Riforma o controriforma?SOMMARIO: Si è già fatto cenno del tentativo di usare il progetto Reale per accantonare il progetto Fortuna, proponendo l'abbinamento dei due provvedimenti. Si tenta un esame del progetto governativo per vedere se esso possa considerarsi un primo passo verso il divorzio. In realtà, esso mantiene l'attuale regolamentazione della separazione legale che è assurda ed ipocrita, aggiungendo solo due ulteriori motivi e lasciando immutate invece le conseguenze della stessa. Nulla cambia in quel progetto in ordine alla posizione dei figli adulterini. La riforma si rivela per altro un palliativo: ai problemi creati dalla mancanza del divorzio si può rimediare solo con l'istituzione del divorzio.
(BATTAGLIA DIVORZISTA N. 3, gennaio 1967)
Nei precedenti numeri di "Battaglia Divorzista" è stato denunziato il tentativo di servirsi del "progetto Reale" per arrestare e poi accantonare il disegno di legge sul divorzio dell'on. Fortuna, proponendo "l'abbinamento" dei due progetti e poi, ammesso che si dovesse arrivare alla discussione, imponendo il voto di fiducia in favore del progetto governativo e contro quello Fortuna, presentato come "emendamento del primo".
Ma che cosa è, che cosa rappresenta il progetto Reale? E' veramente una "riforma ponte verso il divorzio", come ha scritto "Il Tempo", o almeno una riforma capace di rendere meno assurda e penosa la situazione dei "fuorilegge del matrimonio", in attesa di risolverla una buona volta alla radice con il divorzio?
Non riteniamo che per arrivare al divorzio vi sia bisogno di "ponti", neppure nel senso prospettato qualche tempo fa dalla "Voce Repubblicane" cioè della necessità di assicurare preventivamente alla donna una effettiva condizione di parità giuridica con l'uomo, perché l'istituzione del divorzio non si traduce per lei in un danno anziché in un beneficio. Tesi arbitraria, perché la condizione di inferiorità della donna di fronte al fallimento del matrimonio è comunque assai più grave con la separazione legale che con il divorzio, la cui istituzione gioverebbe, indipendentemente da qualsiasi "ponte", più ancora alle donne che agli uomini.
D'altra parte le varie norme che dovrebbero garantire alla moglie una posizione di parità o, se non altro, di meno marcata inferiorità giuridica nei confronti del marito (nell'esercizio di patria potestà, nella scelta della residenza coniugale, ecc.) si risolvono in una vana enunciazione di principi, senza pratico contenuto. Il progetto Reale prevede infatti che i coniugi debbano decidere d'accordo ogni questione riguardante l'andamento della famiglia. Se non sono d'accordo decide il marito. Alla moglie dissenziente, se ritiene che le decisioni del marito rechino grave pregiudizio agli interessi della famiglia, non resta che andare in tribunale dove, dopo ovviamente qualche anno di causa, dovrebbe essere deciso se e quanto il marito ha torto.
Un norma più concreta del progetto è quella relativa alla presunzione di appartenenza comune degli acquisti di beni fatti durante il matrimonio. Presunzione che può essere esclusa da un patto diverso che i coniugi stessi potrebbero stipulare tra loro. Il sistema adottato sembra in verità più adatto a frodare i terzi verso i quali i coniugi abbiano contratto dei debiti, (che non potrebbero, secondo il progetto, agire sui beni stessi), piuttosto che a garantire il giusto riconoscimento degli sforzi comuni per il benessere della famiglia.
In ogni caso al primo sintomo di scricchiolio del matrimonio è evidente che chi ha in mano l'amministrazione patrimoniale familiare sarebbe portato a vendere tutto, a nascondere i soldi sotto il mattone, ad esercitare pressioni e magari violenze sull'altro coniuge per ottenere tutto ciò. Andrebbero di moda le intestazioni fittizie all'amante, alla sorella nubile, etc. Gli uomini sposati soprattutto se non troppo felicemente, sarebbero considerati soci contraenti, mutuatori, poco raccomandabili per le "grane" possibili con la moglie in caso di divisione, di esecuzione ecc. Se poi si pensa i molti problemi di carattere fiscale direttamente o indirettamente collegati con la progettata riforma, ci si rende conto della estrema delicatezza della questione e delle molte perplessità che solleva.
Se veramente questo progetto fosse opera di divorzisti un po' scettici ma almeno preoccupati di rendere meno assurde e drammatiche le conseguenze della mancanza del divorzio in attesa della sua istituzione, ci si dovrebbe attendere una regolamentazione della separazione legale meno ipocrita e sommaria.
Invece il regime della separazione legale resta assolutamente immutato. Unica modifica: due nuovi "motivi" di separazione: l'adulterio non particolarmente ingiurioso da parte del marito e la "causa incolpevole" (malattie contagiose etc.). Ma ciò che dovrebbe essere modificato non sono tanto i motivi della separazione (alla peggio c'è la separazione consensuale) ma le conseguenze, le situazioni, lo stato dei coniugi separati, i loro reciproci obblighi etc.
Rimane invece fermo il dovere della "reciproca fedeltà" tra separati. E poiché ora anche il semplice adulterio del marito sarebbe da considerare motivo di separazione "per colpa", basterebbe che il marito, dopo la separazione consensuale e, poniamo, un anno di castità, si lasci andare ad una avventura di una notte, perché alla "consensuale" potrebbe sostituirsi la separazione per colpa di lui, etc. etc. La parità tra i coniugi si raggiungerebbe quindi sulle posizioni più incivili anziché su quelle più civili.
Si è detto che la riforma consente una specie di riconoscimento dei figli adulterini. Bisogna subito dire che nel progetto nulla è mutato per ciò che riguarda la presunzione di paternità legittima del marito nei confronti dei figli nati dalla moglie, anche dopo anni di separazione. Quindi, malgrado la riforma Reale, i figli nati dalle donne separate dovranno portare il nome del marito di essa, e non quello della madre o del vero padre, salvo che il marito sappia, possa e voglia esercitare nel ristretto termine di tre mesi il diritto di disconoscimento attraverso una lunga e costosa causa.
Per quello che riguarda invece i figli delle donne separate siano stati effettivamente disconosciuti, il genitore "adulterino" potrà fare avanti al Giudice Tutelare, cioè al Pretore, una dichiarazione con la quale assume gli obblighi del mantenimento e l'esercizio della patria potestà del minore, che aggiungerà al suo cognome quello del genitore dichiarante (quante chiacchiere per non parlare semplicemente di riconoscimento!). Rimane così il marchio del doppio cognome, non solo, ma per portare il minore a vivere con sé il genitore-adulterino-dichiarante (o meglio avente dichiarato) deve essere autorizzato dal Pretore, il quale decide uditi eventuali altri figli legittimi etc. etc. E' noto quando i nostri legislatori non sanno che pesci prendere (in materia di sfratti etc.) danno la gatta da pelare al Pretore "il quale deciderà opportunamente valutando etc... tenuto conto etc...".
E' singolare che, mentre nella polemica antidivorzista si tira sempre in ballo, a sproposito, la questione dei figli, la loro tranquillità etc., con la progettata riforma si crea un ulteriore motivo di ricatti, pressioni "lavaggi dei cervelli" in danno dei figli. Dovendo questi (purché superiori agli otto anni) essere intesi perché il loro genitore possa essere autorizzato a prendere con sé il figlio adulterino, è immaginabile quali pressioni sarà indotto l'altro coniuge ad esercitare su di loro per farli esprimere in senso negativo!
Per concludere, la riforma, concepita o comunque varata come un diversivo, di fronte ai grossi problemi creati dall'indissolubilità del matrimonio, di fronte al fenomeno imponente della "famiglia fuorilegge" si rivela un palliativo.
Del resto sarebbe illogico pretendere qualcosa di diverso. Ai problemi creati dalla mancanza del divorzio si rimedia in un solo modo: istituendo il divorzio.