Questo documento è stato redatto da Angiolo Bandinelli - Silvio Pergameno - Massimo Teodori
SOMMARIO: Rivolgendosi espressamente alla classe dirigente della sinistra italiana, il "libro bianco" si propone di ovviare, almeno parzialmente, alla disinformazione e all'ostracismo sul Partito radicale con cui gli apparati dei partiti della sinistra tentano di soffocarne la vita.
3. Temi radicali
3.1. Laicismo e anticlericalismo
3.2. Divorzio e diritti civili
3.3. Pacifismo, antimilitarismo e internazionalismo
(EDIZIONI RADICALI - bozze di stampa - ottobre 1967)
3.1. Laicismo e anticlericalismo
Il documento di convocazione del III Congresso del PR così affermava a proposito di "laicismo e anticlericalismo":
"I valori laici, in altre società e in altri Paesi, rappresentano una conquista definitiva consolidata nella organizzazione dello Stato e acquisita dalla coscienza collettiva. Se in tali Paesi non rappresentano più qualificanti motivi di scelte politiche, nella nostra Società, invece, devono essere riaffermati e riconquistati dopo l'affossamento operato dal ventennio fascista e dai 20 anni di egemonia democristiana.
La lotta per la libertà e il progresso incontra infatti nel potere radicale, garantito dal Concordato, assicurato dalla forza delle gerarchie ecclesiastiche e gestito nello Stato dal partito unico dei cattolici, uno dei principali ostacoli, che vanno rimossi con intransigenza e decisione. La ripresa della lotta laica ed anticlericale da parte della sinistra italiana costituisce condizione essenziale per il conseguimento degli stessi gradi obiettivi del socialismo".
Non è soltanto nutrita di ragioni ideali l'azione laica del PR ma essa si è sostanziata di battaglie politiche che a volte sono rimaste isolate a sinistra, ma altre volte hanno trovato corrispondenza e punti di riferimento in altre forze e gruppi politici.
Nel quadro dell'iniziativa "1967 - "Anno Anticlericale"" due esponenti radicali presentarono, il 7 marzo 1967, il seguente esposto contro i tre ministri responsabili delle note esenzioni fiscali vaticane.
All'Ill.mo Sig. Procuratore Generale
presso la Corte di Appello - Roma
All'Ill.mo Sig. Procuratore della Repubblica - Roma
All'Ill.mo Sig. Procuratore Generale
della Corte dei Conti - Roma
Loro sedi
I sottoscritti si pregiano esporre alle SS.LL. Ill.me quanto segue:
il 1· marzo 1967 il Sottosegretario di Stato on. Vittorio Colombo ha presentato alla Commissione Bilancio e Partecipazioni Statali della Camera dei Deputati il testo di due lettere inviate in data 13-11-1963 dal Ministro delle Finanze on. Martinelli alla Associazione Bancaria Italiana ed alla Associazione fra le Società Italiane per azioni, con le quali dette Associazioni venivano invitate ad operare perché si soprassedesse alla effettuazione delle "ritenute di acconto o di imposta istituite con la legge 29-12-1962 n. 1745" sui dividendi spettanti alla Santa Sede.
Si ha così pubblicamente ed ufficialmente la prova di quanto a più riprese era stato già denunciato, pur senza - finora - una documentazione che potesse essere considerata come definitiva.
In considerazione di ciò, la Direzione Nazionale del Partito Radicale ci ha dato l'incarico di sottoporre all'attenzione delle LL.SS. i due suaccennati documenti, con altri - che sono allegati a questo esposto -, perché venga accertata una situazione che consente dubbi autorevoli e procedure di flagrante violazione della legge, tra l'altro degli articoli 314 e 323 del Codice Penale, nonché dell'articolo 52 delle leggi sulla Corte dei Conti, del 12-7-1964 n. 1214.
In modo particolare ci permettiamo di sottoporre alle LL.SS. le responsabilità dei Ministri delle Finanze on. Martinelli, Preti e Tremelloni, succedutisi in questi anni alla Direzione del Dicastero maggiormente interessato. Ma è comunque evidente che, nel quadro complessivo di questa operazione che ha portato nocumento morale e materiale allo Stato e alla collettività, non possono mancare altre precise responsabilità, che ci riserviamo di denunciare.
Rivolgiamo alle LL.SS., con il senso della nostra rispettosa e deferente considerazione, i nostri migliori saluti.
(avv. Mauro Mellini - dr. Marco Pannella)
Questa denuncia, come altre iniziative radicali, era presentata, ricordiamo, nel quadro di "1967- Anno Anticlericale". Questo "quadro politico" provocò incomprensione negli ambienti ed in giornali di sinistra, che, senza mai citare l'Anno Anticlericale, in sfuggenti ed esclusivi passaggi, in più occasioni vennero ripetendo che non si dovesse oggi ricedere nel "vieto anticlericalismo", nei "vecchi pregiudizi", nelle "evasioni laiciste" di "certi" ambienti. Su questo tasto, in questo o in quello dei suoi frequenti articoli sull'"Unità", ha battuto ad esempio, e per noi radicali è particolarmente significante, il segretario della Federazione comunista di Roma, Renzo Trivelli.
E' grave che, nell'unica esplicita notizia sulla iniziativa "1967 - Anno Anticlericale" apparsa su "Paese Sera" (25-2-1967) sotto pseudonimo, testualmente di dicesse: "Quel che a noi - soprattutto in una rubrica come questa, intesa a formulare o a sostenere tesi di una politica scolastica democraticamente responsabile e costruttiva - non sembra lecito tollerare neppure con la semplice complicità del silenzio, è che si invitino degli insegnanti in quanto tali a partecipare ad un "Anno Anticlericale" e cioè ovviamente, per elementare coerenza etica, a introdurre l'anticlericalismo nella scuola".
L'ignoto estensore avrebbe dovuto più attentamente seguire gli sviluppi della campagna anticlericale. Avrebbe rilevato come, anche nel settore scolastico, le inchieste anticlericali dei radicali fossero, esse sì, dettate da coerenza etica e politica: ricordiamo, ad esempio, le precise indicazioni fornite in "A.R." sulla gestione del Ministero della P.I. ed in particolare sullo sperpero di centinaia di milioni ad enti religiosi e ad associazioni clericali (Associazione Educatrice Italiana 110 milioni, Opera Nazionale per il Mezzogiorno d'Italia, diecine di milioni, Opere Nazionale Italiana Maestri Cattolici 7 milioni, Enti vari cattolici 300 milioni, Enti gestori di scuola popolare 300 milioni, ecc.).
E' noto il successo di "1967 - Anno Anticlericale", dal convegno contro il Concordato tenutosi al teatro Adriano l'11 febbraio 1967, alle iniziative pubblicistiche (numero speciale in rotocalco di "AR" diffuso a 250.000 copie), alle polemiche suscitate sulla stampa clericale ("Avvenire d'Italia", "Popolo", "Civiltà Cattolica"), del formarsi di nuovi gruppi anticlericali in varie città d'Italia, alle diverse commemorazioni tra le quali quella per il XX settembre a Porta Pia. Meno noto, ma indicativo di un metodo di organizzazione di movimento, è il modo con il quale la campagna è stata concepita e si è sviluppata.
"Una franca e recisa proposta anticlericale, deve quindi, essere nuovamente avanzata, organizzata, imposta allo schiarimento democratico. L'alibi di un popolo insensibile, di un paese irresponsabile, di un laicismo necessariamente agnostico e solo prepolitico, cela la realtà di una classe dirigente "laica", pavida, subalterna, molto più retrograda ed incapace dei cittadini che pretende di esprimere e dirigere.
La qualificazione politica anticlericale deve essere restituita a pieno titolo come espressione necessaria degli ideali laici.
......
Di conseguenza è necessario che questa serie di iniziative si organizzi attorno all'autonomo e diretto contributo, di danaro, di energie, di suggerimenti di quanto sentono il valore e la necessità di questo programma. Rivolgiamo un vivo e pressante appello a tutti gli amici laici e democratici, alle cittadine ed ai cittadini di buona volontà, non rassegnati ad essere sudditi di una repubblica vaticana, espressione delle peggiori forze clericali del mondo.
......
Apriamo dunque una pubblica sottoscrizione che consenta agli organizzatori di non vedere vanificato il loro lavoro. Terremo continuamente informati gli amici ed i sottoscrittori non solo dell'esito della sottoscrizione, durante il suo svolgimento, ma anche del modo in cui saranno spese, "integralmente in attività", le somme così reperite. Ciascuno contribuisca secondo le proprie possibilità.
......
Il Partito Radicale intende figurare in questa iniziativa solo in quanto esecutore organizzativo per conto dei cittadini laici, indipendenti od iscritti ad altri partiti. Come già per altre occasione, esso rispetterà integralmente l'autonomia di quest'azione. Il lavoro di promozione e di servizio verso la Lega Italiana per l'Istituto del Divorzio, oggi chiaramente indipendente ed espressione dell'incontro di cittadini dell'intero arco laico, può costituire un utile esempio dello spirito che ci anima anche in questo campo". [Dall'appello iniziale per ``1967 - Anno Anticlericale'']
Questo appello, diffuso a 50.000 copie, provocava una risposta sia da parte di ambienti e personalità politicamente qualificate sia in mezzo all'opinione pubblica. Ne fanno testimonianza gli oltre duemila tra lettere e contributi che giungevano a sostegno della campagna, che riuscirà così ad autofinanziarsi con i circa quattro milioni raccolti attraverso la sottoscrizione popolare. Accanto a cittadini di ogni condizione e di ogni zona del Paese, rispondevano allo appello esponenti politici e parlamentari come Ernesto Rossi, Umberto Terracini, Loris Fortuna, Vittorio Vidali, Giuseppe Perrone Capano e Fausto Nitti, docenti e personalità come Adriano Buzzati-Traverso, Carlo Cassola, Paolo Milano, Gabriele Pepe, Luigi Piccinato, Max Salvadori, Mario Gliozzi, Giuseppe Tucci, Giovanni Ozzo, Mario Boneschi ed altri.
Laica ed anticlericale, nella individuazione delle strozzature economiche e sociali della città, è stata anche la campagna elettorale condotta dai radicali nelle elezioni amministrative di Roma nel giugno 1966, attraverso la lista unitaria PSIUP-PR. In quella occasione il PR denunciava alla opinione pubblica ed alla magistratura il sindaco Petrucci e la classe dirigente democristiana per quello che fu definito il "racket dell'assistenza". La risposta popolare si manifestò anche nel contributo di voti che i radicali portarono alla lista unitaria.
Già un anno prima di queste elezioni i radicali proposero a tutti i partiti della sinistra una strategia, o perlomeno una serie di consultazione, per arrivare alla promozione di una
"...vasta azione popolare, democratica, popolare per prospettare una forza alternativa che, verificando la stessa volontà unitaria delle masse popolari e degli stessi partiti democratici dal PCI al PSI, al PRI, sappia porsi obiettivi di vigorosa democratizzazione della vita pubblica...". [Dalla lettera inviata a tutte le sezioni delle fed. romane del PCI, PSI, PSDI e PRI il 26 luglio 1965, dal segretario della sez. romana del PR]
Mentre l'invito non veniva raccolto da nessun altro partito, nella successiva campagna elettorale nessuna delle forze della sinistra conduceva una battaglia a fondo contro il potere clericale a Roma, che costituiva e costituisce il dato centrale della amministrazione capitolina. Dovevano allora verificarsi anche episodi come quello che vedeva in pubblico dibattito all'Adriano da una parte gli esponenti comunisti on. Alicata, on. Natoli e Renzo Trivelli, segretario della federazione romana, e dall'altra l'on. Andreotti, il sindaco Petrucci ed il segretario del comitato romano Nicola Signorello.
3.2. Divorzio e diritti civili
Padre Lener, in un articolo si "Civiltà Cattolica" del 1965, accusò i radicali di avere promesso e di essersi poi posti alla testa della battaglia divorzista: aveva ragione.
Il primo convegno nazionale sul divorzio fu convocato, alla fine degli anni Cinquanta, dal Partito Radicale. Negli anni successivi, sempre, il tema è stato caratterizzante della posizione radicale, spesso in polemica con tutte le altre forze della Sinistra o del centro laico, che sostenevano allora non essere questo problema "davvero" politico e "davvero" popolare. Certi, invece, del contrario, allorché l'on. Fortuna presentò il suo disegno di legge, appoggiato solo dalle campagne del settimanale popolare "ABC", i radicali si fecero promotori della costituzione della "Lega Italiana per l'Istituzione del Divorzio", come "autonomo" organismo di massa e di iniziativa politica.
Il 12 dicembre 1965, la sezione romana del PR tenne un dibattito al ridotto dell'Eliseo al quale invitò come relatori l'on. Fortuna (PSU), l'on. Migliori (DC), la on. Luciana Viviana (PCI), poi sostituita da Luciana Castellina, e l'avv. Mauro Mellini (PR). In quella occasione, alla posizione divorzista dell'on. Fortuna e dei radicali "che proprio allora invitarono i divorzisti a darsi una propria organizzazione", e allo scontato atteggiamento clericale del rappresentante democristiano, faceva ancora riscontro la originaria posizione comunista la quale oscillava tra l'enunciazione della necessità di un globale revisione del diritto familiare e una prudente posizione politica, rappresentata da alcuni settori del partito e di organizzazioni collaterali come l'UDI, che tenesse conto delle esigenze delle "masse popolari cattoliche italiane".
Decine e decine di dibattiti, di comizi, di manifestazioni di massa, di dimostrazioni di azione diretta, in piccole o in grandi città in tutta Italia al centro delle quali erano sempre, tra i divorzisti, i radicali, hanno in questi due anni successivi occupato sia la cronaca del Paese che l'attualità politica, e trasformato la coscienza civile di larghi strati dell'opinione pubblica. Di fronte allo sforzo della minoranza radicale per imporre e condurre a un definitivo successo la battaglia divorzista ha corrisposto: "a") la censura "clericale" della Radio e della Televisione; "b") un atteggiamento cronachistico della grande stampa di informazione che, pur dando notizia degli avvenimenti, ignorava gli aspetti politici della campagna dei divorzisti (è paradossale ma, oltre ad "ABC", fra i quotidiani davano risalto alla campagna il "Roma" ed il "Resto del Carlino"); "c") un atteggiamento a lungo contraddittorio e cauto, tranne alcuni responsabili settori, dei partiti e della stampa di sinistra.
Come è stato possibile il verificarsi di quell'atteggiamento in partiti di sinistra, un atteggiamento che ha fatto proprio solo di recente, di fronte alla pressione popolare organizzata o subordinandola alle esigenze della contingenza politica, la battaglia sentita e vissuta come tra le più urgenti dalle masse laiche, socialiste, popolari?
Il PRI, con l'on. Oronzo Reale, Ministro di Grazia e Giustizia, evoca a sé la tradizione del laicismo e vuole interpretarlo nel governo di Centro-Sinistra. Il sostegno alla battaglia divorzista si è limitato in questi anni ad un deliberato del maggio 1966 della Direzione Nazionale, nella quale si dichiarava che i parlamentari repubblicani avrebbero votato a favore del divorzio nel momento in cui il progetto Fortuna fosse stato portato in aula. Da quel momento, di fatto, l'attività dei leaders se non degli organi formalmente responsabili del PRI ha intralciato il progetto Fortuna subordinandolo ad una riforma del diritto familiare, dalle caratteristiche sbiadite e prudenti. La "Voce Repubblicana" del resto aveva anch'essa più volte affermato, in occasione ed a commento della campagna divorzista nel paese, che l'introduzione del divorzio in Italia dovesse essere proposta alla maturazione nella società delle riforme messe in atto dall'introduzione della riforma Reale. Questa posizione dell'organo repubblicano p
rosegue nella sostanza un giudizio che il giornalista Adolfo Battaglia aveva dato, sullo stesso giornale, il 29 maggio 1961 quando, a commento delle posizioni della allora Sinistra Radicale affermava:
"Si comprende che il gruppo presentatore della mozione [cioè la Sinistra Radicale] rifiuta la politica di centro-sinistra e afferma l'opportunità di un nuovo frontismo (sia pure il frontismo degli anni '60) che sarebbe caratterizzato dall'imposizione, alquanto utopistica, come è chiaro, di temi radicali, quali il divorzio o il controllo delle nascite, al partito comunista..."
Il PSIUP, poco attento e scettico sulla campagna del divorzio, nonostante che un membro della direzione del partito e presidente del gruppo parlamentare, on. Lucio Luzzato, sia membro della Presidenza della L.I.D., ha visto svilupparsi, sul proprio organo di stampa, una posizione in favore dell'introduzione del divorzio per i soli matrimoni civili. Il giornalista Piero Ardenti pubblicava su "Mondo Nuovo" nella primavera 1967 un articolo dal titolo: "Divorzio solamente per i matrimoni civili? - Preparare il domani", in cui si affermava:
"E' necessario superare il vecchio anticlericalismo e pensare al problema di fondo dei rapporti tra i cattolici e lo Stato: può la proposta cattolica essere un'occasione, o va respinta?".
e veniva ripresa e fatta propria la tesi, allora avanzata, di "alcuni studiosi cattolici, ripresa da ambienti vaticani", già presa in considerazione da un intervento dell'avv. Piccardi sull'"Astrolabio".
Un atteggiamento favorevole alla campagna per il divorzio è venuta progressivamente maturando all'interno del PCI, non senza contraddizioni. Dopo le esitazioni iniziali di esponenti comunisti e nell'assenza ancora di una posizione ufficiale del partito, prima al congresso nazionale dell'inverno 1966 in un accenno della relazione dell'onorevole Longo pone nell'intervento della on. Jotti al dibattito del Teatro Lirico di Milano dell'aprile 1966 di delineava l'adesione concreta dei comunisti. Dichiarava la on. Jotti in una tavola rotonda organizzata dall'Espresso nell'aprile 1966:
"Ho già detto al congresso del mio partito, e non parlavo evidentemente a titolo personale, che noi siamo pronti a votare per la proposta di legge Fortuna se essa arriverà in discussione in commissione e in aula; anche se riteniamo che è necessario affrontare al più presto il problema della revisione di tutta la legislazione familiare".
Nella primavera del 1967 veniva presentato un progetto di legge per il divorzio a firma Spagnoli ed altri; la stampa comunista nello stesso periodo mostra attenzione per il problema, dedicandogli tra gli altri l'articolo di prima pagina del settimanale "Rinascita" del 15 luglio 1967, a firma di Nilde Jotti ed il giorno dopo il fondo dell'"Unità", firma Pietro Ingrao. Quest'ultimo, nel riaffermare l'impegno comunista per la votazione sui progetti di legge per il divorzio entro l'attuale legislatura, polemizzava però inutilmente con i "gruppi laici" distinguendo fra il loro "divorzismo" massimalista e quello dei comunisti, definito invece "moderno", rispettoso dei valori cattolici e fondato su una visione complessiva dei problemi della famiglia.
Il PSU, unico partito a non essersi ancora pronunciato con alcun deliberato ufficiale sull'argomento, ha visto al proprio interno opporsi contrastanti posizioni, dal deciso impegno dell'on. Fortuna alla malcelata ostilità dell'on. Ferri fino all'ostilità dell'on. Reggiani. Mentre alla Commissione Affari Costituzionali l'on. Ballardini si è impegnato per far giungere ad un voto positivo di costituzionalità il progetto Fortuna, alla Commissione Giustizia il presidente, on. Zappa, socialista, ne ha costantemente ritardato la discussione e il socialista on. Reggiani ha sostenuto una equivoca ed incredibile posizione sull'argomento, tendendo a limitare l'introduzione del divorzio ai soli matrimoni civili.
Se da un parte il PSU è stato condizionato nei suoi organi dirigenti, pur con importanti eccezioni (come le recenti dichiarazioni dell'on. Viglianesi, puntualmente ignorate dall'organo del PSU) che si sono affiancate alla campagna dell'on. Fortuna, dalla alleanza di Centro-Sinistra, il movimento divorzista ha trovato la base intere federazioni e quadri dirigenti socialisti che hanno avvertito l'importanza e l'urgenza della lotta per il divorzio e, quindi, hanno contribuito a rafforzare in modo decisivo le strutture organizzative.
L'ostacolo a che i partiti laici e socialisti si siano impegnati completamente sul divorzio deriva anche dalle implicazioni generali che una tale battaglia comporta. Evidentemente battersi per il divorzio significa battersi contro le strutture clericali della società e dello stato, non accettare compromessi di collaborazione, nel Paese e nel governo, con le forze clericali e democristiane, costruire in definitiva uno dei capisaldi di una politica dei diritti civili. Evocare il Concordato, a questo proposito, significa puntare l'attenzione su uno dei maggiori ostacoli alla realizzazione di una società e di un ordinamento laico. Questo, i radicali hanno sempre affermato e per questo hanno sempre più accentuato la propria autonoma battaglia all'interno della Sinistra.
Come prima manifestazione del "1967 - Anno Anticlericale", promossa dalla sezione comune del PR si teneva il 12 febbraio 1967 al teatro Adriano di Roma una manifestazione laica con la esplicita richiesta della denuncia del Concordato. Insieme al relatore radicale, all'avv. Mario Berutti, la Sinistra era presente attraverso le persone dell'on. Fortuna, relatore, e dell'on. Gullo, al tavolo della presidenza. I parlamentari Lombardi, Bonacina e Ballardini del PSU, che in un primo momento avevano aderito, ritirarono successivamente la propria adesione.
Nonostante la sua ampiezza, il suo innegabile successo di massa, un successo per la prima volta verificatosi su tali problemi, anche questa volta la stampa di sinistra, da "L'Avanti" alla "Voce Repubblicana" al "l'Unità" restringeva al solo aspetto divorzista il carattere della manifestazione, travisando la portata degli interventi, come nel caso dell'organo comunista il quale dedicava ad una delle tre relazioni, quella del segretario nazionale del Partito Radicale, soltanto la frase: "...dopo un breve intervento di Pannella, che ha spesso assunto toni polemici nei confronti della sinistra...".
Ma era soprattutto quando le iniziative radicali per i diritti civili andarono assumendo sempre più le caratteristiche di "azione diretta" che si palesava la scarsa rispondenza, nell'azione e nell'informazione, delle forze democratiche. Si poteva per esempio dare "scandalo" manifestando in piazza San Pietro, durante una cerimonia papale, con cartelli reclamanti il diritto al "Birth control", alla pillola, al divorzio, vedere l'enorme eco di questo episodio sulla stampa di tutto il mondo, e constatare con quanta fredda prudenza rispondesse la stampa di Sinistra: domenica di Pasqua 1967, una cinquantina di persone, in prevalenza giovani, amici dell'AIED e della LID, provos, radicali, democratici innalzavano in Piazza San Pietro, tra la folla di migliaia di persone, i cartelli che abbiamo ricordato. Ma "Mondo Nuovo" giunse perfino ad attribuire la manifestazione a "giovani cattolici".
Neppure il fatto che i radicali, attraverso manifestazioni da loro organizzate, abbiano a più riprese rivendicato alla Sinistra l'obbligo di sottrarre alle cerimonie ufficiali sempre meno significati e sempre più ipocrite la festività del XX settembre, l'anniversario del Concordato, la commemorazione delle libere voci di esponenti del pensiero non conformista, è stato colto come occasione di rivendicazione di un comune patrimonio.
L'11 febbraio del 1967 una folta delegazione di esponenti e giovani laici e radicali, recatisi a Porta Pia per deporvi una corona nell'anniversario dei Patti lateranensi, veniva ripetutamente disturbata dalla polizia che rimuoveva la corona asportandola. Della manifestazione e della successiva protesta organizzata dai radicali, alla Questura centrale di Roma, la stampa di informazione dedicava titoli a due, tre e più colonne ("Messaggero", "La Stampa", "La Gazzetta del Popolo", "Il Tempo", ecc.) mentre "La Voce Repubblicana" e "L'Unità" del 12 febbraio 1967 riportavano in dieci righe la notizia del fatto e delle interrogazioni presentate, in proposito, in Parlamento, e "l'Avanti" taceva completamente.
Il XX settembre di questo anno, quando per la prima volta a Porta Pia ad una commemorazione non "ufficiale" dell'anniversario, promossa dal PR, partecipava una decina di deputati tra i quali l'on. D'Onofrio (PCI), gli on. Ballardini e Fortuna (PSU), tra la stampa democratica "l'Avanti" e la "Voce Repubblicana" ignoravano l'avvenimento, "Paese Sera" ne riferiva in poche righe in fondo all'articolo dedicato alla commemorazione ufficiale del sindaco clericale Petrucci, e "l'Unità", accennandosi fugacemente, ne attribuiva la paternità a generici "laici e democratici".
La ricerca di nuovi contenuti di lotta capaci di promuovere l'interesse e lo slancio combattivo di nuovi militanti per più avanzati diritti civili non può avvenire se gli organi della stampa democratica non avvertono la necessità di diventare essi stessi ""servizio"" di informazione e di dibattito. Necessariamente, il celare o il travisare il significato politico di una iniziativa che proprio a questi tramiti di informazione affida la possibilità di incidere positivamente sull'attualità e divenire produttiva di altre occasioni di battaglia, equivale a tacerne, anche se formalmente il dovere di informazione viene compiuto. Ci sono, è vero, motivi polemici e di censura specifici rispetto al PR, ma prima ancora questa censura è contro tesi e posizioni di cui in particolare il PR può essere considerato il portatore, ma che non sono suoi esclusivi. Infatti associazioni come l'ALRI, l'AIED, la LID, forze comuniste, socialiste, repubblicane e socialproletarie, legate anch'esse a questi temi, sono oggetto dello stes
so atteggiamento di censura, spesso con il rischio di esserne esse stesse paralizzate.
3.3. Pacifismo, antimilitarismo e internazionalismo
Già al II congresso nazionale del PR, tenutosi a Roma nel febbraio 1961, il gruppo dei consiglieri nazionali della sinistra presentò uno schema di dichiarazione sulla politica estera, il disarmo atomico e convenzionale e la politica di pace, che si opponeva alle moderate posizioni filo atlantiche e a quelle neutraliste presenti della allora maggioranza del PR.
"Dinanzi ai problemi di pace che oggi rappresentano la legittimazione stessa della politica ``estera'' nel mondo, il Consigli Nazionale del Partito Radicale afferma che gli obiettivi propri e gli interessi delle masse popolari esigono il proseguimento di una politica che abbia al suo centro: la difesa intransigente dell'ONU ed il suo potenziamento progressivo: la costituzione di una federazione europea da perseguirsi immediatamente attraverso elezioni dirette; il disarmo atomico e convenzionale dell'intera area continentale europea, con la conseguente abolizione degli eserciti nei paesi di questa area; la pace separata e congiunta con le sue Germanie; la conseguente denuncia del patto militare NATO e dell'UEO; la proclamazione del diritto all'insubordinazione e alla disubbidienza civile di tutti i cittadini che non accettano la politica di riarmo, di guerra, di divisione e di concorrenza di Stati nazionali che appartengono ai loro nemici di classe e che perseguono necessariamente obiettivi contrastanti con l
'unità internazionale delle classi lavoratrici e democratiche; la federazione o comunque la comune organizzazione di tutti i movimenti socialisti, popolari e rivoluzionari che combattono per l'instaurazione di un regime di democrazia e di libertà nell'Europa occidentale".
Questo schema di dichiarazione conteneva tutte le posizioni ideali ed i temi di lotta politica che saranno propri del PR a partire 1963. I radicali tradussero quindi in azione politica diretta ed in strutture organizzative autonome le battaglie per il pacifismo, l'internazionalismo, l'antimilitarismo ed il federalismo come componenti ed obiettivi essenziali del movimento socialista ed operaio in Europa.
Nel febbraio 1963, partecipavano con una propria delegazione alla costituzione dell'"International Confederation for Peace and Disarmament" di Oxford. Della organizzazione internazionale erano promotori, insieme agli italiani, numerosi movimenti pacifisti, non allineati e della ""nuova sinistra"", che non erano passati attraverso le esperienze del "Movimento Mondiale della Pace" (partigiani della pace), quali gli inglesi "Campaign for Nuclear Disarmament" (CND) e "Comitato dei 100", le associazioni integrazioniste e non violente americane facenti capo a J. Muste e B. Rustin, partiti e movimenti socialisti pacifisti olandesi e scandinavi, oltre a personalità come Claude Bourdet (direttore di France Observateur), Collins, ed il deputato greco Lambrakis.
I radicali della delegazione italiana proposero (e l'intera delegazione italiana, comprendente tra gli altri i rappresentanti del Movimento Italiano per la Pace, accettò) un documento che sosteneva, di fronte a tradizionali moduli pacifisti antinucleari, una posizione esplicitamente antimilitarista e per il disarmo unilaterale.
Una analoga posizione i giovani radicali italiani sostennero alla "Conferenza Internazionale di Firenze per la pace ed il disarmo e la lotta anticoloniale" del febbraio 1964 dove alla mozione finale, sostenuta tra gli altri dai rappresentanti delle federazioni giovanili del PCI, PSI e PSIUP e richiedente un patto di non aggressione tra la NATO ed il patto di Varsavia, essi contrapposero insieme ai pacifisti inglesi ed americani un documento per lo scioglimento di ogni patto militare.
In Italia, i radicali si facevano promotori, insieme a pacifisti di altri gruppi del "Comitato per il Disarmo Atomico e Convenzionale dell'Area Europea", aderente all'Internazionale di Oxford. Tra le altre iniziative, il Comitato promosse la prima marcia della pace a Roma, senza l'appoggio di alcun partito di massa.
Nel CDCAE e direttamente con il PR, radicali parteciparono, tra i promotori, allo sforzo di creare nuove strutture pacifiste che si differenziassero nei principi ispiratori e nel metodo organizzativo dal "frontista" Movimento Italiano della Pace, così come da movimenti umanitari e prepolitici. Poté così nascere la ""Consulta Romana della Pace"", che ebbe un breve e travagliato periodo di originale attività, ma venne presto paralizzata dalle prassi del "Movimento Italiano della Pace", legato alla formula dell'unanimità.
Riteniamo importante pubblicare un passo della mozione politica costitutiva della Consulta in quanto ne riteniamo ancora validi i principi e le dichiarazioni.
"Un'azione di questo tipo presuppone il potenziamento del carattere popolare, autonomo, democratico e pacifista delle Consulte: non già solo organi di registrazioni di accordi casuali o protestatari; non costituzione superficiale, generica, formale, unitaria che ignori processo ben più seri e gravi di divisione cui ci si deve opporre o la permanente tendenza a subordinare la lotta per la pace alla strategia di questo o quel partito, di questo o quello schieramento internazionale di potenze; non più ``schema'' per garantire la ``neutralità'' politica delle marce (strumento interessante ed utile ma non esclusivo e di per sé insufficiente per la lotta della pace); le Consulte devono invece esprimere i dati e le forze oggettivamente esistenti per un'azione pacifista nuova, organizzata e democratica; devono organizzarli, servirli e potenziarli attraverso l'approfondimento e la precisazione di ragioni ideali e di obiettivi politici concreti atti a definire una prospettiva di pace".
La caratterizzazione in senso antimilitarista, l'aver promosso organismo articolati, democratici ed "autonomi", l'aver posto l'accento sull'azione diretta", vennero avvertiti come motivo di distacco, e non di confronto. Ne ricordiamo alcune manifestazioni.
Un grave episodio, si verificò in occasione della Marcia per la pace ed il Vietnam di Roma, nell'aprile 1965.
Nel comitato organizzatore erano presenti i radicali del Comitato per Disarmo Atomico e Convenzionale. Essi chiesero, nel corso di una assemblea dei promotori: 1) che la responsabilità del contenuto politico della manifestazione fosse di un ampio comitato delle associazioni e gruppi aderenti; 2) che la manifestazione condannasse con identica motivazione ed accentuazione sia l'aggressione al Vietnam che quella a San Domingo, momenti "ambedue" di grave crisi per la pace e la libertà ed indipendenza dei popoli.
Nessuna delle due proposte venne accettata, nonostante gli ampi consensi, da funzionari del "Movimento della Pace", cosicché il CDACAE dovette ritirarsi da una manifestazione che anche essi avevano promosso. In occasione di una precedente marcia unitaria, nel 1963, sempre a Roma, tra i radicali ed il "Movimento della Pace" si aprì una logorante discussione, protrattasi per più giorni, se si dovesse ammettere o meno la condanna globale del riarmo nucleare, promosso dai paesi capitalisti (Francia) e dalla Cina. Infine a Milano, nel corso di una manifestazione per il Vietnam del giugno 1967, si ebbero atteggiamenti di intolleranza nei confronti dell'"antimilitarismo" radicale, che costrinsero i radicali ad uscire dalla "Consulta Milanese della Pace".
In sostanza, in queste occasioni, veniva considerato "settario" manifestare:
"a") per una decisa opposizione al "riarmo" e agli "eserciti", atomici e "convenzionali";
"b") per una lotta unitaria contro il militarismo, dovunque esso si manifesti;
"c") per il rifiuto della proliferazione atomica, fosse promossa da paesi capitalisti o del campo socialista.
"Settaria" veniva anche considerata la richiesta che le manifestazioni anticolonialiste, per il Vietnam, per la pace fossero organizzate su un piano di collaborazione tra i diversi partecipanti, solidarmente fatti responsabili, nel riconoscimento del diritto di ciascuno a portare avanti le proprie peculiari battaglie, del loro complessivo significato politico.
In realtà, attorno alle manifestazioni promosse dai radicali, proprio per il loro carattere pacifista ed antimilitarista, proprio perché di azione diretta e non-violenta, si è potuto promuovere l'adesione di movimenti e gruppi diversi, la partecipazione di militanti socialisti non meno che comunisti, l'appoggio di personalità democratiche di diversa fede politica, mentre dall'altra si registrano le aspre reazioni delle autorità di polizia, dei prefetti, della stampa di destra.
Il 4 novembre 1965, in occasione della festa delle FF.AA., gli studenti Lorenzo e Andrea Strik-Lievers distribuivano a Milano un volantino della sezione milanese del PR di netta intonazione non violenta e pacifista che chiedeva, tra l'altro, il diritto a sostituire il servizio militare con un servizio civile alternativo. Nel marzo successivo i due giovani venivano tratti un arresto preventivo e dopo alcune settimane processati per direttissima. La sentenza assolutoria ottenuta in un processo che fu attentamente seguito specie dalla stampa di informazione rendeva giustizia al diritto civile di discutere anche gli eserciti, rivendicato dai giovani radicali, in favore dei quali si era levata la voce, tra gli altri, di Ernesto Rossi, Ferruccio Parri, Giuseppe Perrone Capano, Ercole Bonacina, Sandro Menchinelli e per i quali il se. Terracini e l'on. Bertoldi avevano presentato interrogazioni al Ministro di Grazia e Giustizia.
Il 24 maggio del 1967, promossa da radicali e con la partecipazione di pacifisti, federalisti europei, anarchici ed indipendenti, si teneva una manifestazione all'interno dell'Altare della Patria, consistente nella deposizione di una corona con la scritta "Partito Radicale - 1917, 1967: Nel Vietnam continuano ad assassinarti" ed in un tech-in sui problemi antimilitaristi. Il 30 agosto dello stesso anno, i radicali promuovevano una manifestazione dinanzi alla sede commerciale dell'Ambasciata di Grecia, bruciando una fotografia di re Costantino, sulla quale era scritto "Vilipendiamo un capo di stato fascista". Il dr. Gianfranco Spadaccia, segretario nazionale del PR, e due membri della direzione nazionale, i professori Aloiso Rendi e Angiolo Bandinelli vennero in tale occasione incriminati per vilipendio ad un capo di Stato. Ricordiamo in particolare queste due manifestazioni per le loro caratteristiche e le conseguenze che esse ottennero. La prima rivendicava ai cittadini anche il "diritto civile" di consider
are luoghi tradizionalmente "ufficiali" come patrimonio di tutti i cittadini, ai quali deve essere consentita la libera e democratica interpretazione della loro significatività civile e politica. La seconda manifestazione diede motivo al quotidiano "Il Tempo" di scatenare una violenta campagna di intimidazione, che portò all'incriminazione dei manifestanti da parte della polizia, costretta ancora una volta a cedere, su un importante punto, alle pressioni della destra.
Nessuna di queste iniziative può essere considerata "settaria", mai in nessuna occasione, la stampa di destra, dal "Tempo" al "Corriere della Sera", pur così attenti sempre a cogliere i motivi di dissenso tra i gruppi e i partiti democratici, possono prendere a pretesto le iniziative radicali per una campagna di divisione, per sottolineare "frazionismi", per denigrare in qualsiasi modo la Sinistra.