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Quaderni Radicali - 29 ottobre 1966
(1) Il convegno di Faenza dell'ottobre 1966

SOMMARIO: Convegno organizzato dalla commissione preparatrice del III congresso del Partito radicale. Faenza 29 e 30 ottobre 1966

"Nella storia del Partito radicale il convegno di Faenza rappresenta una tappa fondamentale: una sintesi dei contenuti già allora consolidati nell'esperienza radicale (antimilitarismo, anticlericalismo, socialismo come problema della libertà nei luoghi di lavoro), ma soprattutto la prima presa di coscienza della necessità dell'organizzazione e insieme del senso strutturale, oltre che ideale, del laicismo e del libertarismo, rispetto al processi di formazione delle volontà collettive.

Con riferimento alla sua struttura e al suo statuto, il Partito radicale di oggi e nato in quell'incontro cui parteciparono non più di quaranta persone, delle quali solo una quindicina fornirono degli interventi; c'erano comunque comunisti, socialisti, repubblicani, esponenti del Movimento socialista autonomo, allora nato in conseguenza dell'unificazione Psi-Psdi, all'epoca realizzatisi, cattolici dissenzienti, antimilitaristi...

Nell'esistere del libertario è centrale ii momento dell'organizzazione, e quindi della tessera: le aspirazioni e le lamentele, le proteste e le rivolte, i rifiuti, sottolineava Pannella, sono facilmente riassorbibili se non si istituzionalizzano in obiettivi politici e come strutture omogenee alla loro crescita; che cioè promuovano libertà: se ciò non accade, è il regime. Parole cui lo stesso Pannella faceva eco nel recente congresso straordinario dello scorso aprile a Roma: l'indipendenza non e uno stato di nascita da tutelare contro la corruzione della crescita e del dialogo, ma può essere solo conquistata e organizzata; l'organizzazione non e il prezzo che il libertario deve pagare per difendersi, ma l'unico modo per creare indipendenza e libertà. A cominciare proprio dai partiti: sta qui il senso più profondo dello stesso esistere e della conformazione del Partito radicale. Di quel dibattito di tredici anni fa »QR offre ai suoi lettori un'ampia selezione, della quale qui di seguito viene pubblicata la p

rima parte relativa ai lavori della prima giornata (29 Ottobre). Il seguito uscirà nel prossimo numero.

(QUADERNI RADICALI N. 7, ottobre-dicembre 1979)

Apre i lavori Gino del Gatto, richiamando alcuni punti essenziali emersi nella fase di preparazione del convegno: il voler essere il Partito radicale un partito laico e federalista nella sinistra, proiettato verso il collegamento colle altre forze della sinistra; un partito di militanti contro la depoliticizzazione degli altri partiti della sinistra, aperto alle nuove istanze della società di massa, anche se non ancora definitosi rispetto al metodo della lotta di classe; aperto infine alla prospettiva di un partito della sinistra unita.

"Pannella" Richiama le caratteristiche di partito laico e federalista e si chiede se queste due tensioni di rinnovamento di progresso hanno un senso per il militante della sinistra, comunista, socialista o altro. Prosegue poi: »[...] Sono due rivendicazioni verso e contro le strutture burocratiche, autoritarie e centralizzate dei nostri partiti, nella misura in cui è evidente sempre di più che nella lotta politica italiana esistono dei militanti repubblicani o comunisti o radicali i quali si trovano ogni tanto a vedere espresse le proprie posizioni da strutture che non sono le proprie. E questa è la caratteristica non di fluidità sociologica ma a mio avviso di maturazione politica, che ci consente di essere un po' ottimisti e di dire che è possibile un lavoro unitario.

»E il Partito radicale può oggi fare dei passi sostanziali in questa direzione? I contenuti che noi agitiamo sono oggi tali da poter accelerare la caratterizzazione in questo senso della lotta politica nostra e degli altri partiti?

»Cominciamo a enumerarli questi contenuti, di lotta, se non ideologici. Pacifismo e internazionalismo: che si riassume nella nostra convinzione di porre il problema politico, non ideologico, non astrattamente ideale, della conversione progressiva oggi, qui, la conversione delle strutture militari in strutture civili. In questo si inserisce pienamente una solidarietà di lotte che comporta un dialogo.

Questo tipo di cose, pacifismo, internazionalismo obiezione di coscienza, obiezione alla politica estera, obiezione al neutralismo, richiamo alla inefficienza del neutralismo all'inconsistenza ideale e all'inefficienza politica del neutralismo come dato acquisito della sinistra, come caratterizzazione rispetto alla destra e al centro sinistra, tutto questo, dicevo, mette in moto una serie di dati che nel nostro paese sono molto più presenti di quanto non si pensi normalmente: le presenze neolibertarie ci sono in Europa e ci sono da noi; si organizzano con un tantino di ritardo, la differenza fra il capellone e il provò si fa con difficoltà.

»Laicismo e anticlericalismo. Anche questo è contenuto e lotta concreta del nostro partito e direi, con una accentuazione anticlericale, che, finalmente dopo il Concilio, appare in tutta la sua pienezza; cioè ci troviamo dinanzi a una situazione nella quale il cittadino democratico può finalmente chiedere alla politica di non esigere da lui una qualificazione attraverso la propria fede; cioè il cattolico l'ateo, il credente, il protestante scoprono sempre di più proprio grazie anche a questo aiuto storico - che forse molti di noi potevano anche ritenere non necessario (ma questo è astratto il dirlo) - scoprono che la lotta anti-clericale è una lotta semplicemente di un certo momento storico, una lotta democratica per cui i cattolici e i non cattolici debbono necessariamente passare se vogliono guadagnare maggiore libertà, una società più giusta e più libera. Questa è la realtà della situazione; questa è d'altra parte l'esperienza che, in Europa, hanno fatto i cattolici francesi e i laici francesi; i cattolic

i contro la chiesa romana nel senso mondano della parola, i laici francesi contro l'agnosticismo massonico, contro la confusione fra laicismo e agnosticismo che è una delle cose peggiori che ci siamo dovuti rimorchiare per decenni e che caratterizzano in una certa misura la situazione dei partiti laici italiani, molto spesso in realtà agnostici e non laici, non convinti di alcuni contenuti.

»Anche qui vengono fuori certi dati di lotta. La Lega italiana per il divorzio contro lo scetticismo della classe politica, dei socialisti, dei repubblicani ufficiali: il problema non è maturo, De Martino l'ha ridetto anche ieri che non se ne riparla per questa legislatura. Di fatto vediamo migliaia di militanti che si impegnano. Questo poi in definitiva deve dare un'attività politica: riuscire a potenziare la capacita di contributo civile della maggior parte dei cittadini.

»``Socialismo'': ed è più embrionale nella nostra politica di Partito radicale in questi anni, ed è più embrionale ovunque. Una grande rivendicazione se fatta a nome dei liberali, dei liberali inglesi che respingono la politica dei redditi in nome della libertà ormai a partire anche dai luoghi di lavoro e non solo la libertà a partire dal tempo libero, che è stata sempre la caratteristica in fondo dell'ideologia liberale, la quale ha posto sempre degli assoluti contenuti di libertà che storicamente si riuscivano a realizzare solo all'interno di una parte della vita umana, cioè la libertà di pensiero, la libertà di stampa (queste cose poi come la libertà di stampa in un paese di analfabeti, con otto milioni di analfabeti, che cosa significava in concreto?), mentre ignorava il problema della libertà nell'altra parte della vita così essenziale che è la libertà nel lavoro. I liberali inglesi cominciano a dire: vogliamo che l'intervento dello Stato solleciti in una certa misura le soluzioni autogestionali, è un p

roblema che come liberali ci riguarda. E si suscita l'eco dell'attuale esperienza jugoslava, dei miti corporativistico-mazziniani: pensiero liberale, pensiero mazziniano, pensiero socialista. E non è sincretismo.

»Tutti gli apparati di partito sono concordi nel dire, tutti, dico tutti, anche quelli socialisti ufficiali, anche quello comunista che oggi come oggi è astratto porsi problemi di socializzazione a partire dai rapporti di produzione e quindi voler mutare le condizioni di esistenza dell'individuo, del cittadino, del lavoratore nei rapporti di produzione che era la vecchia rivendicazione iniziale marxista, socialista, c'è invece una via democratica al socialismo, che poi in questo campo significa solo c'è una via di capitalismo di Stato verso il socialismo, di capitalismo di Stato non più stalinista, leninista, fondato sul partito unico, un capitalismo di Stato che si inserisca nella realtà del mondo occidentale, del pluripartitismo. E' indubbio però che dobbiamo prendere atto che certe parole storicamente assumono un certo valore: socializzazione rispetto a certi compagni comunisti o è spicciolmente riformistico, cioè illusione di modificare i rapporti di produzione se non si è realizzata la dittatura del pro

letariato, o altrimenti è minimalismo: ``non possiamo pensare davvero in un momento in cui ancora abbiamo i vecchi compiti di liberalizzare lo Stato e la vita pubblica, non è maturo il momento per porre i problemi delle mutazioni dei rapporti di produzione .

Pannella ricorda a questo punto le battaglie contro l'ENI finanziatore della stampa anche di sinistra e come il sindacalismo nel settore del capitalismo di Stato sia più debole, ricorda anche come proprio in quel settore siano sentiti i problemi dell'autogestione e della cogestione che non possono essere sempre aprioristicamente considerati dei miti, in presenza delle tecnologie produttive attuali. E continua: »[...] Può essere un fatto di sensibilità individuale mia; però ritengo che la liquidazione di quelle parti del socialismo utopico, utopistico iniziale, tra cui quella libertaria, che sono fatte sia dalla socialdemocrazia sia dal comunismo, cioè da tutte e due le soluzioni scientifiche o pseudoscientifiche o parascientifiche e pseudostrutturaliste della lotta socialista, ha così distrutto per trent'anni le due posizioni - quella pacifista, antimilitarista e quella libertaria - che invece mi sembrano forse le più esplosive oggi concretamente nella coscienza di ogni individuo e di ogni militante perché s

on quelle che possono essere più significative. Ecco grosso modo come io integrerei per parlar di politica insieme con richiami di contenuti di lotta e non solo di prospettive ideali, l'indicazione ``partito laico e partito federalista'' [...] .

Pannella prosegue distinguendo due aspetti »federali : uno che si potrebbe dire federalista e l'altro federativo, uno concernente la struttura interna del Partito radicale e l'altro la struttura di una convergenza di più forze, partiti, movimenti, gruppi, leghe. In questa seconda ipotesi distingue fra accordi ai livelli centrali, da limitare pero al minimo possibile, e accordi ai livelli locali che rendono le convergenze più varie. Pannella continua poi sul concetto della organizzazione che promuove libertà, che promuove differenza e le potenzia e non della organizzazione che le livella. E questa è l'altra utopia, se voi volete, ma che è l'altra ipotesi di lavoro su cui noi dobbiamo andare avanti. Lo sperimentalismo del Partito radicale è certo una delle caratteristiche che lo rendono laico e moderno sul piano del contenuto; tale metodo ci sarà particolarmente utile nell'affrontare i problemi in questione. E non è l'empirismo, cioè una certa empiria nel muoversi che è caratteristica e tipica della situazione

americana; son due cose abbastanza diverse. Un'ipotesi di lavoro empirica, che lascia andare priva di contenuti, e puramente amministrativa, è diversa da questo lavoro di ricerca sperimentale che deve avere delle ipotesi di ricerca ferma.

»Occorre che ci si preoccupi moltissimo del momento unitario come è proprio del pensiero federalista, rispetto all'altro; il pensiero federalista sostiene che lo Stato federalista è più forte dello Stato accentratore proprio perché ha una maggiore specificità di responsabilità. Si individuano uno due tre punti di potere unitario, statuale, collettivo e si presume che in questo caso lo Stato federalista regga nella storia più a lungo e meglio di un altro Stato che pretenda di far cioccolatini e di organizzare tutto quanto e di avere la politica culturale ecc. ecc. Noi vogliano un partito laico oltre il contenuto laicistico e anticlericale, cioè vogliamo un partito desacralizzato, un partito che non risolva tutti i problemi, nel rispetto della esistenzialità della vita umana e del cittadino.

»I partiti come li abbiamo concepiti tutti dall'Ottocento ad oggi sono necessariamente burocratici, sono necessariamente autoritari, perché a partire dal momento in cui si concepisce il partito-chiesa, un partito che dà la risposta ai problemi ideali, a tutte le questioni che ci sono presenti nella vita politica di ogni giorno e la riforma della previdenza sociale e la riforma dell'Inail in cui tutti i comunisti debbono pensare allo stesso modo, i repubblicani lo stesso, i liberali lo stesso: si crea così la concezione sacrale, la concezione non laica, non politica dei rapporti umani e della città, da cui viene fuori questo tipo di incarnazione storica del partito. Cosa succede nei congressi. C'è la mozione generale, su cui si dibatte e si discute, in genere piuttosto povera, perché è frutto di compromesso, e poi esistono centinaia di mozioni di raccomandazione che vengono accolte dal congresso senza dibattito: questo al congresso comunista come a quello liberale: una per gli ex combattenti e reduci per cui

si stabilisce che la posizione del Partito comunista su quell'argomento o liberale o altro è quella, poi un'altra sui problemi dell'organizzazione culturale del teatro, un'altra sul problema delle consulte giovanili; ecco, questi sono i problemi, perché? perché si pretende sempre di usare poi questo partito-mamma, questo partito-papà per tutti quanti in fondo perché ci aiuti in tutte quante le varie cose che vorremmo realizzare e che non appartengono invece al dominio di un certo tipo di associazione. Unione laica delle forze e non unione delle forze laiche, era appunto così l'elemento discriminante fra Ugi e i tre partiti laici del momento, del '50, liberali, repubblicani e socialdemocratici.

»E' questo rifiuto di una dimensione del partito sostanzialmente antilaica e non democratica, proprio perché il processo della formazione della volontà, dell'organizzazione dei consensi, della partecipazione sono necessariamente fittizi. Quindi idea nostra, il Partito radicale (a struttura federalista e federativa con adesione di gruppi o di persone, di associazioni, questo è un pochino l'orizzonte che vedo dinanzi) il quale si riunisce a congresso una volta ogni due o tre anni e a maggioranze qualificate perché è meglio non decidere nulla piuttosto che decidere in una situazione in cui si è molto divisi e tutto diventa poi astratto e ottimistico: la minoranza si adeguerà alla maggioranza per adesione democratica, ci si riunisce e si decide invece su due cose che debbono riguardare un quinquennio politico, due riforme essenziali, sulle quali poi, una volta adottate e approfondite, e quindi dibattute davvero, sarà possibile operare. Può essere appunto una di carattere laico liberale come il divorzio, può esse

re l'altra quella che chiede al limite la privatizzazione di certi settori Iri no?

»Dico perché poi bisogna appunto avere una certa fantasia; le forze di sinistra in Inghilterra cent'anni fa erano di volta in volta sui problemi del grano antiprotezioniste o protezioniste e le grandi battaglie di classe in quel momento, il confronto di classe si faceva proprio sulla diversa valutazione che si dava del protezionismo sul grano e el dazio sul grano nel 1830 o nel 1852. Quindi credo che noi dovremmo insistere su questo fatto: i congressi del Partito radicale possono porre all'ordine del giorno solo due punti, due, tre, quattro, uno punti fondamentali di riforme concrete per cui mobilitarsi tutti e lottare tutti assieme - e su questo la necessità di disciplina e di unità ovunque si sia, ecco il momento dell'unità federalista; e poi invece lasciare alle singole organizzazioni, quelle regionali o altre, la possibilità di discutere assieme e sempre a maggioranza qualificata l'atteggiamento comune su questo o quel problema e non su tutti. Con quale risultato? che poi i gruppi e le persone radicali s

aranno padrone, rappresenteranno loro stesse, e non la comunione dei santi del nuovo partito.

»E' già un fatto democratico. E' giusto infatti che un gruppo di persone che sentono prima di altre il problema dell'educazione demografica o dell'educazione sessuale, a mio avviso, dia battaglia. Questo è un esempio, naturalmente. Ma se il congresso del Partito radicale che solo per disattenzione o inavvertenza dia il proprio crisma o la propria sanzione alla battaglia che la maggior parte non ritiene battaglia politica, gli altri allora si muoveranno in astratto a nome del partito, ma in realtà il partito non si muoverà. Molto meglio in questo caso restare anche in apparenza quello che si è, un gruppo di estrema minoranza, per combattere la propria battaglia a nome di se stessi, che non è mai disonorevole .

"Stanzani" »[...] Perché noi siamo radicali e nonostante tutto questo quello che è successo da dieci anni e passa a questa parte siamo rimasti radicali e non siamo entrati in altri partiti o non abbiamo fatto politica in modo diverso. Evidentemente, secondo me, perché da parte nostra c'è una valutazione di fondo sulla inadeguatezza degli altri partiti e in particolare degli altri partiti della sinistra, perché evidentemente son quelli i partiti che ci interessano visto che siamo di sinistra, inadeguatezza dei partiti di sinistra non tanto a risolvere il problema del potere come oggi in Italia concretamente si pone, ma a risolvere il problema della democratizzazione della società italiana. E' constatare la carenza, la limitata partecipazione del cittadino italiano come tale al momento politico. Siamo di fronte a questo fatto; oggi anche i comunisti con la loro organizzazione capillare, con il numero di iscritti estremamente elevato - che si è via via ridotto - o la Democrazia cristiana o le organizzazioni cat

toliche, in effetti quale è la possibilità che lasciano?

»Alla base al cittadino in quanto tale, quale è la possibilità di partecipazione alla vita politica che viene data? Attraverso i partiti. Se la sinistra nel suo insieme non fa uno sforzo per farne il problema della sinistra, in Italia effettivamente non sarà possibile creare una rottura, una ``rivoluzione'' fra virgolette, cioè una modifica effettiva dei rapporti che oggi esistono fra potere politico e vita individuale, civile, dell'uomo, del cittadino. E' oggi il punto di vista di una minoranza, di un'estrema minoranza. Come e in che modo questo problema si può vedere di estenderlo? Evidentemente partendo noi, per quello che possiamo fare come radicali, innanzi tutto allargando il nostro discorso e non chiudendolo al nostro interno. E quindi dando ``una possibilità - e questo per me è il significato sostanziale della forma federativa. Questo discorso enunciato come esigenza, come motivazione, non può restare in eterno un'esigenza e una motivazione, cioè deve concretarsi organicamente in un insieme di azioni

nella misura in cui poi le azioni possibili si moltiplicano allora viene fuori il fatto dell'organizzazione.

»Il discorso di Pannella parte in termini propulsivi di dimensione politica, questo è l'avvio; poi, raggiunti certi risultati, io credo che le forme organizzative per consolidare i risultati sono molto facili. Soluzioni organizzative efficienti sono estremamente difficili e problematiche quando i risultati purtroppo ancora non ci sono o sono quanto mai limitati e sporadici .

"Pannella" »Un esempio di federazione occasionale ma importante, di partecipazione reale, di spinta dal basso, di una minoranza che ha criteri associativi diversi da quelli tradizionali e ne fa poi una battaglia di interesse nazionale .

"Oliva" »Dice qualcuno che, come spesso succede, il dato di partenza è sempre un dato psicologico. Un certo stato d'animo, di una mentalità un po' particolare di radicali: il radicale non è un'esperienza politica, è un tipo umano. Beh, io non credo a questo, naturalmente, ma è un dato, si può partire dall'esperienza immediata di noi che possiamo dare un contributo diverso da quello di Stanzani .

»L'esperienza e diversa, però è significativo come possano diventare complementari. Cioè partiamo dal dato umano di noi, che avevamo la necessità di fare della politica, cioè di reprimere in una dimensione pubblica - e non privata - delle esigenze politiche e che non trovavamo nella realtà data lo strumento necessario e che ci siamo un po' posti il problema di crearcelo contribuendo a questa nuova fase del Partito radicale a questo suo nuovo sviluppo. Il problema nostro è quello di fare politica il che non è l'identificazione con un comportamentismo astratto; il politico come figura tipica, macchietta, carriera. Il problema è di fare certe cose in cui noi crediamo, cioè della cui necessità noi siamo convinti. Per fare queste cose, che derivano da analisi personali - e anche non personali - e possono anche non coinvolgere problemi assoluti o astratti o universali, noi abbiamo ritenuto necessario associarci in partito politico che vuole fare certe cose, che vuole portare avanti nella vita politica italiana cer

te esigenze. E questo è sottoporre alla cittadinanza, all'opinione pubblica ciò che noi riteniamo si debba fare e invitarli ad accettarlo e a farlo con noi. Di conseguenza il partito è il gruppo di persone che ha delle esigenze, che ha elaborato delle proposte e cerca di attuarle con altri. Quindi il problema è: come si organizza questa adesione al partito? Si può organizzare in varia forma. Si può organizzare in primo luogo come riscontro di una confluenza oggettiva con altre forze politiche, altri gruppi che hanno una storia magari diversa, che hanno un'esperienza diversa alle spalle che a questa esperienza non vogliono rinunciare, quindi non vogliono confluire direttamente nel nostro gruppo; però su queste proposte sono d'accordo: s'associano a noi in qualche forma.

»Il problema si riduce a quello di organizzare delle forme di struttura federativa con gruppi democratici, rinunciando eventualmente ad altre proposte che possono venire e che possono anche sembrare allettanti, ma che in questa prospettiva non ci interessano. Ma c è anche un altro piano: uscire dal mondo dell'esperienza politica organizzata, cioè incontrare gente che non ha un esperienza politica di questo tipo, che non ha quindi questa storia alle spalle; che però su questo punto specifico, che tu gli indichi, è disposta a fare queste cose. E qua si possono studiare varie forme di organizzazione. La forma della lega, delle leghe, dei movimenti, è una di queste, fondamentalmente; si tratta semplicemente di riunire tutte queste persone e democraticamente dire: noi siamo d'accordo su questo punto, noi vogliamo realizzarlo. Avremo quindi ottenuto, stavolta non per confluenza a una realtà data, ma per creazione di una realtà da farsi, un nuovo organismo democratico, con il quale potremo poi strutturare il tipo d

i rapporto di cui parlavamo prima con gli altri gruppi.

»Si tratta di vedere caso per caso quando queste forze, quando questi gruppi, quando questi diversi insiemi di persone (che poi il punto è sempre questo: sono insiemi di persone), sono disponibili ad una confluenza che può essere federativa e democratica sul problema [...l .

Oliva conclude osservando che il problema di un militante che accetti solo uno degli obiettivi di lotta e non un altro, o altri, non si pone, perché non si tratta di creare un partito a struttura federata, ma di inserire i radicali con le loro esperienze in un movimento più ampio di cittadini che persegua gli stessi scopi.

"Pezzi" »Questi problemi di democratizzazione, di laicizzazione, che è un ottimo termine anche per me, del partito, nelle sue strutture tradizionali sono problemi che non si pongono soltanto a voi radicali ma si pongono a tutti noi - penso - della sinistra, sono stati argomento vivo e dibattuto da tutti nel congresso del Psiup, sono argomenti che si dibattono nelle sezioni comuniste, dovunque. Quindi, poi non è giusto - penso - forse ho frainteso, ma ho sentito dire a un certo punto noi siamo minoranza, forse resteremo minoranza; dovete inserirvi credo vivamente in tutti i problemi della sinistra e per la risoluzione di questi problemi; la burocrazia è una cosa che non va più a nessuno; un largo strato dell'elettorato italiano, della popolazione italiana è uscita di minorità cioè comincia a criticare, dentro e fuori dei partiti che sia comincia a crearsi un altro giudizio di quello che avviene di quello che lo stesso partito gli dice; una volta forse era l'editoriale dell'``Unita'', poi ciascuno lo ripeteva

con le sue parole ma con lo stesso senso e si andava a casa. Adesso si preferisce far la riunione e c'è la crisi delle strutture che è un po' la crisi della burocrazia, di un modo di concepire la politica e siamo tutti d'accordo penso che il partito tradizionale dimostra le carenze, è invecchiato, ha commesso degli errori, altri son passati col tempo ma non sono stati risolti.

»Come si può rinunziare a queste strutture burocratiche sclerotizzate, a questo pericolo che si riscontra sia nella burocrazia interna di un partito che in quella che si dà agli amministratori di sinistra, degli enti locali o delle forme associate cooperative che a un certo punto molte volte inconsciamente onestamente sono un po' inserite nel sistema (esempio classico: la cooperazione che mena dei rapporti di scambio e di produzione con l'iniziativa privata e poi non la può combattere non può appoggiare una lotta sindacale perché il dirigente di cooperativa è uomo politico, magari anche un sindacalista o un deputato; non può condurre coerentemente una lotta contro un ente che è essenziale per l'esistenza di questo organo, di questa cooperativa cui è affezionato, cui ha dato la vita o dei decenni, cui ha dato sacrifici).

»Il movimento di unita nuova di sinistra non si crea su posizioni tipo quelle dell'ultimo congresso di Livorno o anche su posizioni per molta parte da rivedere come quelle di quel piccolo raggruppamento, che conoscerete, di Maitan a Roma, il Partito comunista dei bordighiani; sono chiusi, sono stati per tanto tempo costretti, anche se non lo erano per loro natura, a esser chiusi in una posizione clandestina, che non possono più non dico muover la base, ma tenere un rapporto con la base. La grande forza del partito tradizionale è proprio quella, pur con la burocrazia, pur con l'inesistenza di un rapporto democratico tra la base e il vertice, di avere degli strumenti che sensibilizzano continuamente quel largo settore di opinione pubblica che non è iscritto, non è politicizzato. Col grande partito si perdono i canali di informazione, mentre restano e sono sempre più forti quelli del regime e dei gruppi egemoni .

"Lipparini" »Mi sembra in primo luogo chiaro che il Partito radicale non intende raggiungere, non crede di poter raggiungere gli obiettivi che si propone con le sole proprie forze. Perché si rende conto che la capacità di concorrenza dei partiti vecchio tipo di cui l'Italia è piena è tale da impedirgli un aumento considerevole, un aumento sufficiente ad avere incidenza nella realtà del paese. Quindi risulta chiaramente che il Partito radicale intende ottenere questi risultati grazie al fermento critico che esso riesce a far nascere nei partiti dello schieramento che lo interessa, cioè dello schieramento di sinistra.

»Allora riteniamo che il Partito radicale sia effettivamente la formula migliore per riuscire a svegliare quei fermenti che potenzialmente esistono nei partiti della sinistra? Io ho parecchi dubbi. Io sono uso definire l'unificazione socialista e il partito che ne nascerà come un fenomeno in primo luogo tecnocratico, tecnocratico nella politica e tecnocratico nella vita quotidiana. Io credo che il sorgere di questa cosa decisamente tecnocratica nel nostro paese, con tutta l'acriticità che essa comporta non possa rendere questi partiti, partiti come il socialista unificato o anche altri partiti della sinistra, particolarmente disponibili a raccogliere la palla di frequente lanciata dal Partito radicale. Ci sono esempi numerosi nel passato di come i grandi partiti hanno utilizzato i motivi di lotta del Partito radicale sostanzialmente in modo così piuttosto superficiale, mostrando di volta in volta che avevano un alleato in più, ma sostanzialmente non raccogliendo ciò che di notevole, ciò che di proficuo ci po

teva essere nelle battaglie portate avanti dal Partito radicale [...] .

L'oratore prosegue affermando che l'unica prospettiva valida è quella di uno sconvolgimento dello schieramento politico attuale, anche con scissioni, perché tante forze, come ad esempio la sinistra socialista, sperano, sì, in qualcosa, ma in realtà sono sempre ingabbiate nei loro partiti. Prospetta la necessità di uno schieramento diverso e ricorda il Partito socialista pacifista olandese, di estrema sinistra, ma non marxista e apprezza la formula federativa, che però vede attuata come unione dei movimenti - per evitare la prevalenza dei più grossi - più che al loro interno, ove ha l'effetto di aumentare le gelosie. Un esempio di federazione è data dall'unione del Partito repubblicano col Partito dei contadini del Piemonte e col Partito sardo d'azione, realizzata nella forma di partecipazione dei segretari dei vari aderenti alle riunioni della direzione.

"Chiamini" »[...] Nel momento in cui si accettano degli obiettivi parziali di lotta politica è chiaro che il momento federativo potrà avere, penso, un notevole sviluppo in futuro, soprattutto in concomitanza sia con la verifica che diminuiscono sempre più le partecipazioni ai partiti tradizionali, ma soprattutto per il fatto che i cattolici per forza autonoma, direi, incominciano a capire veramente il discorso della laicità in politica, del non integralismo; d'altra parte si verifica uno scivolamento a destra inevitabile del Partito socialista e quindi molti socialisti di sinistra escono ed escono tuttavia non accettando di andare nel Partito comunista, di accettare la solita routine. Comunque mi sembra che sia ovvio che questa proposta federativa scaturisca dal Partito radicale, nella misura in cui il Partito radicale ha già risolto il problema interno, cioè la propria base coincide col vertice. Però siccome abbiamo parlato di federazione su certi problemi pur mantenendo le rispettive autonomie dei partiti,

bisogna tenere in considerazione che non tutti i partiti sono veramente come il vostro, che se ha un pregio, almeno ha questo veramente: che non c'è burocrazia .

"Stoppani" »Io non faccio parte del Partito radicale e non ne ho mai fatto parte, quindi non lo conosco. Ho partecipato ad alcune iniziative pacifiste, di appoggio all'obiezione di coscienza. In ogni modo quello che domando è in fondo che cosa i radicali vogliono fare, quando si parla di promuovere uno sviluppo della democrazia in Italia, in che limiti di significato di questa parola; cioè c'è il tipo di lotta che per esempio si conduce coi piccoli gruppi pacifisti, che è sicuramente una lotta per la democrazia, però so che la si conduce con trenta o con cinquanta persone e forse è inevitabile che sia così; cioè c'è una politica attivissima in tutti i settori, solo che sarà la politica dell'intrigo bizantino invece che la politica dell'obiezione di coscienza. E c'è questo: che quando un grande partito assume, a questo proposito della federazione, cioè del fare le cose assieme, assume le stesse istanze del piccolo gruppo, lo fa solo per togliere l'incidenza del piccolo gruppo. »Il problema - prosegue Stoppani

- è quello di non venire assorbiti, né dai partiti né dalle grandi forze economiche, che usano la tecnica della dissociazione delle motivazioni, ritenendone solo alcune, né dalle strutture e dalle tecniche dello Stato, volte a soffocare la democrazia dal basso .

"Bandinelli" »Due punti mi hanno sinora particolarmente interessato. Uno relativo alla osservazione che vi sono degli strumenti attualmente in mano alla sinistra che una ristrutturazione della sinistra potrebbe mettere in crisi e allora evidentemente ci sarebbe una perdita di potenziale del mondo della sinistra rispetto alla possibilità di incidere sul paese. Gli strumenti sono un fatto importante, dalla stampa a una serie di modi di intervento che i partiti attualmente hanno portato in fase di avanzata elaborazione, hanno ormai un metodo quasi perfetto nel loro interno, nella loro logica di portarli avanti e di svilupparli. Sembrerebbe che mettere in crisi questi partiti potesse portare a distruggere questi strumenti e quindi a un'operazione negativa. Io direi appunto: questo è un problema, è un serio problema che ci si pone; io non direi che noi abbiamo oggi una risposta e direi che è un interrogativo cui non so neppure se questo dibattito potrà portare una risposta - ma è un interrogativo importante. Qual

i sono oggi gli strumenti, quali dovrebbero essere gli strumenti dell'azione politica di una sinistra rinnovata? E' chiaro che un giornale come l'``Unità'', ad esempio, che nasce non da un fatto commerciale ma è un fatto organizzativo, un tale giornale è un tipo di comunicazione con l'opinione pubblica che ha la sinistra nel suo complesso, o una parte della sinistra.

»Nei termini attuali, abbiamo i giornali di partito, nei quali però le proposte di quei settori della sinistra che quei partiti non rappresentano vengono usate strumentalmente; nel momento in cui servono, vengono ignorate. E qui la ``Voce repubblicana'' esempio classico; e non parliamo degli altri; quindi quel tipo di strumento non è un strumento della sinistra ed è estremamente costoso con una resa, rispetto alla funzione e al costo, estremamente minima nel quadro della sinistra. E' un grosso problema che dobbiamo porre e vedere come va risolto [...] .

"Pezzi" »Scusa se interrompo per un attimo; ma c'è anche un'altra faccenda che vorrei chiarire. C'è per esempio il fatto del giornale che sia un'ottima fonte di informazione democratica aperta a tutti; l'abbiamo in Francia direi con ``Le Monde''; il quale però non ha la possibilità di mobilitazione .

"Bandinelli" »D'accordo, è un altro problema da porre. Si tratta evidentemente di vedere come il gruppo minoritario, il gruppo di minoranza avanzata riesce ad arrivare a questo. Non lo so; sono problemi che dobbiamo proporci.

»Poi c'è un altro problema. E' stata fatta qui un'ipotesi e ci si è chiesto: ma è funzionale l'ipotesi del Partito radicale di fare lui questa battaglia, visto che poi è così piccolo e non ce la fa, o non è piuttosto più utile e interessante per il problema la proposta dell'unità delle sinistre?

»Io non lo so, e direi che non ci credo in alcuni termini e posso crederci in altri; cioè sono tutti problemi che vanno posti con una certa ampiezza. Per esempio quando noi parliamo di unità dei partiti della sinistra; vediamo i contenuti che questa unità comporta, oggi. Vediamo ad esempio che nel momento stesso in cui alcuni partiti della sinistra, che io considero tali, vanno al governo; o nel momento in cui un partito si pone a un'opposizione decisa al governo e al regime noi vediamo che i contenuti si diluiscono e si disperdono. L'unità delle sinistre non è una scoperta nostra, l'unità delle sinistre c'è stata, se vogliamo; per quindici o venti anni c'è stato un modo di fare l'unità delle sinistre e ci sono state create delle strutture cosiddette ``autonome'' delle sinistre: dalla lega delle cooperative alla lega dei contadini, dall'Adesspi al Movimento della pace ecc. Hanno funzionato in una certa formula, frontista, però hanno avuto una funzione, se volete, di mobilitazione dell'opinione pubblica. Ques

te strutture i partiti della sinistra le stanno volontariamente sfasciando ad una ad una; o a destra o a sinistra. Il Partito socialista arriva a mettere in crisi la Cgil, congela la sua collaborazione nell'alleanza contadini e crea strutture, resta da valutare se sono del tutto negative queste strutture nel momento in cui mettono in crisi, esse, strutture frontiste; e già qui io davo un giudizio negativo. E' da valutare anche questo; è un problema che si deve porre. Direi che la sinistra non lo pone, lo tace; perché mentre fanno quest'operazione, nascondono quest'operazione, i partiti; tendono a tacere, non si ha un dibattito su questo argomento; chiudono. Dall'altra il Partito comunista, per esempio, mette in crisi il Movimento della pace nel momento in cui non lo può monopolizzare o non gli può dare una strategia, mentre gli sono state fatte delle offerte o ha avuto la possibilità di creare qualche cosa che fosse diverso.

»Allora che cosa vediamo? Vediamo che questa unità, che l'unità del nuovo Partito socialista da una parte è un dato importante perché tutto sommato scatena delle reazioni diciamo al livello parlamentare e ancora non sappiamo al livello dell'opinione pubblica. O, diciamo, la nuova unità a sinistra che il Partito comunista dice di volere portare; in realtà si conclude con un depauperamento delle strutture, delle opzioni che vengono offerte all'opinione pubblica. E qui un altro grosso problema; cioè noi andiamo verso una formula di regime, in cui il Partito socialista fa oggi insieme alla Democrazia cristiana delle scelte; le fa in sede parlamentare e impedisce che ci siano nell'opinione pubblica delle spinte sollecitanti. Questa in un certo modo si chiama formula di regime, tutto sommato. Si affida poi al voto; non so cosa significherà; questo è un problema politico che noi radicali non possiamo porre. Ecco; direi sono questi i problemi a cui non ho una risposta specifica da dare. Posso dire solo questo. L'inc

idenza dell'essere radicale, se volete a sinistra, o di un modo di essere a sinistra, non chiamandola radicale è quella di fare alcune scelte, una, due scelte incisive, sulle quali però si può creare un effettivo consenso e che siano capaci, esse, di provocare una serie di reazioni politiche tali da portare un discorso più avanzato. E qui e l'altro interrogativo, non la risposta. C'è il problema della crescita anche sociologica, del paese. In fondo la crisi dei partiti è anche un portato di questa crescita sociologica, anche se non soltanto di essa; però c'e il problema che è un problema anche di consapevolezza di nuove esigenze. Tra noi una sera parlando con Stanzani ci siamo detti: in che senso il mondo operaio oggi si ribella a un certo tipo di pianificazione, a un certo tipo di direzione dall'alto; ma per esempio in una città come Roma sul problema del traffico. Ecco la crescita sociologica; ecco cosa significa la ricerca di nuove formule di consenso a sinistra e quindi di proposte per la sinistra e di o

pposizione a un regime. Il problema del traffico è il problema della partecipazione del cittadino all'evento quotidiano della sua vita, che gli impone delle scelte che poi alla fine sono scelte globali anche se uno non se ne rende conto .

"Pannella" »[...] Il prof. Stoppani diceva: a questo punto probabilmente rappresentiamo il momento della organizzazione e del confronto di questi fermenti, che non restino tali, perché con i fermenti poi c'è la fermentazione e poi c'è il vino, l'istituzionalizzazione di questi fermenti come ideali, e come obiettivi politici, e come strutture, perché c'è anche questo, come strutture omogenee alla crescita di quelle idee che chiamiamo fermenti. Per questo credo che il passo avanti che noi facciamo, per cui si è partito, Partito radicale, è il passaggio da una situazione così di aspirazione, un po' individualistica, di lamentela diciamolo pure, o di protesta o di rivolta o di rifiuto, dai ``no'', si passa invece nella fase in cui diciamo: se la nostra analisi oggettiva è esatta, quando diciamo queste cose non le diciamo a nome di coloro che già si sono organizzati e bruciati nel tentativo di organizzarle, ma lo diciamo a nome di tutti coloro i quali, vivendo nella società moderna italiana che è fatta in questo

modo e avendo questi partiti anziché altri, hanno accettato la realtà di questi partiti, ma non perché volevano accettare la rinunzia a certe posizioni.

»Io voglio cessare di rappresentare un fermento, cioè qualche cosa che di per sé accetta di morire, lo pongo fin quando la società non mi ammazza, non mi costringe a ricominciare in un altro modo. Importante è anche l'altro quesito; ci poniamo un problema di potere o un problema di opposizione. In questo io ci credo che quando Babbini si presenta o no in commissione interna, per esempio, nella sua fabbrica, anche lui sarebbe imbarazzato di dire se si pone un problema di potere o di opposizione; il problema non è questo. Cioè il problema è che ciascuno di noi chiede alla lotta politica, e questo dobbiamo chiedere a nome di tutti e far sì che portandolo avanti noi, il successo del nostro tentativo sia una testimonianza per i compagni che stanno negli altri partiti che questa è una cosa possibile, fattibile - questo insomma è l'importante - noi vogliamo riuscire a realizzare il massimo di apporto civile che come individui possiamo realizzare.

»Dinanzi a un potere alienante, a una società che corrompe anche le volontà di impegno politico, a una società che assimila tutto e in cui quindi il contributo civile di ciascuno di noi si riduce sempre di più, questa formula che chiamiamo Partito radicale, questa forma di compagnia, di lotta, è una che potenzia o no il lavoro di ciascuno di noi? a questo punto siamo più cittadini o meno cittadini di quanto non lo saremmo se fossimo soli o fossimo altrove? Allora io devo dire francamente che, in base all'esperienza di questi tre anni, sapendo che appunto la base coincide col vertice per un motivo semplice, che siamo un gruppo di militanti in tutta Italia di poche persone, ebbene certamente è impensabile che se ci fossimo trovati tutti e cinquanta in una sezione repubblicana o in una sezione comunista, sono convinto che non saremmo riusciti a realizzare, in cinquanta, tutti quanti raggruppati in quella sezione, nemmeno il millesimo, rispetto anche ai problemi della sezione, di quello che siamo riusciti a real

izzare in concreto in questi tre anni organizzandoci in questo modo su problemi molto più vasti.

»Quindi in questo caso mi pare che il problema del potere è questo: noi vogliamo potere. Ma cosa significa volere potere? Né nella mitologia marxista, né in quell'altra neocapitalistica della società dei consumi.

»Vogliamo aumentare il nostro potere di cittadini, di socialisti, di radicali una volta che il nostro potere in definitiva non solo è forza di contestazione e di resistenza, ma di espressione politica. Ed è questa altrimenti la dannazione dei movimenti, di tutto quello che in questi anni ha vissuto delle vecchie posizioni più varie: socialiste, libertarie, repubblicane; che in fondo si sono tutte quante consumate in una solitudine di fermento [...] i pacifisti degli anni Trenta, appunto perché volevano essere solo pacifisti [...] e in questo son d'accordo col prof. Stoppani: bisogna assolutamente cioè non essere monocordi, perché in questa maniera siamo assimilati in una maniera molto più facile [...] .

"Stanzani" »Qui vorrei aggiungere una cosa che dovevo forse chiarire all'inizio. Questo tema sul partito moderno è uno dei quattro temi che la commissione si e proposta come guida nel lavoro precongressuale, ed è l'ultimo dei fili conduttori che ci siamo presi per la preparazione del congresso, perché appunto prescinde in questo senso dal contenuto, dalla definizione del contenuto. La definizione del contenuto sono gli altri tre: "i diritti civili" come accento sull'aspetto del cittadino; "le istituzioni dello Stato", cioè il cittadino in rapporto a quello che lo Stato è oggi e "i rapporti internazionali", che in fondo poi per noi, questa è così un'anticipazione, si concentrano sui problemi dell'antimilitarismo, evitando del tutto di pensar a come ci si schiera di fronte alle posizioni di potere dei vari stati europei o mondiali .

"Pietropaolo (Movimento autonomo socialista di Milano") »Io parlo per quei socialisti che sono usciti o stanno per uscire dal Partito socialista unificato, e si costituiranno in movimento autonomo e per i quali si presenta in modo molto pressante questo problema cioè il problema dell'organizzazione del partito. Un problema che sta investendo ormai tutta la sinistra. Bisogna cioè elaborare una nuova teoria del partito. E a questo punto io vorrei fare un po' di storia; cioè sostanzialmente finora è stata concepita una sola teoria del partito ed è la teoria che tutto sommato potremmo definire del partito giacobino, del partito come lo concepiva Lenin all'inizio del secolo, del partito centralizzato, del partito ideologico, costituito da rivoluzionari di professione, come un partito essenzialmente autoritario, fondato sui sistemi del centralismo democratico.

»Ora questo tipo di partito, che potremmo appunto definire giacobino, cioè partito essenzialmente di potere, di rivoluzionari di professione, che poi saranno destinati a diventare dei burocrati, come è successo quando il partito ha preso il potere ed è avvenuta la degenerazione staliniana, dicevo questa concezione del partito storicamente ha dato certi risultati e noi diciamo che sono dei risultati negativi. E già a quel tempo si levavano delle critiche contro questo tipo, contro questa concezione del partito; per esempio Rosa Luxemburg insorse contro questa concezione del partito e vedeva in essa un soggettivismo estremo per cui il soggetto, l'io del rivoluzionario intellettuale, perché era sostanzialmente un intellettuale e non un proletario essendo stato oppresso per anni, per decenni dall'autocrazia zarista, prendeva la sua rivincita ma in senso autoritario pretendendo di fare violenza alla realtà e cadendo così in uno schematismo astratto, quasi fanatico. Già da allora esistevano queste critiche, che ve

nivano da sinistra così come quelle dell'anarco-sindacalismo, del sindacalismo libertario dei primi anni del secolo, della ``opposizione operaia'' in Russia; furono tutti movimenti di opposizione storicamente poi bloccati, soppressi. Questa concezione del partito è venuta meno col 1956, l'anno che segna una svolta nella storia internazionale del socialismo e della sinistra in generale. Questa concezione è entrata in fallimento. Le esigenze democratiche e libertarie della società sono entrate in contrasto con questo tipo di partito, col partito Weltanschauung, che imponeva la sua concezione del mondo. Dobbiamo però dire che fino ad oggi non e venuto un ricambio a questo tipo di partito che noi come minoranze autonome condanniamo e verso cui anche le maggioranze ufficiali della sinistra cominciano a mostrare insofferenza. La cosa più grave di questa mancanza di ricambio è lo scivolamento da questa concezione a un'altra concezione del partito, che direi genericamente socialdemocratica, e che è essa pure una con

cezione sostanzialmente autoritaria, una concezione basata sul potere e sul suo esercizio. Il partito cioè non è più un partito ideologico, di rivoluzionari di professione, ma è un partito di tecnocrati, una specie di massoneria, di consorteria, di società di mutuo soccorso, slegato dalle esigenze oggettive.

»Esso perciò riesce a manifestarsi soltanto nelle occasioni elettorali, o di festa, come per esempio la Costituente. Però poi passeranno gli anni, e le esigenze, i problemi di fondo della società verranno elusi, perché sempre subordinati alle esigenze del potere. Abbiamo così questa seconda concezione del partito, del partito inteso diciamo così come cinghia di trasmissione, di mediazione tra il potere costituito e la società. Concezione che anche questa noi respingiamo, coerenti con la nostra scelta che è una scelta contro l'integrazione della sinistra e del socialismo nell'ambito del potere borghese. Ci si pone allora il problema di elaborare una nuova teoria del partito, per la quale io non posso che dare delle indicazioni, anzi neanche delle indicazioni, perché siamo proprio agli inizi; è un problema direi più che di analisi, di invenzione, di fantasia; possiamo dire senz'altro che il nuovo partito quindi non sarà un partito ideologico, un partito Weltanschauung; però resta il problema; esisteranno sempr

e delle condizioni di carattere diciamo così morale per l'adesione a questo partito? Non sarà più necessario essere marxisti o marxisti-leninisti o professare comunque una filosofia o un'ideologia. Comunque ci vorranno sempre delle condizioni per aderire a questo partito, altrimenti cadremmo nel modello di tipo socialdemocratico, appunto.

»Si tratta di precisare queste condizioni, si tratta di vedere che cosa sostituire al tipo di ideologia monolitica, totalitaria. Si tratta di sostituire delle nuove condizioni, potremmo dire genericamente morali, ma si tratta poi di specificare. E in un certo senso direi che poi più che partito, forse la denominazione esatta sarebbe quella di movimento; cioè mi viene in mente una distinzione che si faceva in Francia all'epoca della monarchia di luglio di Luigi Filippo; la sinistra allora si definiva come il partito del movimento che si opponeva alla resistenza, alla reazione cioè. Il movimento enucleava tutte le possibilità, i germi di sviluppi positivi e dinamici. Il movimento si identifica con il dinamismo in seno alla società mentre invece la resistenza, la reazione costituisce la zavorra, il peso morto. Ora noi dovremmo pressappoco rifarci a questo tipo di concezione; la sinistra il socialismo in particolare siamo il partito del movimento; nostro scopo non è tanto quello di tradurre in pratica un certo f

ine. In un certo senso potremmo dire che il fine è nulla e il movimento è tutto. Nostro scopo è di assicurare la continuità del movimento nella storia, perché la storia non conosce periodi di inerzia o di stasi. Per fare questo siamo in lotta con le burocrazie dei partiti, sostanzialmente in lotta con il potere dei partiti. Ma per organizzare questa lotta occorrono agganci alla realtà. E qui mi sembra che si possa fare una critica al Partito radicale; perché mi sembra di notare nel Partito radicale una scarsa caratterizzazione in senso socialista. Cioè, indubbiamente i radicali accettano le proposte, le richieste tipiche di un partito socialista, come possono essere le socializzazioni o cose del genere; però ho notato una scarsa tematica del socialismo; sostanzialmente ho notato che tendete a fare discussioni di carattere sociologico, oppure tendete a porvi come movimento slegato da quelle che sono per esempio le esigenze effettive della classe lavoratrice. Si tratta anche di stabilire il giusto rapporto che

c'è tra il volontarismo della nostra azione rivoluzionaria e i problemi oggettivi che sono nella società.

»Ora è chiaro che se noi siamo rivoluzionari non lo siamo in astratto, ma dobbiamo collegarci a certe esigenze della società, cioè dobbiamo collegarci ai problemi della classe lavoratrice e dobbiamo cercare di dare a questi problemi uno sbocco rivoluzionario. E a me pare che nel Partito radicale questa tematica socialista, questa teoria del socialismo sia un po' assente, manchi un po' e quindi il Partito radicale tenda a slegarsi dal contesto di tutta la sinistra. Penso comunque di poter essere più completo domani in un successivo intervento .

 
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