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Pergameno Silvio - 12 maggio 1967
"Il partito moderno - il nuovo statuto del partito"
III COMMISSIONE - RAPPORTO DI SILVIO PERGAMENO

SOMMARIO: Pergameno espone i termini della questione-statuto, così come si sono presentati fin da Convegno tenutosi a Faenza nel 1966, e come sono stati affrontati dalla Commissione preparatoria che ha elaborato lo statuto oggi presentato al congresso. La questione-statuto non è marginale, ma anzi centrale nella prospettiva della costruzione di una "unità non frontista" della sinistra italiana.

A Faenza fu chiaro che il laicismo è una delle "chiavi politiche essenziali" del mondo moderno. Laicismo non è "scettico atteggiamento di superiorità del non credente", ma "convinzione della dignità e del valore delle battaglie mondane che la società genera nel suo seno". Nella sinistra vivono oggi due modelli di partito, quello "giacobino-rivoluzionario" dei professionisti della politica, e il partito "socialdemocratico" convogliatore di clientele; nessuno di questi due modelli incarna il partito laico, il partito cioè che riesce a"colmare il vuoto"..."tra società politica e società civile". Dal 1955 ad oggi, nel partito radicale è vissuta questa tematica e questa ricerca, che però non si è tradotta in struttura: di quì la sua crisi. La difficoltà a definire tale struttura è nella mancanza di precedenti e nella novità dei problemi. Lo statuto presentato al congresso cerca di risolvere i problemi relativi, definendo un partito "orizzontale, non ideologico...federativo", cioè non centralizzato. Ecco quindi l'

ipotesi di partiti a dimensione regionale, con al centro un partito "federale" a competenze limitate. Altre caratteristiche del partito niuovo saranno il principio rigoroso dell'autofinanziamento, il congresso annuale, l'assenza di organi disciplinari, l'assenza di vincolo di partito per gli eletti nelle istituzioni.

(III CONGRESSO NAZIONALE - BOLOGNA 12-13-14 MAGGIO 1967)

I lavori si sono aperti con una esposizione dei risultati della discussione che, iniziata al Convegno di Faenza del 29 e 30 ottobre 1966, è poi proseguita in seno alla Commissione Preparatoria del Congresso nel corso dei lavori dedicati alla elaborazione ed alla stesura dello statuto. Si è così chiarito come lo statuto costituisce una precisa iniziativa politica del partito, uno dei maggiori impegni di questo congresso, una proposta da sottoporre alla discussione di tutta la sinistra: l'iniziativa, l'impegno, la proposta di dar vita ad un partito laico, di organizzare la prospettiva di una società laica, di offrire l'indicazione di una unità non frontista delle forze della sinistra, capace di arricchirsi dei contributi peculiari di ciascuna delle sue componenti.

Per quanto può interessare in questa sede, il principale risultato del convegno di Faenza è stato quello di rendere chiaro come il laicismo costituisca una delle chiavi politiche essenziali del mondo moderno ed in particolare della moderna società occidentale: se il laicismo, in Italia e nei paesi di tradizione cattolica, si configura in prima istanza come posizione anticlericale, esso non si esaurisce evidentemente nell'attacco alle posizioni di potere clericale e alla Chiesa della controriforma. Il laicismo non è scettico atteggiamento di superiorità del non credente nei confronti del credente, ma convinzione della dignità e del valore delle battaglie umane e mondane che la società spontaneamente genera dal suo seno. Noi non accettiamo nei termini storici concreti la vecchia contrapposizione tra miscredenti da un lato e sfruttatori della religione come instrumentum regni dall'altro e riteniamo che quando la religiosità è un fatto di coscienza essa è un fatto laico, mentre contemporaneamente esiste una iniz

iativa laica in senso antipaternalistico, anticentralistico, antiautoritario che trascende la polemica con le posizioni clericali.

E' muovendo da queste premesse che emerge la necessità di un partito "laico" nell'ambito dello schieramento della sinistra nel suo complesso. Questo schieramento ci offre oggi due modelli di partito: il partito verticale, giacobino-rivoluzionario, di politici di professione che in tempi di ordinaria amministrazione divengono funzionari di partito che fanno politica a tempo pieno, il partito leninista, ideologico, dottrinario, centralizzato; e il partito che è l'opposto di tutto questo, socialdemocratico se si vuole, empirico, che si affida al caso per caso, che ha quel minimo di struttura con normative che gli servono come intelaiatura essenziale e vive i suoi [...], il partito che convoglia clientele e raccoglie oggi le nuove leve di tecnocrati che hanno scoperto che le leve del potere passano assai meno per i c.d. corpi amministrativi dello stato e assai di più per i partiti politici.

Ebbene nessuno di questi modelli è ancora il partito laico, il partito che riesce a convogliare senza strumentalizzarle le aspirazioni e le volontà di protesta di una società civile che vuole essere impegnata, che vuole battersi per le cose in cui crede, il partito che riesce a colmare il vuoto, da tante parti e con tanta frequenza lamentato, tra società politica e società civile, il partito di militanti impegnati che è l'unico capace di arricchirsi dei fermenti di un mondo in rapida evoluzione e di dare concretezza e dimensione politica a fenomeni altrimenti destinati a rapido deterioramento, alla dispersione, alla degradazione a mere espressioni di insofferenza e di protesta.

Invece questa tematica è stata sempre presente nel partito radicale fin dal suo sorgere nell'ormai lontano 1955. Il fatto che essa non sia riuscita a tradursi in una struttura è la fonte prima della crisi che ha investito il partito all'inizio degli anni sessanta: nello schieramento della sinistra non c'è bisogno di un partito in più, che cerchi a fatica di distinguersi per posizioni politiche, oltre tutto destinate a subire l'usura di tempi politici in rapida evoluzione; nello schieramento della sinistra c'è bisogno invece e c'è uno spazio politico per un partito strutturalmente diverso, che valorizzi tutte le battaglie e tutte le ragioni di impegno politico, che non crei fratture tra vertice e base, che non si distingue in iniziati ed esclusi. E' il problema del nostro tempo politico: creare strutture non alienanti, creare forme di organizzazione che promuovano libertà.

La novità dei problemi da affrontare, l'assenza di precedenti, la mancanza di termini di paragone: queste le obbiettive difficoltà incentrate per redigere una carta istituzionale, che sicuramente necessiterà di una fase di rodaggio, di approfondimento, di vaglio alla luce di concrete esperienze, ma che occorre considerare più nel suo complesso, più come quadro di insieme, nelle singole disposizioni, nelle particolari soluzioni. Per corrispondere alle esigenze dianzi formulate si è reso necessario prefigurare la struttura di un partito orizzontale, non ideologico, concentrato su pochi problemi e su poche iniziative nelle quali tutto il partito, o almeno la sua larghissima maggioranza, potessero riconoscersi e che per il resto lasciasse agli iscritti la capacità di associarsi autonomamente, con piena libertà di iniziativa politica e di capacità statutaria, un partito federativo in cui potessero convergere anche associazioni e gruppi indipendenti, nel rifiuto di forme centralizzate in cui converge la competenza

primaria e originaria a decidere su tutte le questioni, un partito infine che cominciasse a porsi fin dalla sua costituzione il problema della crisi dell'istituto parlamentare.

Come era prevedibile, la discussione si è polarizzata sugli istituti e le previsioni normative più nuove, più scandalose, se si vuole.

Il partito è una struttura federativa, articolata in associazioni radicali con finalità autonomamente determinate e finanziate [...] le associazioni radicali si federano (la regione è l'unità strutturale e operativa dell'economia industriale attuale, sufficientemente ampia e funzionale per potere resistere alle tendenze centralizzatrici dello stato; di quì la necessità di creare una forte e cosciente classe politica regionale, gelosa della propria autonomia), e in un partito federale, in cui convergono sia i partiti regionali (nel Consiglio Federativo) che le associazioni (nel congresso). Il partito federale ha competenza delimitata e i suoi compiti sono stabiliti dal congresso. Il partito nel suo complesso è tenuto ad eseguire i soli deliberati congressuali che abbiamo riportato la maggioranza dei tre quarti, quelle iniziative cioè sulle quali la grande massa degli iscritti è d'accordo. Questo punto, su cui in commissione si è a lungo discusso, costituisce una delle caratteristiche essenziali del partito co

me struttura centralizzata, non ideologica, che non pretende di avere una verità su tutte per tutti, una dogmatica che interpreti autorizzati sono chiamati ad interpretare ed applicare, con esclusione di ogni altro.

Il partito si fonda sul principio dell'autofinanziamento, per conservare la propria autonomia, per escludere apporti finanziari che costituiscono condizionamenti. Il contributo finanziario costituisce criterio di misura dell'impegno che l'iscritto mette alla vita del partito; il contributo finanziario chiesto al non iscritto, sempre come persona, deve essere finalizzato a precise iniziative, in modo da costituire esso pure una forma di collaborazione politica.

Come si accennava all'inizio, il partito si propone lo scopo di essere luogo di convergenza di iniziative di associazioni e gruppi non radicali, al duplice scopo sia di arricchire il proprio patrimonio politico, sia di inserire nel dialogo politico in piena autonomia, e senza finalità elettoralistiche, interessi ed aspirazioni di varia provenienza. E' una delle esigenze oggi maggiormente avvertite, che i partiti tradizionali non riescono a soddisfare. Si è prevista in conseguenza l'adesione al partito di associazioni e gruppi, a livello regionale e a livello federale, ed insieme la partecipazione al congresso del partito - e cioè al momento deliberativo della vita del partito - di questi organismi, dietro pagamento di una quota ridotta, rispetto a quella dovuta dagli iscritti. La novità di questa previsione ha dato luogo in commissione a diversi interventi; il principio è stato pienamente condiviso anche se su alcuni dettagli di carattere tecnico sono rimaste delle perplessità. Si ritiene comunque a questo p

roposito che soltanto la concreta esperienza potrà stabilire se e quali emendamenti occorrerà introdurre nella regolamentazione dell'adesione e delle partecipazioni congressuali.

Variamente dibattuto è stato anche il principio del congresso annuale sembrando soprattutto che tale impegno potesse costituire un onere particolarmente gravoso per il partito. Si è osservato in proposito che il congresso annuale si rende necessario nel momento in cui si vuole realizzare un partito di militanti, nel quale la base decide i propri obiettivi politici. In tale ipotesi il congresso annuale diviene il momento deliberativo ordinario del partito e dal congresso debbono uscire soltanto organi esecutivi, che al congresso direttamente rispondono. Un congresso pluriennale delibera necessariamente su obiettivi a lunga scadenza, con la conseguenza che una "direzione" diviene assolutamente necessaria. Si crea così un organo politico di mediazione, una struttura di apparato che mette in crisi uno dei tratti essenziali di un partito in cui si mira a non creare fratture fra il vertice e la base.

Da varie parti durante le due riunioni della Commissione è stato fatto rilevare che un partito ispirato a concezioni libertarie non poteva prevedere tra i propri istituti un organo con funzioni disciplinari, per l'adozione di provvedimenti disciplinari. La commissione ha accettato tale punto di vista ed ha conseguentemente deciso di sopprimere il collegio dei probiviri e di demandare a un organo politico, il consiglio federativo del partito federale, la decisione delle questioni di incompatibilità e di indegnità.

Un punto infine, esso pure altamente qualificante, ha suscitato particolare scalpore ed ha formato oggetto di discussione ampia ed approfondita, e cioè la dichiarazione che gli eletti del partito (consiglieri comunali, provinciali, regionali, deputati e senatori) non saranno vincolati nell'espletamento del loro mandato da disciplina di partito. E' stato osservato che la rivendicazione della libertà degli eletti è un principio cui si uniformavano le vecchie ideologie liberali e che costituiva uno dei presupposti del collegio uninominale, che il partito ha necessità di garantirsi nei confronti di coloro che ne hanno ottenuto la fiducia, che il partito deve per di più offrire una garanzia ai propri elettori. A questo proposito si osserva che la libertà degli eletti vuole essere una rivendicazione nei confronti del predominio degli apparati di partito, cui risale gran parte delle ragioni dell'attuale crisi dell'istituto parlamentare. Certamente si tratta di una norma che non può essere spiegata fuori del contest

o generale in cui è inserita e soprattutto fuori della realtà di un partito che riesce a mettere giornalmente i propri aderenti di fronte alla propria coscienza, di un partito di militanti impegnati che costruiscono giorno per giorno col proprio lavoro e col proprio sacrificio la loro realtà politica. E proprio in questo sta la garanzia che il partito offre a tutti, agli iscritti come agli elettori in generale, una garanzia che nessun vincolo di carattere burocratico o giuridico può comunque sostituire.

Sono questi i tratti essenziali di un partito che cerca di introdurre una esperienza nuova nel paese, che cerca di istituzionalizzare un fenomeno di ricchezza della base, di dar vita ad una esperienza pluralistica che non significhi mera dispersione, che riesca a convogliare le aspirazioni libertarie oggi di nuovo vive nella società, che cerchi di far fruttare politicamente - per un rinnovamento della democrazia - le molteplici ragioni di impegno che rendono dinamica la vita associata. Ci sono indubbi elementi di capovolgimento rispetto alle strutture tradizionali, in collegamento con l'idea ispiratrice fondamente di una organizzazione di tipo federale, libera alla base, vincolata al vertice a precisi deliberati. E' saltato così lo schema tradizionale del partito piramidale, con i poteri decisori generali concretati nella direzione, articolato in federazioni e sezioni, quali momenti esecutivi, contornato da associazioni di partito quali strumenti di proselitismo; ne è venuta fuori una proposta profondamente

innovatrice, la proposta cui resta affidato l'avvenire del partito.

 
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