di Ernesto RossiSOMMARIO: Nelle elezioni amministrative del giugno 1966 il Partito radicale stipula una alleanza elettorale con il PSIUP per una lista comune a Roma, a Genova e in altri centri minori sulla base della comune opposizione alla Dc e al centro sinistra (il PSIUP si era formato all'inizio del 1964 dalla scissione della sinistra socialista contraria all'ingresso del Psi nel governo con la Dc).
Dal numero elettorale del giornale "agenzia radicale", il pensiero di Ernesto Rossi sulla battaglia divorzista.
(AGENZIA RADICALE n. 121, 31 maggio 1966)
Nessuna ragione di principio giustifica l'opposizione della Chiesa al riconoscimento della dissolubilità di matrimoni civili; opposizione che, fino a quando i dirigenti della sinistra continueranno a flitrare con i clericali, farà immancabilmente insabbiare, in Parlamento, tutti i progetti sul divorzio, anche quelli più anodini e moderati. Il problema della dissolubilità dei matrimoni contratti soltanto in municipio logicamente non riguardano affatto la Chiesa, perché, secondo il diritto canonico, quei matrimoni non esistono: sono soltanto "concubinati". Ma la logica è una cosa e la convenienza pratica un'altra. Le gerarchie ecclesiastiche si oppongono al divorzio, anche per i matrimoni civili, perché non hanno alcuna fiducia nella sincerità del sentimento religioso del popolo italiano; sanno benissimo che gli italiani diserterebbero tutti la Chiesa se venissero messi davanti all'alternativa di diventare musulmani o di mantenere il clero cattolico pagando un'imposta speciale, corrispondente alla metà della s
omma che spendono per il cinema e le sigarette. Non hanno certo dimenticato l'esperienza fatta quando il Santo Uffizio, col decreto del 15 luglio 1949, scomunicò chiunque avesse osato iscriversi ai partiti comunisti o avesse dato ad essi, in qualsiasi forma, un appoggio, arrivando fino ad escludere dai sacramenti coloro che commettevano il grave peccato di leggere la stampa comunista: i voti al Partito comunista italiano aumentarono e crebbero i lettori dei suoi giornali.
Le gerarchie ecclesiastiche temono che - se, in una legge, venisse riconosciuta, la dissolubilità dei matrimoni civili - la grande maggioranza degli italiani, per lasciarsi aperta la porta del divorzio, rifuggirebbero dal matrimonio religioso; volendo continuare a sostenere che il 99 per cento degli italiani sono figli ubbidienti di Santa Madre Chiesa, preferiscono non correre il rischio di far nuovamente accertare quanto è debole, di fatto, il loro dominio spirituale nel nostro paese.
Le gerarchie ecclesiastiche temono anche che, in un successivo momento, il divorzio possa venire esteso - per quanto riguarda i suoi effetti civili - ai matrimoni contratti in Chiesa. In tal caso si ripeterebbe in Italia quel che già è avvenuto in tutti gli altri paesi con popolazione prevalentemente cattolica: nonostante tutti i divieti e i fulmini della Chiesa, molti cattolici praticanti, chiederebbero alle autorità civili di liberarli dalle conseguenze giuridiche delle loro unioni coniugali infelici.
Nessun divorzista pretende che la Chiesa consideri il matrimonio come un contratto, e non come un "sacramento". Quello che i divorzisti vogliono è soltanto che la Chiesa non si possa più valere del potere coattivo dello Stato per imporre le norme del codice canonico a coloro che, sposandosi soltanto in municipio, o chiedendo il divorzio dopo essersi sposati in Chiesa, dimostrano di non volerne sapere.
La campagna per il divorzio è un particolare aspetto della lotta anticlericale. Dobbiamo spiegare chiaramente a tutti gli italiani che il riconoscimento del loro diritto a sciogliere il vincolo matrimoniale per mutuo consenso, e per le altre ragioni previste nelle leggi di tutti i paesi civili, viene oggi sacrificato in Italia dai democristiani, e dai loro compagni di viaggio, agli interessi della Chiesa, e che la Chiesa trova il suo più valido sostegno, anche per questa sopraffazione, nel Concordato concluso nel 1929 dal cav. Mussolini. Per ridare allo Stato la sua completa sovranità nel campo matrimoniale, chi vuole il divorzio deve, perciò, volere anche ora la denuncia unilaterale del Concordato.