Convegno di Faenza 29/30 ottobre 1966DIBATTITO: "DEMOCRAZIA E PARTITO MODERNO"
Introduzione
Relazione di Carlo Oliva, Luigi Del Gatto
SOMMARIO: Nell'introduzione al dibattito i relatori indicano i seguenti punti di discussione:
1 - Il compito che ci si propone è quello di costruire una forza che voglia e possa anticipare il rinnovamento della società, delle strutture e delle istituzioni dello stato dandosi strutture organizzative atte a tale scopo.
2 - limmiteranno la indagine alla situazione italiana e in parte europea per rispondere ad un'esigenza di concretezza e di realtà politica.
3 - i radicali ritengono necessario porre nelle mani dei cittadini l'elaborazione politica: propongono una sorta di autogestione del potere politico. Propongono un partito moderno la cui modernità va trovata nel diverso modo di strutturare i rapporti intrni ed esterni:un forza aperta ad ogni contributo per l'elaborazione di una prospettiva di alternativa alla Dc.
4 - occorre cercare l'adesione attraverso la pubblica partecipazione all'elaborazione programmatica e politica.
Si indicano, infine, alcuni punti sui quali ricercare la collaborazione della sinistra italiana.
(SUPPLEMENTO AGENZIA RADICALE, INFORMAZIONI PER IL 3· CONGRESSO - N. 3, 10 dicembre 1966)
1) Il tema così come noi intendiamo porlo, non si "definirà" se non nel corso dell'azione comune e del delineamento degli obiettivi.
"Prospetteremo e realizzeremo assieme - ed è questa una indicazione di metodo - i contenuti di ricerca ed iniziativa e le strutture di organizzazione nelle quali ci sentiremo impegnati per il raggiungimento dei nostri scopi."
Finalità, queste, che vorremmo siano le più rispondenti alle istanze della nostra società e valide per l'arco storico nel quale vivremo ed agiremo.
Noi dobbiamo constatare, subito, che nella società moderna ritroviamo riproposti molti vecchi problemi, ma ne incontriamo una infinità d'altri; tutti, gli uni e gli altri, accentrati attorno ad esigenze, prospettive e strutture di "massa": siano essi quelli del lavoro o quelli della cultura; quelli della fame o quelli del controllo demografico; e così via.
Il primo compito che ci proponiamo è perciò quello di costruire una forza che voglia e possa anticipare e determinare, e non seguire passivamente o addirittura frenare il rinnovamento della società, delle strutture e delle istituzioni dello Stato; che sappia raccogliere, organizzare, "promuovere" questi obiettivi di rinnovamento, ricercare le linee di sviluppo di questo ordine nuovo in antitesi con il vecchio.
Il secondo è quello di darci strutture organizzative che, garantendo il libero sviluppo delle nuove iniziative e fermenti, consentano loro di esprimersi fino a diventare valide occasioni di lotta politica.
2) Confessiamo subito che non aspiriamo affatto ad una irraggiungibile completezza e sistematicità: mai, nel corso della nostra attività di radicali, abbiamo ritenuto necessario sovrapporre la nostra azione e ai nostri temi di fondo uno schema generale valido a priori, più o meno astratto e più o meno preconcetto. Mai, soprattutto, abbiamo pensato di poter creare qualcosa di valido discostandoci dalla pratica empirica, da quella realtà umana e politica che incontravamo nel lavoro di tutti i giorni. Occuparci del partito moderno significa, per noi, occuparci delle nostre possibilità di creare un partito moderno oggi nella nostra contingente situazione.
Rinunciamo quindi fin d'ora alla analisi di realtà diverse dalla nostra, quali quella del partito unico come organo di direzione dello stato, propria di tanti paesi a democrazia socialista o in via di sviluppo, o quella del bipartitismo anglosassone o americano.
Nel limitare la nostra analisi alla situazione italiana e in parte europea d'oggi, sappiamo bene di limitare arbitrariamente il tema che ci è stato assegnato, ma lo facciamo per rispondere ad una semplicissima esigenza di concretezza e di realtà politica, certi che il nostro contributo sarà già di per sé valido se riusciremo a far partecipi gli amici, radicali e non radicali, qui convenuti, di una esperienza valida soprattutto in quanto realmente e coscientemente vissuta.
a) Il primo dato in cui ci si imbatte, in cui ci siamo imbattuti, nella nostra situazione politica, è l'avvenuto superamento della clamorosa distinzione tra "partiti di massa" e "partiti d'opinione". E' una distinzione, che oggi ha assunto un valore più quantitativo che qualitativo; tant'è vero che una causa non ultima del parziale fallimento del P.S.I.U.P. consiste proprio nell'aver voluto sovrapporre alle proprie dimensioni, fin dall'inizio piuttosto limitate, la classica organizzazione del partito operaio di massa, strutturata territorialmente come un rete capace di coprire con le sue maglie ogni realtà geografica e umana della nazione. Né è meno sintomatico il clamoroso fallimento delle organizzazioni capillari, quali le cellule e i circoli comunisti, i nuclei socialisti, le stesse sezioni dei partiti operai e del partito democristiano, chiaramente paralizzate e impossibilitate a svolgere attività alcuna, dato che ogni decisione e ogni iniziativa viene dalla federazione provinciale. Una conferma di quest
a nostra analisi ci sembra di poter trovare nella proposta, avanzata prima dalla Democrazia Cristiana e recentemente (a Rimini, domenica 16 ottobre, da Mancini) nel Partito Socialista, di far rappresentare le federazioni al congresso nazionale da un numero di delegati proporzionato non più al numero degli iscritti delle sezioni ma a quello degli elettori: proposta che, ponendo la federazione direttamente di fronte all'elettorato, sancisce l'avvenuto superamento della organizzazione capillare di base.
b) Il partito tradizionale non è certo più una associazione di cittadini che concorrono insieme, uniti dalla comune credenza in un certo sistema di valori, a determinare la vita politica.
Il partito d'oggi (usiamo questa dizione perché quella di Partito moderno la riserviamo evidentemente per qualcosa d'altro) è soprattutto un centro di potere, di tutto il potere - più precisamente - ottenuto per via politica (che - si noti - non si identifica affatto con ciò che chiamiamo il "potere politico"): è questa una conseguenza della civiltà di massa e delle sue applicazioni istituzionali: è necessaria una organizzazione, per porre innanzi agli elettori una indicazione politica, per spingerli alla scelta di una delle tante alternative possibili attraverso il voto, e - visto che, in un sistema democratico borghese l'investitura elettorale significa "potere" - è naturale che l'organizzazione che si è procurato questo potere lo amministri direttamente: causa questa non remota della tanto deprecata crisi delle istituzioni (crisi che non coinvolge solo il parlamento ma anche il governo - ancorché pochi lo abbiano notato). Non perdiamo moralisticamente del tempo per unirci al coro dei deprecatori, e proced
iamo nell'analisi.
c) Il partito d'oggi è dunque da un lato un centro di raccolta e di formazione dell'opinione pubblica, dato che dal consenso popolare trae - almeno inizialmente - il proprio potere, e dall'altro un centro di amministrazione del potere ottenuto per via politica. Ambedue questa funzioni richiedono, appunto, dei funzionari: richiedono cioè del personale in larga misura specializzato che ad esse si dedichi.
d) In realtà i partiti europei di oggi si qualificano tutti come "partiti d'apparato": l'importanza che in essi assume la figura "del funzionario", ("a full time" nei partiti maggiori "a part time" - a volte - nei partiti minori e nelle federazioni giovanili) è ormai definita. E non ne mancano i motivi: "la funzione del partito tradizionalmente intesa, si è talmente evoluta da rendere, in una prospettiva integrata quale è quella dei partiti in Italia, del tutto impossibile l'applicazione di una qualche forma di democrazia interna".
I cittadini, in teoria possono influire sulla vita politica, determinando, nelle forme convenute, la linea dei partiti. In pratica lo possono fare solo diventando funzionari, perché l'impiego massimo del partito oggi è quello che abbiamo indicato. "la vita democratica di base degli iscritti si riduce ad una delle tante maniere di agire sulla opinione pubblica, e nemmeno la più efficace".
Non c'è da scandalizzarsi, per questa situazione: non dimentichiamo che è - finora - la migliore soluzione che sia stata escogitata per sanare la vecchia contraddizione tra le esigenze democratiche di investimento dal basso e le esigenze pratiche di competenza tecnica specifica, da richiedersi per gli amministratori del pubblico bene. Ma non possiamo nasconderci il rischio che in essa è implicito: un rischio di non democrazia, anzi di antidemocrazia. La costituzione di una élite stabile di amministratori del pubblico potere, non facilmente sottoponibili a controllo popolare, rappresenta la possibilità non remota del costituirsi di una oligarchia di fatto, o meglio di una tecnocrazia in cui i tecnici del potere sono fuori da ogni possibilità nonché di essere controllati e guidati dalla base popolare, semplicemente di essere individuati e riconosciuti in quanto tali.
E sarebbe una tecnocrazia politica - si badi bene - inserita nel sistema (di civiltà borghese di massa) dalla cui condizione trae quelle del suo stesso esistere: naturalmente conservatrice e non interessata a auna modificazione rivoluzionaria che altro non significherebbe che la sua sparizione.
3) Il problema, adesso, è quello di evitare questi rischi rispettando le esigenze di fatto che hanno determinato la scomparsa dei partiti tradizionalmente intesi come centri di opinione e, semmai, di formazione e controllo della classe dirigente che però da essi si considerava naturalmente staccata, (sostituzione questa rispecchiata nella classica teorica liberale del parlamento come controllore del governo, recepita nella nostra Costituzione in una forma che estende ai partiti politici parte delle funzioni del parlamento stesso ma che è dettata dalla stessa esigenza di fondo).
Noi, democratici radicali, crediamo che sia necessario superare l'impasse ponendo direttamente l'elaborazione politica nelle mani dei cittadini. Dei cittadini che vogliono essere politicamente attivi, attraverso lo strumento del partito; degli altri, attraverso quegli strumenti generali di intervento popolare nella vita pubblica (voto, referendum, forme di controllo dal basso, e via dicendo) la cui definizione esula oggi dal nostro tema.
Proponiamo, insomma, una forma di autogestione del potere politico, il più possibile aperta ai cittadini, capace di superare la distinzione fra funzionari e elettori quale oggi s'è venuta configurando.
Proponiamo quindi, innanzitutto un partito laico; esso sarà tale nella misura in cui, riconosciuta all'individuo la molteplicità dei suoi rapporti esistenziali, gli lascia l'autonomia nella scelta, la responsabilità delle decisioni, cioè gli riconosce un suo modo primario di partecipazione.
Proponiamo un "partito moderno", la cui caratteristica di modernità va trovata in una diversa maniera di strutturare i rapporti interni ed esterni. Il punto è questo: noi riteniamo che sia necessario considerare allo stesso livello qualitativo i rapporti a) interni e b) quelli esterni con l'elettorato e l'opinione pubblica, quali rapporti tra militanti e gradi diversi di impegno personale. Il partito deve presentarsi come forza aperta ad ogni contributo sia sul livello della elaborazione delle idee, sia al livello delle loro applicazioni alla vita pubblica.
Non proponiamo alla gente comune, a chi non fa della politica - insomma - un modello di stato o di comunità o di società da realizzarsi (contrapposto, ovviamente, ad altri modelli): invitiamo piuttosto tutti costoro a partecipare con noi all'"elaborazione di una prospettiva", che si articoli e si sviluppi nei suoi contenuti man mano che il partito la precisa, la crea e la porta avanti, assumendone, ovviamente, la gestione e la direzione.
Iscriversi al partito, a nostro avviso, non significa assicurarsi una opzione privilegiata sulle possibilità di elaborazione ideale e di azione politica permesse dalla tematica democratica radicale: significa semplicemente impegnarsi a lavorare come militante per coinvolgere nella attività politica il maggior numero di persone.
4) Non ci si propone, quindi, di creare un ipotetico partito di massa che organizzi o inquadri nelle sue direttive fette sempre più vaste di cittadinanza e di pubblica opinione: ma non si tratta neppure di dare vita ad una ristretta élite di teorici che elaborino le loro tesi e le propongano poi al mondo politico. Bisogna al contrario ricercare l'adesione e l'appoggio pubblico attraverso diversi strumenti disponibili, soprattutto attraverso la pubblica partecipazione alla elaborazione programmatica e politica, nei vari momenti in cui le circostanze la faranno concretare.
Il raccordo fra il "partito" di militanti e queste formule di partecipazione è ancora tutto da studiare, da concrete. Noi abbiamo parlato di formule "federative" attraverso le quali dovrà articolarsi l'organizzazione delle volontà concorrenti a determinare la prospettiva di rinnovamento. E' una ipotesi da verificare. Noi abbiamo parlato anche di strutture organizzative "regionali", fondate anch'esse su effettive autonomie, ed abbiamo già tentato di attuarle in concreto. Il momento "federalista" ed il momento "regionalista" si integrano e condizionano a vicenda, sono due aspetti di una stessa impostazione; che va verificata - e per questo riteniamo importante questo primo incontro di Faenze, dal quale vorremmo riuscire con più precise indicazioni in merito - già in questo periodo precongressuale: non solo teoricamente, ma anche in pratica.
L'esperienza del Partito Radicale si è fatta in larga misura sulla quotidiana verifica della necessità di sviluppare questi temi, di farne oggetto del dibattito fra le forze della sinistra italiana.
Indichiamo alcuni punti sui quali alla nostra esperienza deve affiancarsi anche l'impegno di queste forze. Sono punti specifici, ma legati dal filo rosso di una identica preoccupazione, quella che ha dettato tutto questo nostro discorso:
a) autonomia e unitarietà delle organizzazioni politiche non partitiche. Analisi dei motivi di crisi delle organizzazioni unitarie, costituite nel periodo frontista (Movimento della Pace, ADESSPI, Lega dei Comuni Democratici, Lega delle Cooperative, ecc.). Raffronto fra queste esperienze e, per quanto riguarda il passato, l'UGI, per quanto riguarda il presente, la LID.
b) Rapporti fra partiti e sindacato. Problemi di democrazia interna del sindacato.
c) Rapporti fra partito e gestione e direzione del settore pubblico dell'economia.
d) Rapporti fra organi del partito e rappresentanze parlamentari, regionali e consiliari, disciplina e autonomia delle rappresentanze.
Certamente i temi anche nel corso di questo dibattito si moltiplicheranno: saranno temi di ricerca per un partito nuovo di una società di massa che noi vogliamo laica, democratica, socialista e libertaria, perché queste caratteristiche pensiamo possano agire come forza nuova e vivificatrice nel nostro contesto sociale, nel nostro arco storico.