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Agenzia Radicale, mollet guy - 2 ottobre 1966
L'INTERVISTA CON GUY MOLLET

SOMMARIO: Il testo dell'intervista con il segretario della SFIO Guy Mollet, condotto sui problemi dell'unità della sinistra in Europa, con particolare riguardo all'atteggiamento dei socialisti francesi. Le sue dichiarazioni sull'unificazione tra democratici socialisti e comunisti hanno un rilievo particolare in Italia alla vigilia dell'unificazione tra PSI e PSDI. Guy Mollet è un leader del socialismo che non ha mai rinunciato all'autonomia socialista di fronte al comunismo sovietico. Oggi l'unità socialista deve essere l'obiettivo dei socialisti europei perché ormai sono venute meno le reali divergenze ideologiche tra le diverse famiglie socialiste. Mollet afferma che la piattaforma democratica socialista non è più estranea ai partiti comunisti: non solo questo è vero sul piano ideologico, ma ancor più ciò risulta dal raffronto fra PCI e PCF, in quanto è scomparso l'oggetto stesso del disaccordo. Mollet riconosce che i comunisti hanno fatto i maggiori passi in avanti verso la riunificazione, specialmente i

comunisti italiani. Fra socialdemocratici e comunisti esiste oggi una distanza di certo minore di quella tra i comunisti e le forze socialiste di sinistra o radicali con essi alleate. Questa affermazione da una parte accentua le speranze di costruziuone della sinistra europea, dall'altra mostra che è possibile anche una fase di semplice restaurazione dell'unità socialista priva di quei metodi senza i quali difficilmente si conquisteranno le nuove generazioni politiche all'alternativa europea democratica e socialista. Relativamente al problema della guerra, il pensiero di Mollet è che non vi sarà mai un asoluzione imposta con le armi. Sul problema della religione Mollet si pronuncia nel senso che lo Stato deve essere laico: in esso le Chiese non devono introdursi in campi che non appartengono loro; i socialisti sono decisi ad assicurare alle Chiese la libertà di culto, ma sono contrari alla loro ingerenza nella vita dello Stato. Per concludere Mollet individua il fine del socialismo a) nella liberazione di tu

tti gli individui da ogni forma di oppressione; b) nel dare a tutti gli individui le stesse possibilità. Questi obiettivi possono essere condivisi anche da un umanista o da un cattolico. Tuttavia i socialisti si distinguono dai comunisti per il fatto che accettano la democrazia politica e rifuggono ogni forma di oppressione

(AGENZIA RADICALE N. 120, 2 ottobre 1966)

Il testo dell'intervista con il Segretario Generale della S.F.I.O. Guy Mollet che "Agenzia Radicale" pubblica in questo fascicolo, è tratto dal resoconto stenografico di due lunghi colloqui che abbiamo avuto con l'ex-Presidente del Consiglio francese sui problemi dell'unità della sinistra in Europa, con particolare riguardo all'atteggiamento dei socialisti francesi.

Eravamo partiti, nel nostro colloquio, da una premessa. L'elezione di Saragat alla Presidenza della Repubblica Italiana con il voto di tutte le forme socialiste e laiche, compresi i comunisti; le iniziative di dialogo spinte fino all'offerta di pubblici dibattiti, da parte della socialdemocrazia della Germania Occidentale verso il partito di Ulbricht; l'affermazione delle forze democratiche francesi con le elezioni presidenziali, in cui Mitterand giunse quasi a raddoppiare le previsioni elettorali della vigilia; la costituzione di un governo di unità fra socialdemocratici e comunisti in Finlandia, sembrano essere considerate spesso come una somma di accidentali incontri piuttosto che come il quadro politico nuovo degli anni sessanta.

Qual è - chiedevamo - la valutazione che i socialisti francesi, da sempre presenti nell'Internazionale socialista, e quindi in continuo contatto con le altre famiglie socialdemocratiche europee, danno di questi avvenimenti?

Si è così giunti, da parte del Segretario Generale della S.F.I.O. alle affermazioni politiche che sicuramente accenteranno a tal punto l'attenzione dell'opinione pubblica da rischiare di astrarle dal contesto nel quale sono nate e sono state così esplicitamente avanzate.

E' evidente, infatti, l'estremo interesse che le dichiarazioni sulla necessità e sulla attualità dell'obbiettivo politico della "Riunificazione" fra democratici socialisti e comunisti hanno per l'Italia, mentre è in corso di attuazione la "Unificazione" tra PSI e PSDI.

Il leader di un partito che non ha mai ceduto un pollice nella polemica anti-stalinista, che per almeno quindici anni ha rappresentato in Europa la punta avanzata dell'autonomia socialista rispetto al mondo comunista, afferma oggi che l'unità strutturale di tutte le famiglie socialiste deve essere l'obbiettivo fondamentale cui porre immediatamente mano, essendo venute a cadere ormai le nette differenziazioni ideologiche, di analisi e di obbiettivi che portavano, con i congressi di Tours e di Livorno alla frattura del movimento socialista nei paesi dell'Europa occidentale.

Questo accade mentre altri socialisti, in Italia, in gran parte gli stessi che lottarono clamorosamente per lo stalinismo e la subordinazione del PSI al PCI, si riuniscono al PSDI proclamando spesso volontà e disegni anticomunisti. E' sintomatico, in questo quadro, appare il fatto che il solo gruppo del Partito Unificato Socialista che dichiari la sua fiducia nella possibilità di riconquistare l'unità della sinistra italiana, faccia capo a quell'On. Lombardi, che, se non andiamo errati, è stato uno dei pochi "autonomisti" del PSI fin quando l'On. Nenni non è stato nuovamente illuminato sulla via di Damasco della democrazia.

Il Partito Radicale, situato ormai per molti, a torto o a ragione, con il PCI ed il PSIUP all'estrema sinistra, da almeno quattro anni ha affermato la sua fiducia nella possibilità che, anche attraverso l'unificazione socialista (o socialdemocratica che sia), la causa dell'unità della sinistra italiana progredisse e si affermasse, malgrado il centro-sinistra.

I radicali partivano da un giudizio che si è rivelato corretto sulla situazione europea, oltre che nazionale, e che, progressivamente, si è venuto estendendo fino ad essere oggi condiviso e fatto proprio da gruppi socialisti, comunisti e democratici di massimo rilievo nazionale.

Oggi anche Guy Mollet afferma senza equivoci che la piattaforma democratica socialista (se non proprio quella socialdemocratica) non è più estranea ai partiti comunisti, i quali se ne erano separati al momento dell'egemonia bolscevica sulla III Internazionale.

Abbiamo spesso affermato che non solo questo è vero sul piano ideologico, sul quale noi ci muoviamo sempre con diffidenza e cautela, ma ancor più se consideriamo le caratteristiche dell'opposizione "democratica nel" regime che il PCI e il PCF hanno praticato almeno nell'ultimo decennio.

Questo ci è valso qualche rimbrotto, prima, e qualche miserrima "scomunica" poi, da parte dei compagni comunisti che, com'è stato giustamente scritto, fra dialoghi con i cattolici e dialoghi con i laici, scontri con la base e rapporti difficili con PSIUP e PR, guai cinesi ed insufficienze sovietiche, aperture e chiusure con gli unificandi, paiono a volte afflitti da surmenage intellettuale, e con i nervi a fior di pelle, si rimpantanano in vecchi vizi di intolleranza e di sterile ed un po' grottesca volgarità.

Ma, per l'essenziale, converremmo tutti che Mollet ha ragione. Mollet ha ragione, quando, con calore e convinzione, rileggendo quei punti, tra i "21" che l'Internazionale tentò di imporre a tutto il movimento socialista, per motivare la rottura tra socialisti e comunisti, rileva la scomparsa dell'oggetto stesso del disaccordo, ed il riflusso lento ma ininterrotto dei comunisti dalle posizioni dei Cachin e dei Thorez, dei Bordiga e dei Togliatti a quelle che costoro combatterono.

Così, giungiamo ad un aspetto flagrante dell'intervista con l'ex-Presidente del Consiglio francese: la sua volontà di riunificazione è radicata in una minuziosa e serrata analisi che lo porta a "riconoscere volentieri - come testualmente ci diceva - che i comunisti hanno, essi fatto i maggiori passi avanti sul piano pratico, verso la riunificazione".

Per Mollet i comunisti italiani hanno compiuto i passi più interessanti in questa direzione, ed egli ha in particolare citato il loro atteggiamento realistico di progressiva accettazione del "quadro europeo" occidentale e delle istituzioni che vi si sono espresse.

Siamo d'accordo anche su questo. E non possiamo che anticipare già, in questa presentazione, una osservazione conseguente all'intervista. Per molti punti, ascoltando le tesi e le analisi della S.F.I.O., ci si accorge che fra socialdemocratici e comunisti esiste oggi una distanza di certo minore di quella, per esempio, che è misurabile tra i comunisti e le forze socialiste di sinistra o radicali con essi alleate. Verità, questa, a doppio taglio. Perché da una parte accentua le speranze di costruzione della sinistra in Europa, obbiettivo essenziale ed irrinunciabile per tutti i democratici; ma dall'altra mostra che è possibile anche una fase di semplice "restaurazione" dell'unità socialista, priva di quel rinnovamento di contenuti e di metodi senza i quali difficilmente si conquisteranno le nuove generazioni politiche e l'intero movimento dei lavoratori alla alternativa europea democratica e socialista.

Comunque, riteniamo che l'iniziativa di questa intervista e del suo contenuto, rispondano all'esigenza di "sprovincializzare il dibattito politico italiano, contribuendo a porlo più direttamente in contatto con le effettive realtà della lotta politica. Che, in Italia, un settimanale popolare come ABC abbia voluto assicurarsi la priorità e l'esclusività della presentazione delle dichiarazioni di Guy Mollet; che, in Francia, l'"Express" ne abbia già registrato il rilevante interesse, mostra che questo è stato compreso.

Continueremo in tal senso perché, se può essere d'accordo nel ritenere che l'unificazione socialista non rappresenta necessariamente un fatto negativo per la politica italiana, non bisogna neppure permettere a chi vi è abituato di presentare come "svolte storiche" giuste, tempestive e responsabili ogni disperata, cieca e scontata operazione di salvataggio cui ci si affidi per salvarsi dal naufragio dei propri errori e della decrepitezza politica.

A.R.: Sul conflitto del Vietnam, signor Presidente, cosa può dirci? Lei è anche Ministro degli Esteri del "contro-governo" della Federazione Democratica e Socialista che raggruppa il Partito Socialista, il Partito Radicale, ed i gruppi ed i clubs di nuova sinistra.

Spesso si ha l'impressione che dinanzi alla necessaria denuncia delle responsabilità americane ci si trovi dinanzi a vecchi comportamenti "atlantici".

Guy Mollet: Quel che diciamo è che, se si vuole avere un atteggiamento aperto per facilitare la pace, è assolutamente ridicolo - e forse pericoloso - lanciarsi in uno studio storico della ricerca delle responsabilità.

Storici o politici?

Supponiamo - non è che un ipotesi, perché non è questo il mio pensiero - che De Gaulle abbia ragione quando accolla tutte le sue critiche agli Stati Uniti. Ripeto che non è questo il mio pensiero, perché se vi sono certamente gravi responsabilità americane bisogna veramente essere il contrario di uno storico per negare le responsabilità cinesi, per esempio. Ma supponiamo lo stesso che De Gaulle abbia ragione: il dirlo non serve in nulla la causa della pace. Il linguaggio che bisogna tenere a chi si batte non è: tu hai torto, tu hai ragione; ma invece: cercheremo più tardi chi aveva ragione, per ora non vorreste mettervi attorno ad un tavolo per cercare di risolvere con dei negoziati questo dramma che non risolverete mai con la guerra? Per la sistemazione definitiva, potrete farla con il controllo di chi vorrete. Se uno chiede un controllore, ed un altro ne indica uno diverso, questo è normale, né può creare difficoltà insormontabili. Ma questo linguaggio deve essere tenuto con le due parti... che sono, d'alt

ronde, più di due... con tutti quelli che sono coinvolti in questo conflitto.

Né cacciati dal Vietnam, né schiacciati nel Vietnam

La nostra convinzione, come Federazione Democratica e Socialista, è che non vi sarà mai una soluzione imposta con le armi. Non è vero che gli Americani saranno cacciati via, non è neppure che coloro che si oppongono agli Americani possano essere schiacciati con le armi. Questo è uno stupefacente errore americano: credere che un paese che si richiama al pensiero comunista, come Hanoi, possa essere abbandonato dagli altri paesi comunisti come se questi potessero davvero permettere che venisse aperta una terribile breccia nel loro edificio collettivo. Non può dunque esservi una soluzione grazie alle armi. Se ve n'è una, è necessario che sia negoziata. Se dev'essere negoziata, abbiamo una seconda certezza in merito: l'assenza della Cina da un negoziato di pace vieta il successo dell'iniziativa. La Cina, malgrado le sue colpe, è legittimamente interessata: la guerra ha in definitiva luogo alle sue frontiere, in quella che spera possa essere la sua zona di influenza.

Niente pace senza Cina

Dunque, per noi, se riassumo:

- niente soluzione militare, dunque negoziati

- niente negoziati dai quali la Cina sia assente.

Oltre i belligeranti diretti, chi ancora? Quelli che furono corresponsabili degli accordi di Ginevra.

Quindi, come lei vede, non siamo in una posizione reticente. Siamo, quando si tratta di denunciare gli errori americani, altrettanto severi di qualsiasi altro. Quel che non ammettiamo, è questa specie di unilateralismo che fa pesare sugli Stati Uniti di America il totale delle responsabilità. Solo loro avrebbero commesso degli errori; ma è falso. In ogni conflitto le responsabilità sono divise fra i belligeranti...

A.R.: Ma esistono pure delle responsabilità prevalenti!

Guy Mollet: Può esserci una divisione non equilibrata delle responsabilità ma c'è sempre una parte di responsabilità in ciascuna delle parti.

A.R.: Ma insomma, vi sono pure degli aggressori, a volte!

USA, U Thant, Paolo VI

Il signor De Gaulle che è alle origini dei conflitti in Vietnam

Guy Mollet: Sono venti anni che vi sono guerre in Indocina. I francesi ne sanno qualcosa, essendosi stati impegnati, e il signor De Gaulle deve saperne anche lui qualcosa, visto che ne è all'origine.

Se si facesse una storia molto esauriente non cominciandola solo sette o otto anni fa, le responsabilità di De Gaulle apparirebbero forse molto grandi. Ma quale interesse v'è nel cercare oggi di stabilire questo genere di responsabilità? E' tutto il problema: in che questo serve la pace? D'altra parte due personaggi importanti come U Thant e il papa Paolo VI non hanno commesso questo errore. Né l'uno né l'altro si sono cimentati nell'impossibile ruolo di storici. Hanno semplicemente detto davanti al mondo: "Giù le armi, negoziate!". Io cerco di non esagerare mai l'importanza di questo o quell'appello, ma il gesto di questi due personaggi può avere una influenza certa, come può avere una influenza l'intervento, anche se più discreto, di chiunque avanza dei consigli. Invece lo stabilire le responsabilità non può avere nessuna influenza.

A.R.: Può illustrarci ancora il senso del dialogo aperto in questi giorni con il Partito Comunista Francese?

L'esigenza della costruzione democratico-socialista dell'Europa deve trovare preparati ormai anche i comunisti da Cachin a Blum

Guy Mollet: Vi sono tre premesse da tener presenti. Già a più riprese, nel 1964 e nel 1965, vi sono stati tentativi di colloquio. Questa volta, le tesi socialiste e quelle comuniste verranno diffuse integralmente ed entrambi sia sulla stampa comunista che sulla nostra. Per la prima volta i militanti comunisti e socialisti saranno così direttamente a conoscenza di tutti i termini del dibattito, senza rischi di equivoci dovuti alle "interpretazioni", alle falsificazioni od alle censure delle posizioni rispettive. In secondo luogo, è, apertamente, direttamente, sui problemi di fondo che il socialismo deve oggi affrontare e risolvere, che noi riteniamo si debba stabilire una ricerca comune ed un dialogo fruttifero.

In terzo luogo, non accetteremo che il dibattito, così essenziale ed importante, venga snaturato dalla richiesta che ci verrà sicuramente fatta di discutere in questa sede dei problemi politici-elettorali del momento e delle tattiche che possano essere ritenute dagli uni e dagli altri migliori.

Quando la guerra del Vietnam sarà finita, il processo di distensione e di collaborazione internazionale avrà ripreso il suo corso, sempre di più il problema di una alternativa socialista in Europa acquisterà forza ed urgenza. Anche i comunisti debbono essere in condizione di rispondere all'esigenza della costruzione democratico-socialista dell'Europa. Ho già detto infatti che non avremo probabilmente mai uno Stato socialista francese o italiano, ma che possiamo avere uno Stato Europeo socialista. Per questo siamo sempre stati europeisti, e, un tempo, fortemente combattuti per questo.

Per quanto ci riguarda riteniamo che i fatti abbiano dato ragione a quanti, come Leon Blum, al momento della scissione dei partiti socialisti dinanzi alle richieste dell'Internazionale, lottarono strenuamente per non contrapporre democrazia politica e via democratica al socialismo, e rifiutarono la guerra come strumento rivoluzionario. Per loro conto, i comunisti hanno evoluto in questa direzione. E' l'essenziale.

Se molte volte, nel passato, nel grido di "unità, unità" si celava a malapena la condanna dei socialisti democratici, oggi noi crediamo che le nuove generazioni abbiano diritto...

...la riunificazione socialista debba essere perseguita.

A.R.: E' dunque esatto dire che lo SFIO ha iniziato questo dialogo con il Partito Comunista Francese nella prospettiva di una comune alternativa socialista?

Tutti i socialisti (dai comunisti ai democratici socialisti) riuniti in tutta l'Europa

Guy Mollet: Sì è molto esatto.

A.R.: Il problema della riunificazione esce dunque dal campo morale per porsi consapevolmente su quello storico e politico?

Guy Mollet: E' molto esatto.

A.R.: Accennando alla prospettiva dell'unità lei ha scritto che concerne i vostri "successori". E' una nozione relativa...

Guy Mollet: Se vuole, è un problema di generazione...

A.R.: Quindi, non riguarda la generazione politica?

Guy Mollet: Non bisogna mai andar troppo velocemente, preferisco esser preceduto dagli avvenimenti che annunciarli se poi non si producono...

A.R.: In questo modo, si può allora affermare che lei lavora perché questa riunificazione fra comunisti e socialisti democratici avvenga al più presto possibile?

Guy Mollet: E esatto. Lavoro nella prospettiva dell'unità socialista. Dico piuttosto "unità socialista" che "unità operaia".

A.R.: Questo, non solo per la Francia, ma per l'Europa?

Guy Mollet: Sì.

A.R.: E' dunque questo un obiettivo storico e politico che lei cerca di assegnare ai democratici socialisti di ogni nazione europea?

Guy Mollet: Esattamente.

Giacobini? accetto il rimprovero perché è un complimento

...in un certo senso dei nazionalisti. In una certa misura è vero: accetto il rimprovero e lo prendo come complimento.

La guerra non si accetta che in un caso: i lavoratori di un paese sono i fondo i proprietari di questo paese anche se nell'immediato ne sono spossessati. E' il senso della famosa frase: "Le fabbriche, le miniere, tutto ci appartiene". Anche se oggi non ne sono i gestori, i lavoratori hanno il dovere di difendere il loro paese se un giorno un'aggressione straniera pretendesse di sostituire la sua autorità a quella dei rappresentanti nazionali liberamente eletti. Tra l'altro questo vuol dire sommare, all'oppressione del capitalismo locale che si tenta di abbattere, l'oppressione del capitalismo straniero. Per tutto questo accettiamo l'idea della guerra difensiva. Ma non crediamo alla guerra emancipatrice, mentre i comunisti ne avevano fatto un punto di dottrina. Dico "avevano fatto" perché questo è certo uno dei grandi cambiamenti della tesi detta della "coesistenza". Ed è un punto di riavvicinamento importante.

A.R.: Quindi nessun recupero del pacifismo antimilitarista, ma un'accettazione del "concetto" di guerra difensiva.

Difendere con gli eserciti...

Guy Mollet: Senza dubbio: fin quando non avremo fatto scoppiare il quadro delle patrie e non avremo assicurato il passaggio di sovranità ad organismo sopranazionali, non è solamente un diritto, ma anche un dovere per i lavoratori di un paese di difendere quel che hanno già acquisito...

A.R.: ...Per esempio, gli eserciti? Assumersi tali conquiste!

Non siamo anarchici, ma siamo per il disarmo integrale e progressivo

Guy Mollet: Gli eserciti... No, mi scuso, ma questa è una parodia del mio pensiero! Gli eserciti per noi devono progressivamente trasferirsi ad organismi internazionali, fino a giungere alla creazione di una politica internazionale. Per rendere chiaro il mio pensiero, farò un paragone con gli individui. Gli individui in una società, mano a mano che questa organizza una sua "polizia" nel senso intelligente ed originale della parola, abdicano ad una parte della loro libertà. Da questo momento non sia più degli uomini assolutamente liberi; solo l'anarchismo si richiama alla libertà integrale; ma non non siamo degli anarchici. Per fare esempi più grossolani, ciascuno ammette oggi che in una grande città non può attraversare la strada se non negli appositi passaggi. Abdica dunque ad una parte della sua libertà. Questo ogni giorno diventa più vero.

Secondo punto: gli individui hanno rinunciato al diritto di farsi giustizia da soli. Si sono creati dei giudici, ma ci sono degli individui che non accettano di inchinarsi davanti alla giustizia. Si è allora creata una polizia per imporre il rispetto delle regole e l'applicazione delle decisioni giudiziarie. Questo non è stato sufficiente, perché certi individui si sarebbero buttati contro la polizia. Si è dunque deciso il disarmo di tutti gli individui e l'armamento...

L'ordine nuovo della giustizia internazionale

Dal giudizio di Dio alla laicità

... Vi sono persone che, quando potevano regolare i loro conti da soli, erano riusciti a conquistare i loro conti da soli, erano riusciti a conquistarsi nell'opinione pubblica un'aureola di grandezza e di bravura nel combattimento individuale. E s'avvelena ancora la nostra gioventù con le gesta dei cavalieri, con le storie di D'Artagnan e anche con i superbi duelli nei quali ciascuno si richiama a Dio! Era questo il giudizio di Dio, con cui si confondeva la legge del più forte.

Poco a poco, questo si ripete sul piano delle nazioni. Siamo ancora all'armamento individuale, nazionale, autonomo e quando nascono dei conflitti i giudici internazionali non sono ancora stati creati. Non vi sono tribunali internazionali, dei veri tribunali, intendo. La corte Internazionale di Giustizia non è investita che quando le parti sono d'accordo per rimettersi al suo giudizio, il che vuol dire quando ormai l'aspetto più grave del problema è già risolto. Senza giustizia internazionale, né polizia internazionale, nove volte su dieci, quando scoppiano i conflitti "Gott mit uns" dice il tedesco; "Dieu sauve la France" e, sicuramente "Dieu sauve l'Italie", che non so come si traduca.

A.R.: Per gli italiani questo va da sé, non abbiamo bisogno nemmeno di dirlo!

Guy Mollet: La nostra preoccupazione in quanto democratici socialisti e pacifisti è di ottenere la stessa evoluzione che hanno avuto gli individui.

Bisogna creare dei tribunali internazionali, e nei tribunali internazionali, bisogna fare il possibile per mettere dei giudici che applichino loro stessi la legge che rispettano. E' in questo che l'ONU non è un tribunale internazionale; non è che una "piattaforma". Bisogna dunque creare questi tribunali e progressivamente disarmare le nazioni e creare una forza internazionale a disposizione della giustizia. Dunque non diciamo affatto che siamo per gli eserciti. Essi costituiscono oggi la tappa necessaria prima della polizia internazionale.

A.R.: E' chiaro: come un certo evoluzionismo positivista francese del XIX secolo, Auguste Comte...

Guy Mollet: Ma certo! Crede davvero che il mondo potrà essere costruito a grandi colpi, per balzi successivi, o non invece con una lenta trasformazione. So che vi è un'altra concezione per la quale si potrebbe andare molto più velocemente. Purtroppo la mentalità degli uomini evolve molto più lentamente. Oggi sono gli uomini che sono in ritardo sui fatti.

Avete evocato, nel corso di questa intervista, ed in rapporto ai comunisti, anche il problema della laicità. Anche qui, come sul punto del pacifismo e su quello degli obiettivo socialisti, la situazione presenta una evoluzione positiva. Con le conquiste dovute alle lotte operaie, alle lotte dei democratici, la nozione di laicità si è introdotta poco a poco nei paesi evoluti.

Laicità non antireligione

Cosa intendiamo per laicità, noi democratici socialisti? Non è l'antireligione. E' la lotta contro l'introduzione delle Chiese in un campo che non è il loro. Se degli individui pensano di dover fornirsi di una spiegazione sull'origine dell'uomo, sulle sue finalità, sul suo divenire post-mortem, anche coloro fra di noi che non sentono in loro questo bisogno non vedono alcun inconveniente a che essi continuino le loro ricerche in quella direzione. E nella misura in cui la maggior parte di questi pensieri religiosi si sono dati anche una fede, spesso una filosofia, e ancor più una morale, noi siamo assolutamente decisi ad assicurare la loro soppravvivenza e la libertà del loro culto: se si volesse attentare all'esercizio del loro culto, noi lo difenderemo.

Chiesa e capitalismo

Ecco, se vuole, la parte positiva. Passiamo alla parte negativa: abbiamo dovuto constatare nella maggior parte delle lotte operaie che le Chiese si sono occupate di quello che non le riguardava e che si sono trovate fra i difensori più accaniti del capitalismo.

A.R.: Nella sinistra italiana vi è chi sostiene la tesi che si potrà costruire una nuova società socialista solo nella misura in cui verrà realizzato un accordo storico con le masse cattoliche perché il cattolicesimo avrebbe rifiutato l'alienazione capitalistica nata dal mondo moderno (o dal mondo protestante), ed ha a cuore l'integrità della persona; così, rappresentando grandi masse proletarie o sottoproletarie, sarebbero potenzialmente più rivoluzionari dei socialdemocratici sociologicamente più vicini ai ceti medi e disposti a giocare le loro carte all'interno del regime capitalistico, cui sono legati.

Cattolici e comunisti

Guy Mollet.: Non credo al valore dell'argomento. La mia analisi è totalmente differente, e, in appoggio alla mia analisi, per ora i fatti sono più precisi.

Il concilio libererà i cattolici dall'equivoco democristiano?

C'erano nel pensiero comunista, prima dell'evoluzione che, devo oggi constatare, e nell'azione, se non nel pensiero della Chiesa Cattolica, effettivamente molti punti in comune. Erano convinzioni (parlo ora di gente sincera nel credere alla verità assoluta della loro dottrina) che non permettevano il dubbio e questo si manifestava d'altra parte con passaggi dal militantesimo comunista a quello cattolico o l'inverso, molto più facilmente di altri mutamenti. Se dovessi comparare i democratici socialisti a qualche famiglia teologica - il che mi è abbastanza sgradevole - li porrei molto più vicino al mondo protestante. Ma noi non abbiamo in noi nemmeno questa certezza. Abbiamo preso l'abitudine di rispettare il pensiero dell'altro, e chi chiediamo in ogni momento se non vi sia una parte di verità in quel che è il suo pensiero. E' Jaures che un giorno esprimeva questo con la bella formula: "bisogna cercare la verità prima di dirla". La verità non ci è rivelata. In generale, è forse per questo che siamo molto più

sensibili di quanto non siate voi radicali italiani a quel che comporta di speranza il tentativo ecumenico, perché siamo convinti che libererà un certo numero di cristiani cattolici, se effettivamente avranno la possibilità di non essere accusati di mancare alla propria fede. Noi non chiediamo loro di mutarla, ma di prendere coscienza della classe cui appartengono e di avere una coscienza di classe.

A.R.: Ma le democrazie cristiane esistenti in Europa non le sembrano "strutturalmente" pro-conciliari e pre-ecumeniche?

Guy Mollet: Temo in effetti che le formazioni politiche che si richiamano alla democrazia cristiana siano movimenti molto eterogenei e che la loro maggioranza è fatta di uomini più cattolici che democratici. E' d'altra parte una delle ragioni per le quali ho scritto un giorno...

A.R.: ... che la Democrazia Cristiana non dovrebbe esistere.

La fede po' dare a sfruttati e sfruttatori una stessa chiesa...

non uno stesso partito

Guy Mollet: E' esatto. Non era, in quella sede, una condanna dell'atteggiamento politico della Democrazia Cristiana Francese ma piuttosto l'esprimere quanto mi sembri inverosimile che si possano unire nella stessa formazione politica lo sfruttatore e lo sfruttato per la sola ragione che credono allo stesso Dio. Se credono allo stesso Dio, trovo normale che appartengano ad una stessa Chiesa e sono pronto a difendere il loro diritto d'appartenerci, ma non trovo normale che essi appartengano alla stessa formazione politica per la gestione della società.

A.R.: Politicamente, questo non vuol dire che si tratta di un equivoco molto pericoloso e che si debba combatterlo a fondo?

Guy Mollet: Mi accade molto spesso!

Non si è socialisti se non si è contro il sistema capitalistico

Per finire è forse opportuno ricordare che per noi, il fine del socialismo è duplice: c'è una parte "difensiva" ed una "positiva". La parte difensiva consiste nella liberazione di tutti gli individui, uomini, donne e bambini dalle diverse forme di oppressione, da quelle create dalla società a quelle create dalla natura. E' dunque una lotta contro l'oppressione, definita in forma negativa, e - se preferisce - difensiva.

C'è poi l'indicazione positiva di dare ad ogni individuo, per il solo fatto che egli è nato, l'eguaglianza di possibilità nella vita, esigendo da lui che non si consideri come un egoista e che sente che appartiene ad una collettività; per cui per ottenere tutto quel che desidera, si condanna a dare tutto quel che è compatibile con i propri mezzi. E' la vecchia formula, d'altra parte ben conosciuta come rivoluzionaria: "A ciascuno secondo i suo mezzi, a ciascuno secondo i propri bisogni", che è una frase unica. Il gioco dei bolscevichi per lungo tempo è stato di dire che vi sono due tappe: quella consistente nel "dare" a ciascuno secondo i propri mezzi (e non "esigere" da ciascuno secondo i propri mezzi). Poi con un espediente che è anche una piccola truffa intellettuale, hanno detto: battezzeremo il "socialismo" il periodo in cui si darà a ciascuno secondo i propri mezzi e "comunismo" il periodo in cui si darà a ciascuno secondo i propri bisogni.

Questo non è corretto.

Ma c'è nel nostro ragionamento, una seconda parte altrettanto essenziale: vi è chi può dichiararsi d'accordo con noi con l'obiettivo di liberare l'individuo dall'oppressione, di offrire l'uguaglianza delle possibilità. Fra questi vi sono molti cristiani, degli umanisti, dei personalisti. Alcuni, per questo, pensano perfino d'essere socialisti e non lo sono affatto. Si diventa socialisti a partire dal momento in cui si accetta un ulteriore criterio secondo cui la causa essenziale di queste alienazioni, di queste diverse forme di oppressione, è di natura umana e conseguente all'esistenza di un regime economico, il capitalismo, costruito sul fatto che degli uomini, spesso minoranza, beneficiano totalmente o parzialmente del plus-valore prelevato sul lavoro degli altri.

Cosa ci separa dai comunisti?

Si è dunque socialisti quando ci si propone di sostituire a questo regime economico capitalista un sistema economico totalmente opposto edificato sulla appropriazione collettiva dei mezzi di produzione e di scambio e sull'utilizzazione del plus-valore a profitto della collettività, e non dell'individuo.

E' a questo punto, solamente, che si è socialisti.

Che cosa ci separa o ha separato fondamentalmente dai comunisti?

Non accettare la democrazia politica significa mantenere una forma di oppressione

...lista, che è inseparabile invece dalla prima. Ritengono, sì, che si debba sopprimere l'appropriazione individuale per passare a quella collettiva. Ma credono che sia possibile con questo solo mezzo ottenere il risultato di una società socialista senza avere la fondamentale preoccupazione di liberare l'individuo da tutto quello che l'opprime e di dargli l'uguaglianza delle possibilità. Perché non accettare la democrazia politica, è mantenere una forma di oppressione. La democrazia è invece insostituibile.

Non possiamo negare la rivoluzione dell'89

Certi paesi come l'Italia, la Francia e anche altri paesi del continente, specialmente quei paesi che hanno seguito i passi della Rivoluzione Francese '89, sono paesi dove i lavoratori si sono per prima cosa battuti per delle libertà politiche. V'è della gente che si è battuta per il suffragio universale e i suoi eredi non possono concepire che per arrivare ad una uguaglianza economica o, più esattamente ad una democrazia economica, siano condannati ad abbandonare quel che hanno già acquisito come democrazia politica. Non si può pagare come prezzo dell'accessione alla democrazia economica la rinuncia alle conquiste politiche.

Lenin, l'esperienza sovietica, l'Europa occidentale

I comunisti, con lo stesso Lenin, si son venuti a trovare in una situazione inverosimile. Contrariamente a tutte le previsioni, anche di Marx, i comunisti si sono trovati al potere in quello dei grandi paesi europei che sembrava meno preparato, perché non industrializzato: l'URSS. Storicamente il loro atteggiamento può se non giustificarsi, essere spiegato: prendono il potere in un paese non industrializzato e nel quale non v'è mai stata democrazia politica; pensano che rischiano di non poter realizzare quello a cui tengono di più: la democrazia economica. Allora accettano per quanto li concerne la formula del partito unico, la dittatura del proletariato prolungata ad aeternum.

 
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