I COMMISSIONE - RAPPORTO DI CARLO OLIVASOMMARIO: La commissione ha concordemente accolto l'indicazione internazionalista come fondamentale per impostare la politica radicale. Occorre ora trovare le motivazioni politiche di tale internazionalismo.
L'analisi della commissione si è prevalentemente accentrata sul problema dei rapporti tra "occidente capitalistico" e "terzo mondo". Accettare l'integrazione capitalistica dell'occidente favorendone l'evoluzione democratica, oppure favorirne la crisi a partire dal confronto, appunto, col terzo mondo? Che giudizio dare, in questo quadro, del risorgere dei nazionalismi o della funzione dell'ONU, tenendo particolarmente presente la questione del Vietnam? Una concordanza di opinioni si è avuta sulla chiave del "superamento" dell'integrazione sovrannazionale "intesa come fatto imperialistico". Fondamentale sembra comunque, al presente, "l'opposizione al sistema autoritario delle politiche di potenza", essenzialmente militari e militaristiche. Pertanto si è avuta unanimità sulla proposta "libertaria, pacifista, antimilitarista", con la conseguente "lotta politica contro gli eserciti", una vera e propria "lotta rivoluzionaria", "unilateralista", ecc. Sul tema del federalismo europeo si è insistito per una politica
che vada verso "una Europa socialista, una Europa pacifista".
(III CONGRESSO NAZIONALE - BOLOGNA 12-13-14 MAGGIO 1967)
Il lavoro della commissione è stato rivolto soprattutto ad una ricerca di un'analisi però capace di suggerire per se stessa dei programmi immediati di azione politica. L'impostazione che ha visto concordi tutti i partecipanti al lavoro di commissione è stata l'impostazione internazionalista, il riconoscimento cioè della necessità di impostare la nostra linea politica di radicali in una prospettiva di superamento dei limiti nazionalisti, e quindi della stessa politica internazionale intesa come ricerca di potenza e di equilibri tra stati nazionali.
Il problema politico principale è stato quindi quello di fondare il nostro internazionalismo su una serie di motivazioni politiche, di non lasciarlo scadere ai limiti di un generico umanitarismo cosmopolita, di riconoscerlo anzi come vera prospettiva rivoluzionaria di solidarietà internazionale delle classi operaie, da contrapporsi alla solidarietà internazionale ed imperialista del capitale e delle strutture autoritarie.
L'analisi si è quindi prevalentemente accentrata sulla politica internazionale dell'occidente capitalistico nei suoi rapporti con il terzo mondo. Si è infatti partiti dalla constatazione di chi vede, nella situazione mondiale, accanto alla crisi del sistema postbellico dei due blocchi contrapposti, sistema incrinatosi ed articolatosi in un più delicato equilibrio di centri di potere internazionale, una crescente integrazione interna tra i paesi dei vari schieramenti, specialmente tra i paesi del sistema occidentale, oggi strettamente integrati sul piano non solo culturale e dei sistemi civili ma anche e soprattutto su quello economico e delle strutture militari. Il problema diventa quindi quello dell'atteggiamento da assumere nei riguardi di questa crescente integrazione: se sia più opportuno accettarla, auspicandone anzi un incremento quantitativo e qualitativo, col fine di provocarne un'evoluzione in senso democratico o popolare, o se non sia più radicalmente il caso di giocare le proprie carte soprattutto
sulla crisi di questa integrazione, crisi rappresentata prevalentemente dal problema dei rapporti tra i blocchi e il terzo mondo, in cui si è sviluppata nell'arco del dopoguerra una lotta politica rivoluzionaria che tende a liquidare tutto il sistema dei blocchi. C'è anche chi ritiene che la posizione del 3· mondo si sia indebolita un poco.
Non si tratta evidentemente di un problema di poco momento. A seconda dell'impostazione assunta ne discenderanno infatti giudizi alquanto diversi su tutta una serie di problemi. Così, se si considera che la matrice ideologica di gran parte di questa lotta contro l'integrazione imperialistica del capitalismo, o anche contro l'integrazione "socialista" dei paesi del blocco orientale, è stato un vigoroso ritorno del nazionalismo, tanto nel terzo mondo quanto in taluni paesi europei ad est e ad ovest, si potrà dissentire sui giudizi da dare su questo nazionalismo: lo si potrà considerare rispettivamente un elemento positivo, in quanto eversore di un falso internazionalismo, in realtà imperialista, e quindi fatto rivoluzionario per eccellenza, o al contrario si potrà riconoscere in esso il limite principale di questo sforzo rivoluzionario. Se il problema, ovviamente, non si pone, per i nazionalismi di destra, alla De Gaulle, che non hanno finalità rivoluzionarie di sorta (e il fatto che oggettivamente a volte sem
brino assumerle, come nel caso dell'opposizione francese alla politica americana, si riduce al riconoscimento di una grossa lacuna della sinistra, di una sua incapacità a sfruttare certi temi e a non lasciarli sfruttare dall'avversario di classe), se per i vari gollismi, dunque, il problema non si pone, esso si pone invece, e ben drammaticamente, per il nazionalismo di sinistra, per i castrismi e i nasserismi del terzo mondo, per certi atteggiamenti della Cina popolare, e via dicendo. E ancora, il problema di tale giudizio si pone in termini analoghi per i tentativi di organizzazione soprannazionale, per l'ONU, per i tentativi di organizzazione federale regionali o continentali, dalla comunità europea all'organizzazione dell'unità africana, e via dicendo. E' l'ONU, come si è detto, solo il garante di un sistema di spartizione del mondo in sfere di potenza, o, come pure si è detto in commissione, non ha invece la possibilità di assurgere ad una funzione democratica, come organo capace di intervenire in situaz
ioni nelle quali gli opposti nazionalismi hanno portato alla crisi, o addirittura come organo capace di programmare democraticamente l'integrazione a livello mondiale curando che essa avvenga senza squilibri laceranti e sotto un segno diverso da quello dell'imperialismo? Il problema è restato aperto, e spetta al congresso il compito di risolverlo.
Si è parlato di diversità di giudizi da dare. Essa evidentemente implica anche una differenza di linee politiche, soprattutto nella misura in cui si pone il problema di utilizzare degli istituti politici che hanno già avuto una loro storia. Per tornare all'esempio, a nostro parere paradigmatico, dell'ONU, ci si dovrà chiedere, se, nella lotta per il recupero di una iniziativa internazionalista, varrà la pena di passare attraverso l'ONU, magari prefiggendosi compiti di rinnovamento delle sue stesse strutture, (è stata avanzata, in commissione, la proposta di una iniziativa politica tendente di restituire alle Nazioni Unite il loro carattere di assemblea di libere nazioni, in opposizione a quel carattere che si rivela nell'esistenza di un organo quale il consiglio di sicurezza), o se non converrà piuttosto prescindere dall'ONU, farne anzi, in certe occasioni (oggi, ovviamente, nell'occasione vietnamita) il nemico da battere.
Ma non vorremo che questa nostra presentazione, necessariamente "aperta", celasse agli amici congressisti la larga base unitaria su cui si sono incontrati, nella loro totalità, i commissari. Nella parziale divergenza delle analisi e delle strategie, non si è trascurato il fatto che il problema politico è per tutti lo stesso: superare l'integrazione sovrannazionale intesa come fatto imperialistico, giungere quindi, in una forma o nell'altra, a forme di unità internazionale. Anche su questo aspetto, tipicamente programmatico, non sono mancate le proposte. Ma prima di esaminarle dobbiamo dire come prima del fatto costruttivo, prima della nuova società internazionale, resti il fatto della lotta politica, dell'opposizione al sistema autoritario delle politiche di potenza, che stringono oggi nella loro morsa le forze democratiche forse del mondo intero. Due sono state le constatazioni, e le proposte di lotta, fondamentali a questo riguardo.
La prima, la più immediatamente caratterizzatrice di una azione politica radicale, tanto che non ha incontrato opposizioni, ma solo qualche perplessità tecnica sul come portarla avanti, è la proposta libertaria, pacifista, antimilitarista. Le strutture imperialiste internazionali trovano la loro espressione paradigmatica, il loro punto di forza, nelle strutture militari, tanto strettamente legate al potere politico e a quello economico, con le loro spaventose capacità di intervento nella libera dialettica politica dei singoli paesi (e non possiamo non volgere il nostro pensiero a come tragicamente si è conclusa in questi giorni la disperata battaglia dei democratici greci, cui un esercito membro della NATO ha bruscamente precluso la possibilità di lottare per portare il loro paese semplicemente ad un livello civile e moderno), le strutture militari dunque sono il principale ostacolo di chi, come noi, lotta per un internazionalismo democratico. Ciò rivaluta "ipso facto" la componente pacifista, antimilitarist
a, libertaria storicamente propria della sinistra italiana: chi, come noi, giudica l'autoritarismo militare non una semplice degenerazione di un sistema che potrebbe anche avere i suoi lati buoni, ma la più logica conseguenza di ogni struttura militare permanente, non può che promuovere una lotta politica contro gli eserciti: una lotta che si articola nelle battaglie per l'obiezione di coscienza, per la creazione, attraverso processi di disarmo unilaterale, di zone smilitarizzate, che valgano ad invertire la logica dell'equilibrio militare del terrore, per la trasformazione delle strutture militari in strutture civili. E' questa lotta antimilitarista una vera e propria lotta rivoluzionaria, l'unica forse possibile nelle nostre integratissime società, la lotta che noi proponiamo alla sinistra. Le obiezioni che a questa impostazione sono state portate sono, tutto sommato, marginali, anche se su di esse il congresso dovrà pronunciarsi. E' stato, da una parte, affacciato il problema della garanzia internazionale
che andrebbe richiesta in caso di disarmo unilaterale, suggerendo una garanzia di tipo ancora militare, ancorché a livello di forza di pace ONU, ed è stato d'altra parte insistito sulla necessità di articolare meglio e più organicamente ogni lotta pacifista, per giungere a crearvi degli strumenti adeguati. Questo, certo, è il nostro compito, e noi pensiamo che sarà la nostra stessa battaglia antimilitarista di oggi e di domani a creare questa articolazione.
La seconda proposta è quella del federalismo europeo. Il problema del federalismo europeo, che, a livello di dibattito precongressuale, sembrava trovare divisi i radicali su diverse posizioni, è stato invece impostato in un modo che ha permesso, fondamentalmente, di presentarlo al congresso come proposta unitaria della commissione.
Se il capitalismo europeo, oggi, ad un livello di profonda integrazione, se assistiamo, nei fatti economici d'ogni giorno, ad una crescente integrazione economica europea, non possiamo rinunciare alla prospettiva di creare, allo stesso livello in cui opera il capitale, le condizioni di una contestazione. Ciò comporta, come è stato detto, l'unità della sinistra europea, la sua capacità di contestare le scelte capitaliste allo stesso livello in cui esse sono operanti, e d'altro lato uno strumento istituzionale in cui esplicare questa contestazione, vale a dire un governo europeo, nel cui ambito la sinistra del continente potrà porsi il problema del potere popolare. Qualcuno ha insistito sulla possibilità che una Europa unita avrebbe, grazie alla sue maggiori dimensioni, e al relativo maggior peso economico e politico, di sfuggire a certi ricatti economici americani, (ricordare il caso inglese) di affermare una sua sostanziale e non formale indipendenza. Altri possono invece dubitare di questa opportunità, e te
mere che uno Stato europeo sia una fatto di maggiore integrazione capitalistica e autoritaria, da temere e da evitare. Ma il problema è evidentemente quello dello stato europeo che vogliamo costruire, che costruiremo nella lotta politica.
Costruiremo, vogliamo costruire, una Europa socialista, una Europa pacifista: vogliamo affermare a livello europeo la nostra politica, non quella di chi vuole l'unificazione europea del capitale, magari del capitale americano.
Non sarà sfuggito l'aspetto a nostro avviso più originale di questa impostazione generale (non mi riferisco solo all'impostazione europeista): per tutti gli intervenuti, il livello internazionale è il livello a cui le diminuite dimensioni di un mondo che il progresso tecnico va rimpicciolendo ci spingono a portare avanti le nostre proposte politiche. Ma non esiste sostanzialmente differenza tra i problemi di politica interna e problemi di politica internazionale: siamo internazionalisti perché siamo socialisti, perché solo a livello, per ora, europeo si può lottare per il socialismo in Italia, contro il capitale in Italia. E siamo antimilitaristi perché le strutture militari che soffocano il mondo soffocano anche noi, qui, nei nostri paesi. Oggi, quando le scelte di politica internazionale di ogni partito europeo condizionano le scelte di politica interna, quando il mercato mondiale dei consumi si avvicina all'unificazione, la nostra lotta si pone necessariamente al livello internazionale. Affermando che il
momento rivendicativo, in ogni campo, da quello economico a quello delle libertà civili e delle dignità culturali è oggi monco, amputato, se costretto nei limiti nazionali, affermiamo la nostra più importante proposta di lotta politica. E su questa base, se vorremo definire una linea politica per le sinistre italiane, europee, mondiali, dovremo cercare alleanze, convergenze, soprattutto tematiche e occasioni di lotta.