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Il Paese - 4 aprile 1959
Sinistra democratica e Pci (10)
Il dibattito suscitato dall'articolo di Marco Pannella su "IL PAESE" del 22 marzo 1959 (testo n.326) a cui replica il segretario comunista Palmiro Togliatti (testo n.327)

Intervista del repubblicano Mazzei: il P.R.I. e le alleanze di sinistra

SONDAGGIO DEL "PAESE" SULLA POSIZIONE DEI PARTITI

SOMMARIO: In questa intervista l'on. Vincenzo Mazzei, già deputato all'Assemblea costituente ed esponente dell'ala sinistra del PRI, ritiene che il processo evolutivo verso lo schieramento a quattro forze dei movimenti politici italiani, sia giunto ormai a maturazione pressoché completa.

(IL PAESE, 4 aprile 1959)

("E' naturale che una corrente democratica di sinistra, anche se può trovarsi in radicale contrasta con i comunisti su determinate questioni ideologiche e politiche, debba favorire tutte le Occasioni che possono condurre all'azione unitaria""

"Proseguendo nel sondaggio sulla posizione dei partiti, pubblichiamo oggi una intervista con l'on. Vincenzo Mazzei, già deputato all'Assemblea costituente ed esponente dell'ala sinistra del PRI.

Come già abbiamo detto in precedente occasioni, ci riserviamo di prendere posizione sui temi trattati negli interventi che si sono succeduti, a guisa di "Tribuna Libera", nel quadro del nostro sondaggio.

Nelle scorse settimane sono intervenuti nel dibattito l'onorevole Mario Zagari del MUIS (domenica 8 marzo), l'on. Tullio Vecchietti del PSI (venerdì 13 marzo), Marco Pannella del Partito radicale (domenica 22 marzo) e l'on. Palmiro Togliatti, segretario del PCI (giovedì 26 marzo).)

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D. 1) - "Con la formazione del Governo Segni e lo spostamento a destra del gruppo dirigente dc, è tornato a riproporsi in termini di particolare attualità, il problema di un largo e articolato schieramento di sinistra che - nel rispetto della autonomia di ciascun partito - si contrappone alla politica del Governo attuale. A quali condizioni potrebbe oggi formarsi tale schieramento? Quali sono le forze che, a Suo giudizio, possono e debbono farne parte?"

R. - La storia dei partiti della giovane democrazia italiana nel quinquennio degasperiano (18 aprile 1948 - 7 giugno 1953) è stata essenzialmente la storia di due errori: il frontismo socialcomunista e di correlativo frontismo della cosiddetta "solidarietà democratica" (quadripartito). Due errori che hanno viziato la vita politica italiana ed arrestato l'evoluzione dello schieramento dei partiti politici italiani verso il suo assetto fisiologico: il sistema a quattro grandi formazioni (una destra liberale conservatrice, il centro democristiano, una sinistra socialista e democratica, l'estrema comunista).

Il duplice frontismo di cui si è detto, ha creato una serie di equivoci dei quali ancora oggi i partiti e taluni dei loro maggiori esponenti fanno fatica a liberarsi. Ha creato lo spirito di crociata anticomunista, che come tutti gli atteggiamenti da crociata è incompatibile con una corretta democrazia e può giovare - come ha giovato - solo a creare artificiose tensioni interne ed oltranzistici atteggiamenti di politica internazionale, idonei a suscitare allarmi e paure, allarmi e paure che in Italia si risolvono nella stabilizzazione dell'egemonia politica della DC. Ha creato la profonda corruzione e degenerazione della stessa DC, fatta sicura di poter monopolisticamente governare il paese a tempo indeterminato; ha pregiudicato gravemente per lungo tempo, la possibilità di un'azione politica efficaci dei più vecchi e gloriosi movimenti politici italiani (PRI, PSI, PLI). Ha reso impossibile, attraverso la rigida contrapposizione di due fronti eterogenei, le naturali convergenze ed unificazioni di forze e di

movimenti minori che frazionati non hanno, oltretutto, la possibilità di raggiungere quel minimo di efficienza organizzativa che nei contemporanei regimi di massa è condizione assoluta di valida azione dei partiti politici, i quali in mancanza si isteriliscono o, peggio, degenerano in clientela.

Oggi - specie dopo la Costituzione del Governo di centro-destra dell'on. Segni - siamo in una fase politica di piena fluidità e di riassestamento. Il processo evolutivo verso lo schieramento a quattro forze dei movimenti politici italiani, è ormai giunto a maturazione pressoché completa. Sembra imminente l'unificazione dei monarchici, la quale peraltro per avere apprezzabili conseguenze e risultati, dovrebbe essere seguita da una stretta intesa con il PLI, che appare il solo Partito capace di guidare adeguatamente la destra conservatrice. La DC in piena crisi, conseguentemente alla rottura del comodo schermo quadripartito formula ideale dell'imperio bianco-fiore, cerca faticosamente la sua strada ed è costretta a discutere sul serio di politica, cioè a fare delle scelte. Ma poiché la scelta per la DC, che deve la sua unità alla base confessionale, sono un pericolo grave, mi sembra facile prevedere che il partito di Moro tenterà con ogni mezzo, ed anche a breve scadenza di resuscitare il centrismo quadriparti

tico; e non è detto che il tentativo non riesca.

In tale situazione, è ovviamente decisiva l'azione che il PSI, il MUIS ed altri gruppi della sinistra democratica, vanno svolgendo per la riunificazione in unica formazione, capace di porre un'alternativa di potere alla DC, tutte le forze sinceramente sollecite del progresso e della giustizia sociale. E' chiaro che questa formazione unitaria deve abbracciare il PSI, il MUIS, la sinistra repubblicana che non ha mai fatto mistero dei suoi sentimenti socialisti, e la parte più avanzata del Partito radicale che sostiene la necessità dell'inserimento attivo di questo movimento nel processo di unificazione socialista e democratica.

D. 2) - "A proposito di questo problema, si sono delineate nei giorni scorsi due posizioni differenti: quella che sostiene l'opportunità di un dialogo fra "sinistra democratica" e PCI, così da allargare lo schieramento delle forze che combattono il monopolio democristiano; e quella che concepisce invece la "alternativa democratica" come una posizione di terza forza, basata sulla rigida pregiudiziale anticomunista. Quale è in merito la Sua opinione?"

R. - La normale e corretta dialettica democratica comporta che ciascun partito o movimento veda degli "avversari" negli altri partiti, ma non consente, anche per il rispetto dovuto all'unità e alla sovranità del popolo ed ai doverosi legami di solidarietà fra tutti i cittadini della Repubblica, che un partito si consideri "pregiudizialmente" avverso ad una "determinata" parte politica, ossia "nemico" di un altro partito.

Il principio di tolleranza, che è il fondamento primo della democrazia, comporta che venga bollata come faziosità l'avversione pregiudiziale contro un altro partito che abbia, legalmente diritto di cittadinanza nell'arengo democratico e regolare rappresentanza in Parlamento.

E' naturale poi, che una corrente democratica di sinistra, e ancor più chiunque abbia sentimenti socialisti, anche se può trovarsi - come è naturale - in radicale contrasto con i comunisti su determinate questioni ideologiche e politiche, debba sempre ricercare e favorire tutte le occasioni che possano condurre di volta in volta all'azione unitaria, per finalità determinante, delle forze che rappresentano i ceti più disagiati del Paese.

Peraltro ciò non significa che la sinistra democratica non debba essere concepita come terza forza, che quindi ben potrebbe in determinate condizioni essere impegnata in una aperta lotta politica su due fronti: sia perché se così non fosse verrebbe avvalorato il giudizio di coloro che la sinistra democratica vedono condannata "a priori" ad una posizione di satellite del Partito Comunista, e risorgerebbe lo equivoco frontista più o meno camuffato; sia perché l'essere forza "autonoma" implica per necessità logica assoluta la possibilità di trovarsi in contrasto con qualsiasi altra forza politica, nessuna esclusa.

In altri termini, la politica di terza forza non implica affatto una pregiudiziale anticomunista, come non implica una pregiudiziale antidemocratica. Anzi vi è di più: la politica di terza forza, per la stessa possibilità del suo concreto dispiegarsi e per l'imperiosa urgenza di rafforzare la istituzioni parlamentari e la possibilità di governo del Paese, impone l'esclusione anticomunista che antidemocristiana.

Mi sembra d'altra parte prevedibile che il problema dei rapporti tra sinistra democratica e comunisti, che spesso viene drammatizzato ad arte, sarà semplificato enormemente quando avremo in Italia un'ampia formazione socialista e democratica con forze pari a quella comunista in quanto l'equilibrio delle forze porterà come conseguenza reciproco rispetto e comprensione delle rispettive esigenze ed ampie possibilità di colloquio nella netta e precisa differenziazione dei compiti e degli ideali politici.

D. 3) - "Quale ruolo specifico possono svolgere nell'attuale situazione i repubblicani e i radicali, per contribuire ad un libero e pieno sviluppo democratico del nostro Paese?"

R. - Ritengo che, a parte lo sforzo di concreta e costruttiva disamina di taluni cardinali problemi dello stato democratico contemporanei e di critica aperta a luoghi comuni e sorpassati miti ideologici ancora così diffusi negli ambienti culturali della sinistra italiana, repubblicani e radicali debbano anzitutto impegnarsi a far diventare realtà la "sinistra democratica" di cui tanto si parla, trovando la strada almeno per un'intesa permanente (non solo ai vertici) con il PSI. Una volta postosi il PSI su posizioni prettamente democratiche - come ho già avuto occasione di sostenere nel Consiglio nazionale del PRI del 1957 e nel Congresso di Firenze dello scorso anno - vengono a cadere le fondamentali divergenze ideologiche e programmatiche tra repubblicani e socialisti.

Si sa che i motivi principali di dissenso tra i due storici partiti dalla sinistra italiana - a parte quelli caduti precedentemente (polemica antipatriottica dei socialisti, scarso valore da loro attribuito alla questione istituzionale, preclusione alla partecipazione al governo con i partiti "borghesi") - erano essenzialmente rappresentati dal "centralismo" dei socialisti dal mito della dittatura del proletariato, dalla loro tattica "del tanto peggio tanto meglio", dal frontismo del massimalismo, motivi tutti abbandonati dal PSI nella sua meditata conclusione ideologica e politica più recente. D'altra parte - ma questo sarebbe discorso lungo - la stessa struttura sociale italiana, per la mancanza di una piccola borghesia di forti ed autonome tradizioni democratiche, non consente la creazione di un efficiente partito radicalsocialista accanto a quello socialista, come vi è stato in passato nella vicina Francia.

Al di fuori di una attuosa politica di realizzazione della convergenza delle forze democratiche e socialiste in unica formazione, non resterebbe ai repubblicani e radicali che una politica di repubblicanesimo moderato, cioè di mera conservazione delle istituzioni repubblicane esistenti, che non consentirebbe neppure una conseguente ed organica attuazione della Costituzione, politica indubbiamente possibile ma evidentemente inaccettabile da uomini di sinistra.

 
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