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Gozzi Federico, De Caprariis Vittorio - 26 dicembre 1961
IL VENTO DELLA CROCIATA
di Federico Gozzi

SOMMARIO: Federico Gozzi è lo pseudonimo con il quale Vittorio de Caprariis firma i suoi fondi sul "Mondo". Buon conoscitore della Francia, De Caprariis accetta che a Parigi possa essere necessaria l'indicazione di Jean-Paul Sartre, per una forte unità a sinistra con l'obiettivo di battere "lo squadrismo dell'OAS". Ma, dice subito dopo, "non riesco ad intendere l'atteggiamento di quanti sembrano convinti che in Italia si pongano problemi analoghi" a quelli posti ai democratici francesi. L'Occidente, del resto, non è un "compatto universo clerical-capitalistico-fascistico" che marcia verso "nuove forme di autoritarismo". Macmillan, Kennedy, lo stesso Moro non sono di questa fatta, le "generalizzazioni" sono eccessive, impediscono di capire.

E, in particolare, l'idea che in Italia vi sia un simile compatto fronte "fascistico-clerical-capitalistico" cui sia necessario opporre un "fronte unico fino ai comunisti", è ipotesi sbagliata. "Da noi almeno...quei fronti contrapposti...non esistono". V'è piuttosto una linea "che passa all'interno di diversi partiti", mentre il fatto significativo dell'evoluzione politica italiana è stato l'avvio del centro-sinistra, opera dei "democratici più coerenti e più intelligenti"; sarebbe "assurdo" mutare questa strategia che ha portato a risultati "in larga misura positivi".

(IL MONDO, 26 dicembre 1961)

E' di ieri un'intervista di Jean-Paul Sartre, all'"Avanti!", nella quale il narratore-filosofo insisteva ancora una volta sulla tesa drammaticità dell'attuale situazione francese e ribadiva l'esigenza che tutte le sinistre, senza esclusioni, si unissero per fronteggiare il pericolo di uno scatenamento fascistico. Non so fino a che punto quella suggerita da Sartre sia la strategia migliore per battere lo squadrismo dell'O.A.S. e per neutralizzare la minaccia del fascismo. Ma posso ben comprendere che trovandosi, come ci si trova in Francia, al limite di una guerra civile, anche problemi come quello dell'unità di tutte le sinistre (che, non dimentichiamolo, è, tuttavia, cosa alquanto diversa da quel fronte antifascista che abbiamo sperimentato anche noi tra il '43 ed il '45) vadano meditati attentamente.

Quello che non riesco a intendere è, invece, l'atteggiamento di quanti sembrano convinti che in Italia si pongano problemi analoghi a quelli che i democratici francesi si trovano ad affrontare oggi, e che vorrebbero, in conseguenza, applicare anche in Italia le stesse medicine. Questo atteggiamento rivela una comprensibile inquietudine; ma è fondato su una diagnosi della situazione italiana e di quella generale dell'Occidente che è, a dir poco, fuorviante. Esso è fondato, cioè, sulla convinzione che l'Occidente costituisca un compatto universo clerical-capitalistico-fascistico, i cui esponenti più rappresentativi sono i Franco e i Salazar, dai quali gli Adenauer, i Fanfani, i Moro e, perché no?, anche i MacMillan ed i Kennedy non sarebbero diversi se non per qualche sfumatura. E' fondato sulla convinzione che il processo storico in atto nell'intero Occidente non è altro che una veloce marcia verso nuove forme di autoritarismo verso nuove esplosioni di ambizioni colonialistiche e totalitarie, non è altro, ins

omma, che un rapido processo di involuzione antidemocratica. Da queste convinzioni deriva, appunto, quell'inquietudine che si è detta, e l'esigenza, che ad essa sembra accompagnarsi, di muovere una grande crociata per liberare il mondo di siffatti mali e per fare un allegro falò di tutte le streghe del capitalismo clerical-fascistico.

Il guaio è che con generalizzazioni di questo tipo si corre il rischio di non intendere nulla o pochissimo del mondo in cui ci troviamo ad operare, e, per ciò stesso, si corre l'altro e ben più grave rischio di perdere proprio le battaglie che vorremmo vincere. A che serve, infatti, mettere in un fascio solo Franco e MacMillan, Adenauer e Salan, il partito democratico americano e l'Union Minière, e promuovere tutti a discendenti e scolari e continuatori di Hitler e di Goebbels? Serve proprio e soltanto a farci correre i rischi che si sono accennati: chi non ricorda la singolare esperienza dei comunisti tedeschi prima del '33? A furia di combattere la socialdemocrazia come incarnazione del fascismo, essi finirono col trovarsi sulle braccia Hitler ed i nazisti! Il nostro dovere di democratici impegnati nella lotta per l'allargamento e l'approfondimento della civiltà democratica non è quello di stabilire analogie sommarie e semplificanti, ma proprio il contrario: di distinguere accuratamente le forze politiche

che si fronteggiano, di intendere gli scopi effettivi di ognuna di esse e di comprendere quali siano veramente quelle con cui possiamo compiere tutta la nostra strada o anche solo una parte di essa. E l'Occidente è appunto un mondo di forze differenziate tra loro, tra le quali si svolge ogni giorno una dura lotta su due fronti, contro l'involuzione autoritaria e contro la minaccia comunista; un mondo nel quale i Franco sono una minoranza e Kennedy e MacMillan non svolgono il ruolo di Gengis Kan. Questa è una verità elementare che neppure la nostra angoscia per il dramma che sta vivendo la Francia deve farci dimenticare.

Analogamente, il nostro dovere di democratici impegnati in quella lotta che si è detta è di evitare l'altra insidia di porre tutti i problemi sullo stesso piano, di abbandonarci all'onda di tutte le nostre reazioni immediate, senza stabilire una gerarchia dei problemi e senza discriminare tra i nostri impulsi di crociata. E' assurdo porre sullo stesso piano la questione del regolamento del problema tedesco e quella dell'eliminazione delle ultime "enclaves" portoghesi in India. E' evidente che non possiamo reagire a questi problemi come se fossero tutti della stessa gravità e come se tutti richiedessero le stesse soluzioni. Se lo facessimo, inganneremmo noi stessi. Anche il contenente dei problemi è un contenente differenziato; e a fingerlo compatto e tutto dello stesso colore non faremo un passo avanti. Non dimentichiamo che la cosa che dobbiamo evitare è proprio di soggiacere alla tentazione della crociata indiscriminata: oltre tutto, il complesso della crociata è l'antitesi puntuale di quel controllo razio

nale che è proprio degli uomini di civiltà democratica.

Né le cose cambiano se si guarda pacatamente alla situazione italiana ed alle condizioni in cui si svolge la battaglia democratica in Italia. L'ipotesi che vi sia da noi un compatto fronte fascistico-clerical-capitalistico e che per contrastarlo e vincerlo sia necessario contrapporgli un fronte unico fino ai comunisti, questa ipotesi è un'astrazione, che può, in concreto, riuscire calamitosa. La mitologia di uno scontro frontale tra questi due ipotetici schieramenti è una mitologia a cui, se si guarda bene, neppure gli stessi comunisti, quando parlano seriamente di politica e resistono per un momento alla seduzione della tattica frontista, danno alcun credito. Fortunatamente, in Italia le cose non sono così semplici, come a qualcuno piace immaginare e gli schieramenti non sono immobilizzati, ma sono, anzi, in movimento, sia pure lento ed impacciato, e pensare ai fronti contrapposti significa, come dicevamo prima, cedere al riflesso della crociata e scegliere il campo di battaglia sbagliato.

In realtà, da noi almeno, quei fronti contrapposti del fascismo e dell'antifascismo non esistono. Ed è, semmai, vero il contrario: che, cioè, non v'è una linea che divide tra loro i partiti del progresso e quelli della vocazione autoritaria ma v'è una linea che passa all'interno di diversi partiti e che, in ciascuno di questi, la democrazia cristiana o il PRI o la socialdemocrazia, separa forze che si sono attestate a difesa dell'immobilismo conservatore e forze che operano per una svolta politica decisiva nel governo del paese. Il dato veramente significativo nell'evoluzione della situazione politica italiana non è stata la contrapposizione di due fronti disposti a sterminarsi, sì, invece, il coagularsi di uno schieramento democratico e riformatore dai cattolici ai democratici laici, e il rafforzamento di questo schieramento grazie all'apporto socialista. Nella sostanza, dunque, l'area democratica in Italia non si è ristretta ma si è estesa: ed è su questo dato di fatto e non su astrattezze di importazione

che si misura la strategia della lotta democratica nel nostro paese.

E sarebbe parimenti sbagliato dimenticare come si è giunti negli ultimi anni a queste profonde alterazioni delle condizioni della lotta politica ed a questa espansione dell'area democratica che è nei fatti e che costituisce un dato di importanza fondamentale. Sarebbe sbagliato, cioè, dimenticare che a questi risultati si è giunti proprio perché i democratici più coerenti e più intelligenti hanno sempre resistito alla lusinga dell'immobilizzazione sugli schieramenti frontali contrapposti, ed hanno condotto, invece, una guerra di movimento su due fronti, che isolasse la destra sovversiva e costringesse la parte migliore della democrazia cristiana ad uscire fuori della ridotta conservatrice senza mai dimenticare di segnare con precisione il confine a sinistra, di segnare ciò che divideva in maniera permanente la sinistra democratica dai comunisti. Se qualcosa è mutato in Italia si tratta di un mutamento in meglio e non certo in peggio: e sarebbe assurdo mutare la strategia che finora ha portato a risultati in l

arga misura positivi solo per impulsi poco meditati, per contagio di atteggiamenti nichilisti e disperati, per una diagnosi fatua e aberrante della situazione italiana. D'altra parte, nelle esigenze della nostra lotta democratica, nell'esigenza, cioè, di isolare la destra sovversiva o conservatrice e in quella di tenere ben ferma la distinzione tra la sinistra democratica ed i comunisti, non v'è nulla di mutato: la lotta è, oggi come ieri una lotta su due fronti. E riuscirà vittoriosa solo se si manterrà tale.

 
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