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Il Mondo - 16 febbraio 1960
FASCISMO '60
(TACCUINO, Il Mondo)

SOMMARIO: Pone la domanda se l'Italia non si trovi "alla vigilia di un nuovo '22." Certo "nessun fenomeno può ripetersi identico", ma la situazione italiana presenta problemi gravi, con il persistere di uno "spirito antidemocratico, la tendenza all'autoritarismo, la pressione degli interessi economici..." e sopratutto "la volontà di potenza di un corpo come la gerarchia ecclesiastica...estraneo alla società organizzata e allo Stato..." Il vero prlblema italiano è costituito insomma dalla "degenerazione clerico-fascista" dello Stato. "C'è obiettivamente una coalizione clerico-fascista nel paese. I rapporti politici instaurati dal governo Segni con le destre, all'insegna formale dello stato di necessità, la esprimono soltanto imperfettamente, ma la soatanza non è dubbia".

Pone la questione a quei vecchi "popolari" dal passato intemerato, ai resistenti, ai sicuri antifascisti che pure militano nella DC ma che sembrano "succubi degli sviluppi involutivi della situazione". ["Taccuino", quindi anonimo].

(IL MONDO, 16 febbraio 1960)

Siamo o meno alla vigilia di un nuovo '22? Non si tratta di un problema accademico. Ma a distanza di quarant'anni, in condizioni storiche profondamente differenti, nessun fenomeno può ripetersi identico, ripresentando lo stesso fondo sotto le stesse caratteristiche formali. E nessuno può pensare che dopo vent'anni di fascismo vissuto, la guerra perduta, la lotta partigiana, la fine miserabile dei vecchi idoli, l'Italia possa ripetere eguale, per la seconda volta, l'esperienza fascista che ha già storicamente vissuto e che è, obbiettivamente, un'esperienza di violenza e di lacrime.

D'altra parte, l'inserimento nella vita pubblica italiana del movimento unitario dei cattolici, alterando la fisionomia tradizionale della nostra lotta politica, ha rotto certi rapporti per instaurarne altri, ha deviato dal vecchio corso e spinte e stati d'animo eversivi, ha creato nuove ambizioni e nuove forze di dominio, ha assorbito esperienze e volontà che ebbero altre volte altra espressione, in maniera tale che dal movimento cattolico, non dal MSI, parte oggi il pericolo. Insomma il fascismo degli anni sessanta non può essere il fascismo degli anni venti: ma non per questo il fenomeno del '60 è qualcosa di profondamente diverso da quello del '20. E' finito il fascismo delle squadre d'azione, della violenza combattentistica, del nazionalismo esasperato: è rimasto - e in qualche misura - lo spirito antidemocratico, la tendenza all'autoritarismo, la pressione degli interessi economici; e c'è, inoltre essenziale novità in una situazione dominata dalle forze cattoliche, la volontà di potenza di un corpo, co

me la gerarchia ecclesiastica, con i suoi organismi e i suoi laici, estraneo alla società organizzata a Stato, e proprio perché estraneo o intrinsecamente sopraffattore.

I caratteri formali del movimento che rovesciò il regime democratico quarant'anni fa sono mutati; il colpo di Stato è un obiettivo che oggi non ha più senso. Ma che l'attacco esterno del fascismo allo Stato sia divenuto l'interna degenerazione clerico-fascista dello Stato, nulla toglie all'essenziale, se non in questo: che ha reso più difficile riconoscere un pericolo che è identico. Assistiamo, così, a una sciagurata dimenticanza: quella degli uomini di parte cattolica che già furono antifascisti, e che oggi sono schierati sulle posizioni del nuovo fascismo. C'è obiettivamente una coalizione clerico-fascista nel paese. I rapporti politici instaurati dal governo Segni con le destre, all'insegna formale dello stato di necessità, la esprimono soltanto imperfettamente: ma la sostanza non è dubbia. E chi si trova a difendere questa coalizione, questi sviluppi, questa paurosa prospettiva della vita italiana. Troviamo vecchi "popolari" dal passato intemerato, figure della lotta antifascista, capi partigiani che fu

rono tra i migliori. Ecco Gonella, lo scrittore degli "acta diurna", che giunge ad attaccare violentemente Moro per le sue esitazioni dinanzi al governo appoggiato dai fascisti. Ecco Zaccagnini, capo partigiano dell'Emilia, ecco Sarti, giovane resistente del cunese, divenuti accanito sostenitori degli accordi con i fascisti. Ecco Taviani, leader della resistenza cattolica a Genova, e con lui Russo, fedelissimo di Segni. Ecco perfino Marazza, membro del supremo CLN dell'alta Italia. Ecco Scelba, Tupini, Spataro, vecchi uomini legati come De Gasperi all'esperienza democratica del partito popolare. E troviamo in senato Cadorna, troviamo Bo e Del Bo al ministero, Zoli, malgrado tutto, leader della maggioranza a Palazzo Madama, Salizzoni ala vice-segreteria del partito, incapaci di un gesto decisivo, succubi degli sviluppi involutivi della situazione, inetti come gli altri a comprendere, o desiderosi di non vedere la portata reale del pericolo. E con ciò? Credono forse tutti, poiché al posto dei manganelli abbiam

o Andreotti, e invece di un capo rivoluzionario come Mussolini c'è, un piccolo ragioniere come Michelini che la situazione sarà diversa? Non sarà diversa per chi voglia mantenersi fedele alle idee e alle ispirazioni etico-politiche delle vecchie battaglie. Anch'essi pagheranno. Tutti gli antifascisti della DC, tutta la sinistra cattolica pagherà, insieme alle altre forze democratiche se non avrà la capacità di muoversi finché è in tempo.

 
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