Il dibattito suscitato dall'articolo di Marco Pannella su "IL PAESE" del 22 marzo 1959 (testo n.326) a cui replica il segretario comunista Palmiro Togliatti (testo n.327)Intervista con l'on. Bartesaghi sulla crisi del partito cattolico
SOMMARIO: Coscienza "laica" e schieramento "laicista" - Fronte laico e blocco clerico-conservatore: una contrapposizione da deprecare e respingere. L'unità politica dei cattolici è già di fatto rimessa in discussione
"Proseguendo nel "sondaggio" avviato dal nostro giornale (in precedenza abbiamo pubblicato gli interventi di Zagari per il MUIS, di Vecchietti per il PSI, di Pannella per il PR, di Togliatti per il PCI, di Mazzei per il PRI e di Mazzali ancora per il PSI) abbiamo ancora rivolto alcune domande all'on. Ugo Bartesaghi, deputato indipendente membro del gruppo comunista della Camera, sul tema della crisi del movimento politico cattolico. Ecco il testo delle nostre domande e delle risposte che l'on. Bartesaghi ha gentilmente acconsentito a darci"
(IL PAESE, 23 aprile 1959)
1) "Con la crisi dell'esperimento Fanfani e la formazione del governo Segni, una distinzione relativamente semplice e netta si è stabilita nello schieramento politico italiano: da un lato, nella maggioranza, la DC e le destre; dall'altro, all'opposizione, l'insieme dei partiti schierati alla sinistra della DC, che sono tutti, sia pure con ben diversi accenti, partiti di tradizione laica. Lei pensa che questa situazione abbia come inevitabile conseguenza il contrapporsi di uno schieramento "laico" a un blocco clerico-conservatore, o crede che rimanga ugualmente aperto il problema di sollecitare e promuovere il contributo" anche "di forze del mondo cattolico a una politica di sviluppo democratico?"
1) Mi sembra che, a questa domanda, si imponga innanzitutto e immediatamente una risposta netta e chiara: per una politica di sviluppo democratico del paese, non è che rimanga aperto il problema di sollecitare e muovere il contributo "anche" alle forze del mondo cattolico; e che senza il concorso, meglio che il contributo, senza la partecipazione decisamente impegnata delle forze del mondo cattolico, nella loro parte e nella loro responsabilità sostanziali, una politica di reale e stabile sviluppo democratico del paese non è neppure pensabile in modo concreto. Mi sembra, questa, una prima risposta che si debba imporre con evidenza a tutti, che non abbia neppure bisogno di essere ragionata per essere persuasiva: basta guardare a quella che è la realtà italiana, e rispettare il significato della parola "democratico".
Premesso questo, mi sembra che la "distinzione" presentata e rappresentata dall'attuale schieramento politico, o meglio parlamentare, di maggioranza e di opposizione, sia solo apparentemente e superficialmente semplice e netta. Direi infatti, che, secondo un significato moderno, preciso ed effettivo, secondo un contenuto proprio e non soltanto polemico, il termine di "laicità" e la qualifica di "laico" non si possono ridurre a una antitesi del termine "confessionale", e comunque non colgano e non rivelino, in questa sola antitesi, tutto il valore, tutta la portata, e il vero ed essenziale rigore, della posizione politica che dovrebbero definire e significare. "Laicità" e "laico", nel loro contenuto reale, sostanziale e permanente esprimono e devono esprimere una concezione, una coscienza e un "senso" dello Stato completamente e decisamente affrancato, e risoluti ad affrancarsi sempre, da qualsiasi subordinazione passiva o mortificazione del suo interesse, inteso come interesse della collettività, e da qualsi
asi rinuncia dei suoi doveri, di fronte a posizioni ideali e pratiche, a istituzioni o a forme di interessi costituiti, che non abbiano la responsabilità o abbiano perduto la capacità di tutelare quell'interesse e di adempiere quei doveri, o che comunque creino contrasto con l'uno o con gli altri.
Il discorso dovrebbe esser lungo: ma mi pare di per sé e subito chiaro che, secondo un concetto così indicato, "laicità" e "laico" si identificano necessariamente con la volontà e con la capacità effettiva di interpretare, di affermare e di soddisfare, in un determinato momento storico e nelle relative contingenze politiche, sul piano delle dirette responsabilità, le esigenze complessive di sviluppo e di progresso di un popolo, della sua coscienza, delle sue istituzioni, delle sue forme di vita. Se non sono questo, se dietro non sta questo, senza restrizioni, senza compromessi, senza inganni, i termini di "laicità" e di "laico" non sono termini veri, e le distinzioni e le contrapposizioni che pretendono richiamarvisi sono, in tal caso, delle illusioni, o delle mistificazioni addirittura.
Ecco, riprendendo il riferimento concreto alla presente situazione politica italiana, perché il partito liberale, partito anch'esso "di tradizione laica", affianca tranquillamente, ha concorso anzi decisamente a rendere possibile, la più sfacciata formazione di governo clerico-reazionario della vicenda politica italiana. Ma ecco anche d'altro lato, quello che, in realtà, allo stato attuale, rende soltanto apparente l'"unità laica" delle forze ora all'opposizione, quello che può infrangerla da un momento all'altro, e che mantiene un po' da tutte le parti la confusione e l'equivoco fra "laicismo", cioè un puro e semplice - e sterile - atteggiamento negativo in una determinata antitesi polemica e l'autentica e piena positiva "laicità", in tutto il suo impegno senza riserve, senza ipocrisie, come senza presunzioni esclusive, di fronte ai problemi di un autentico rimodernamento della società, senza quelle presunzioni esclusive, che si risolvono poi in effettive e continue capitolazioni.
Ecco perché una "laicità" autentica e costruttiva è possibile solo per quelle forze che si propongano, e si dimostrino capaci, di promuovere e di realizzare, una confluenza e una sintesi che non lasci estranea nessuna delle grandi correnti, nessuno dei grandi movimenti politici, in cui si esprimono nella loro interezza i bisogni e la coscienza del popolo.
Se questo è vero, non solo non può essere "inevitabile conseguenza" della situazione attuale il contrapporsi di uno schieramento "laico", così come essa porta a vederlo e a intenderlo, a un blocco clerico-conservatore, ma una tale eventualità, come fissazione e irrigidimento di termini della dialettica politica, è da deprecare assolutamente e da combattere in maniera decisa per ogni democratico convinto. Sulla base di una tale contrapposizione, infatti, non si riuscirebbe mai a inserire in un processo veramente democratico le grandi masse cattoliche del nostro paese, si ribadirebbe la loro sudditanza al peggior confessionalismo in funzione grettamente conservatrice, si darebbe un colpo fatale di arresto allo sviluppo democratico. Le forze cattoliche devono maturare una "loro" "laicità", e con essa entrare come parte determinante nella politica destinata e ad attuare questo sviluppo.
2) "La storia della DC in questi anni è anche la storia dei ricorrenti immancabili fallimenti di tutte le tentate esperienze di sinistra democristiana. A suo avviso, le ragioni di questi fallimenti vanno ricercate essenzialmente sul terreno delle scelte politiche immediate, o essi hanno anche più profonde radici ideologiche?"
2) La "sinistra democristiana" è un po' il rovescio della medaglia "laica" di cattivo conio che ho cercato di mettere in luce nella prima risposta e, come ogni rovescio, fa tutto uno, in definitiva, con il diritto. Come i "laici" che sono in realtà solo dei "laicisti" - socialdemocratici, repubblicani, radicali, e tutti quelli disposti o inclini ad accostarsi più o meno alle lor posizioni - smentiscono, in principio e in fatto, la loro, pretesa "laicità", o sono pronti a smentirla, sul terreno del compromesso remissivo e rinunciatario con le forze che si oppongono al reale progresso democratico in uno Stato che sia veramente tale per tutti: così la "sinistra democristiana" smentisce ogni sua autenticità rimanendo prigioniera della discriminazione politica, illudendosi di poterla soltanto limitare senza rinnegarla e respingerla. E' per questa duplice e convergente insincerità che "sinistra democristiana" e "laicisti" sono portati e attratti a incontrarsi e ad allearsi per controllare (non per realizzare) uno
Stato che, il più insidiosamente antidemocratico e il meno "laico" che si possa immaginare. Rilevare e chiarire questo mi pare preliminarmente più importante che non cercare di spiegare i successivi fallimenti, fin qui, delle esperienze di "sinistra democristiana": perché potrebbe darsi che, complicità diverse e nuove aiutando, in un futuro più o meno prossimo qualche altra analoga esperienza non dovesse "fallire", pur non uscendo dal vizio e dallo equivoco fondamentali.
Quanto all'errore e alla debolezza essenziali della "sinistra democristiana", più che essere di natura propriamente ideologica, mi sembrano consistere in un vizio morale. In questo senso: di fronte alle evidente insostenibilità dell'ordinamento sociale attuale, la "sinistra democristiana" non ha il coraggio di riconoscere che non c'è alcuna possibilità di rinnovarlo, veramente se non intraprendendo il cammino con tutti coloro che di questo ordinamento sono stati e sono le vittime, accettando la piena legittimità delle forme e delle forze in cui storicamente si sono organizzati per ribellarvisi, ed elaborando insieme, con i rischi inevitabili, le esperienze necessarie per uscirne. La "sinistra democristiana" vuole e cerca una soluzione "preventivamente" tranquilla e ben ordinata, senza problemi gravi e prove difficili per la sua coscienza: una storia di "casa sociale" prefabbricata, col suo posto, garantito il più largo possibile, per tutto il bagaglio che essa intende portarsi con sé e conservarsi intatto. V
orrebbe, in una parola, i benefici della ribellione e della lotta altrui contro l'ingiustizia e il disordine della società, come un pacifico e gratuito risultato. E' l'errore di tutte le posizioni ideologiche le quali non sanno essere veramente sé stesse, e di conseguenza non sanno e non vogliono riconoscere e accettare coraggiosamente la verità e la forza delle altre.
3) "Per effetto della crisi che ha travagliato la DC negli ultimi mesi, delle crepe profonde sono affiorate nel macchinoso edifico del blocco politico cattolico. Può ciò significare che si avvia a essere rimessa in discussione la cosiddetta "unità politica" dei cattolici?"
3) Credo si debba dire che la "unità politica" dei cattolici, così come si è intesa e fatta valere fin qui, è già "di fatto" rimessa in discussione, poiché ormai non vi è più alcuna possibilità di illudersi sulla esistenza e sulla validità di una qualsiasi forma politica sufficientemente mediatrice, capace di contenere e di equilibrare sopportabilmente le eterogenee forze e le opposte spinte sociali giunte a contrasti così apertamente, anche se tutti irrisolutamente, nel partito cattolico. La fine della "politica di centro" è, sotto questo aspetto, irrimediabile. Come possa manifestarsi, a quali sviluppi, sul piano organizzativo delle formazioni politiche, possa dar luogo questa che, nella realtà delle cose, è già la crisi della "unità politica" dei cattolici, è difficile dire e prevedere, in una situazione complessa e, per le forze, e l'avvenire delle forze cattoliche operanti politicamente, dominante e decisive come quella italiana. Riterrei di escludere che ci si possa aspettare, a una scadenza più o meno
prossima, una vera e propria scissione, con la formazione in sede nazionale di un secondo partito di definizione cattolica, anche in rapporto a ciò che mi è parso di dover osservare riguardo alla "sinistra democratica": né d'altra parte, una tale eventualità avrebbe, rispetto alle questioni fondamentali, quegli effetti e quella efficacia di chiarificazione che molti un po' frettolosamente si immaginano. Piuttosto, dato che il centro vero del problema politico italiano è il progressivo raggiungimento di una intesa politica fra il complesso delle forze cattoliche, in quanto rappresentanti di una parte essenziale delle classi popolari, e lo schieramento delle sinistre, sulla base di una effettiva e comprensiva "laicità" dello Stato accettata e garantita da entrambe le parti; e dato che già, al di fuori della unità organizzativa di un partito cattolico e dello elettorato che esso mobilita, esiste di fatto una molteplicità di orientamenti politici dei cittadini italiani cattolici: sulla base di queste due consta
tazioni, si può prevedere, mi sembra, nel prossimo avvenire, un accentuarsi e un accrescersi di proporzioni, in varie e opposte direzioni, di quest'ultima realtà, anche e soprattutto per effetto degli sviluppi della crisi interna della DC, e, di conseguenza, l'evolversi di una situazione che costringa in modo sempre più pressante e inevitabile il partito cattolico ad affrontare, senza più schermi né pretese esclusivamente e discriminatorie, quel problema centrale. Naturalmente, si ripeteranno e si moltiplicheranno ancora, con maggior accanimento anzi, i più diversi tentativi per sfuggire a questa necessità, e si cercherà di guadagnare ad essi ogni sorta di alleati. In rapporto a ciò, e per evitare che tali tentativi abbiano dei successi a tutti dannosi, ha importanza anche il mantenimento, con una politica intelligente, di una opposizione il più possibile articolata, e in ciò unitaria del complesso di forze rappresentate dai partiti di sinistra e di centro-sinistra, come elemento di pressione sulla evoluzion
e necessaria del partito cattolico; purché non ci si inganni sugli obiettivi finali e sulle condizioni per raggiungerli, e questa fase la si conduca per avvicinarli, e non in modo da comprometterli.