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Berutti Mario - 1 aprile 1967
E' in gioco il prestigio del Parlamento
di Mario Berutti

SOMMARIO: Rileggendo la storia dei rapporti tra Stato e Chiesa, si nota che la Chiesa già ai tempi del Concordato del '29, così come nel '47, all'epoca dell'approvazione della Costituzione, forzò la mano per introdurre nella legislazione nazionale una norma che rendesse indissolubile il matrimonio; in entranbe le occasioni tale proposta fu bocciata perché lesiva della sovranità dello Stato. Nel '66 fu presentato un disegno di legge (il terzo dalla costituzione repubblicana) dall'on. Fortuna sulla introduzione del divorzio relativamente al quale la Corte Costituzionale si è pronunciata sull'infondatezza della questione di legittimità costituzionale. Nonostante questa pronuncia l'attuale governo di centro-sinistra si oppone al disegno di legge Fortuna e tenta di impedire la sua discussione in Parlamento prima della scadenza della legislatura.

(BATTAGLIA DIVORZISTA N. 6, aprile 1967)

Quando, nel 1927, durante le trattative che precedettero la conclusione dei Patti Lateranensi, il cardinale Pietro Gasparri, rappresentante della Santa Sede, comunicò al governo italiano un progetto di "concordato" che conteneva, tra l'altro, la esplicita richiesta che lo Stato si impegnasse a mantenere illeso il principio della indissolubilità del vincolo coniugale in qualunque futura disposizione legislativa concernente il matrimonio, tale pretesa venne giudicata assurda e lesiva del prestigio della sovranità dello Stato e fu nettamente respinta dall'"uomo della provvidenza". E' noto che questa ed altre eccessive pretese della Santa Sede furono causa di una sospensione delle trattative (come ricorda Eduardo Momigliano in un recente articolo apparso su "La Stampa") che, riprese nel 1928, portarono alla conclusione del "Concordato" col quale lo Stato, rinunciando la Santa Sede ad ogni maggior pretesa, coll'art. 34 si limitò a riconoscere "gli effetti civili" al sacramento del matrimonio, senza assumere alcun

impegno che limitasse il libero e indipendente esercizio del suo potere legislativo in questa materia.

Caduto il regime fascista, la Chiesa reiterò il tentativo del 1927 sostenendo, venti anni dopo (1947), la necessità che la Costituzione proclamasse solennemente con un apposito articolo la indissolubilità del matrimonio ma, come tutti sanno, l'Assemblea Costituente, respingendo una ambigua proposta di evidente ispirazione confessionale, cancellò dal testo dell'articolo riguardante il matrimonio l'aggettivo "indissolubile" e affermò solennemente che la questione del divorzio era di esclusiva competenza del legislatore ordinario (decisione che provocò amare proteste dell'"Osservatore Romano" e di altri giornali clericali che previdero e deprecarono la imminente istituzione del divorzio dopo il voto dell'Assemblea).

Passarono altri venti anni, durante i quali ben tre proposte di legge per il divorzio vennero presentare da parlamentari socialisti (Sansone, Sansone-Nanni, Fortuna) e la questione della legittimità costituzionale del divorzio venne nuovamente proposta, nel 1966, da alcuni parlamentari e fornì un comodo pretesto per rinviare alla Commissione Costituzionale il progetto di legge dell'onorevole Fortuna, giacente da sei mesi presso la Commissione Giustizia e non ancora esaminato. Passavano altri sei mesi prima che la Commissione Costituzionale facesse la mirabolante scoperta che la questione della legittimità costituzionale del divorzio era manifestamente infondata, e si decidesse a restituire il progetto alla Commissione Giustizia.

A questo punto Paolo VI interveniva personalmente nella polemica suscitata dal progetto Fortuna, esprimendo il suo disappunto per la decisione della Commissione Costituzionale e contestando allo Stato, in forza del Concordato e della Costituzione, il diritto di riformare la sua legislazione matrimoniale con la introduzione del divorzio. Si riaprivano così nuove inutili discussioni sulla ormai superatissima questione di legittimità costituzionale. Dopo di ché il progetto si insabbiava presso la Commissione Giustizia, e l'onorevole Reale, ministro di Grazia e Giustizia, presentava un progetto di legge per la riforma del diritto di famiglia, fermo restando il principio della indissolubilità del matrimonio; e questo progetto veniva subito posto in discussione, sebbene presentato un anno e mezzo dopo quello dell'on. Fortuna.

Tutti compresero finalmente che il governo di "centro-sinistra" e la maggioranza parlamentare democristiana, avendo intuito che il progetto Fortuna sarebbe stato approvato dal Parlamento, tentavano di impedire che la proposta venisse discussa. Appariva evidente che il primo ingiustificato rinvio della discussione in commissione da maggio a ottobre, la permanenza del progetto per sei mesi presso la Commissione Costituzionale, e il successivo inesplicabile arresto dell'"iter" legislativo della legge presso la Commissione Giustizia non erano che manovre escogitate al fine di insabbiare il progetto Fortuna impedendo al potere legislativo di discuterlo e di approvarlo prima della fine dell'attuale legislatura.

Si tratta dunque, per gli antidivorzisti, di guadagnare tempo. La fine ormai vicina dell'attuale legislatura comporta, come è noto, la decadenza di tutti i progetti di legge non ancora approvati dalla Camera dei Deputati dal Senato; e per insabbiare definitivamente questo progetto basterà impedire con qualunque mezzo, che esso sia discusso ed approvato entro il corrente anno. Si sa che il governo di centro-sinistra non è insensibile alle direttive di carattere confessionale e che nella sua opposizione al divorzio potrà sempre fare sicuro affidamento sulla maggioranza dei membri di quel partito che si atteggia a "braccio secolare" della Chiesa Cattolica, nella tutela della indissolubilità del matrimonio e di altri interessi, non soltanto spirituali, della Santa Sede.

Di fronte al progetto Fortuna costoro hanno assunto un atteggiamento bellicoso, di lotta a oltranza, di resistenza eroica, dichiarando che "faranno quadrato" (sic!) in difesa della indissolubilità del matrimonio.

In presenza di simili atteggiamenti laici, che sono in maggioranza nelle due camere, memori del passato e solleciti del futuro non dimentichino che il nostro paese non è e non deve diventare un "protettorato vaticano" e sappiano ribellarsi al tentativo di impedire al Parlamento l'esercizio del potere legislativo "facendo quadrato" (ci perdoni il lettore la volgarità di questa espressione militaresca usata prima che da noi dai nostri avversari) in difesa dell'autorità, del prestigio e della indipendenza della nostra repubblica.

 
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