare immediatamente che, se nell'ultimo Cc del Pci l'intervento dell'on. Amendola avesse tenuto luogo della relazione Pajetta e la sua posizione costituisse la base principale per un possibile incontro fra noi e i comunisti, ci sentiremmo gravemente scoraggiati in partenza. L'on. Amendola, infatti, propone al suo partito una politica di alleanze richiamandosi all'atteggiamento che i comunisti assunsero fra il '43 e il '46 nei confronti della Chiesa e della monarchia. Vale a dire: compromesso con

i monarchici ed i reazionari contro azionisti, socialisti e repubblicani; compromesso con i clericali sul Concordato, contro tutta la sinistra e i liberali.

Con tutta franchezza ci pare quanto meno inverosimile che un responsabile del Pci proponga di saldare legami, oltre che con l'on. Milazzo, con i democratici italiani usando di simili pezze di appoggio. Il valore di una eventuale alleanza politica (non solo tattica) fra sinistra democratica e Pci comporta operazioni e coscienza ben diversi.

Per rafforzarci, molti o poche che si sia, nelle nostre convinzioni che andiamo qui accennando, sarebbe sufficiente che i comunisti per il momento mostrassero un più preciso e spontaneo interesse ad una alternativa democratica di governo, cessando quindi di proporre mirabolanti politiche che nemmeno da soli potrebbero attuare. Essi sanno quanti sacrifici un popolo deve fornire per un avvenire migliore: dove sono al potere ne hanno chiesti, a volte, di immani. E la situazione italiana non richiede, per fortuna, altrettanto. Il migliore dei governi non potrà non graduare le riforme, non sacrificare interessi anche vasti, non fare »piani pluriennali . Sin d'ora è necessario annunciarlo chiaramente, non illudere alcuno, non confondere la volontà di realizzare uno Stato democratico, che è politica, con lo sdegno contro ogni ingiustizia e sofferenza, che è protesta morale. Sin d'ora chi vota per un'alternativa democratica deve sapere cosa può promettere e garantire a sé e all'intero paese. La sinistra democratica

e in modo particolare il Partito radicale vanno compiendo questo sforzo; la recente relazione dell'on. Pajetta e la risoluzione finale del Cc non mostrano questa consapevolezza.

Inoltre il Pci ci sembra adagiarsi su un pericoloso fatalismo (se non è calcolo) nel considerare la situazione europea nel cui contesto esso non può negare che le strutture economiche, il clima culturale e la realtà sociale italiana si muovono. Credere che i grandi monopoli e gli interessi reazionari controllino ormai ineluttabilmente l'economia europea e, attraverso questa, la politica dei vari stati nazionali, significa peccare per lo meno di disfattismo nell'ambito delle forze democratiche, operaie e proletarie europee. Riaffiora anche qui l'errore che i comunisti devono superare con maggior vigore: dai laburisti inglesi ai sindacati francesi, compresi quelli cattolici e quelli socialisti, alla socialdemocrazia tedesca, il potenziale democratico esiste. Sono questi gli interlocutori effettivi cui il Pci deve rivolgersi: non gli sparuti gruppi comunisti belgi, olandesi, scandinavi, inglesi che non rappresentano nessuna reale posizione democratica e popolare nei rispettivi paesi.

Ecco dunque due elementi immediati per l'utile avvio e per una seria meditazione che ritengo si possano intanto proporre.

Iniziare a discutere una comune politica fra comunisti e democratici, è, comunque urgente. Nessuna confluenza, nessuna soluzione è mai scontata nella storia e nella politica: la logica delle cose di per sé non è creatrice; quella degli uomini deve animarla, secondarla, dirigerla.

 
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