(TACCUINO, Il Mondo)SOMMARIO: E' uno dei "Taccuini" del settimanale, quindi è anonimo. Vi si sostiene che, in Italia, il,giornalista politico - quello che scrive per la prima pagina del quotidiano - può contare al massimo su millecinquecento lettori veri. Sono "i ministri, i sottosegretari, i parlamentari, i giornalisti del ramo, i dirigenti di partito, i sindacalisti, alti prelati e qualche industriale..." Tutto il sistema giornalistico e d'informazione italiano "è organizzato sul rapporto tra il giornalista politico e quel gruppo di privilegiati". Di quì l'atmosfera di "recita in famiglia", fatta sopratutto di allusioni, che vige in tale piccolo esclusivo mondo.
Ma forse, continua l'anonimo estensore del "Taccuino", il calcolo di millecinquecento lettori è ottimistico. Quanti lettori, infatti, sarebbero capaci di comprendere certe polemiche (qui ricorda quella sulle "convergenze" svoltasi tempo prima tra Fanfani, Saragat, Malagodi, Moro e La Malfa...) certe allusioni, la minuta cronaca di Montecitorio che fanno i "pastonisti"? I quali, mentre non perdono una battuta di capigruppo o di deputati qualsiasi, nemmeno si accorgono, ad es., del libro di Domenico La Cavera dove viene narrata "la storia vera dei conflitti di interesse che muovono dietro le quinte la lotta politica siciliana".
Riporta infine l'episodio del Presidente del Consiglio il quale sostiene che l'Italia è appena uscita "da giorni tormentosi" durante i quali "grossi pericoli" hanno "rimesso in discussione le faticose conquiste degli ultimi quindici anni" senza che affermazioni così gravi vengano discusse, o adeguatamente riportate dalla stampa.
Per quanto sia giusto e doveroso seguire il dibattito politico quotidiano,conclude, "ogni tanto, in questo mare di mistificazioni e di ipocrisie cascano le braccia".
(IL MONDO, 30 maggio 1961)
Quanti italiani leggono ancore le cronache politiche dei giornali? Due anni fa il corrispondente di uno dei più diffusi quotidiani calcolò che un giornalista politico, nel nostro paese, può contare su circa millecinquecento lettori: i ministri e i sottosegretari, i parlamentari, i giornalisti del ramo, i dirigenti di partito, sindacalisti, alti prelati e qualche industriale che vuole mostrarsi informato.
"Il resto - continuava il corrispondente - non conta anche il se il giornale vende trecentomila copie. Prima di tutto non è accertato che i lettori comuni leggano le prime pagine dei giornali, e in ogni caso la loro influenza è minima. Tutto il sistema è organizzato sul rapporto tra il giornalista politico e quel gruppo di privilegiati. Trascurando questo elemento ci si esclude la comprensione dell'aspetto più caratteristico del nostro giornalismo politico, forse dell'intiera politica italiana: è l'atmosfera delle recite in famiglia, con protagonisti che si conoscono sin dall'infanzia, si offrono a vicenda le battute, parlano un lingua allusiva e, anche quando si detestano si vogliono bene".
Ma il calcolo è di due anni fa e nel frattempo diremmo che la situazione si sia ulteriormente deteriorata. Quanto lettori sono riusciti a seguire la polemica sulle "convergenze" svoltasi nelle settimane scorse tra Fanfani, Saragat, Malagodi, Moro e La Malfa? E quanti, soprattutto, hanno potuto rendersi conto di ciò che essa realmente implicava? C'è davvero qualcuno che può assicurare in coscienza di aver tenuto dietro a tutta la girandola di dichiarazioni, voti di fiducia, riunioni pubbliche e segrete, viaggi e sondaggi a Roma o a Palermo che alimentano da alcuni mesi il pasticcio siciliano?
I "pastonisti" non perdono una battuta dell'on. D'Angelo o del capogruppo Pignatone. Ne va del loro prestigio personale se una sera dimenticano di inserire nella loro nota l'indicazione di tutti i colloqui che l'on. Moro ha avuto nella giornata. In compenso nessuno s'accorge del libro di Domenico La Cavera ("Liberali e grande industria nel mezzogiorno") dove avrebbero potuto trovare, raccontata da uno dei protagonisti della vicenda, la storia vera dei conflitti di interesse che muovono dietro le quinte la lotta politica siciliana.
Anche l'anno scorso, proprio di quest'epoca, i giornali dicevano tutto dell'attività ufficiale del presidente del Consiglio. Non perdevano una battuta del calendario degli incontri a Piazza del Gesù e dei colloqui intrecciati nei corridoi di Montecitorio tra gli esponenti delle varie parti politiche. Naturalmente c'era l'indicazione dei colloqui e degli incontri e le piacevolezze che gli interessati si degnavano di comunicare ai giornalisti. Non c'era niente che servisse a illuminare veramente su quanto si era detto o fatto in quelle riunioni. E continuò a non esserci niente qualche settimana dopo quando il paese si trovò, senza accorgersene, sull'orlo della guerra civile.
Varrebbe la pena, un giorno o l'altro, di fare una piccola ricerca sull'atteggiamento che la stampa, la radio e la televisione, gli uomini politici, chiunque aveva modo di essere in contatto col pubblico, mantenne in quei giorni. Ecco un tema per i sociologi della "comunicazione di massa". Ecco per esempio a portata di mano per studiare la dinamica di regime in un società come la nostra, cui formalmente non manca nulla per essere definita liberale e democratica. Un paio di mesi dopo il nuovo presidente del Consiglio in un discorso di propaganda elettorale disse di sfuggita, quasi si trattasse di questioni ormai sviscerate e note a tutto il mondo, che l'Italia era appena uscita da giorni tormentosi, durante i quali grossi pericoli avevano rimesso in discussione le faticose conquiste degli ultimi quindici anni. Quali pericoli, quali tormenti, e perché i protagonisti avevano taciuto, con quale diritto ne parlavano soltanto ora (e si facevano vanto di averli sventati) soltanto a cose fatte?
E' lecito, di fronte a questi esempi, rimettere in discussione come viziato di eccessivo ottimismo anche il calcolo dei "millecinquecento lettori". Forse non ne sono rimasti neppure mille, neppure qualche centinaio. Ci consideriamo, per necessità professionale, degli specialisti. Ma dobbiamo ammettere che anche per noi la lettura dei quotidiani, il dovere di seguire battuta per battura il kafkiano svolgimento della politica italiana si fa ogni giorno più faticoso e insopportabile. Eppure ci crediamo, siamo convinti che nessuno si può disinteressare della politica del proprio paese, ogni tanto ce la prendiamo con il pubblico che pensa ad altro, che si annoia e che, se apre un giornale, volta subito pagine alla ricerca della sezione sportiva o degli spettacoli. Tutto giusto, e bisogna continuare a seguire, a irritarsi, a insistere. Ma ogni tanto, in questo mare di mistificazioni e di ipocrisie, cascano le braccia.