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Teodori Massimo - 31 maggio 1962
Una politica di sinistra a Roma
di Massimo Teodori

SOMMARIO: In vista delle elezioni amministrative del 10 giugno 1962, l'articolo presenta i temi di politica urbanistica tipici dell'azione radicale esplicata negli anni precedenti sia attraverso gli articoli di Antonio Cederna sul "Mondo", sia le battaglie condotte in Campidoglio da Cattani. Ciò che ormai occorre, al di là delle formule di schieramento, è la definizione di un programma che individui le "ragioni di sviluppo" della città che è comunque profondamente cambiata, perché non è più "la città senza industrie, la città burocratica" della tradizione. Attività edilizia, trasporti, ecc., sono però temi e questioni settoriali, che potranno trovare una soluzione moderna solo nella nuova "definizione", cui occorre por mano, della "città moderna", la "metropoli" che nei fatti Roma si avvia ad essere senza averne gli strumenti o la tradizione. Per realizzare una valida pianificazione occorrerà anche a Roma dar vita a un istituto di ricerca e pianificazione, intorno al quale catalizzare energie ed intelligenze

. (I titoletti presenti nel testo originale di "Sinistra Radicale" sono redazionali - vedi la scheda su "Sinistra Radicale", a.b., nel testo n. 3669).

(SINISTRA RADICALE N. 7, maggio 1962)

Le elezioni amministrative del prossimo 10 giugno avranno il punto di massimo interesse in Roma. Non solo perché si tratta della maggior città e capitale del Paese, ma in quanto i termini della competizione elettorale e le posizioni dei vari partiti si trasformeranno necessariamente da amministrativi in dati politici.

Più che mai a Roma si verificherà che cosa significhi fare una politica di "sinistra", costruire una posizione che concretamente assuma valore di progresso e non di conservazione rispetto alla situazione presente. Più che mai occorrerà parlare a Roma non di schieramenti e di combinazioni, né di tattiche o di formule, ma di "politiche". Si tratterà di giudicare e di proporre quei problemi e quelle soluzioni che costituiscono per la città i "veri problemi", non muoversi in schemi e polemiche che rappresentano solo false alternative all'interno dei "falsi problemi".

Oggi, infatti, nel panorama politico romano troppe sono le confusioni, e poche le proposte di alternativa concreta e globale della sinistra. Non alternativa di partiti, ma di programmi, nelle loro componenti politiche, culturali, tecniche e sindacali. Se fino a ieri era sufficiente opporre al rozzo schieramento conservatore e fascista la protesta degli interessi generali, ed agitare gli scandali sui quali si fondava il governo clericale della città, nel momento presente lo schieramento politico è più sottile e le forze conservatrici e clericali si espandono proprio sul terreno delle nuove formule e su quello della mancanza di scelte di fondo nel conto della programmazione totale. Ieri c'era da una parte chi spavaldamente speculava sulle aree, si alleava con i fascisti, non voleva il P.R. se non come copertura degli interessi settoriali, e dall'altra chi si opponeva a tutto ciò. Oggi è naturalmente politica conservatrice, pur nelle sue varie sfumature, tutta quella che non si preoccupa di definire il futuro d

i Roma, come organismo sociale, amministrativo, territoriale ed economico. E' politica di conservazione quella che discute solo i singoli problemi del piano regolatore, quella di chi cerca di interpretare in chiave personale le esigenze della città; è politica conservatrice quella che si aggiorna nei mezzi tecnici ed accetta ad esempio la programmazione urbanistica perché riconosce che non si può operare in un organismo urbano che non sia "ordinato", "efficiente", "razionale".

Ma di altro genere è una politica di alternativa.

Un programma alternativo

Lo sforzo che la "sinistra" romana deve fare è di lavorare unitariamente intorno ad un programma comune che individui innanzi tutto le ragioni di sviluppo della città. Cioè opporre, al piano conservatore di lasciare la crescita della città affidata alle cosiddette "forze naturali", un programma che scelga per Roma le funzioni che essa deve assolvere in futuro ed i modi attraverso cui tutti i cittadini possano partecipare e determinare dall'interno queste funzioni e queste linee di sviluppo. Un programma intorno al quale possono lavorare tutti coloro che con mezzi diversi difendono gli interessi della collettività: i partiti che devono misurare le proprie linee d'azione e la forza che deriva dal potere contrattuale non su rivendicazioni isolate ma sulle trasformazioni di struttura, gli intellettuali che possono organicamente ed autonomamente inserirsi in questo programma ed arricchirlo culturalmente, i tecnici la cui opera e le cui soluzioni possono riferirsi costantemente al piano che ha bisogno anche di int

erpretazioni particolari e settoriali cariche di intenzionalità politica, infine tutti quegli organismi che con mezzi di diversa natura qualitativa e quantitativa riescono ad organizzare e determinare la pubblica opinione.

Un programma di sinistra deve tener conto della nuova realtà di Roma di questi anni: incremento degli abitanti, aumento della occupazione industriale, spopolamento delle campagne, rapporto della città con il territorio, comunicazioni, analfabetismo, abitazioni, mancanza dei servizi pubblici e delle attrezzature collettive, disordine e centralismo amministrativo. E soprattutto si deve considerare il risultato di questa paradossale situazione in forte sviluppo quantitativo ed allo stesso tempo qualitativamente disordinato e settoriale, si deve cioè valutare il costo sociale della città.

La nuova realtà di Roma

Roma non è più la città senza industrie, né la città burocratica isolata dal territorio che la circonda. Lo sviluppo industriale comincia ad assumere proporzioni rilevanti soprattutto se si mettono in relazione le industrie della fascia est della città (Tiburtina, Prenestina, Salaria), con quelle sorte nella provincia e nella regione che interessano direttamente il mercato economico e del lavoro di Roma. E la tradizionale attività edilizia, la maggiore attività romana che occupa circa 100.000 operai, pur essendo organizzata in forme artigianali estremamente rozze, si rivolge sempre più verso una speculazione a vastissimo raggio, pronta anche a rinnovarsi tecnicamente, ma sempre più gravante sui costi della città sia per il tipo di produzione (abitazioni medie e di lusso) sia per la mancanza di inserimento in una pianificazione urbana che coordini razionalmente residenza e lavoro, residenza e servizi. L'aumento dell'occupazione operaia, poi, (che investe soprattutto i settori giovanili e femminili, conseguen

te all'esodo dalle campagne del Lazio) ha prodotto e lo sfruttamento della manodopera assunta a basso costo e la molto più grave perdita di energie in rapporto con lo spreco del tempo in ore-trasporto. Infatti si ritiene che lo sviluppo industriale disordinato e la mancanza di pianificazione delle attività urbane ed extra urbane, nonché delle forse del lavoro, incida sulla massa dei cittadini non tanto per il tipo di sperequazione tra profitto e salario, (che pure è notevolissimo ad esempio nel campo dell'industria edile), quanto per la impossibilità da parte del cittadino qualsiasi di scegliere le forme che più ritiene giuste di vita, di lavoro, di circolazione sociale, di ubicazione culturale e professionale.

Il costo sociale della città

Il caso dei trasporti non investe solamente l'assurda circolazione nel centro storico, ma molto più profondamente incide sugli spostamenti che giornalmente circa 200.000 cittadini compiono con moto pendolare tra Roma ed il territorio circostante. L'incremento della motorizzazione privata (300.000 auto) in rapporto con la inefficienza dei pubblici servizi non è tanto sintomo di benessere, quanto significa un peso economico per la città ed i cittadini.

Conseguentemente le forze della conservazione possono decisamente puntare sull'aumento del benessere individuale, rammodernando e quantificando abitazioni, opere pubbliche, beni di consumo, ecc. e trovando più efficaci e moderne formule di profitto, che inevitabilmente vanno a scapito della collettività. Per la sinistra entrare in questo gioco significa rinunciare ai propri obiettivi di avanzata sociale e di liberazione effettiva del cittadino che deve essere messo in grado di compiere il maggior numero di scelte possibili nell'ambito delle infinite possibilità che un grande aggregato urbano offre.

Alla luce di queste considerazioni possono essere valutate anche le recenti vicende urbanistiche romane che sempre più rappresentano il terreno di scontro delle diverse opinioni e forze politiche a livello amministrativo.

La polemica sul P.R.

Dopo il piano del CET, che rappresentava solo il punto di partenza di una possibile opera di pianificazione urbana che si sarebbe potuta sviluppare scientificamente ed organicamente secondo le linee accennate, il discorso urbanistico si è fatto sempre più particolare, frammentario, elusivo. Oggi, con le recenti polemiche, sembra che ancora una volta si discuta di "falsi problemi". E fanno bene coloro i quali si oppongono decisamente ai compromessi che questa o quella segreteria di partito, che questo o quel gruppo di tecnici fanno con le autorità costituite.

Piano dei vincoli, norme di salvaguardia, piccole variazioni che architetti più o meno qualificati possono apportare ai grafici del piano regolatore ingrandendo un centro direzionale, spostando una strada o qualificando una zonizzazione, sono tutti palliativi destinati a perdere di valore nello spazio di un mattino. Né si può certo accettare che il destino di una città di due milioni di cittadini sia affidato alla volontà di un professionista, o alla capacità di patteggiamenti tra i vari gruppi politici al di sopra ed al di fuori della individuazione delle strutture economiche, sociali ed amministrative delle città e della loro discussione sia negli organi rappresentativi sia nella opinione pubblica.

Rispetto a questo tipo di politica urbanistica oggi la sinistra romana non ha raggiunto le sue migliori possibilità. Una parte di essa che si identifica nella direzione del partito socialista ed in un gruppo di tecnici, tra i quali coloro che redigono il cosiddetto "piano dei vincoli", ha rinunziato ad indagare ed a portare avanti un discorso programmatico certamente più faticoso, più difficile e più a lunga scadenza di quello odierno, che però offrisse una sostanziale alternativa alla città disordinata e socialmente costosa quale quella che inevitabilmente viene fuori da un piano regolatore particolare e ristretto nel tempo e nello spazio.

Alla stessa stregua i tecnici e le forze culturali che hanno appoggiato l'operazione che affida ad una ristretta commissione di cinque persone l'interpretazione delle esigenze della città alla luce delle indicazioni del consiglio superiore del LL.PP., hanno rinunziato a svolgere dall'esterno come settore interessato e qualificato ogni pressione affinché fossero studiati i problemi fondamentali della futura struttura urbanistica della città e del territorio. Ai tecnici invece dovrebbe essere affidato il compito di offrire proposizioni di studio, indicazioni di tendenze tecniche che riescano a risolvere problemi politici secondo gli interessi generali verso i quali deve comunque dirigersi una attività scientifica.

Quale che sia dunque oggi l'esito di questi mesi di polemiche intorno ai problemi urbanistici (e non solo urbanistici perché si discute del futuro della città) appare responsabile ed effettivamente qualificante sul piano di una politica progressiva la necessità di porre fine una buona volta alle soluzioni affidate in campo urbanistico come negli altri campi alle buone o cattive volontà individuali. In questo senso non si può che dare un pesante giudizio negativo su tutto quanto è stato fatto fino ad oggi e porre le basi per il lavoro di domani.

La nuova metropoli

Abbiamo di fronte la definizione di una nuova città, la metropoli moderna dalle nuove dimensioni fisiche, economiche, amministrative, sociali e culturali. La metropoli dove alle attività primarie agricole e secondarie industriali si sostituiscono per gerarchia di importanza le attività terziarie e dove i problemi di comunicazione (intesi secondo tutti i parametri) assumono peso determinante. Occorre integrare Roma al suo territorio, dare una struttura all'"hinterland" definendone le reciproche funzioni produttive ed il maggior grado possibile di usufruibilità delle strutture sociali. Occorre permettere la mobilità e lo scambio nel territorio e nella città come fattore fondamentale di scelta del lavoro, della residenza, dell'ambito sociale e culturale preferito. Occorre promuovere una riforma amministrativa che metta i singoli cittadini in condizione di partecipare direttamente all'amministrazione della cosa pubblica, giungendo ad un decentramento territoriale analogo a quello che tutte le grandi metropoli mo

derne hanno già da tempo sperimentato. E non solo come fattore di funzionalità, ma come partecipazione democratica e responsabile nell'ambito di comunità autonome a dimensioni controllabili dal singolo. Infine non si può seguitare ad ignorare la situazione di carenza che strutture scolastiche, sanitarie, attrezzature collettive, verde pubblico e ambiente urbano presentano oggi a Roma. Ma non si tratta di reclamarne soltanto l'aumento quantitativo quanto la esatta e pianificata collocazione in vista della creazione di una metropoli dagli scambi intensi e capace di offrire strutture liberatrici di energie individuali, senza cristallizzazioni di sorta.

Per un istituto di ricerca

Nell'ambito di tali ricerche urbanistiche, sociali ed economiche, dalle quali può prender forma un programma di rinnovamento per Roma, occorre passare dalle singole proposte effettuate volta per volta, quindi parziali e approssimative come quelle che fino ad oggi hanno riguardato il piano regolatore e la pianificazione territoriale, ad uno studio pianificato nel tempo, istituzionalizzato nelle strutture. Se un programma di effettiva trasformazione non può sortire per la sinistra che dall'esame dei dati di fondo che abbiamo cercato di delineare, la proposizione di una pianificazione operativa effettivamente efficace da parte della pubblica amministrazione non può che derivare dalla creazione di appositi organismi che analizzino sistematicamente e scientificamente le linee di sviluppo del territorio. Occorre a Roma, come è già stato fatto da decenni allo estero e da qualche tempo in Piemonte e Lombardia, creare quegli istituti di ricerca e di pianificazione, intorno ai quali si possano catalizzare le migliori

energie professionali e produttive a disposizione, e per svolgere una ricerca di ipotesi di lavoro, da dibattere e poi giudicare secondo l'effettivo interesse della collettività.

Non si può infatti lavorare per il futuro senza analizzare i fenomeni che determinano lo stesso futuro: né dirigere le forze in gioco in un certo ambito senza prevederne i disegni, le intenzioni, gli obiettivi.

La tradizione radicale

La campagna elettorale che si sta svolgendo avrà una funzione costruttiva nella misura in cui si arricchirà dei problemi generali, ed intorno ad essi si delineeranno schieramenti, maggioranze e programmi amministrativi. Se, invece, si arenerà sulle secche di formule precostituite, quale potrebbe essere quella di un "centro-sinsitra" aprogrammatico, come quello che sembra delinearsi soprattutto dopo le vicende del piano regolatore, allora la sterilità sarà ancora il simbolo delle forze politiche che governano le città e le forze conservatrici saranno effettivamente le uniche vincitrici.

I radicali, come è nella loro tradizione, e nel passato della vita politica romana, offrono alla pubblica opinione ed alle forze culturali, sindacali e politiche alcuni temi di lavoro e di incontro: il successo che una tale politica di effettiva alternativa potrà avere anche a lunga scadenza dipenderà solo dal lavoro effettivo che intorno a questi "veri problemi" e ad altri che da altre parti potranno venire, la sinistra in tutte le sue articolazioni svolgerà per costruire una politica a sinistra per Roma.

 
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