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Gardi Manlio - 31 ottobre 1961
Dove va il centro-sinistra?
di Manlio Gardi

SOMMARIO: L'autore illustra le condizioni programmatiche che la sinistra chiedeva al Partito radicale di mantenere e rilanciare intransigentemente nel momento in cui ampi settori della sinistra democratica, in particolare socialisti e repubblicani, si apprestavano a dare il loro assenso e la loro partecipazione al governo di centro-sinistra. Gardi rievoca gli avvenimenti politici di rilievo accaduti nelle ultime settimane, dalle dimissioni del governo Segni alle giornate del luglio che avevano visto l'insorgere di una massiccia rivolta popolare diretta contro il governo Tambroni sostenuto dal MSI, fino al conferimento all'on. Fanfani dell'incarico governativo. Gardi quindi rievoca il secondo congresso del Partito radicale svoltosi nel maggio 1961, che vedeva "ufficialmente" costituirsi la "corrente di sinistra" (vedi la scheda su "Sinistra Radicale", a.b., nel testo n. 3669), delle cui intransigenti posizioni avevano dovuto prendere atto, "sia pure per svuotarne il contenuto", gli organi dirigenti del partit

o. Infine, Gardi analizza le prospettive che si aprono dando per scontato l'avvento del centro-sinistra, e conclude riaffermando la stretta necessità che il dialogo con i cattolici avvenga solo dopo il "preventivo chiarimento dei rapporti tra Stato e Chiesa". (I titoletti presenti nel testo originale sono redazionali).

(SINISTRA RADICALE N. 1, ottobre 1961)

"Qualunque dialogo politico con i cattolici" "in condizioni di dignità" "è impossibile se si deve rinunciare al preventivo chiarimento dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa, a risolvere - in altri termini - il problema stesso della autonomia dello Stato e della sua indipendenza".

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Se è sempre attuale il monito del Foscolo che esortava gli italiani alle storie, questo sembra proprio il momento, amici radicali, di esortarvi "alle cronache".

Ed è anche fin troppo agevole - sempre parafrasando il Foscolo - darvene la ragione col proseguire: "...perché niun partito più di voi può mostrare più difficoltà da superare, più errori da evitare, né più virtù che vi facciano rispettare, né più grandi anime degne di essere liberate dalla oblivione...".

Celie a parte, valutare la situazione politica che si è venuta maturando nel nostro Paese in questa "lunga estate calda" senza aver bene presenti gli avvenimenti che negli ultimi diciotto mesi l'hanno preceduta e determinata costituirebbe veramente un'imperdonabile ingenuità.

Allorché nella primavera dello scorso anno - dopo le dimissioni dal ministero della "stato di necessità" dell'On.le Segni; il reincarico allo stesso Segni con il mandato degli organi direttivi del suo partito di trattare per la costituzione di un governo di centro-sinistra; la brusca rottura - "prima di cena" - delle trattative del designato con i rappresentanti della sinistra democratica; il successivo reciso rifiuto di altri notabili della D.C.; il tentativo di formazione di un gabinetto d'affari dell'On.le Tambroni; ed infine la rinuncia anche da parte di questi, per l'"amichevole" consiglio datogli dall'On.le Moro di non presentarsi al Senato, dopo che alla Camera aveva ottenuto il solo voto favorevole del gruppo missino - allorché dopo questi eventi, che avevano manifestato in tutta la loro asprezza i dissensi e le contraddizioni che travagliavano i democratici cristiani, e la loro definitiva ed ineluttabile sudditanza alle gerarchie ecclesiastiche, l'incarico venne affidato all'On.le Fanfani, molti - a

nche tra i radicali - si rallegrarono ritenendo che la D.C. "fosse seriamente intenzionata a fare finalmente, con un governo di centro-sinistra, quella chiara scelta politica, che da tante e diverse parti veniva da tempo reclamata".

Noi non fummo tra costoro.

Nel Consiglio Nazionale tenutosi nel maggio del '60 - pochi giorni dopo che anche l'On.le Fanfani, nonostante la sua dichiarata lealtà e risolutezza nel perseguire la soluzione di centro-sinistra, si era prontamente rassegnato a rinunciarvi per l'insorgere dei "casi di coscienza" in seno ai gruppi parlamentari democristiani - alcuni di noi non esitarono ad esprimere le loro perplessità e le loro preoccupazioni per la nuova linea politica di cui gli organi direttivi del nostro partito avevano ritenuto di dover prendere l'iniziativa.

Fu da noi allora chiaramente prospettato il pericolo che la soluzione auspicata dalla Direzione potesse causare in breve tempo la dispersione dei pochi faticati frutti raccolti nei primi cinque anni della nostra attività di partito, con l'unico effetto certo di contribuire d'altra parte - più o meno gratuitamente - risolvere la crisi interna della D.C., restituendole quel prestigio che andava perdendo ogni giorno di più nella pubblica opinione, e favorendo il perpetuarsi di quell'assurdo equivoco che le aveva consentito, fino a quel momento, di raccogliere tanti suffragi presso classi e categorie di cittadini di opinioni e di interessi del tutto diversi e contrastanti.

Una ``tattica'' fallimentare

Non ostante i ricordati sconcertanti aspetti rilevati dallo sviluppo della crisi che denunciavano già, in modo veramente allarmante, la possibilità stessa di una ulteriore involuzione verso il regime, fummo in quella occasione accusati di essere degli "impolitici"!!

E cominciarono le capziose distinzioni.

Quasi che la D.C. fosse già divisa in due tronconi, che il comune Credo religioso e l'universale ossequio verso la Chiesa non sarebbero riusciti più a mantenere uniti - ci si disse che l'impossibilità di ogni compromesso con la destra clericale ed economica non escludeva l'opportunità del dialogo con le correnti più avanzate e democratiche di quel partito, di fronte alle quali il "cordone sanitario" dei laici avrebbe potuto tranquillamente anche essere allentato. Ci si disse pure che l'obiettivo "strategico" di una alternativa democratica laica alla D.C. - che non poteva negarsi essere stata la ragione stessa del sorgere del nostro partito ed il suo fine ultimo irrinunciabile - si sarebbe più facilmente potuto conseguire con la "tattica" della apertura alle forze della cosiddetta sinistra democristiana.

L'effetto di tale nuova "tattica" non tardò molto a farsi sentire - e l'unico vero risultato ne fu l'indebolimento di quelle stesse correnti della D.C. alle quali si era voluto dar credito!

E venne il monocolore Tambroni sostenuto dai voti fascisti; il patto di unità del P.L.I. con i monarchici; la riunione clerico-missina dell'Angelicum con la partecipazione di Pacciardi a fianco di Gedda; ed i rigurgiti fascisti con l'invasione e devastazione della sede del nostro partito a Milano.

Dopo i fatti di luglio, l'equivoco

E finalmente i fatti di luglio.

Si deve solo alla generosa e spontanea sollevazione ed alla fermezza di tutte le forze popolari antifasciste durante quelle drammatiche giornate se la esistenza stessa delle istituzioni democratiche ha potuto essere salvaguardata nel nostro Paese, che la D.C. - consenzienti anche le sue correnti cosiddette democratiche - non aveva esitato a portare alle soglie dell'avventura e della guerra civile.

E' evidente che dopo questi fatti la Democrazia Cristiana sarebbe difficilmente uscita dal vicolo cieco in cui l'aveva cacciata la sua tendenza più retriva e reazionaria, se le forze democratiche della sinistra laica non l'avessero, anche troppo generosamente, aiutata a liquidare l'esperimento Tambroni, con la speranza - o meglio, con la nuova illusione - che il governo Fanfani avrebbe aperto in breve lasso di tempo la via a quella soluzione di centro-sinistra che nel maggio gli era stata preclusa dalle pressioni degli interessi economici e degli interventi confessionali.

Senonché, nelle stesse sue dichiarazioni programmatiche alle Camere, l'On.le Fanfani respingeva esplicitamente la qualifica di emergenza e di provvisorietà del suo governo, trovando sostegno nella tolleranza e nello scarso vigore - se non addirittura nella colpevole acquiescenza - di alcuni esponenti di quei partiti laici che pure si erano impegnati per la più sollecita realizzazione della soluzione di centro-sinistra, che sempre più debolmente affermavano essere ancora nelle loro prospettive.

Al pan bagnato del centrismo quadripartito, subentrò così la zuppa delle "convergenze", trangugiata con maggior o minor ripugnanza dallo stesso partito socialista, non senza il prevedibile corollario di fastidiosi disturbi viscerali.

E' indubbio che di tutto ciò anche il Partito Radicale ebbe la sua parte di responsabilità.

Ora - se si può anche, e fino ad un certo punto, convenire che i giudizi che si basano "su un confronto tra ciò che è accaduto e ciò che avrebbe potuto accadere sono sempre difficili ed arbitrarii" - non si può d'altra parte non riconoscere che il continuare sistematicamente ad ignorare quello che prima è accaduto, significa in definitiva - come direbbe Cicerone - rimanere eternamente fanciulli.

Comunque è certo che la D.C., resasi ben presto consapevole che - per effetto di quello che, nell'intenzione dei suoi interlocutori, avrebbe dovuto essere soltanto un armistizio - poteva riacquistare una placida situazione di stabilità che le avrebbe consentito di mantenere indisturbato il monopolio del potere, ritrovò prontamente la sua unità.

Le forze della destra clericale, mortificate e confuse dopo il luglio, la repressione poliziesca dell'attività sindacale; l'inasprimento della censura sul teatro e sul cinematografo; l'emendamento Franceschini al piano della scuola; l'immobilismo più sfacciato nel campo economico e sociale ne furono le manifestazioni più eloquenti.

La formula delle "convergenze" (col monocolore) si rivelava più vantaggiosa per le destre dello stesso quadripartito - e le forze conservatrici cominciavano già a sperare in un nuovo prossimo 18 aprile!

I dirigenti il nostro partito non potevano non riconoscere la gravità di quanto stava accadendo, ma evitavano di trarne le necessarie conseguenze, evidentemente preoccupati dall'eventualità di possibili soluzioni estreme in senso frontista o clerico-fascista, mentre l'unico effettivo ed attuale pericolo era proprio costituito dalla cappa di piombo che la tregua accordata alla D.C. aveva fatto di nuovo incombere sul Paese.

Intanto l'esito delle elezioni amministrative del novembre - con le preferenze date ai candidati radicali nelle liste socialiste - aveva dimostrato come una parte non esigua dell'elettorato avesse valutato l'importanza di una affermazione delle forze più dichiaratamente laiche della sinistra democratica, mentre le lunghe esitazioni della D.C. nella soluzione delle cosiddette giunte difficili, i veti e le polemiche relative, le elezioni a sindaco di Cioccetti a Roma e di Lauro a Napoli, la aperta ostilità manifestata in seno a taluni gruppi consiliari democristiani (come a Milano), lo scandaloso trascinarsi della crisi siciliana, avevano completamente snaturato quel significato politico dell'apertura a sinistra che i partiti socialista e radicale avevano posto a base delle trattative - mentre ora si acconciavano a valutare in modo positivo poche e lesinate soluzioni di ripiego, basate su accordi puramente amministrativi o di distribuzioni d'incarichi.

Nasce la Sinistra Radicale

In questa situazione, negli ultimi giorni del maggio '61, si teneva a Roma il secondo congresso del Partito Radicale.

E' inutile rivangare qui la cronistoria - invero poco edificante - di come si svolsero e conclusero i lavori di quel congresso, a seguito del quale si costruì ufficialmente nel partito la corrente di sinistra, che ne ha già data circostanziata relazione nel suo primo notiziario del giugno scorso.

Basterà ricordare che - sia pure al solo fine tattico di svuotarne il contenuto - il gruppo dirigente aveva già dovuto, più o meno esplicitamente, ammettere nella relazione della Segreteria Centrale e nella stessa mozione politica conclusiva la fondatezza di molte delle valutazioni critiche dalla sinistra del partito già formulate negli scritti sulla Tribuna precongressuale ed in talune delle mozioni delle sezioni, illustrate poi nel corso dei lavori.

Ma quel che conta di più è che, in definitiva, l'unica deliberazione politicamente valida del Congresso era rappresentata dall'inserimento nella mozione conclusiva - per soddisfare, almeno in parte, le istanze della sinistra - della necessità di rompere senza indugi quella tregua che aveva consentito ancora una volta alla democrazia cristiana, con la creazione del governo delle "convergenze", di procrastinare all'infinito il necessario chiarimento della situazione politica italiana.

L'urgenza di tale necessario chiarimento non tardò a farsi manifesta.

Gli "impolitici" avevano avuto dunque ancora una volta ragione!

La fine delle ``convergenze''

Il dibattito sulla mozione socialista di sfiducia dette l'avvio alla rottura dell'equilibrio stabilitosi da un anno tra i convergenti, rivelando la confusione, le contraddizioni, le incoerenze e gli equivoci inevitabili delle macchinose combinazioni tra formazioni politiche eterogenee.

L'aggravarsi della tensione internazionale contribuì poi senza dubbio a taluni ripensamenti, forse anche nelle supreme sfere ecclesiastiche.

La rapidissima riconversione dell'On.le Saragat, le scadenze ultimative poste dai repubblicani e dai socialdemocratici e, in questi ultimi tempi, i contrasti affiorati nello stesso partito democristiano in occasione della discussione del bilancio degli Esteri, con le polemiche che ne sono seguite, hanno accelerato il movimento per la chiarificazione - di cui d'altra parte nessuno dei convergenti sembra voglia assumere l'iniziativa.

E' evidente in ogni modo che la posizione del governo Fanfani è ormai irrimediabilmente compromessa, tantoché il Presidente del Consiglio, ad evitare sorprese sempre possibili, nel suo discorso di Caserta ha tenuto ad escludere ogni possibilità di una sua futura utilizzazione, se non per un governo di centro-sinistra.

D'altro canto sembra che lo stesso Capo dello Stato consigli all'On.le Fanfani una più sollecita chiarificazione, mentre invece la destra democristiana preme sull'On.le Moro perché tenti di tener legati i convergenti al traballante carrettone governativo fino al prossimo maggio, od almeno fino al Congresso della D.C., agitando lo spauracchio della crisi immediata e delle elezioni anticipate.

E' certo dunque che, in un modo o nell'altro, ed in un futuro più o meno prossimo, la crisi verrà aperta e che con molta probabilità si risolverà questa volta con la formazione di un governo di centro-sinistra, anche se fino ad ora pressoché nessuno, nella direzione democristiana, ne ha sostenuto apertamente la possibilità.

Che significa il ``centro-sinistra''?

Ma per noi radicali non è tanto importante "se" tale governo si farà, quanto "come" si farà.

Non possiamo essere dell'opinione - che pare da alcuni condivisa - che "per intanto si faccia, purché si faccia".

Non possiamo, ad esempio, auspicare un governo di centro-sinistra che i democristiani si risolvano finalmente a costituire sotto l'insegna della rassegnazione ad un nuovo "stato di necessità", che soltanto "in considerazione della difficile situazione internazionale e di talune particolari esigenze della presente fase della vita politica italiana" farebbe loro tollerare l'appoggio esterno del partito socialista.

E non possiamo neppure accontentarci di un governo fondato semplicemente su di una base programmatica cincischiata di alcune "cose" da fare, che potrebbero essere anche poche "cose" o piccole "cose", e comunque "cose" che verrebbero poi in ogni modo abilmente limitate e menomante.

Noi non possiamo fare del piccolo cabotaggio - non possiamo vendere la nostra primogenitura - proprio noi che ne conosciamo così bene gli attuali possibili "acquirenti".

Ecco perché - amici radicali - questo sembra proprio il momento di esortarvi a non dimenticare le "cronache" di questi ultimi 18 mesi.

Se il centro-sinistra dovesse nascere senza una chiara e sostanziale scelta politica, con la dichiarata ostilità di molti notabili democristiani, soltanto come un nuovo momentaneo espediente di copertura - un centro-sinistra "mutilato ed indecente" così come è stato fatto in Sicilia - "meglio proprio" - lo ha scritto anche IL MONDO - "che non sorga affatto: meglio una speranza non realizzate e tre partiti puliti, che una penosa comparsa ed un insuccesso sicuro".

Un chiarimento preventivo

E' inutile continuare a vivere sperando e rimanendo ostinatamente chini al microscopio per tentar di scovare nella D.C. sempre nuovi "fermenti", indifferenti ai gravi pericoli che ci sovrastano.

E' inutile continuare ad illuderci: siamo pochi, e siamo rimasti pressoché soli a difendere la laicità dello Stato.

I problemi nella nostra società non sono soltanto economici, e comunque non si possono risolvere empiricamente, eludendo e accantonando i principi e le ragioni ideali che ne postulano la soluzione.

Qualunque dialogo politico con i cattolici "in condizioni di dignità" è pertanto impossibile se si deve rinunciare al preventivo chiarimento dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa, a risolvere - in altri termini - il problema stesso della autonomia dello Stato e della sua indipendenza.

 
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