Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
dom 28 apr. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Quaderni Radicali - 30 ottobre 1966
(2) Il convegno di Faenza dell'ottobre 1966 / 2ª parte

SOMMARIO: "Nel testo n. 3939 è riportata un'ampia selezione dei lavori della prima giornata del Convegno organizzato a Faenza il 29 e 30 ottobre 1966 dalla Commissione preparatrice del 3· congresso del partito radicale. In questo testo viene riportata la seconda parte".

(QUADERNI RADICALI N. 8/9, gennaio 1980)

"Pannella": Il progresso delle strutture militanti e politiche della sinistra deve essere assicurato al di là delle formali appartenenze a questo o quel partito da compagni e amici che hanno le stesse idee e per il momento militano con fondate ragioni in formazioni diverse. A sinistra sempre di più le istanze di rinnovamento sembrano ispirarsi agli stessi ideali, alle stesse prospettive, agli stessi giudizi; ieri la nostra proposta federalista è stata condivisa da compagni di altre formazioni o indipendenti. Do ora la parola a Gianfranco Spadaccia.

"Spadaccia": Il partito radicale è nato nel 1956 con lo slogan »Un partito nuovo per una politica nuova ; la sua opposizione non è stata solo a certe forme di collaborazione col partito unico dei cattolici, ma ha contestato in toto qualsiasi possibilità di collaborazione con tale partito; un'opposizione radicale al regime, che si era consolidato anche attraverso certe scelte dei partiti della sinistra, che lasciava alla sinistra certi spazi, certi margini di potere, ma che escludeva reali possibilità di alternativa. La struttura del partito e però rimasta quella tradizionale, per sezioni, quella che noi riteniamo incapace di articolare una vita democratica, inadeguata ai compiti di opposizione intransigente al regime che prefiguriamo. La precedente classe dirigente del partito era in fondo incapace di pagare i prezzi che ciò richiedeva; perciò dopo i fatti del luglio 1960 essa rifluisce nel centro sinistra, e in parte si è dissolta; oggi noi dopo anni di lavoro politico riproponiamo alla sinistra l'ipotesi d

i un partito di militanti, che rilanci obbiettivi di alternativa. Un partito nuovo: cioè con motivi di fondo e strutture nuove. Il centralismo democratico genera un funzionamento interno del PCI che ne impedisce il rinnovamento, ne blocca la capacità di raccogliere le energie, i fermenti, le esigenze che oggi esistono nel paese, ne blocca il rinnovo della classe dirigente e il legame profondo con le masse. Ecco il nocciolo del problema. Il PSI ha settecento funzionari, oltre ad altre centinaia nel sindacato, negli enti economici che il PSI controlla, negli enti locali... Chi fa politica allora non è il militante, ma l'apparato; come si selezionano allora i funzionari? che potere hanno? avviene un ricambio? Non è un discorso moralistico!

Mi diceva ieri sera il vicesegretario di una sezione repubblicana di Roma che le strutture delle sezioni a suo avviso servono solo a non consentire alla gente di fare politica. Oggi qualsiasi iniziativa politica non può passare attraverso sezioni. I circoli e le organizzazioni varie che si formano attorno ai partiti vivono lo spazio di un mattino, perché sono visti in maniera strumentale e decisioni passano non attraverso di essi, ma attraverso i canali tradizionali. Il discorso si allarga al sindacato e all'influenza che i partiti hanno su di essa. Nell'ultimo congresso CGIL il sistema di elezioni ripartiva ogni possibilità di potere e di controllo democratico fra un certo numero di correnti partitiche. Quali sono gli iscritti al partito e al sindacato che attraverso quel sistema si possono assumere l'intera e totale rappresentanza della classe operaia aderente al sindacato? Quanti sono i non iscritti ai partiti fra i milioni di lavoratori che votano CGIL per le commissioni interne? Dove è l'autonomia del s

indacato? Centralismo democratico del PCI e dialettica delle correnti del PSI oggi non sono che due varianti di una stessa concezione della democrazia, burocratica, gerarchica, accentratrice, rigidamente verticale. Si fa la lotta per le regioni, senza garantire al proprio interno alcuna articolazione regionale. Le correnti del PSI, il PSIUP, ognuno al suo interno si fonda sul centralismo democratico, con propri finanziamenti, propri funzionari, propri controlli di potere. Il PSIUP staccandosi ha dovuto rafforzare le proprie strutture organizzative e finanziarie con condizionamenti sempre maggiori, che hanno anche impedito di contrastare gli equilibri partitici all'interno della CGIL. Pure nel PSIUP c'è stato un dibattito interno, la proposta di non dar vita a un'articolazione per sezioni; ma la maggioranza non la ha accettata. Il partito repubblicano pure ha tentato esperienze innovatrici sul piano delle strutture; ha cercato di federare il partito sardo di azione e quello dei contadini del Piemonte e ha cer

cato di responsabilizzare le energie intellettuali del partito in commissioni consultive con l'appoggio anche di esperti non iscritti; ma i limiti sono stati precisi. Il partito dei contadini è un vecchio residuo clientelare, il partito sardo d'azione è ormai solo una mediocre struttura di potere, che nel periodo immediatamente precedente e susseguente al fascismo ha avuto una carica regionalista di rinnovamento, che oggi non ha più. Le commissioni sono solo consultive, non incidono sulla vita interna del partito. Le strutture dei partiti attuali garantiscono solo l'autodifesa interna delle presenti classi dirigenti, certi equilibri interni, e anche interpartitici. Un partito nuovo deve rompere politicamente tutto questo. Anche nell'unificazione socialista in corso si parla di costituente permanente. L'esigenza è sentita, ma cozza contro strutture apparati interessi. Come partito nuovo dobbiamo superare tutto questo, anche attraverso la nostra carica di volontà, ma soprattutto organizzandoci in maniera diver

sa.

Non credo all'alternativa: partito di massa-partito di élites; negli attuali partiti le masse sono dominate dalle élites; il problema è quello della formazione delle élites, del ricambio, del controllo. In una società di massa in cui la vita dei cittadini passa attraverso certi canali normali si giustifica il sindacato di massa; ma il partito di massa pure? non è esso una copertura a una struttura di potere antidemocratica? Il partito deve tornare ad essere un gruppo di persone che fanno politica, che si battono per certi obbiettivi. Ecco il partito non di massa e non di élites, ma di militanti, persone che hanno la capacità di pagare alla vita politica col loro impegno personale la fedeltà alle loro idee e ai loro programmi. Questa possibilità è il primo dato che il partito nuovo deve assicurare. Come il PSI agli inizi del secolo, il PCI nel 1921, Giustizia e libertà e il partito d'azione. E occorrerà evitare di essere il partito che vuole spiegare agli altri, quelli di massa, quale è la loro politica, come

alcuni radicali hanno pensato nel passato: un partito di alternativa di sinistra al regime, un partito che sente un legame dialettico con le altre forze della sinistra deve spiegare il diverso tipo di struttura, di presenza politica, di organizzazione, di unificazione che propone. Quest'ultimo è un problema diverso; ma non è certo il modello dell'EUR, dell'unificazione socialista, che per prima cosa congela tutto per alcuni anni, senza possibilità di controllo e di ricambio. L'unificazione della sinistra deve rispettare tutte le componenti, assicurare vita effettiva a tutte le minoranze, potenziare tutte le iniziative. Ecco l'esperienza federativa.

"Pannella": Non sono per una volta d'accordo con Spadaccia; perché non dobbiamo qui fare la somma delle obiezioni, delle insofferenze, delle indifferenze e delle critiche, che è sterile; ma vedere se si riesce a produrre, attraverso questa formula di lavoro comune, delle indicazioni positive, valevoli per il partito radicale, sì, ma anche per il PCI o il PRI. E il contributo che possiamo dare non è solo di unione nelle cose, l'azione per la pace, l'iniziativa laica, le elezioni; ma delle indicazioni positive. Vediamo.

Ci si dice che il laicismo è una dimensione piccolo borghese, una chiave culturale e politica e civile ormai esausta. Diciamo, non è vero. Perché oggi si passa in Europa da una situazione in cui il laicismo era soprattutto contrapposizione contro una certa incarnazione storica del dogmatismo, contro lo spirito di chiesa, si passa oggi, in un momento cioè nel quale la laicità del mondo moderno schiaccia con il concilio persino la struttura autoritaria della chiesa costringendola ad assumere valori laici, perché papa Giovanni non ha scoperto nulla e se qualcosa ha fatto ricco l'uomo e la chiesa con lui è stato che dalla cattedra del sillabo è venuta un'umile e ricca testimonianza di laicità, di tolleranza, di rispetto per gli altri che era quello che la controriforma voleva ammazzare in Europa, dicevo si passa oggi ad un essere laici perché ne abbiamo abbastanza delle strutture centralizzate e dogmatiche dei nostri partiti. Anche se in Italia l'anticlericalismo è la dimensione responsabile del nostro essere so

cialisti e laici e non residuo piccolo borghese. Quando ai partiti si affida il compito di decidere tutto quello che esistenzialmente ci tocca nella vita di ogni giorno, questo partito è il partito chiesa, quali che ne siano i contenuti. Vogliamo che i partiti in cui ci associamo, se non vogliono violare la nostra coscienza, con umiltà risolvano solo quei due o tre problemi che ogni cinque o quindici anni sono i più importanti. Vogliamo che i partiti, perché siano sovrani nelle cose che gli vengono conferite da noi, non ci suggeriscano ogni giorno come si è comunisti o socialisti in ogni aspetto della vita associata, dandoci indicazioni in ogni campo. Perché così si crea la burocrazia e l'ideologia, come strumento di potere della burocrazia: la risposta per tutto, per imporre la disciplina su tutto laddove dobbiamo e vogliamo essere disciplinati solo su quelle due o tre cose che abbiamo contribuito a formare. Altrimenti sarà fatale avere una classe di specialisti professionisti (gli ex militanti leninisti de

gli anni '20) che ogni giorno sfornano le soluzioni su cui dobbiamo marciare. Era questo il leninismo, o non l'impegno su specifici obiettivi rivoluzionari, limitati, concreti, direi salveminianamente.

Certo, come diceva ieri Pietropaolo, partito di movimento contro il partito della resistenza, individuando i due o tre contenuti da affidare a questo partito:

- pacifismo; un recupero in apparenza delle posizioni libertarie, repubblicane, socialiste, comuniste. Ma non è mettersi a discutere sulle mediazioni diplomatiche a Ginevra sulla base di quel che dicono; giornali in poche righe. O mandare le cassettine sanitarie. La classe operaia, vivaddio, un movimento alternativo fornisce innanzitutto al proprio tempo la testimonianza di quello che fa oggi e qui e non dei propri sentimenti umanitari per una nazione provata dalla guerra. I combattenti nel Vietnam si aiutano innanzitutto facendo gli antimilitaristi in Italia, riprendendo il coraggio di dire che non si vuole l'esercito come fondamento dell'autorità dello stato, dicendo che le guerre non vanno dannunzianamente esaltate come valori romantici, come bagni di sangue liberatori, ma sono fatti negativi, ricordando che i guerrafondai sono quei pacifisti che desiderano la pace pre parando la guerra. Ai socialdemocratici nazionalizzati, ai repubblicani e ai radicali dimentichi delle origini libertarie e sempre più su

posizioni giacobine (quelle per cui la rivoluzione francese in Italia ci arriva con la marca napoleonica e sulla punta delle baionette napoleoniche: una storia che oggi si ripete...) occorre ricordare il pacifismo, l'antimilitarismo, l'internazionalismo. Riprendere la battaglia per l'obiezione di coscienza, contro le strutture militari che sono una truffa storica contro la miseria. In un dibattito sere fa un amico repubblicano diceva: proponiamo una leggina per cui il 2% del bilancio della difesa vada ai paesi del terzo mondo. Se fosse concretamente proposto, lo accetterei; ma in vent'anni nessuno la ha fatta passare. Un deputato DC ha proposto di dare quattro miliardi del bilancio della difesa in aiuti al terzo mondo. E' ridicolo, è pietistico. Sono i miliardi del bilancio della difesa che per dieci anni vanno convertiti al servizio civile, per il Mezzogiorno...

- laicismo, anticlericalismo, antignosticismo. Laico non è l'agnostico, che non crede in nulla; quanti democristiani sono dei miscredenti? E quanti laici sono cattolici, stanno al laicismo come il democristiano sta alla fede e alla religiosità? Il laicismo è difesa di valori, di una scuola che esista davvero, di ospedali che non sfruttino le miserie della gente, delle riforme di Mariotti che si facciano! Analizziamo il potere vaticano a Roma, la proprietà terriera sicuramente assai più vasta che nel 1870. Il divorzio è problema di classe, con le vedove bianche del Veneto e del Sud, con i milioni di emigranti, con l'annullamento rotale dei ricchi. Chi accede alla Sacra rota? Per l'assenza del divorzio paga la classe lavoratrice assai più che la borghesia come per gli ospedali, le scuole, gli asili... Ecco ancora le divisioni della sinistra, compagni del PSIUP: ai socialisti che si riunificano, cosa rimproverare se non che non vogliono veramente le riforme socialdemocratiche, che pur significano un certo grado

di civiltà, di benessere, di stato assistenziale possibile solo se si è uniti contro il clericalismo. Che senso ha il discorso astratto sui modelli, jugoslavo, sovietico, algerino, o qualche altro concepito da questo o quell'intellettuale? Il socialismo è quello che facciamo ogni giorno. Noi poco attenti al problema socialista? O non ci liberiamo di concetti pseudosocialisti, come il pacifismo confuso col neutralismo, rivendicando per tutti in Europa - dall'operaio di Leningrado al tecnico di Dusseldorf - l'opporre alla strutture militari una società diversa, secondo la continuità delle tradizioni di classe, contro lo stato borghese che non è riuscito a diventare stato di diritto. E così per il laicismo. Il libero pensiero e il laicismo non sono funzioni borghesi, distorsioni borghesi; non sono appannaggio della classe politica che ha fatto il patto Gentiloni. Alla Comune l'occasione era la mancanza del pane; la mobilitazione era il suffragio universale. Il socialismo rivendicava la dimensione laica della s

ocietà, gli apporti dell'illuminismo e del liberalismo; le scorciatoie leniniste o socialdemocratiche hanno poi privilegiato la »democrazia come problema di produttività economica: elettricità più consigli di fabbrica... E non è forse socialista la nostra azione contro gli enti di stato, il voler proporre il problema della libertà a partire dal lavoro umano alienato? La sinistra coinvolge nella difesa del capitalismo di stato la classe operaia, con i lavoratori dell'ENI che scioperano e Paese sera non lo dice; assume su di sé la responsabilità di gestioni neocapitalistiche, paternalistiche, di classe, senza ricordare che è proprio il pensiero socialista a richiamare l'attenzione sul fatto che la pura e semplice proprietà pubblica non è affatto necessariamente un progresso sulla via al socialismo. L'ENI che finanzia tanto l'Unità che la Voce repubblicana... Cosa abbiamo detto se non che il sindacato negli enti di stato deve rivendicare una mutazione dei criteri di gestione!

- Federalismo europeo. Abbiamo ereditato il mito degli stati nazionali, questo dato tradizionale delle rivoluzioni romantico-borghesi, che ha avuto una sua funzione; ma dobbiamo ricordare che la tradizione socialista, libertaria, repubblicana ha sempre sottolineato che la dimensione reale di lotta ha riferimento alla società industriale moderna, che è quella europea. L'operaio in Europa ha dovunque la stessa condizione sociologica e le stesse necessità ideali. Si diceva: gli stati nazionali sono paraventi che ci si mette davanti per farci dimenticare che il dato essenziale è quello di un'umanità che progredisca, di fratelli e cittadini che si incontrano nella lotta al privilegio. Proprio i repubblicani hanno qui la posizione più sconcia; è un giudizio politico, non moralistico. Perché mentre socialisti e comunisti arrivano oggi in ritardo con questa presa di coscienza, i repubblicani sono europei a partire dalle istituzioni acquisite dalle forze del privilegio: non è un caso che il partito delle tradizioni c

ooperativistiche e federalistiche ha oggi tutti i difetti del partito di massa senza averne i pregi. Nel partito di La Malfa la democrazia interna è impensabile. La Malfa che prende i filocomunisti a Palermo, i filo monarchici a Cuneo, fa eleggere con i democristiani Macrelli a Ravenna, sostiene le aziende di stato, fa il ministro del bilancio...

Il socialismo è autogestione, strutture civili di democrazia nei rapporti di produzione, rinnovamento di questi rapporti con la legittimazione dell'intervento dello stato... Nella società dei consumi lo sfruttamento non passa più unicamente o prevalentemente attraverso la fabbrica, ma per ogni momento del tempo libero e del tempo occupato: pubblicità, cambiali... La società liberale doveva liberare l'uomo dal bisogno; invece gliene inserisce: siamo macchine per nutrire la società dei consumi.

Il problema dello stato va ripensato fuori dal mito della rivoluzione francese, giacobina, dell'assemblea permanente: tutta la capacità legislativa al popolo, rappresentato nell'assemblea. Il mito dei soviet; anche se è vero che il garantismo va rivisitato nei contenuti: educazione sessuale, educazione demografica, divorzio diritto di famiglia. Siamo fuori del quadro falsamente puritano, oleografico del realismo socialista, pre-moderno... E nel nostro congresso dovremo versare le tesi di tutta la sinistra, per scegliere le battaglie su cui tutti convergono...

"Marchetti": Dovevo fare una comunicazione sul laicismo, che non ho potuto preparare; ma penso che il laicismo sia poco meno che nulla. O è una concezione del mondo e non se ne può fare un'etichetta di partito che rifiuta le ideologie o è un termine di comodo o uno stato d'animo o un simbolo di civiltà; dirsi liberali significa cose diverse oggi e dieci o venti anni fa...

"Oliva": La problematica della sinistra non è un fatto interno di certe strutture che agiscono nel gioco politico; ma è contenuta nella nostra situazione di cittadini di oggi, di ogni giorno. Attraverso il recupero del caso personale, noi recuperiamo oltre le strutture e i feticci il dato insopprimibile dell'individuo, con i suoi problemi e valori, il primo dei quali è la sua individualità e personalità. Ecco il nostro contenuto. Ora oggi su tutto questo si è costruito un grande castello, un grande apparato. La tradizione ci ha lasciato una sinistra che, strutturata in una certa maniera, è andata oltre queste cose, che ha usato come mattoni per costruire il suo grosso edificio politico, questa macchina politica che gira un po' a vuoto. Questa macchina è inserita nel gioco di potere e uscirne appare sempre più difficile. Occorre perciò, se si vuole tornare a incidere sulla realtà umana, mettere in crisi questo stato di cose, liberare queste energie, queste esigenze, riportandole alla vita politica con uno str

umento adatto: il partito radicale. Con l'unità delle sinistre? Certamente; per mettere in crisi i vecchi partiti...

"Pannella": Direi i vecchi apparati...

"Oliva": Ma i vecchi partiti sono partiti di apparato, che ha messo in crisi i militanti e le idee. Dobbiamo rivolgerci alla sinistra individuata sociologicamente; come ha detto spesso Pannella; a coloro che hanno idee di sinistra, che combattono battaglie di sinistra. Il partito di militanti è possibile ed è possibile la federazione con quanti giorno per giorno ci sono vicini: movimento socialista autonomo, pacifisti, tanti con cui lottiamo insieme ogni giorno.

"Pergameno": Penso che oltre al dibattito teorico dovremmo anche individuare alcuni elementi concreti di lotta per i prossimi mesi, anche per far crescere il partito. Comunque... Ogni forma organizzata, a meno che non si tratti della democrazia esercitata nella piazza della città - e forse neanche qui, perché ci sono poi i problemi dell'esecutivo - pone il problema del rapporto tra base ed élite; di non avere un'élite burocratica e tecnocratica e delle associazioni di base, dei gruppi che contano solo sulle loro forze, molto puri, ma incapaci di incidere, di raggiungere i loro scopi perché incapaci di inserire i loro problemi nella dinamica generale della vita politica. L'eterna frattura tra i portatori di idee e coloro che detengono il potere, che potrebbero realizzare delle riforme, ma in realtà finiscono solo per strumentalizzare il movimento.

Il problema è particolarmente sentito oggi che Id società civile è più progredita della società politica, un'opinione pubblica sempre più consapevole dei propri diritti che vuole partecipare alla vita politica, ma non trova gli strumenti adeguati. In ogni struttura c'e un problema di élites e di base che deve controllarne l'operato; il problema è importante anche ai livelli costituzionali e istituzionali. Ora nei confronti delle strutture di partito non c'è nessuna forma di controllo, di responsabilità verso la base. I singoli iscritti non sono organizzati, del partito conoscono quello che ii partito vuol far sapere, e così gli elettori. Nella struttura del partito occorre quindi tener conto sia del momento diciamo direzionale sia di quello di base, l'élite deve avere un carattere tecnico, nel senso che un partito a livello unitario e nazionale deve essere soprattutto una macchina elettorale e una serie di servizi tecnici, di strumenti tecnici a disposizione delle organizzazioni di base.

Le organizzazioni di base vanno poi distinte in organizzazioni interne e organizzazioni esterne. Quelle interne non debbono avere la struttura tradizionale delle sezioni e delle federazioni, che consolidano gli strumenti burocratici e di apparato; e occorre evitare strutture con competenza generale, come insiste Marco; le nostre »sezioni debbono avere capacità di decidere, non essere organi che eleggono un dirigente e hanno carattere esecutivo. Al livello nazionale vedrei una direzione sul tipo del senato americano, sulla base di delegati di »federazioni regionali e provinciali, con una segreteria meramente esecutiva.

Poi c'è il problema delle strutture esterne, cioè del momento federativo. E qui non rileva tanto come lo si articola, come lo si fa, e forse lo schema non sarà nemmeno unico; bisogna prima che queste cose ci siano e avere dei principi direttivi, nel senso che il radicale o il comunista che ci milita non deve essere il portatore di un'idea del partito, ma al contrario deve portare al partito, guardate l'associazione dice questo. Il rapporto va capovolto. Per realizzarlo strutturalmente basta prevedere che delegati di questi movimenti siano immessi negli organi deliberativi del partito.

"Lucia De Marchi" Sono d'accordo sulla cornice, ma cosa ci mettiamo dentro? I partiti ci strumentalizzano, perché siamo pochi e non abbiamo mezzi.

"Masetti": Voglio portare la voce del partito della provincia, dove sentiamo molto il problema di mantenere i contatti nella nostra città, Ravenna, e di essere militanti efficienti sul piano politico. Come può la nostra base essere costituita di persone che abbiano il dinamismo sufficiente a essere individualmente delle cellule, che abbiano un addestramento personale tale da far in modo che il radicale in ogni circostanza sia capace di presenza politica e possa assumere su di sé del le responsabilità a nome del partito. Questo mette a disagio. Un operaio riesce a fare qualcosa di più che una testimonianza sul luogo di lavoro? O occorre essere persone che fanno eroicamente della politica? Non abbiamo anche noi il problema sul quale è fallito il partito di massa, cioè la mancanza di incisività nella formazione culturale della base? La base è sempre pronta a entrare in crisi come è sempre pronta per tutte le parole d'ordine; cioè non è politicizzata. La grossa struttura burocratica dei partiti di massa è anche

dovuta al fatto che debbono coprire una grossa mancanza di pubblicità. Una politicizzazione generale presupporrebbe altrimenti una istituzionalizzazione molto più ampia della democrazia politica, cioè che nelle strutture dello stato l'esercizio dei diritti civili sia presupposto al punto da consentire a ciascuno nella sua vita normale di poter affermare le proprie idee.

Un partito come il PCI persegue fini di potere, chiaramente, in nome delle masse, prima della democrazia formale; dando ad ogni iscritto quel tanto di libertà che riesce a procurargli. Il partito di massa garantisce poi il rapporto di forza coi partiti di destra, che si appoggiano alle strutture, al capitale...; ma lo garantiscono a spese della democraticità del partito stesso.

Vittorini, nella dichiarazione di voto del 1963, diceva che quando votiamo speriamo che i partiti colgano la carica di speranza il mandato che vogliamo dare; invece i partiti dopo le elezioni fanno tutto quello che vogliono. Le grandi operazioni politiche sono tutte trasformistiche. Così i sindacati, che aderiranno alla proposta La Malfa di sedere al tavolo della programmazione e lì definire corporativisticamente le proprie istanze e se la prima volta non si userà con tutta la propria forza il diritto di sciopero, la successiva si manderà la celere contro gli operai.

Né mi auguro che le attuali maggioranze governative attuino la costituzione perché lo farebbero in maniera sbagliata; e anche le sentenze della Corte costituzionale, per quanto apprezzabili, sono pur sempre avvocatesche e non ripuliscono lo stato di quelle leggi che servono due padroni il fascismo e il regime repubblicano. L'attuazione della costituzione potrebbe essere la comune piattaforma della sinistra.

"Lipparini": Le critiche acide possono avere una funzione maieutica nei confronti delle forze che interessano all'interno dei partiti della sinistra? o non provoca irrigidimenti? Io che sono un dirigente del partito repubblicano concordo con voi; nella federazione giovanile del PRI c'è oggi una corrente di sinistra che si pone gli stessi problemi della partecipazione della ha se alla vita del partito; occorrerebbe far leva su queste forze. Capiamo anche bene le conseguenze negative della segreteria La Malfa, che è assai più intelligente dei suoi collaboratori e tende a stabilire una forma autocratica all'interno del partito, imponendo al partito mutamenti di rotta e impedendo la formazione di una classe dirigente successiva. Né abbiamo posizioni molto positive sull'europeismo, di una federazione seria moderna di sinistra. Ma mi pare sciocco parlare di corporativismo nei confronti della proposta La Malfa. E' una proposta quasi evangelica, interclassista, ma mira a cercare un accordo fra le parti, anche se par

ziale, da realizzare in momenti successivi. Sono allora assai più pericolosi discorsi come quello di Aldo Bonacini, segretario della Camera del lavoro di Milano, membro del Comitato centrale del PCI, candidato in pectore alla segreteria generale della CGIL che ha avuto modo di dire che l'occupazione dei luoghi di lavoro deve essere usata con parsimonia, perché pericolosa in quanto crea dissonanze sociali, disarmonie e contrasti. Anche se non è corporativo... non si può parlare di corporativismo ogni volta che si cerca un accordo delle parti.

"Stanzani": Masetti parlava di corporativismo, quando si pensa che la proposta La Malfa miri a ottenere l'assenso del sindacato a certe soluzioni per farsene poi forti; per chiamare la polizia quando il sindacato dovesse ritenere che gli accordi non sono stati rispettati...

"Pietropaolo": I radicali sono proclivi a interessarsi a una problematica che obiettivamente si differenzia dai problemi che sono propri di un partito socialista. Io distinguo tra problemi civili e problemi socialisti. I problemi di carattere civile (divorzio, obiezione di coscienza, antimilitarismo, problemi istituzionali) indubbiamente sono importanti e sono anche problemi socialisti; però i problemi socialisti non si esauriscono in questi temi civili. I vecchi radicali sono fanatici dello stato di diritto, cercano le istituzioni perfette, quando in vece il problema politico era il problema sociale, delle trasformazioni sociali, della lotta di classe, non di perfezionare le istituzioni perché tutto fili liscio e tutto vada per il meglio. Ecco le ragioni della dissonanza tra radicali e socialisti. I radicali parlano di senso dello stato, delle istituzioni... beh queste cose le scrivono i giuristi del Corriere. Come si fa ad essere libertari e ad avere il culto dello Stato?

"Pannella": Sul »culto siamo d'accordo...

"Pietropaolo": Ma anche il senso dello stato, se siamo libertari! Le istituzioni sono sempre qualcosa di mobile, di fluido e quello che conta sono i rapporti di forza, i rapporti sociali che non si esauriscono in quelli istituzionali. La realizzazione del socialismo: ecco il problema. Con le due esperienze comunista e socialdemocratica, da cui noi socialisti autonomi vogliamo essere autonomi, pur accettandone i lati positivi; le socialdemocrazie nordiche che hanno attuato una rivoluzione di costume, civile, ma criticandone difetti e insufficienze, come lo stalinismo per quel che riguarda l'esperienza comunista o il comunismo al gulasch di Kruscev. E vediamo la continuità fra queste due esperienze sovietiche, da cui non esce ancora l'alternativa socialista, un umanesimo sociale come noi socialisti autonomi auspichiamo, come si stava delineando dopo il '56, quando fiorirono vari movimenti socialisti di terza forma come Unità popolare e l'Unione socialista indipendente, critici verso il capitalismo ma senza cad

ere nelle forme autoritarie dello stalinismo. Resta il problema del socialismo; sotto l'aspetto economico prima di tutto e anche sotto quello culturale e ideologico, anche se non si chiede più oggi la tessera ideologica, la professione di fede restano condizioni morali di adesione, per non fare il partito socialdemocratico, la società di mutua assistenza, il gruppo di persone accomunate solo dalla contingenza degli interessi particolari. L'ideologia si ripropone non più come dato scientifico, come cinquant'anni fa, ma come dato morale.

"Marchetti": Per i radicali avere senso dello stato, una preoccupazione liberale, e condurre insieme una battaglia libertaria non è una contraddizione, né eclettismo; è una storia autonoma di persone che sono partite da certi punti e sono oggi arrivate ad altre spiagge.

"Aldo Treves": Mi è piaciuto molto quanto ha detto Pannella; il partito deve avere pochi temi, e il resto va lasciato alle sezioni o ai singoli. Ma penso che il radicale dovrebbe passare molte ore al giorno a leggere e informarsi sui temi fondamentali, come la conferenza di Ginevra, o meglio le forniture americane al l'esercito italiano...

"Pannella": Mi sono forse spiegato male: sono d'accordo con Treves. Proprio poi sull'antimilitarismo; occorre approfondire quei problemi fondamentali su cui ci muoviamo; come la conversione delle strutture militari in strutture civili, che richiede ricerca e sperimentazione. Vedere ad esempio quali spinte anche di natura economica ci sono nella società americana rispetto alla guerra nel Vietnam.

"Oliva": Esigenze liberali, socialismo, concezione libertaria: si tratta di organizzare la società e lo stato in maniera da consentire la massima libertà per l'individuo. Forse ho usato io l'espressione `senso dello stato'; certo va rifiutato il fantasma etico hegeliano dello stato come valore determinante del mondo politico, di fronte a cui i contrasti cedono perché c'è un interesse superiore. L'esigenza di un'organizzazione della società civile che garantisca il massimo di libertà all'individuo è liberale ma è anche socialista, non si tratta perciò di sommare parole, il liberalsocialismo, ma di fare battaglie che coinvolgono lo stesso problema. Pietropaolo è stato anche redattore di `Libera critica' e non può far finta di dimenticarsene oggi, come di cose `precedenti' alla presente esperienza socialista. Non possiamo fermarci alle definizioni da manuale: il socialismo si preoccupa della giustizia sociale, il liberalismo di qualcos'altro. Se torniamo alle esigenze che hanno mosso l'essere liberale e l'esser

e socialista scopriremo che sono le stesse.

"Del Gatto": Ricordo i contenuti essenziali esposti da Pannella: pacifismo, laicismo e federalismo europeo e nego che da parte nostra ci sia comunque volontà di strumentalizzazione o di monopolizzazione: l'essenza del nostro radicalismo sta proprio nel movimento dal basso, che confluisce e trova il suo strumento nel partito, come diceva Pergameno stamattina. Il momento di unione non sta tanto nella critica agli apparati, quanto nella ricerca delle motivazioni tradizionali del socialismo e lo scopo del convegno è anche quello di delineare linee di sviluppo di tutta la sinistra.

"Spadaccia": Basso ricordava tempo fa in polemica con Nenni che la rivoluzione non la si fa aspettando l'ultimo tranviere; la rivoluzione la fa chi ha la forza e la capacità di farla. E siccome chi la fa detiene poi l'interpretazione esclusiva degli interessi generali, ecco il rischio dello sbocco paternalistico; che avvertivo stamani nell'intervento di Masetti: la democrazia che diventa pedagogia, le masse che vanno educate; e l'altro più grave, quello dell'autoritarismo violento, lo stato costruito col ferro e col sangue. E costruito lo stato `socialista' si pone la necessità di superare il centralismo e l'autoritarismo, e un certo tipo di rapporto con le masse. E le masse vengono a mancare, manca lo spirito autocritico e la capacità di partecipazione. E' questo circolo vizioso che occorre rompere, superando una certa concezione dello stato e del partito. Si ripropone il problema delle garanzie, sia nei paesi delle rivoluzioni comuniste che in quelli delle rivoluzioni borghesi. Siamo libertari con due seco

li di storia della democrazia alle spalle e di storia del socialismo e vogliamo impedire che l'esperienza libertaria cada in esperienze dissolvitrici; cioè ancorarla e concretizzarla in una concezione del partito e dello stato insieme aperta e capace di reggere. Il partito è un congresso; e poi si è parlato di esecutivo e del rapporto col deliberativo; riconoscere la disciplina su alcuni problemi fondamentali; tenere congressi annuali che verifichino la linea politica e fra un congresso e l'altro una direzione responsabile di fronte al congresso e autonoma nella sua responsabilità. Avremo un'iniziativa efficace e non monopolizzatrice, senza la pretesa di dirigere tutte le esigenze e insieme la garanzia del congresso annuale. E la libertà e autonomia per i militanti al di fuori della linea di cui la direzione è responsabile. C'è il rischio della scarsezza delle nostre forze; non mancano i contenuti, ma le forze, limitatissime, pur con grande iniziativa politica. Abbiamo analisi e obiettivi sufficientemente si

curi. Con le altre forze della sinistra abbiamo un rapporto critico e alternativo. Bisogna riportare, invertendo un processo che vi è stato a sinistra, il problema dell'alternativa socialista al capitalismo ponendo l'accento sui problemi di democrazia del socialismo. C'è un problema di libertà del lavoratore che è stato abbandonato. Il problema delle riforme riassorbite, il problema in Unione sovietica della gestione democratica dell'economia; e così l'irrisolto problema del profitto. Le rivendicazioni socialiste le facciamo nostre, ma con la consapevolezza che la rivendicazione socialista nell'economia pubblica, nella fabbrica e così via deve essere una rivendicazione di libertà, che non può essere affidata a un astratto modello di sviluppo, ma al modo con cui all'interno di questo meccanismo si assicura la partecipazione, il controllo democratico delle scelte di politica economica, l'autonomia del movimento sindacale, la partecipazione dei tecnici e degli operai ai processi di gestione. Problemi che supera

no di molto la dimensione attuale del partito.

Nella sinistra siamo una minoranza in alternativa, che però ne sollecita l'unità su battaglie particolari, talvolta anche elettorali. E nel 1959 quando per la prima volta ponemmo il problema, La Malfa ci attaccò violentemente: si poteva parlare di sinistra democratica, non di sinistra. Oggi ne parla anche lui, anche se in termini che non accettiamo. Verità e chiarezza che ci fan definire dai comunisti come provocatori, ma poi siamo alleati a Ravenna; è un metodo di far politica: chiarezza, ma non settarismo né acidità. Tra le due grandi burocrazie della sinistra (PCI e PSI) c'è uno spazio politico e un vuoto organizzativo; cioè ci sono energie da federare: il partito radicale non esprime certo tutto. La società di oggi non è quella dell'inizio del secolo o quella del 1921, quando nascevano PSI prima e PCI dopo: è una società di consumi, di mezzi di comunicazione di massa, di tecniche progredite. Occorre riconquistare in questa società di massa il volontariato dei militanti: è difficile, ma è l'unico mezzo ri

voluzionario per affrontarne i problemi. Si tende al tecnicismo, alle commissioni di esperti e di tecnici per risolvere i problemi; è una colpa anche di Lombardi. Il problema è di chiamare una società di tecnici alle esigenze della lotta democratica, nell'impresa come nella lotta politica generale, rifiutando l'alienazione.

 
Argomenti correlati:
convegno
congresso
statuto
anticlericalismo
lid
sindacati
urss
stampa questo documento invia questa pagina per mail