di Marco PannellaSOMMARIO: Marco Pannella risponde ad una critica di Enrico Altavilla, giornalista del "Corriere della Sera", che accusa i radicali di fare troppo "chiasso" nella battaglia divorzista. Ad Altavilla è stato consentito di avanzare considerazioni favorevoli all'istituzione del divorzio in Italia solo grazie al "chiasso", alla "politica", al "massimalismo" della azione dei radicali.
(BATTAGLIA DIVORZISTA N. 2, dicembre 1966)
Anche i nostri amici del CISEF (Centro Studi Internazionale per l'evoluzione della famiglia) avrebbero dunque sbagliato, organizzando un dibattito sul divorzio: è quanto per lo meno afferma Enrico Altavilla sul "Corriere della Sera" che ha dato notizia della riunione con un servizio dal titolo: "Ancora un convegno a Roma - I sostenitori del divorzio sbagliano la loro propaganda".
Enrico Altavilla sostiene che siamo troppo chiassosi, troppo politici, troppo esigenti. Urleremmo nelle piazze, declameremmo vecchie solfe nei convegni, chiacchiereremmo per i già convinti, useremmo del divorzio solo per dar fastidi al governo ed alla Chiesa, faremmo della retorica e della demagogia, eludendo perfino - egli sostiene - il vero problema: come ottenere, "oggi, in Italia, il divorzio".
Noi abbiamo invece la sommessa opinione che se è possibile allo stesso Altavilla, da qualche mese in qua, di avanzare fra le righe, con prudentissima quanto avara e tormentata franchezza, qualche considerazione favorevole all'istituzione del divorzio in Italia, questo lo si debba "esclusivamente" al "chiasso", alla "politica", al "massimalismo" della nostra azione; non certo alla sua sensibilità tattica, od alle pretestuose riserve che egli avanza contro le modalità della lotta che conduciamo. Il suo giornale non gli avrebbe altrimenti ordinato uno solo dei tanti servizi che egli ha scritto al proposito in questi mesi.
Ma questa è la situazione: d'un tratto, da pulpiti sordi ad ogni battaglia laica, tradizionalmente muti dinanzi al dramma sempre più evidente e generale di milioni di famiglie italiane, vediamo ora sorgere sapienti dottori che si presentano come accorati, benevoli, ma critici amici del movimento divorzista. Così, quando anche qualche amico del CISEF s'alza per collegare a generali temi di civiltà e di laicismo la volontà dei milioni di "fuori legge" del matrimonio di scuotere un sistema giuridico oppressivo della loro libertà, ecco l'Altavilla criticarlo, accusandolo di compromettere la bontà della causa con osservazioni che possono indisporre Chiesa e governo; o, ancora, se a Piazza del Popolo, riuniti a migliaia, ammoniamo i partiti ed in particolare la Democrazia Cristiana che alle prossime elezioni i divorzisti non potranno che impegnarsi a fondo per sostenere le formazioni politiche che iscriveranno l'istituzione del divorzio nei loro programmi e che daranno garanzie di non tradirli, egli ci accusa subi
to di "far politica" non "a favore" ma "a spese" dell'istituzione del divorzio... E via dicendo.
Ma cosa dovremmo fare? Cosa ci suggeriscono, questi pretesi amici? Dove vivono ed in quale secolo credono di muoversi?
La prospettiva della Lega Italiana del Divorzio è semplice e chiara. Noi siamo certi che tutto quel che il nostro paese conta di moderno e di civile, in qualsiasi ambiente, cattolico o socialista, liberale o comunista, nelle classi medie od in quelle operaie e contadine, nella borghesia e nella classe dirigente, non possa che essere d'accordo con la necessità, l'urgenza e la totalità della riforma che invochiamo.
Abbiamo riscontrato, se ve n'era bisogno, che la grande maggioranza del mondo clericale italiano, per motivi ideologici, in contrasto con l'immensa maggioranza del clero e dei cattolici di tutto il mondo, s'è schierata contro l'obiettivo da noi proposto; per calcolo politico, hanno esplicitamente assunto un atteggiamento analogo i dirigenti ed i parlamentari della Democrazia Cristiana sostenuti per motivi ancora meno degni da alcuni esponenti politici che abusano del laicismo cui in astratto si richiamano.
In questa situazione, riteniamo che il più pericoloso nemico per il movimento divorzista può esser dato proprio dalla scarsa consapevolezza della propria forza, dall'abitudine alla rassegnazione, dalla sopravvalutazione dell'avversario, dalla incapacità tradizionale ad organizzarsi, che il clericalismo ed il fascismo hanno inoculato nella nostra società. Ci siamo mossi in conseguenza.
Abbiamo cominciato dunque ad organizzarci; abbiamo proclamato e proclamiamo senza riserve o timori la bontà e la giustizia della nostra causa; abbiamo accettato la sfida che l'oscurantismo e l'autoritarismo sembrano ancora voler mantenere contro il pensiero e la civiltà moderni in Italia; abbiamo anche constatato che il paese è molto più avanzato della classe dirigente. Respingiamo quindi ogni compromesso, perché fatalmente lo faremmo a spese di milioni di cittadini, delle loro sofferenze prolungate ed insostenibili, e della ulteriore mortificazione della democrazia. Non abbiamo obiettivi massimalistici.
Non chiediamo che i nostri avversari mutino le loro opinioni; esigiamo solo che essi se ne assumano chiaramente la responsabilità, confrontandole con le nostre, consentendo al Parlamento di pronunciarsi su questo tema, invece di soffocarlo ancora una volta con le trite ed indegne scuse dell'immaturità del popolo, della salvezza della famiglia, della cattolicità del Paese, del Concordato fascista, della stabilità governativa, dei contratti di maggioranza, dell'inesistenza del problema, della priorità della programmazione, del poco tempo a disposizione, della legislatura declinante, del fascino delle argomentazioni di Padre Mariano o, magari, della sennatezza di quelle di Enrico Altavilla. Diciamo chiaramente che tutto questo ci appare come una pattumiera di pretesti, piuttosto che un elenco di sincere preoccupazioni.
Per tornare allo stimato giornalista del "Corriere", mi permetto di rivolgergli - a mia volta - qualche osservazione, che credo possa valere per molti suoi, e miei, colleghi.
Egli ci rimprovera di ripetere "vecchi argomenti a favore del divorzio". Perché "vecchi"? Essi sono invece, per la nostra società, per l'immensa maggioranza dei cittadini italiani, nuovi, nuovissimi, inediti anzi. Certo, se avessimo mai avuto in Italia giornalisti davvero liberi e con una forma di coscienza diversa da quella lassista o conformista o semplicemente e diligentemente servile, si sarebbero già scritti sul divorzio migliaia di servizi, da decenni senza bisogno d'attendere, per pubblicarli, il "chiasso" che ci viene così ingiustamente rimproverato. Ma così non è. Altavilla, ci conosciamo, è certo uomo laico civilissimo e colto, e come tale in privato divorzista sicuro. Ma, via, riconosca che proprio a causa della "realpolitik" (la politica è l'arte del...?? suoi amici, proprio per non indispettire il governo, la chiesa ed il padrone, s'era finora così accuratamente taciuto della evidente tragedia dei milioni di separati e fuori legge, del matrimonio italiano.
Quando, in pochi radicali, parlavamo negli anni cinquanta di queste cose, e chiedevamo di iscrivere all'ordine del giorno della politica del paese anche riforme come quella del divorzio, non raccoglievamo che "simpatica" commiserazione e congiura del silenzio, proprio da certa stampa che oggi pretende di insegnarci come muoverci. La situazione è cambiata, anche perché, appunto abbiamo cessato di fare solo convegni di studio, e dibattiti all'Eliseo e riunioni degli "amici del Mondo" abbandonando l'illusione di poter contare sull'onestà intellettuale della classe dirigente, e sull'obiettività di informazione dei giornali indipendenti. Abbiamo forse lasciato, dietro di noi un po' della nostra rispettabilità borghese e salottiera, pseudo-intellettuale e meramente pubblicistica. Non la rimpiangiamo.
Vi sono milioni di cittadini nel paese, che vogliono cessare di soffrire per un sistema di leggi ingiusti, ipocrite, crudeli, e giungere ad essere liberi e responsabili dinanzi alla propria coscienza, ai propri compagni, ai propri figli. Essi sanno o cominciano a sapere, che la libertà si conquista e che è inutile attendere che venga elargita. Quindi, nelle piazze, nelle sezioni elettorali, nei partiti, nei teatri combattono la loro battaglia democratica. E qui, non altrove, è il posto di quanti davvero credono in questa riforma, e intendono imporla.
Non ci attacchi quindi troppo, Enrico Altavilla. E' nel quadro di lotta intransigente e senza riserve che la Lega Italiana del Divorzio conduce, che anche i suoi articoli critici e quelli di tanti colleghi diventano possibili e, qualche volta utili e significativi.
Né altri giornalisti che in questi giorni tentano di contrapporre la "serietà" dei convegni di studio, alla "demagogia" delle altre nostre manifestazioni per cercare di colpirci si illudano di poter essere creduti. Da vent'anni, quei convegni si tenevano, più o meno frequenti: ma, allora, coloro che oggi sembrano difenderli sulla stampa li ignoravano puntualmente. Il gioco è quindi chiaro: si cerca di contrapporre quel che invece si integra, attività di studio, che pure svolgiamo, e azione di massa. Se i risultati dei dibattiti non venissero comunque, pubblicizzati in grandi raduni, trasmessi attraverso manifestazioni di massa o giornali di grande diffusione come "ABC", nessuno se ne accorgerebbe, nessuno dedicherebbe loro una sola riga.
Insomma ci si invita all'accademia, invece che al concreto lavoro.
I lettori e gli elettori divorzisti e laici saranno, loro, giudici di qual è la via giusta: se quella di coloro che si sono impegnati a fondo, per settimane, ogni ora, ogni giorno perché il 13 novembre riuscisse, la prova di forza divorzista, contro ogni rassegnazione e la sfiducia, malgrado la totale insensibilità dimostrata dai grandi partiti di massa che negavano ogni concreto appoggio, per dare nuovo slancio e speranza a milioni di persone; o quelle - invece - per cui il settimanale "lancio" "L'Espresso" con l'evidente alibi dello "studio" e dell'inchiesta, riempiva negli stessi giorni tutte le edicole di Roma e d'Italia con locandine annuncianti che "le donne italiane sono contro il divorzio", sostenendo poi che "per ora" bisogna contentarsi del povero progetto Reale, abbandonando alla sua sorte il progetto di legge dell'on. Fortuna. Per noi, questo tipo di "studio" val men che niente.
Da qui a divenire dei divorzisti di comodo per padre Lener non v'è che un passo: speriamo che non verrà compiuto.