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Piccardi Leopoldo - 1 giugno 1962
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di Leopoldo Piccardi

SOMMARIO: Lo sfaldamento del (primo) Partito radicale è già quasi compiuto con il ritiro dei fondatori del partito (Mario Pannunzio, Arrigo Benedetti, Leone Cattani, Ernesto Rossi, Leo Valiani, Guido Calogero) e la confluenza della maggioranza dei dirigenti nell'area socialista o in quella La Malfa (Rodotà, Ferrara, Jannuzzi, De Mauro, Mombelli, Scalfari). La "sinistra radicale" di Pannella, Rendi, Spadaccia, Bandinelli e Teodori ha ormai assunto pienamente la rappresentanza del partito. Del gruppo originario sono rimasti solo Bruno Villabruna e Leopolo Piccardi. In questo quadro, alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Roma del giugno 1962. viene presentata una lista di bandiera con il simbolo del Pr, il berretto frigio.

Nel giornale elettorale "il radicale", Leopoldo Piccardi se da una parte difende il centro-sinistra rivendicando il ruolo del Pr nell'elaborazione dei contenuti di questa nuova formula governativa, dall'altra esprime riserve sulla possibilità di superare le resistenze della DC nelle riforme e la sua incapacità di rinnovarsi testimoniata in particolare dall'elezione, nel maggio del 1962, del Presidente della repubblica Antonio Segni.

(IL RADICALE, giugno 1962)

La situazione politica italiana attraversa un momento ricco di possibilità e di speranze, ma anche di incertezze e di pericoli. Gli sviluppi che potranno seguire dipendono dalla chiarezza con la quale ogni gruppo saprà vedere i propri compiti e dall'impegno che saprà porre nella propria azione.

Dopo quasi un decennio di vuoto politico succeduto al definitivo logoramento del centrismo, si sta oggi sperimentando una nuova formula di governo, di centro-sinistra. Quali siano le sue possibilità di successo non è facile prevedere. Al consolidamento dell'attuale intesa governativa si adoperano, come è giusto, tutte le forze impegnate nell'operazione. I problemi che contraddistinguono il nuovo corso della politica italiana sono allo studio: uffici pubblici, gabinetti di ministri, comitati di esperti, organizzazioni di partito stanno attivamente lavorando alla ricerca di soluzioni, all'elaborazione di disegni di legge e di progetti. Le conversazioni ad alto livello sono continue. E di questo fervore non ci si può non compiacere.

Il rovescio della medaglia è un certo stato d'animo che si diffonde nel paese. Gli italiani sono in attesa di vedere se l'esperimento avrà o non avrà un esito favorevole: si direbbe che trattengono il respiro come fanno gli spettatori in un circo quando, cessato anche il suono dei tamburi, un saggio di alta acrobazia si avvicina al momento più drammatico. Il normale dialogo politico si inaridisce. L'attenzione si rivolge, non tanto ai modi in cui saranno avviati a soluzione i grandi problemi della nostra vita politica, economica e sociale, quanto all'influenza che i tentativi diretti a risolvere quei problemi avranno sulla sorte dell'operazione politica in corso. E quando una voce si leva a discutere pubblicamente, non di intese o contrasti fra partiti, ma di nazionalizzazione dell'industria elettrica, di riforma della scuola o dell'amministrazione, di pianificazione economica, il discorso pare imprudente o indiscreto di fronte al timore che ne derivi un turbamento alle delicate conversazioni in corso negli

ambienti responsabili.

A questo stato d'animo occorre reagire. E forse noi radicali abbiamo qualche titolo per farlo con efficacia.

Se per centro-sinistra s'intende l'incontro tra le forze laiche, socialiste e non socialiste, e le forze cattoliche, sul comune terreno dei principii ai quali si ispirano le democrazie moderne e della volontà di promuovere un processo di trasformazione, capace di adeguare a quei principii le nostre strutture politiche, economiche e sociali, nessun altro gruppo si è forse adoperato per un siffatto sviluppo della situazione italiana, con altrettanto vigore e altrettanta coerenza quanto il partito radicale. Fu la nostra la prima formazione che ripudiò, in piena indipendenza dal comunismo, la politica centrista nella quale, dopo la liberazione, si era presto impantanata la direzione del paese. Molti di noi avevano già combattuto, nelle file dell'Unità Popolare, quella battaglia contro la legge maggioritaria, il cui ricordo non perde, con il passar del tempo, il suo significato. Tutti avevamo accettato il responso elettorale del '53 come la definitiva chiusura di una fase della vita politica italiana. Dalla costi

tuzione del partito cominciò la nostra azione tendente a quella che fu chiamata alternativa democratica: e cioè a un mutamento di indirizzo che sostituisse, nella guida del paese, le forze più avanzate della democrazia italiana a quelle del clericalismo e della conservazione che avevano esercitato il loro predominio sotto la trasparente mascheratura del centrismo.

A questo fine, esercitammo una costante pressione sugli altri settori della sinistra democratica perché rivedessero le loro tendenza a dare alla D.C. una gratuita e subordinata collaborazione: le nostre polemiche con i socialdemocratici e, in minore misura, con i repubblicani, sono tuttora parte viva della breve storia del pratito radicale, anche se in una certa misura superate dai nuovi atteggiamenti che quei due partiti sono venuti assumendo. D'altro lato, facevamo ogni sforzo per incoraggiare i socialisti ad abbandonare la formula ormai logora dell'unità di azione con i comunisti: e, prima di ogni altro, ci rendemmo garanti della sincera volontà del P.S.I. di assumere una autonoma funzione sul terreno dello sviluppo democratico, nella lotta politica italiana. Né dimostrammo mai di trascurare la sempre più viva presenza, nel vasto e complesso mondo cattolico, di forze in vario senso capaci di concorrere a una politica di progresso democratico. Ma ci ispirammo sempre alla convinzione che il modo migliore di

aiutare i gruppi cattolici più avanzati a liberarsi dal soverchiante peso del clericalismo e della conservazione fosse quello di costruire un largo schieramento laico, che sostenesse il confronto con la D.C. su posizioni di forza.

La via che ha condotto all'attuale esperimento di centro-àsinistra è passata per questi punti obbligati. Se sarebbe stato atto di inammissibile presunzione attribuire il merito di quanto è accaduto a una modesta formazione politica come la nostra, è certamente per noi ragione di giustificato compiacimento l'avere seguito la linea di sviluppo della situazione italiana con maggiore consapevolezza e maggiore senso di continuità di quanto altri non abbiano dimostrato.

Mentre, sul piano dei rapporti con le altre forze politiche, svolgevamo questa azione, rivolgevamo al tempo stesso i nostri sforzi verso una messa a fuoco dei maggiori problemi del paese. E anche sotto questo aspetto, ci sia lecito ricordare quale titolo di legittima soddisfazione e quale incoraggiamento per la nostra azione futura, il contributo, non eguagliato forse da alcun altro settore politico, che abbiamo portato alla formulazione di un chiaro e concreto programma di sviluppo. I problemi considerati oggi come essenziali a una politica di centro-sinistra appartengono in gran parte a una problematica radicale: nessuno prima di noi aveva posto all'ordine del giorno la lotta ai monopoli, non nel quadro di un processo ispirato a ideologie collettivistiche, ma sul piano dei principi ai quali si ispira lo stato democratico moderno e con immediato riferimento all'attuale situazione italiana; e la nazionalizzazione della industria elettrica era rimasto uno slogan della propaganda politica prima che noi lo pros

pettassimo con la precisione e la concretezza di una cosa da farsi entro un breve periodo di tempo; e il problema della scuola fu per la prima volta da noi posto in quel modo drammatico che giustamente è ormai diventati abituale; e la legislazione anti-trust come la riforma delle società sono temi che provengono da dibattiti agitati da moi o da forze che avremmo il merito di stimolare e di raccogliere.

Tutto questo andava detto, non soltanto perché un partito, benché piccolo, ama rievocare la sua storia, per quanto breve, ma soprattutto per chiarire quale è la nostra posizione di fronte alla situazione politica attuale. Noi possiamo essere avversari del centro-sinistra, se il centro-sinistra significa abbandono della politica dei blocchi, superamento di un falso centrismo, dominato da interessi clericali e di conservazione, avviamento a un processo di trasformazione della nostra società e delle sue strutture. Non possiamo essere avversari del centro-sinistra, se la nuova formula governativa varrà ad attuare alcune fra le riforme che noi da tempo andiamo patrocinando.

Ma nel nostro discorso ci sono, e non possono non esserci molti "se". La nostra adesione a una politica di centro-sinistra è necessariamente subordinata a varie condizioni: e sarebbe imprudente affermare che esse possano oggi considerarsi attuate. A dire la verità, la via attraverso la quale si è giunti alla formazione dell'attuale governo non ci ha risparmiato le delusioni. Deludenti ci sono parse la lentezza e l'avarizia con le quali la D.C. ha accolto, sul piano amministrativo, la formula del centro-sinistra. Un senso di legittima diffidenza ci ha ispirato l'ingresso nella formazione governativa di uomini che ci erano sempre apparsi come l'espressione delle tendenze più illiberali del mondo clericale e la cui conversione a una politica di centro-sinistra non poteva essere considerata convincente. Non già che noi guardiamo a una politica come a uno strumento di scissione della D.C. Sappiamo che non sempre le scissioni sono salutari e ci rendiamo conto dei pericoli che potrebbe presentare una frattura in se

no al partito di maggioranza relativa, nelle attuali condizioni della lotta politica in Italia. Ma abbiamo sempre pensato che, per un sensibile mutamento della sua linea politica, la D.C. avrebbe dovuto trovare una équipe qualificata, in omaggio a quel principio dell'alternativa nella direzione che, come vale per i governi, così vale per i partiti. L'elezione del Presidente della Repubblica, non per la persona dell'eletto o per un suo confronto con altri candidati, ma per il modo in cui si è svolta, ha ancora una volta dimostrato quali equivoci travagliano la vita interna della D.C. e quale volontà di potere animi tuttora al maggior parte della sua classe dirigente.

Se volgiamo lo sguardo alle prime prove dell'attuale formazione governativa, ancora una volta troviamo ragioni di preoccupazione, accanto alle, forse più limitate, ragioni di compiacimento. Non ci ha soddisfatti la soluzione del problema della censura, che non soltanto tiene in vita un istituto avversato da un largo settore dell'opinione pubblica, ma non lo distacca dall'apparato dell'esecutivo e non lo inserisce nella vita culturale del paese. Non ci appaga la sostituzione del piano decennale della scuola con un piano triennale che, nel perpetuare una visione frammentaria ed episodica del problema scolastico, non rinuncia tuttavia a disposizioni che ledono il principio della laicità della scuola. Abbiamo invece accolto il disegno di legge sull'istituzione dell'imposta cedolare come un primo passo verso una nuova impostazione, su basi di serietà tecnica e morale, del nostro sistema tributario.

Il momento di fare un bilancio non è ancora venuto. Ma noi non ci consideriamo come gli arbitri di una partita, che osservano il gioco e segnano i punti a favore dell'una o dell'altra squadra. Convinti che la cosiddetta apertura a sinistra possa, a certe condizioni, costituire oggi la sola via per far avanzare lo sviluppo democratico del paese, daremo alla sua attuazione tutto il nostro possibile contributo. Ma non è un contributo di silenzio, di discrezione e di cautela. Non crediamo all'utilità e alla vitalità di una nuova formula politica che nasca in un'atmosfera di preoccupazione e di conformismo. Collaborare a una soluzione governativa di centro-sinistra significa per noi portare avanti le nostre battaglie, da quelle tendenti a una profonda trasformazione della società e delle istituzioni a quelle che si propongono l'adeguamento della nostra politica estera ai compiti che, a nostro avviso, l'Italia è chiamata ad assolvere per il mantenimento della pace e per il trionfo della causa della libertà nel mon

do.

E' questo il miglior modo di collaborare al tentativo di dare al paese un governo rispondente alle necessità e alla situazione del momento. Ed è anche, per un partito il miglior modo di assolvere la propria funzione, la quale non si può esaurire nella contingente ricerca delle formule governative. Al di là delle combinazioni politiche, che hanno pur sempre un carattere strumentale, un partito non può perdere di vista i fini che giustificano la sua esistenza. Saper guardare al tempo stesso vicino e lontano, non è facile. Ma è questo lo sforzo al quale si deve dirigere l'impegno dei radicali.

 
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