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Rendi Giuliano - 30 novembre 1961
Niente austerità e poco mezzogiorno
Al convegno delle riviste all'Eliseo

di Giuliano Rendi

SOMMARIO: Il saggio apparve sul n.2 (novembre 1961) di "Sinistra Radicale" (vedi la scheda su "Sinistra Radicale", a.b., nel testo n. 3669) stampato su carta colorata. Il saggio è una critica serrata al Convegno tenutosi a Roma nell'ottobre, a cura di un gruppo di riviste politico-culturali, al Ridotto dell'Eliseo, con l'obiettivo di fornire una piattaforma teorica al disegno politico di centro-sinistra, allora in gestazione. Giuliano Rendi analizza i punti del programma, mettendone in rilievo le insufficienze, i silenzi e le omissioni, l'inadeguatezza complessiva insomma rispetto ai progetti e agli strumenti di analisi propri alla cultura laica e democratica del Sud, e sopratutto denunciandone l'abbandono della problematica laica del "Mondo" e dello stesso Partito radicale, in particolare per quanto riguarda i temi della scuola e dello Stato di diritto. (I titoletti presenti nel testo originale sono redazionali).

(SINISTRA RADICALE, ANNO I, N.2, NOVEMBRE 1961 - DOCUMENTI DI ``SINISTRA RADICALE'')

Di fronte ai convegni degli "amici del Mondo", il Convegno delle sei riviste "per una nuova politica economica" rappresenta un progresso, perché invece di avanzare proposte limitate su problemi particolari, ha fornito un programma organico di politica economica, che da una analisi precisa della situazione economica italiana è passato a richiedere un insieme di riforme, così da offrire un termine di confronto da una parte con le esigenze reali del paese, dall'altra con gli eventuali risultati raggiunti.

Naturalmente, una simile iniziativa porta con sé il difetto - comune ai convegni del Mondo - che le proposte avanzate e le decisioni prese non impegnano ufficialmente i dirigenti dei partiti, cosicché non consentono nell'interno di questi né critiche né dibattito che investano gli organi responsabili. Ma, venendo a problemi più sostanziali, ci si può domandare perché siano state associate all'organizzazione di questo convegno riviste come "Problemi del Socialismo" o "Passato e Presente" (per la quale comunque era presente l'on. Giolitti, il cui intervento ha rappresentato un notevole contributo ai lavori), e perché non siano state chiamate a parteciparvi persone come Foa e Trentin della C.G.I.L., capaci di portare sostanziali contributi e di rappresentare - meglio di come non sia stato fatto - le forze sindacali e popolari. Queste sono state esclusioni inutilmente polemiche, che contrastano col fatto che nel settore della scuola i comunisti sono stati chiamati a dare istituzionalmente il loro apporto all'ela

borazione di una politica laica della sinistra. In realtà, in prospettiva, il convegno dell'Eliseo, se si è preoccupato di guardare soprattutto il governo di centro-sinistra, ha definito problemi che investono tutta la sinistra; e su questo punto la nostra valutazione diverge da quella del Mondo, che in un suo recente taccuino ha sottolineato che la problematica del convegno scaturisce esclusivamente ed essenzialmente dalla cultura laica della sinistra democratica.

Rispetto al dibattito economico degli scorsi anni, il convegno rappresenta tuttavia un progresso per la consapevolezza, dimostrata dagli uomini della sinistra democratica, che nelle moderne condizioni dell'economia l'intervento pianificatore dello Stato non può limitarsi ad assolvere una funzione transitoria di eliminazione degli squilibri, ma deve essere un fattore strutturale e permanente se si vuole mantenere all'economia un elevato ritmo di sviluppo e se si vuole controbilanciare e controllare il potere delle grandi concentrazioni private.

Un ottimismo che dimentica...

E' bene però dire subito che l'analisi dei problemi economici fatta nella relazione è ingiustificatamente ottimistica e che le riforme richieste sono fiacche e inadeguate, anche in confronto a quelle avanzate fino ad una anno fa dalla maggior parte delle riviste promotrici del convegno. Non si tratta di un programma misurato sulle esigenze del paese, ma del programma massimo che i fautori del centro sinistra sperano di ottenere dalla D.C.; e gli intervenuti ne sono apparsi coscienti.

Nella relazione, l'analisi della situazione economica italiana parte dalla constatazione della grande trasformazione del capitalismo italiano di questi anni, trasformazione finora non adeguatamente riconosciuta dalla sinistra del paese. Passa poi ad analizzarne le caratteristiche, individuandole nel tasso di accumulazione limitato a pochi settori con capitalizzazione avvenuta a danno dei consumatori; nella produzione di massa che ricerca un mercato sempre più ampio; nel controllo dell'espansione da parte di pochi gruppi; e nei molteplici squilibri crescenti tra le aree depresse e quelle sviluppate (e all'interno di queste tra isole industrializzate e il resto della regione), mentre la politica degli incentivi per le aree depresse non funziona e si hanno grandi correnti migratorie costose anche per le regioni che le accolgono: una società dove prevalgono l'automobile e il frigorifero, la televisione e la lavatrice meccanica e vengono invece sacrificate le istituzioni scolastiche, i trasporti, l'assistenza san

itaria, l'edilizia popolare e l'elettrificazione dell'agricoltura e dell'artigianato. Manca però in questa analisi, altrimenti giusta, il senso della drammaticità e dell'impellenza del problema meridionale, che è al centro e subisce il peso di tutti gli squilibri del paese.

L'ufficio del piano, che dovrebbe realizzare una politica di sviluppo pianificato, non viene descritto nella relazione con rigorosa precisione. Esso dovrebbe "avere il compito di tradurre in elaborazioni economiche, statistiche ed econometriche le scelte politiche collegialmente decise dal gabinetto o dai ministri economici riuniti in apposito comitato per la pianificazione". Ci dovrebbe essere un piano lungo, ventennale, e un piano breve, quinquennale, "che deve essere viceversa tradotto in una concreta precettistica legislativa e amministrativa". L'ufficio del piano dovrebbe trasmettere ai ministeri le istruzioni necessarie per concretare le decisioni prese, e assumere, in maniera istituzionalmente non precisata, i poteri che in Italia competono già al Comitato Prezzi, al Comitato del Credito, al Comitato delle Partecipazioni Statali e al Comitato della Cassa del Mezzogiorno. Il piano dovrebbe stabilire il tasso di sviluppo globale del reddito, degli investimenti e dei consumi, articolandoli nei vari setto

ri e nelle varie regioni.

In sostanza la pianificazione che la relazione chiede consisterebbe in una razionalizzazione ed unificazione dei limitati poteri di intervento e di reazione economica che lo stato italiano già possiede, salvo a sovrapporre a questi uffici, un ufficio capace di calcolare con maggiore precisione e a più lunga scadenza tutti questi interventi. Il solo nuovo potere statale che si richiede è il controllo qualitativo del credito per grandi settori, mentre si auspica un grande incremento della spesa pubblica per l'istruzione, l'igiene, l'agricoltura e i pubblici trasporti. Questi strumenti non sono sufficienti a risolvere i problemi dell'economia italiana, ed ecco perché:

... il controllo di paghe e prezzi...

Prima di tutto in un'economia pienamente industrializzata non si può mantenere il pieno impiego, l'equilibrio della bilancia dei pagamenti, la stabilità monetaria e un alto tasso di sviluppo senza un intervento pianificatore che oltre al controllo qualitativo del credito, regolamenti anche le paghe e i prezzi. Ad esempio un piano non operativo, ma soltanto direttivo, come quello francese, che è però fornito di poteri di decisione in materia di credito e di pianificazione regionale, è considerato il minimo indispensabile nelle attuali discussioni economiche degli ambienti conservatori inglesi. Riccardo Lombardi ha ricordato che una vera pianificazione deve controllare anche i salari degli operai: controllo che non si può garantire senza una autodisciplina dei sindacati, per ottenere la quale occorre assicurare come corrispettivo la loro partecipazione alla determinazione e alla direzione del piano. Riccardo Lombardi ha dato però la misura della sua rassegnazione e del suo scetticismo osservando che comunque,

per realizzare in modo efficiente l'ufficio proposto da Scalfari occorrerebbero alcuni anni di sperimentazione e che nel frattempo si potrebbe attendere a completarne la funzione di regolamentazione delle paghe.

Ora, se le proposte del convegno possono essere accettate come un primo avvio a una vera pianificazione generale, esse sono assolutamente inadeguate a sollevare la grande area depressa meridionale al livello di sviluppo dell'Italia industrializzata. Nelle proposte e negli ultimi strumenti di pianificazione richiesti dal piano della sinistra democratica, il problema meridionale è stato sottovalutato come, non a caso, è stata sottovalutata la eccezionalità delle misure che sono necessarie per risolverlo.

... il mezzogiorno...

Dato che il mezzogiorno rappresenta due quinti del paese, che il dislivello fra nord e sud tende a costantemente ad aumentare, e che le emigrazioni in massa della parte più dinamica della popolazione ne rendono più difficile la trasformazione economica e sociale, quello dell'industrializzazione dell'area depressa resta il problema di gran lunga più importante e urgente. Per renderla possibile sono necessari:

a) un aumento della spesa pubblica

b) il controllo qualitativo del credito e una politica di incentivi

c) l'intervento dello stato come imprenditore industriale

d) una politica di austerità e di concentrazione degli sforzi.

La situazione di vantaggio del nord non consiste solo nei lavori pubblici fatti dallo stato di tutto un sistema industriale che fornisce imprenditori, tecnici e operai specializzati e che nello stesso tempo garantisce alle nuove imprese la presenza delle industrie collaterali necessarie. Perciò è sbagliata l'idea, che il convegno ha mostrato di condividere, che per l'industrializzazione del sud sia sufficiente aumentare fortemente gli investimenti dello stato per le infrastrutture, ridurre il costo dell'energia, e facilitare nel credito e nella tassazione le industrie della zona. Giustamente Sylos Labini ha criticato il sistema degli incentivi e disincentivi (condizioni più favorevoli per l'area depressa e divieto di nuovi impianti per l'area industrializzata), osservando che l'effetto di tale sistema può essere di impedire la costruzione di nuove fabbriche al nord senza che ne sorgano altre al sud. E' quindi necessario che lo Stato dia avvio al processo di industrializzazione con imprese proprie, magari non

economiche per un certo numero di anni.

Nella relazione si accenna molto brevemente a questa funzione delle imprese di stato, salvo poi a renderla pressoché impossibile con la richiesta che le imprese di stato siano economiche e siano il più possibile legate al mercato dei capitali.

Sia nella relazione che nel convegno non si è messa in rilievo la necessità di concentrare gli sforzi nel mezzogiorno sia pure con gli strumenti di pianificazione richiesti e previsti. Si è insistito nel sottolineare la gravità del problema agricolo, dimenticando che l'agricoltura è la grande malata della nostra economia soprattutto nella misura in cui è, in tanta parte, l'agricoltura di un'area depressa e sovrappopolata.

... austerità

Ma la nota dominante delle analisi fatte, nella relazione e nel convegno è data soprattutto dalla considerazione che una politica di austerità non è più necessaria per la soluzione del problema meridionale nel nostro paese. All'opposto, occorre affermare con decisione che essa è ancora essenziale per la industrializzazione del Mezzogiorno. Infatti è ancora necessario dedicare una più alta percentuale del reddito nazionale agli investimenti comprimendo in parte i consumi, se si vuole mantenere l'attuale ritmo di sviluppo alla parte industrializzata del paese e contemporaneamente accelerare lo sviluppo del Mezzogiorno, soprattutto tenendo presente che qui la massa degli investimenti necessari sono a rendimento differito.

Il problema che bisogna proporsi non è di negare la necessità di una politica di austerità, ma di evitare che questa politica ricada esclusivamente sul movimento operaio. In un certa misura c'è una politica di austerità oggi in Italia, consistente nelle basse paghe operaie e ottenuta sulla debolezza e la divisione del movimento sindacale e per la pressione della mano d'opera disoccupata. La politica di austerità realizzata dalle sinistre dovrebbe gravare su tutte le classi sociali, chiedendo ai sindacati una autodisciplina salariale, garantita dalla partecipazione alla direzione del piano, ma compensando questi sacrifici con un'efficace legislazione fiscale che colpisca i redditi delle classi ricche e delle classi medie.

La necessità di una politica di austerità è stata sostenuta in convegno solo da Luigi Spaventa e ripresa da Rodotà; audacia che il primo ha pagato diventando immediatamente impopolare. Francesco Compagna ha fatto un intervento sul mezzogiorno, drammatico nella analisi ma moderato nelle conclusioni, accontentandosi anch'egli solo di incentivi e disincentivi. Nel complesso il convegno non ha presentato una efficace alternativa alla convinzione conservatrice che si fa strada nel nostro paese e che lascia al mezzogiorno la funzione di grande riserva di mano d'opera destinata a bilanciare, attraverso le migrazioni interne, la staticità demografica della Italia settentrionale, garantendone così per molti anni un alto ritmo di sviluppo.

Rinnovamento della burocrazia?

La necessità di dare allo stato il potere di pianificare l'economia ha naturalmente sollevato fra molti partecipanti la questione della efficienza della burocrazia, ed anche qui molti discorsi echeggiavano la convinzione che, a parte i difetti propri della burocrazia, non c'è la prospettiva di un governo che possa assicurarne una riforma allo stesso tempo profonda e democratica. Così agli attacchi di Ernesto Rossi, il solo consiglio che Piccardi e Compagna hanno saputo dare è stato quello di tassare i redditi dei dirigenti industriali in modo che torni ad essere economicamente conveniente entrare nell'amministrazione dello stato. Un'osservazione non molto dissimile ha fatto Rodotà parlando della mancanza di potere reale dei funzionari di oggi in confronto a quelli delle grandi industrie private. Nessuno si è sentito di ricordare che la maniera migliore con cui si può consentire il nucleo di una burocrazia economica capace e "dedicata" (per usare l'espressione inglese) è quella di far leva sul senso di missio

ne che si può risvegliare in molti uomini quando la possibilità di realizzare una missione esiste realmente. Ma poiché era generale convinzione che la nuova burocrazia economica non avrebbe avuto nessuna vera missione da compiere, almeno per diversi anni, il dibattito si è spostato alla possibilità di utilizzare i pochi cervelli pianificatori di cui dispone la Cassa del mezzogiorno. Ma sia Compagna, che ha proposto la cosa, sia La Malfa che l'ha discussa in un intervento interamente problematico, si sono mostrati assai pessimisti sul valore di questi pianificatori, pur ritenendo di doversi ricorrere per mancanza di meglio.

L'esigenza europea

Un osservazione ancora più fondamentale è stata portata da Spinelli verso la fine del Convegno, osservazione che è stata accolta senza contestazioni da Parri e Scalfari nelle loro risposte. L'economia italiana, attraverso il Mercato Comune, si sta inserendo in un sistema europeo, dal quale ha ricavato un molto maggiore dinamismo, ma in base al quale sfugge ormai largamente alle decisioni dello stato italiano. Di conseguenza una vera pianificazione è possibile solo al livello europeo, attraverso istituzioni federali dotate di poteri statali sovranazionali, mentre una pianificazione nazionale può avere solo una funzione limitata, a meno di uscire dal Mercato Comune e tornare a forme di autarchia nazionale. Scalfari nella replica ha ricordato a Spinelli la necessità di una pianificazione europea ma non ha indicato le istituzioni e i poteri che devono realizzarla, dimostrando così che la sinistra non dispone ancora di una alternativa al MEC sul piano europeo.

Che centro-sinistra?

Questo per quanto riguarda i problemi della pianificazione vera e propria. Il convegno ha richiesto inoltre la nazionalizzazione dell'industria elettrica, essenziale per colpire il potere della grande industria, delle misure di politica fiscale e una nuova legislazione della società per azioni. Da ultimo si è parlato anche della funzione dell'Ente Regione per la pianificazione regionale.

Venendo alla conclusione si può dire che la sinistra democratica in questo convegno ha proposto alla Democrazia Cristiana, per un governo di centro sinistra, poche e moderate riforme economiche, che è molto difficile che la Democrazia Cristiana accetti integralmente. La sostanza del programma consiste nella nazionalizzazione dell'industria elettrica, nella costituzione di un ufficio del piano, per il quale si prevede un lungo periodo di sperimentazione, e in alcune limitate riforme fiscali, mentre si rinuncia ad una azione adeguata per il mezzogiorno, allo sviluppo del potere dei sindacati e a presentare al paese la dura necessità di una politica di austerità. Se si tiene conto che la sinistra democratica è rassegnata comunque ad ottenere concessioni dalla Democrazia Cristiana solo in campo economico e sociale, dando per scontato in partenza di non poter ottenere niente in materia di laicismo, di scuola e di stato di diritto, si può misurare quanto rinunciataria è già la sua posizione di fronte a prospettive

di un governo di centro sinistra.

 
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