TEATRO ELISEORoma - 12 Dicembre 1965
SCHEMA DELLA RELAZIONE DELL'AVV. MAURO MELLINI
SOMMARIO: "Fino ad oggi la sinistra italiana ha guardato se non con indifferenza con profonda sfiducia alla possibilità e alla opportunità di una battaglia divorzista nel parlamento e nel paese". Grazie ai radicali, forse oggi per i divorzisti è cominciata "la loro epoca spaziale". Saluta il progetto di legge dell'on. Fortuna e le prime voci cattoliche che, anche in Concilio, si sono levate a caldeggiare il rinnovamento della Chiesa su tali questioni. Segnala come i divorzisti, assieme al giornale ABC, comincino ad organizzarsi: "Qualche cosa di nuovo è avvenuto nel paese" nonostante le sue arretratezze sociali e culturali. Ma occorre ricordare che lo schieramento antidivorzista "rimane monolitico al vertice". La Chiesa trova un alleato nel "neocapitalismo" e nel suo bisogno di "autorità" e di "controllo delle masse". Sarebbe ingenuo pensare che il progetto Fortuna possa diventare legge in breve tempo. Ma è importante che in Parlamento si apra il dibattito su di esso e si arrivi alla discussione in Aula: cos
a faranno a quel punto i partiti cosidetti laici e di sinistra? La relazione avanza ipotesi sull'atteggiamento che le diverse forze assumeranno quando si tratterà di ingaggiare battaglia con la DC. Per i radicali il divorzio è "uno dei temi dell'unità delle sinistre laiche e socialiste" per la "emancipazione delle masse". Analizza quindi le caratteristiche del progetto, e sostiene che sia sbagliato definirlo come il "piccolo divorzio". E' un progetto valido, e dietro di esso vi è già una "maggioranza" di divorzisti, "un formidabile gruppo di pressione" con il quale dovranno fare i conti "preti, deputati, giornalisti e finanziatori di giornali". Certi interessi coalizzati contro "dovranno rivedere il loro atteggiamento". E' perciò importante il formarsi di "associazioni divorziste" forti e capaci di ottenere la legge adesso, senza doverla aspettare dal "Concilio Vaticano 3·".
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Fino ad oggi la sinistra italiana ha guardato se non con indifferenza con profonda sfiducia alla possibilità e alla opportunità di una battaglia divorzista nel parlamento e nel paese. Noi radicali, che da nove anni sosteniamo la necessità di porre chiaramente davanti all'opinione pubblica e alle masse democratiche questo obiettivo, abbiamo trovato negli altri partiti di sinistra solidarietà generiche o individuali per ciò che riguarda il problema in astratto, ma ad ogni nostro tentativo di inserire la questione del divorzio tra i temi politici da affrontare e da discutere, ci siamo intesi guardare come i cultori di astronautica negli anni 30 o 40. L'innegabile risveglio della opinione pubblica in questi ultimi tempi e la presa di coscienza di sempre più vaste masse di cittadini, ci consentono invece di constatare che anche per i divorzisti sia ormai cominciata la loro epoca spaziale.
Che cosa ci autorizza a valutare in forma così ottimista la situazione attuale? Un disegno di legge presentato da un deputato di un partito al governo; una voce che perfino in Concilio si è fatta sentire per caldeggiare quella che, con estrema proprietà di linguaggio canonico, è stata definita "dispensa" dal vincolo matrimoniale, hanno suscitato interesse e scalpore. Ed è proprio il modo in cui ogni voce, ogni fatto nuovo riguardante il divorzio viene oggi accolto dal grande pubblico che deve essere attentamente valutato.
L'opinione pubblica ha reagito alla presentazione del disegno di legge dell'on. Fortuna come mai aveva reagito alla presentazione di analoghi disegni di legge dell'on. Sansone. Manifestazioni di consenso numerosissime, spontanee, persistenti hanno risposto all'iniziativa del deputato socialista ed alla campagna del settimanale ABC.
L'opinione pubblica reagisce positivamente: i divorzisti incominciano ad orientarsi e mostrano una certa tendenza ad organizzarsi. Sono sorte associazioni divorziste. La stampa non legata al carrozzone ufficiale del regime comincia ad accorgersi dell'importanza del problema.
Qualche cosa di nuovo è avvenuto nel paese. Una società fondata su di una economia fondiaria e su di una industria poco più che artigianale, sulla disoccupazione e la sottooccupazione permanente con il conseguente declassamento sociale ed economico della donna, una cultura autarchica e provinciale stanno dissolvendosi e tendono a scomparire, pure tra tante contraddizioni ed incertezze e con tanto ritardo. Il Sud, la grande riserva del tradizionalismo e dell'arretratezza del costume italiano, sta subendo una crisi profonda.
Al divorzio cominciano a guardare non soltanto i pochi privilegiati che lo considerano come una alternativa al processo avanti alla Sacra Rota, molto chic, ma tanto noioso. Né soltanto studiosi, sociologhi, letterati, magistrati ed avvocati. In ogni ceto il marchio d'infamia dell'"irregolarità" di certe situazioni, tali a cagione dell'indissolubilità di precedenti vincoli, è respinto e l'assurdità del regime giuridico matrimoniale attuale è ammessa comunemente. Il divorzio comincia ad essere un problema di massa. Se nel 1878 l'on. Morelli nella relazione al suo progetto sul divorzio (il primo nella storia parlamentare unitaria) prendeva atto dell'"insensibilità" delle masse al problema, soggiungendo "è l'intelletto delle nazioni che le governa, non sono le moltitudini", noi possiamo cominciare a dire che l'intelletto delle moltitudini reclama il divorzio.
Ma, anche se in campo cattolico affiorano perplessità estremamente interessanti, dobbiamo constatare che lo schieramento contro il divorzio, malgrado l'inequivoco atteggiamento di tanta parte dell'opinione pubblica, rimane monolitico al vertice. Nulla ci autorizza a pensare che oggi i cattolici, il loro partito, la DC, i loro alleati nella difesa dei "supremi valori", i tanti mercenari miscredenti del clericalismo italiano, così numerosi in questo paese di tradizioni cattoliche ma non profondamente religiose, siano disposti a mollare e soltanto ad arrivare ad un compromesso.
Non si tratta solo di legittimo attaccamento a principi religiosi ed a posizioni ideologiche tradizionali. Del resto noi siamo i primi a rispettare ogni concezione "religiosa" del matrimonio da parte di chi lo senta e lo accetti come "sacramento" e si senta conseguentemente legato indissolubilmente da esso. Ciò che respingiamo è una concezione dello Stato, della società, della convivenza civile che affida il rispetto di questo principio religioso alla costrizione autoritativa dello Stato piuttosto che alla capacità dei cittadini di edificare la loro vita, la loro unione matrimoniale, la loro famiglia in coerenza con la loro fede e con le loro convinzioni morali e religiose. E la respingiamo, questa costrizione autoritaria, questo intervento d'imperio dello stato nella vita morale e religiosa dei cittadini, non soltanto per la violenza che opera ai danni di coloro che non hanno mai condiviso o hanno abbandonato o cessato di praticare la fede cattolica; sopratutto la respingiamo perché una tale corrispondenza
- esterna, legale - fra vita privata e principi religiosi non può che produrre fenomeni deteriori di costume, che si ritorcono a danno della stessa autentica religiosità del cattolicesimo italiano.
Ma non siamo nemmeno di fronte all'attardarsi dei difensori di certi interessi su posizioni ormai superate e scavalcate dal nuovo assetto degli interessi da loro difesi.
E' un fatto che il neocapitalismo ha bisogno di "autorità", di controllo delle masse quanto e più della società che si è lasciato dietro. Non è quindi da meravigliarsi che le classi dirigenti siano restie a rinunziare a potenti strumenti di "controllo" e di "compressione" sociale, siano decise a non cedere. Per questo sarebbe ingenuo pensare che il progetto Fortuna sia destinato a diventar legge entro un breve periodo di tempo, dovendo superare soltanto una sia pur accanita battaglia parlamentare.
Nel parlamento, tenendo conto della composizione, degli umori delle camere e della durata di questa legislatura, il progetto è probabilmente già bruciato.
Me è evidente che il valore, la portata della presentazione del progetto va assai al di là del prevedibile sbocco del suo iter parlamentare.
La presentazione di un disegno di legge serio, meditato, corredato da una relazione ricca di dati e di notizie di estremo interesse, costituisce di per sé un fatto altamente positivo, un richiamo preciso per l'attenzione dell'opinione pubblica, presso la quale varrà a dare la misura non solo della gravità e dell'urgenza del problema, ma anche della sua concretezza, della possibilità di una soluzione. Farà meditare molta gente sul fatto che in Italia "non c'è" il divorzio perché il Parlamento non lo ha votato. Varrà a rendere più evidente la correlazione tra le strutture giuridiche dell'istituto matrimoniale e la volontà politica dei partiti ed, in ultima analisi, degli elettori.
Io non sono un tecnico dei regolamenti e delle procedure parlamentari e non so se la buona volontà dei gruppi di sinistra potrà imporre la discussione del disegno di legge contro la prevedibile manovra insabbiatrice dei democristiani e dei loro alleati (a scanso di equivoci intendo parlare dei loro alleati congeniali, sempre pronti a dar loro una mano in ogni manovra reazionaria, al di là di ogni vincolo di maggioranza governativa). E' certo però che una discussione in aula del disegno di legge non rappresenterebbe soltanto una frattura di una specie di tradizione che vede i progetti di divorzio languire fino alla chiusura della legislatura, ma rappresenterebbe un grande successo per l'agitazione divorzista nel paese, e ciò non solo per la rinomanza del dibattito, ma specialmente per l'impiego positivo e negativo che imporrebbe ai partiti politici.
Non sarebbe, probabilmente, cosa gradita, ad esempio, per i liberali dover prendere posizione apertamente e pubblicamente contro il divorzio. Altra cosa è collaborare ad un insabbiamento ed altra dichiararsi contro.
Il progetto Fortuna ha esattamente il valore e il peso dell'impegno che le forze politiche favorevoli al divorzio dimostreranno nel sostenerlo e nel portarlo avanti, per liberarlo dalle secche dell'insabbiamento, per farlo conoscere, per propagandarlo, per imporre alle altre forze politiche di prendere chiaramente posizione su di esso senza scappatoie e senza alibi.
Quale sarà questo impegno? Sarà disposto il partito socialista a vedere turbati i suoi buoni (o cattivi) rapporti di collaborazione governativa con la Dc per appoggiare fino in fondo la proposta dell'on. Fortuna? Sono disposti i comunisti a dare un contenuto polemico al loro "dialogo con i cattolici" a cagione del divorzio? Se verrà opposto, come è certo che avvenga, che il divorzio è in contrasto con l'art. 34 del Concordato, vorranno i comunisti porsi il problema della sua abrogazione? Saranno disposti La Malfa e i repubblicani a interrompere la politica di abbandono di ogni rivendicazione laica, quale hanno praticato fino ad oggi?
Il progetto Fortuna ha il merito di imporre una risposta chiara e precisa a questi ed a molti altri interrogativi.
Noi radicali siamo convinti che nel quadro del rinnovamento e dell'unità della sinistra italiana il problema di un diverso atteggiamento in ordine a questioni come il divorzio, il controllo delle nascite ecc. ha una importanza di primo piano.
Se è vero che nel nostro paese le maggioranze liberali prefasciste hanno sempre condizionato il loro conclamato laicismo ad esigenze di conservazione, è anche vero che le forze di sinistra di estrazione socialista hanno sempre guardato a questi problemi come a questioni di sovrastruttura, ad esigenze piccolo-borghesi, la cui soluzione in ultima analisi avrebbe dovuto dipendere dalla trasformazione delle basi economiche della società: problemi quindi da rinviare al momento della trasformazione socialista della società o da affrontare solo strumentalmente, con distacco e cautela.
Non è questa la sede adatta per un dibattito sulla relatività di concetti di struttura e di sovrastruttura sociale.
E' certo però che dolorose rinunce e gravi sconfitte del movimento operaio sono passate attraverso atteggiamenti di disinteresse e di scarso interesse per i problemi impropriamente detti "sovrastrutturali".
Ed è certo che il monopolio della chiesa cattolica nel regime matrimoniale e familiare, come in altri campi, è anche servito egregiamente a rafforzare quegli strumenti che hanno consentito di mantenere inalterate, attraverso un saldo controllo del costume, dei sentimenti, degli istituti giuridici, delle opinioni, strutture sociali ed economiche altrove intaccate e superate.
Noi proponiamo quindi il divorzio come uno dei temi dell'unità delle sinistre laiche e socialiste e riteniamo che per questa battaglia, che è battaglia di emancipazione che interessa le masse, vale la pena di sacrificare qualche più facile obiettivo contingente, e che, attraverso di essa, attraverso l'impegno di combatterla a fondo, le forze di sinistra potranno trarre nuova forza e nuove adesioni.
E torniamo ancora al disegno di legge Fortuna. Se la sua funzione deve essere quella che sopra ho cercato di delineare, è certo che anche il giudizio nella sua formulazione sui limiti e sui casi da esso previsti e regolati deve essere dato in considerazione di questa prospettiva.
Se è vero che non è da sperare che la particolare "moderazione" del disegno di legge possa eliminare l'opposizione della DC e delle forze che, su questi problemi essa ha sempre avuto come sicuro alleato; se è probabile che essa non sia neppure sufficiente a superare la solidarietà governativa che paralizza il laicismo dei repubblicani, dei socialisti e dei socialdemocratici, sarebbe stata forse opportuna una formulazione più avanzata. Non c'è ragione oggi di concepire quello che deve essere una specie di "manifesto per il divorzio" in termini tali da prospettare la nostra uscita dal club dei paesi matrimonialmente sottosviluppati per andarci a mettere proprio in coda a quelli dotati di una legislazione moderna.
E vale anche la pena osservare che l'espressione "piccolo divorzio" adottato dalla stampa, è tutt'altro che felice. Sembra che ci si voglia scusare, con l'aggettivo "piccolo" dell'enormità della parola divorzio. Senza dire che "piccolo" divorzio fa pensare ad un altro divorzio, al "grande divorzio" in attesa fuori della porta.
Se pensiamo all'immagine cara alla propaganda clericale del divorzio come una specie di "gran via" di scioglimento automatico e magari obbligatorio di ogni vincolo matrimoniale, di strumento destinato inesorabilmente a sovvertire e a corrompere le basi stesse della vita familiare, è evidente l'inopportunità di consentire un tale giuoco d'immagini.
Per sostenere il divorzio non abbiamo bisogno di diminutivi e di eccessive limitazioni, non dobbiamo ammettere che il nostro paese debba per forza restare in coda a tutti gli altri che da noi la situazione generale del paese e i sentimenti delle masse siano diversi. Non è questo il momento dei compromessi, che del resto nessuno ci offre e nessuno ci consente.
In questo, come in qualsiasi altro campo, per giungere ad un compromesso occorrerebbe imporlo, attraverso una battaglia aspra e difficile.
Non possiamo esaminare qui a fondo i mezzi, la strategia, la tattica della battaglia divorzista. Ma è certo che occorre, prima di tutto dare a quelle masse che stanno acquistando coscienza del problema la convinzione che la soluzione di esso è a loro portata, che su di esso hanno il diritto di pronunziarsi, che si tratta non soltanto di una questione personale di pochi e molti infelici, ma di una questione che riguarda la struttura stessa e la stessa civiltà della società in cui viviamo, che è un problema di tutta la comunità, e dunque un problema politico.
Occorre che, chiarendo sempre meglio le proprie idee, i divorzisti acquistino coscienza di non essere degli isolati, di essere massa, di esprimere un'opinione che ha un peso, di essere, come siamo convinti che siano, effettiva maggioranza.
E bisogna che comincino a guardarsi intorno, ad individuare amici ed avversari, a scegliere gli strumenti migliori per far sentire il loro peso.
E' indubbio che oggi il potere decisionale di questa grande massa di cittadini favorevoli al divorzio è pressoché nulla, certamente neppure paragonabile a quella dei difensori della tradizionale arretratezza del sistema. Ma i divorzisti, per il loro numero, per la loro presenza in ogni stato sociale, per l'intensità del loro convincimento spesso maturato in dolorose esperienze, hanno la possibilità di costituire un formidabile gruppo di pressione con il quale la classe dirigente dovrà fare i conti.
Quanti italiani convinti divorzisti votano per la DC? E magari quanti fuori legge del matrimonio? Quanti lettori di giornali più o meno ipocritamente "indissolubilisti" sono decisamente divorzisti? L'opinione sul divorzio non è, almeno nella misura in cui sarebbe logico fosse, una di quelle idee base sulle quali gli italiani fondano oggi le loro scelte elettorali, e delle loro fonti d'informazioni. E neppure gli atteggiamenti rispetto alle confessioni religiose sono coerenti: moltissimi cattolici sono convintissimi "che i preti abbiano torto" a condannare il divorzio. Si dirà che sono cattolici sprovveduti. Ma possiamo anche considerarli divorzisti sprovveduti.
Ora, se questo stato di cose sarà modificato, nel senso di una presa di coscienza della scelta divorzista e delle sue implicazioni, se una massa imponente di italiani comincerà ad orientarsi coerentemente nella scelta elettorale, nella scelta del giornale etc. in funzione del proprio convincimento divorzista, continueranno preti, deputati, giornalisti e finanziatori di giornali a considerare opportuna l'attuale loro intransigenza? Certi interessi oggi coalizzati contro il divorzio in quanto innovazione, modernità, libertà, non dovranno rivedere il loro atteggiamento?
Un'azione divorzista autonoma, vivace organizzata, politicamente ben orientata, diretta a far lievitare nelle masse sentimenti e convincimenti ormai diffusi, ad incanalare energie, a coordinare gli sforzi di quanti si battono per il divorzio, a stimolare e confortare l'azione delle forze politiche decise a sostenere la causa divorzista, è oggi possibile e si profila efficace. Il successo delle associazioni, delle iniziative, dei giornali che si son messi in questa direzione ne sono una prova inconfutabile. D'altra parte la costituzione di forti associazioni divorziste, darà vita ad una esperienza nuova nel nostro paese in cui manca una tradizione per le associazioni politiche dirette al conseguimento di una determinata riforma, che affianchino i partiti politici. E questa è forse una delle cause di un certo trasformismo deteriore che grava sul paese.
Alle forze politiche, ai partiti, ai parlamentari, ai pubblicisti democratici il compito di dare all'opinione, alle organizzazioni divorziste fiducia e spazio politico in cui operare. Da loro, sopra tutto, dipende che questa potenziale forza di rinnovamento non ristagni, non si dissolva in sterili atteggiamenti qualunquistici.
Il problema del divorzio, problema di massa e problema sociale di fondo non può più essere accantonato. Non si può attendere la sua soluzione dal Concilio Vaticano III. Occorre studiare attentamente ogni sia pur minimo mutamento di atteggiamento negli ambienti tradizionalmente avversi al divorzio, ma occorre non dimenticare che anche questi ripensamenti, queste "aperture", se ci saranno e per quello che potranno valere, saranno condizionate dalla forza, dall'estensione e dalla profondità del movimento divorzista.
Se fino ad oggi abbiamo dovuto constatare che il divorzio non è stato istituito in Italia "a cagion dei preti" ed a cagion dei fascisti, oggi possiamo cominciare ad afferrare che l'istituzione del divorzio dipende dai divorzisti.