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Bandinelli Angiolo, Pergameno - 1 ottobre 1967
(5a) LIBRO BIANCO su IL PARTITO RADICALE E LE ALTRE ORGANIZZAZIONI DELLA SINISTRA - Il Partito Radicale e i partiti della sinistra

Questo documento è stato redatto da Angiolo Bandinelli - Silvio Pergameno - Massimo Teodori

SOMMARIO: Rivolgendosi espressamente alla classe dirigente della sinistra italiana, il "libro bianco" si propone di ovviare, almeno parzialmente, alla disinformazione e all'ostracismo sul Partito radicale con cui gli apparati dei partiti della sinistra tentano di soffocarne la vita.

5. Il Partito Radicale e i partiti della sinistra

5.1. Il PR e il Partito Comunista Italiano

5.2. Il PR e il Partito Socialista di Unità Proletaria

5.3. Il PR e il Partito Socialista Unificato

5.4. Il PR e il Partito Repubblicano Italiano

(EDIZIONI RADICALI - bozze di stampa - ottobre 1967)

Nel 1965 si sviluppava bel Paese il dibattito sulla "unità della Sinistra". Le vicende europee, di cui l'autoritarismo gollista ed il ricrearsi di una prospettiva unitaria delle sinistre socialiste e comuniste in Francia erano l'episodio più sintomatico, il fallimento delle speranze che il Centro-Sinistra aveva suscitato in una parte della Sinistra, la crisi strutturale ormai palese di tutte le organizzazioni tradizionali del mondo democratico e il loro progressivo distacco dall'opinione pubblica, erano i dati che costringevano ad un necessario ripensamento. Il Partito Radicale, da posizione di minoranza, si impegnava a fondo nel dibattito ""per l'unità ed il rinnovamento"" esprimendo, secondo le proprie forze e possibilità, una linea di lavoro comune.

Il 22 settembre 1965 la direzione nazionale del PR, riunitasi a Roma, approvava la seguente risoluzione politica:

"Le principali proposte di unificazione delle sinistre, quali sono venute maturando nel corso di quest'anno, vorrebbero come via d'uscita al continuo deterioramento del governo e della politica di centro-sinistra.

La Direzione del Partito Radicale rileva, in questa situazione, l'inadeguatezza, nei confronti degli scopi conclamati, di tali proposte di unificazione, tutte in egual misura insufficienti.

L'unificazione socialdemocratica, ribadendo il carattere ormai neppure riformista, ma puramente rinunciatario della attuale politica del PSDI e del PSI, non si pone neppure lo scopo di rafforzare le eventuali componenti progressiste all'interno dello schieramento governativo.

D'altra parte, la proposta di unificazione rivolta unicamente al PCI, al PSIUP e ad alcune minoranze del PSI di pone come ovvio contraltare e in un certo senso "meccanica imitazione" dell'unificazione socialdemocratica, ed essa non pone con chiarezza "né un obiettivo di tipo riformistico, come un allargamento a sinistra dell'attuale formula di governo, né un obiettivo oggettivamente rivoluzionario come un'alternativa intransigente al regime democristiano"".

In sostanza, entrambe le proposte di limitano ad una ""fotografia" della situazione" esistente, ad una "confluenza di apparati", sostanzialmente omogenei che si trovano a condividere gli stessi interessi, ovvero ad una "tranquilla gestione o del governo, o dell'opposizione".

Il "Partito Radicale" ritiene che una proposta di unificazione delle sinistre sia valida solo in quanto si basi sui seguenti punti:

"a") essere chiaramente posta come reale prospettiva di "alternativa di potere" al regime democristiano;

"b") prevedere una "trasformazione degli attuali apparati" dei partiti della sinistra, in quanto essi sono organici alle strutture della società italiana, e quindi inseriti e integrati al sistema. Il Partito Radicale rileva infatti quali "caratteristiche degli apparati dei partiti di massa una struttura ormai adeguata al tipo e alle dimensioni dei rapporti politici costituiti, una struttura cioè burocratica e nazionale, che rifiuta di accettare qualsiasi prospettiva di evoluzione".

Si pone quindi il problema del recupero di una "chiarezza interna" alla sinistra italiana di volontà rivoluzionaria e di lotta democratica, e di rende necessario il richiamo a una battaglia intransigente dei militanti dei partiti di sinistra per la formazione di una nuova struttura, che crei i presupposti di una effettiva partecipazione delle masse alla gestione del potere.

In questa prospettiva la Direzione del Partito Radicale ribadisce la validità degli organismi unitari quali il CUSI di Roma, che si sono venuti spontaneamente formando tra i militanti dei partiti della sinistra: ritiene però necessario sottolineare che, aldi fuori di queste strutture di lotta, risulta evidente come i punti che il Partito giudica necessari alla prospettiva unitaria siano oggi praticamente assenti dalle proposte unificatorie provenienti dalle direzioni degli altri partiti di sinistra, e non siano neppure espresse con chiarezza dalle altre posizioni minoritarie interne ad essi".

5.1. Il PR e il Partito Comunista Italiano

Il Partito Radicale, all'indomani dell'ultimo congresso del PCI, nel corso del quale non gli era stato consentito di portare il saluto, affermò pubblicamente che, quale che fosse stato lo svolgimento difficile e a volte contraddittorio di questa assise, le sue conclusioni fornivano un contributo di eccezionale importanza alla ipotesi e alla prospettiva della unità e della alternativa di tutte le sinistre laiche.

Sulla propria stampa, in dichiarazioni ufficiali, in dibattiti unitari, il Partito Radicale sostenne che la affermazione del Segretario Generale del PCI, on. Luigi Longo, con il quale si ripudiava ogni sorta di stato ideologico per indicare nello stato laico l'obiettivo e la garanzia delle lotte del movimento socialista, costituiva il superamento di almeno venti anni di necessaria contrapposizione fra "sinistre laiche e socialiste" e "sinistre marxiste-leniniste".

Non si è trattato, come i fatti hanno cominciato a dimostrare, di un pretestuoso tentativo radicale per superare attraverso l'alibi fornito da una sola dichiarazione le gravi difficoltà che caratterizzano i rapporti fra Partito Radicale e Partito Comunista. Il trovarci oggi, ad esempio, radicali e comunisti sempre più concordi e vicini in battaglie laiche come quella per il divorzio (che per noi è l'attuale spartiacque fra un effettivo impegno laico e vuoto richiamo alle tradizioni del laicismo) è una riprova non meno che una inevitabile premessa ad una più generale e profonda unità.

Il PR non commette infatti l'errore, così tipico delle tradizionali minoranze eretiche del movimento socialista, di giudicare il valore di una grande forza politica sulla base dei comportamenti che questa assume nei suoi confronti. Proprio un anno fa, in occasione di una intervista al giornale "Nuova Repubblica", che fruttò un ignobile attacco falsificatorio dell'"Unità" all'allora segretario nazionale del Partito Radicale, veniva dichiarato esplicitamente che le caratteristiche laiche del PCI si erano venute proprio in questi anni rafforzando e che gli scontri, le polemiche, i dissensi fra radicali e comunisti non potevano cambiare menimamente il fatto che le prospettive di unità e di alternativa di tutta la sinistra erano diventate ora più forti che mai nel passato.

Ma compito di questo libro bianco è quello non di sottolineare motivi ideali di unità che più o meno tutti avvertiamo, da una parte e dall'altra, essersi formati, ma di superare attraverso l'informazione e il dibattito i motivi di quegli scontri, di quelle polemiche e di quei dissensi. Poiché non ci sembra arduo dimostrare che uno dei più gravi elementi di incomprensione e di comportamento settario è costituito da una dolosa e persistente volontà di soffocare in tutto il movimento democratico temi - tradizionali o profondamente nuovi - dei quali il PR non è altro che una, anche se la più importante, espressione politica organizzata.

Rievochiamo subito il più grave di questi scontri e di quelle polemiche. L'"Unità" di mercoledì 24 agosto 1966 recava, in seconda pagina, un anonimo trafiletto dal titolo "Un Pannella demistificato" che per il suo contenuto investiva non solo la persona di un membro della segreteria nazionale, ma l'intero partito.

Questo il testo dell'"Unità":

"Negli ambienti politici romani ha cercato di farsi strada, da qualche tempo, il signor Marco Pannella. Per chi non lo conoscesse, spieghiamo che si tratta di un ex "giovane" del Partito Radicale divenuto "segretario" del medesimo all'indomani della dissoluzione e scomparsa di questo partito dala topografia politica nazionale.

Oggi il signor Marco Pannella, dopo una serie di approcci più o meno felici con le forze politiche della sinistra operaia italiana (e anche con il PSIUP) sembra approdato a lidi per lui più congeniali: la "Nuova Repubblica" di Pacciardi. Dalle colonne del fogliastro di questo ridicolo e sporco movimento, il Pannella, infatti, impartisce severe lezioni "rivoluzionarie" e di "sinistra" a tutto il movimento operaio italiano e in particolar modo al PCI. La nuova bisogna cui si dedica il signor Marco Pannella è stata immediatamente sottolineata dalla "Fiera letteraria" (democristiana" che ha ripreso l'intervista sul "PCI demistificato" da Pannella.

Non avremmo dato peso alle evoluzioni e inversioni di tendenza di questo signore se non sapessimo che, costui e taluni suoi colleghi, sogliono farsi avanti, come "amici", nei nostri dibattiti, assumendo poi in essi la linea non della critica ma quella della provocazione. Ciò tanto per la verità, documentabile - per chi ne avesse voglia - con le baggianate anticomuniste scritte dal Pannella per il giornale di Pacciardi, e ciò tanto per mettere in guardia le nostre organizzazioni e i nostri compagni sulle attività di certi amici. Meglio perderli che trovarli".

L'organo comunista non si limitava, come sarebbe stato anche legittimo, a contestare l'opportunità di una intervista rilasciata ad un organo di stampa di destra, ma traeva occasione dall'episodio per tentare di stroncare l'esperienza partitica che i radicali avevano portato avanti, fino a contestare la posizione, l'attività e l'esistenza stessa del Partito. L'attacco provocava confusione fra gli stessi militanti comunisti che non solo avevano avuto a loro fianco i radicali come compagni in molte battaglie democratiche, ma non potevano dimenticare le numerose occasioni nelle quali i due partiti si erano trovati a collaborare ufficialmente.

Un simile comportamento non poteva non ricevere dalla direzione radicale una immediata e unitaria risposta che naturalmente non veniva registrata dall'"Unità":

"La direzione del Partito Radicale respinge con indignazione le calunniose insinuazioni contenute in un trafiletto dal titolo "Un Pannella demistificato", pubblicato dall'Unità del 24-8-1966, in cui si arriva ad affermare, in riferimento ad una intervista del dott. Marco Pannella, che il segretario del PR "dopo una serie di approcci più o meno felici con le forze della sinistra operaia italiana (e anche con il PSIUP) sembra approdato a lidi più congeniali: la Nuova Repubblica di Pacciardi".

In merito, poiché nessuna notizia viene fornita sul contenuto della intervista dall'Unità ai propri lettori, la direzione del Partito Radicale precisa:

1) l'intervista a Nuova Repubblica è stata chiaramente rilasciata come intervista a un giornale avversario e in chiara polemica con le tesi sostenute da quel giornale;

2) le critiche rivolte nell'intervista alla politica seguita dal PCI dal dopoguerra non differiscono dalle tesi che il Partito Radicale ha sempre ufficialmente sostenuto proprio ai fini della costruzione di una nuova unità della sinistra, e sono condivise da un vasto arco di forze della sinistra non comunista;

3) nell'intervista è esposta con chiarezza la complessiva posizione politica radicale, rivolta a creare in Italia le condizioni per una alternativa di sinistra alla DC ed a proseguire obiettivi intransigentemente democratici e socialisti in politica interna e pacifisti in politica internazionale;

4) Il Partito Radicale è una forza minoritaria della sinistra niente affatto "dissolta o scomparsa dalla topografia politica nazionale", anche se non dispone dei mezzi organizzativi e propagandistici degli altri partiti. Se la tesi in proposito sostenuta dall'Unità fosse vera, organizzazioni ed esponenti del Partito Comunista si sarebbero trovati in questi anni - come speso è avvenuto - a collaborare con una forza politica inesistente.

Ogni altra argomentazione è superflua di fronte ad un metodo che è purtroppo ancora una volta, da parte dell'estensore della nota, quello staliniano del linciaggio politico e morale rispetto ad ogni manifestazione di critica e di dissenso, soprattutto se proviene da sinistra".

Al fine tuttavia di fornire ogni elemento di valutazione e di giudizio, riteniamo utile riportare integralmente il testo dell'intervista:

"Domanda": La evoluzione del PCI verso un sempre maggiore inserimento nel sistema appare a molti come uno degli elementi di maggiore interesse del quadro della politica italiana.

Se da una parte, a intermittenze, proseguono i tentativi di dialogo del PCI con i cattolici, dall'altra si accenna sempre più insistentemente ad una sua progressiva "socialdemocratizzazione". Noi, da lontano, siamo sempre stati portati a valutare e forse a sopravvalutare la carica rivoluzionaria del PCI. Tu che spesso hai partecipato ad iniziative comuni della sinistra col PCI, hai avuto certamente modo, meglio di noi, di valutare cosa vi sia veramente dietro al possibilismo dei suoi dirigenti: puro espediente tattico o, con l'andar dei tempi, una seconda natura?

Pannella: "Credo, in effetti, che abbiate sopravvalutato la carica rivoluzionaria del PCI, e sottovalutato la sua carica democratica ed anche conservatrice.

Non era infatti ``rivoluzionaria'' nemmeno la scelta stalinista, nel dopoguerra, che ha pesato in modo catastrofico sull'intera sinistra italiana ed europea, in tutte le sue componenti. Fu - invece - una scelta conservatrice e passiva, sostanzialmente rinunciataria all'interno dello stesso schieramento socialista e comunista, e che esprimeva di già l'abbandono di una prospettiva di conquista di potere in Italia per autonoma lotta del movimento socialista ed operaio.

Per il resto, la ``svolta di Salerno'', l'atteggiamento verso la monarchia, le amnistie del guardasigilli Togliatti verso i fascisti, la ``strana'' condotta di processi come quelli di Roatta certo non sgradita alla maggior parte dei nostri militanti, la votazione dell'art. 7 della Costituzione, la collaborazione con il partito vaticano ricercata in ogni modo ed a qualsiasi prezzo, la polemica continua e dura (parallela a quella clericale e conservatrice) contro le concrete volontà riformatrici che si facevano strada nel Partito d'Azione (specie nella cosiddetta ``destra'' di ``Stato Moderno''), nel Partito Repubblicano, nella Sinistra Liberale, nell'ala moderna e laica del PSIUP, i ``colloqui'' dello stesso Togliatti con Giannini ed il suo messaggio al Congresso qualunquista, la rivendicazione al PCI contro il PLI di Villabruna della continuità con le battaglie e ``le bandiere'' risorgimentali, le stesse obiezioni di stampo nazionalistico contro il Patto Atlantico, non possono essere spiegate solamente come

una serie di autonomi atti di opportunismo individuale, o come mera ``tattica'' senza un concreto valore, senza con ciò uscire dal campo dell'analisi politica e storica per entrare in quello di uno psicologismo sterile e superficiale.

Sul piano delle stesse strutture dello Stato, è ormai impossibile negare che i comunisti siano stato anch'essi attori di quella che, con enfasi ma anche involontaria precisione, i centristi chiamarono e chiamano ``ricostruzione''.

Abbandonata ogni forma di rivendicazione rivoluzionaria o anche seriamente riformistica (autogestione, cogestione, controllo operaio, socializzazione, ecc.), il PCI ha sostenuto, senza rilevanti differenze o alternative, la ricostruzione e l'estensione delle strutture corporative e del capitalismo di Stato, quali furono volute dal fascismo, e sviluppate dai governi centristi.

Qualche esempio può essere necessario. L'INPS per quasi vent'anni è stata amministrata in buon accordo da sindacalisti di sinistra e di Destra, burocrati ministeriali e di istituto, rappresentanti del padronato, tutto nominati dal Ministro, su pratica indicazione del ``Partito''. L'IRI, sorta per socializzare le perdite e garantire la privatizzazione dei profitti della nostra industria settentrionale, ha proseguito, senza eccessive molestie da parte comunista, la sua politica iniziale degli anni '30. L'ENI è stata a tal punto rispettata ed amata a sinistra che molto spesso, poi, sono avvenuti, al livello tecnico, passaggi di ``quadri'' del PCI, direttamente all'Ente stesso. Né il maggior monopolio italiano, che è ridicolo continuare a considerare come forza ``privata'', la FIAT, si è vista riservare sul piano di fondo trattamento peggiore ed i bilanci pubblicitari di certi giornali di estrema sinistra possono indirettamente confermarlo.

Sul piano della difesa nazionale, che non va naturalmente dimenticato, è sufficiente riandare ai dibattiti della Costituente ed agli atti parlamentari, alle mozioni politiche, alla politica delle organizzazioni giovanili comuniste: il PCI ha sùbito compiuto e poi mantenuto una scelta anti-pacifista e tradizionalista, limitandosi, come ogni partito moderato, a chiedere una maggiore ``democraticità'' dell'esercito. E' sintomatico che l'unico partito laico che non ha mai presentato, in questo ventennio, una sola proposta di riconoscimento dell'``obiezione di coscienza'' è il PCI. Posso assicurarvi che chi impedisce tuttora in Italia la nascita di un forte movimento pacifista ed antimilitarista, che in molti, a sinistra, auspichiamo, è innanzitutto il PCI che mobilita in tal senso tutta la sua burocrazia addetta dal 1950 all'``attivismo per la pace''. Lo stesso on. Boldrini, il principale esperto comunista di difesa nazionale, che fu uno dei principali e più coraggiosi capi della Resistenza, riconosceva di recen

te, in un nostro convegno, che il Partito Comunista ha compiuto in assoluta convinzione una scelta tradizionalista in questo settore, al di là dei motivi ``tattici'' che potevano consigliarla.

Per finire, è importante ricordare le caratteristiche consapevolmente burocratiche e funzionariali che si è dato il PCI, accantonando gran parte della vecchia classe dirigente formatasi in clima e con metodi rivoluzionari. Togliatti ed i suoi collaboratori non ignoravano certo che una classe dirigente non può che tendere ad amministrare il potere nel senso delle esperienze in cui si è formata ed affermata. Per vent'anni, i funzionari comunisti si sono formati nelle grandi lotte per condizioni più umane e civili di vita di ceti che non potevano ancora attendere che la ``logica di mercato'' portasse loro ``automaticamente'' lavoro, pane e dignità; hanno chiamato a raccolta i lavoratori italiani attorno a bandiere che furono sempre anche liberali e democratiche: libertà ovunque, anche nei luoghi di lavoro; certezza del diritto anche per gli umili; uguaglianza dinanzi alla legge senza discriminazioni politiche o confessionali: diritto allo studio, difesa della scuola di stato: tutela dell'autonomia della vita pu

bblica del persistente assalto delle ``baronie'' moderne e dei ``padroni del vapore''. L'avranno fatta male, con errori, in modo insufficiente, in contraddizione con le scelte internazionali che il ``vertice'' aveva compiuto, a volte forse con la velleitaria riserva di condurre una battaglia strumentale... Ma questo è un altro discorso, che non intacca il valore democratico che ugualmente queste lotte hanno rappresentato. Ed è comunque oggi indubbio quanto ripetevano in pochi negli anni cinquanta: che Togliatti ed i suoi compagni avevano lentamente formato un apparato di governo, non un partito rivoluzionario: un partito per molti aspetti profondamente moderato, a tal punto da costituire, contro tutto e tutti, una forza filo-clericale, con accenti populisti. Si trattava, insomma, e si tratta di un grande partito di tipo socialdemocratico, che si era trovato a non poter che scegliere il blocco stalinista.

Da quando l'onda della guerra fredda si è venuta man mano ritirando anche dal nostro Paese, allora, lentamente, s'è cominciato a vedere che sotto il drammatico, ma contingente, scontro fra un partito americano ed un partito sovietico, s'era affermata una realtà più profonda e durature". Le nostre classi dirigenti, di governo e d'opposizione, per quel che avevano di "nazionale" e di autonomo, avevano in gran parte operato concordi e s'erano sovente integrate.

"La nostra classe politica non si è infatti affrontata, fino ad ora, su concreti temi si sviluppo della nostra società: si è troppo spesso limitata a scegliere, nella situazione internazionale dei blocchi contrapposti, l'allineamento si uno di questi. Si trattava, probabilmente, di una necessità storica che è stata però ricevuta poveramente da una classe dirigente improvvisata e ben presto interessata solo al potere.

Noi radicali lottiamo, da anni, per rompere questa situazione.

Il problema vero è di ``radicalizzare'' questa sinistra italiana, così ``socialdemocratizzata''; rinnovandola per costruire una grande alternativa laica e democratica al regime clericale e paternalista, profondamente corruttore e corrotto, in cui viviamo.

Sfatare il mito di una opposizione totale e rivoluzionaria del PCI al sistema, per analizzare invece anche la storia di compromissioni e di ``inserimenti'', in questo ventennio, è necessario, se vogliamo rendere al gioco democratico italiano nuovo respiro, e nuove, civili, responsabili scelte".

"Domanda": Negli anni passati si è parlato molto e con clamore dei "comunistelli di sacrestia" e del filocomunismo della sinistra cattolica. Ma se come tu dici, il PCI è entrato già da tempo a far parte integrante del sistema, forme di collaborazione assai più impegnative dovrebbero essersi instaurate anche tra il PCI ed i centri di potere cattolico ufficiali. Ci sembra a volte di potere e di dover distinguere due funzioni diverse del PCI nella vita politica italiana. Una di quella che gli è tipica e per la quale raccoglie l'adesione dei comunisti convinti. L'altra è quella che gli è venuta naturalmente con gli anni per il solo fatto d'essere il più forte partito politico all'opposizione e pertanto seguito, come possibile vendicatore dei torti commessi dalla partitocrazia dominante, anche da molti che in realtà comunisti non sono.

Ora cominciamo ad avere l'impressione che la spinta del PCI verso l'inserimento si stia incanalando attraverso il passaggio obbligato dei compromessi con le forme politiche al potere.

E che quindi i dirigenti del PCI, nello sforzo di stabilire un possibile clima di collaborazione soprattutto con le forme cattoliche, stiano già rinunciando a quel ruolo moralizzatore che, sia pur soltanto per ragioni contingenti e strumentali, parevano assolvere negli anni passati, denunciando scandali, situazioni anormali; etc. Praticamente vistosa questa rinuncia ci è parsa nel corso dell'ultima compagna Amministrativa a Roma.

Che te ne pare?

Pannella: "Certamente. Le campagne radicali, da quelle di Ernesto Rossi contro i ``padroni del vapore'' e le bardature ``corporative'' dello Stato, fino alle più recenti contro la politica dell'ENI, contro il sacco della previdenza sociale e dell'assistenza pubblica da parte di istituzioni confessionali, contro la corruzione negli enti locali ed in particolare della classe dirigente della DC romana hanno infatti raramente avuto una eco soddisfacente da parte comunista. Il PCI è come paralizzato ogni volta che una campagna di moralizzazione può direttamente investire centri di potere vaticani, o comunque interessi di alti dignitari della Chiesa e dei loro più diretti clienti. Ma in genere non si tratta di effettive e piene corresponsabilità istituzionali realizzatesi" "nel" "sistema, anche se avrebbero potuto divenirlo; è una connivenza ``per omissione'' di attacco e di lotta. C'è inoltre l'errata convinzione di certuni che un tal modo indirettamente si difendono anche alcune delicate posizioni di potere acqu

isite nella società di sinistra, come le strutture corporativistiche e contro le quali il potere esecutivo ha sempre possibilità di ricatto; o, ancora, gli ambigui finanziamenti che i Ministri del Lavoro elargiscono ai patronati sindacali, o il sistema di corruzione della stampa che funziona su tutto l'arco politico, dal fascista al comunista...

Posso assicurare che, in questi casi, sempre, l'interlocutore non è dato da ``comunistelli di sacrestia'' ma proprio da coloro che usano denunciarli con maggior vigore. Gli stessi dignitari cattolici che hanno usato il bastone - consentitemi l'espressione - della ``scomunica facile'' hanno sempre difeso in realtà le proprie posizioni con la carota della corruzione e del paternalismo. Sono essi che hanno bisogno della complicità degli avversari per difendere i loro enormi interessi mondani, e che perciò hanno la possibilità di fornire qualcosa in cambio. E, arroccati su forme si anticomunismo cosiddetto viscerale (sulla cui ``onestà'' è inutile soffermarsi), hanno consapevolmente cercato di esaltare le tradizioni anti-statuali, antidemocratiche e antirisorgimentali presenti nel mondo socialista, a spese della civiltà e del progresso nel nostro Paese. Ma è questo un disegno (oltre che una pratica) che proprio la continua, coraggiosa, solitaria e misconosciuta opera dei radicali può far fallire. Simili mostruos

e convergenze hanno bisogno di silenzio e d'ombra per vivere: portate alla luce, vengono presto sconfitte. Un episodio tipico è quello delle recenti elezioni amministrative romane in cui i dirigenti burocratici del PCI sono andati al ``colloquio'' del teatro Adriano, cercando di soffocare nella sinistra la nostra dura e documentata polemica contro i Petrucci e la DC romana. Oggi, se le elezioni dovessero rifarsi, la base ed i quadri intermedi del PCI, a grande maggioranza, imporrebbero una linea opposta ed anche un cambio dei dirigenti. Nel PCI si sa infatti che a Roma non pochi voti comunisti sono confluiti su dei candidati del Partito Radicale, e moltissimi altri si sono espressi con schede bianche o nulle.

La grande garanzia contro il regime, e contro i ``colloqui'' fra clericali e stalinisti, risiede innanzitutto, dunque, nelle grandi masse democratiche che si accingono ormai a dare il 50% dei suffragi ai partiti laici di sinistra, malgrado i gravi errori dei loro dirigenti".

"Domanda": Tra le varie campagne che tu hai promosso o a cui ti sei associato, particolarmente vigorosa ed insistente ci è parsa quella sul divorzio. Anche in questo campo l'atteggiamento del PCI ci è parso ambiguo. Mentre l'opinione volgare concepisce il comunismo come "partito del libero amore", esso il realtà, sembra assai più vicino alla definizione di partito dall'art. 7.

Pannella: "Hai in parte ragione. Ma proprio la vicenda della lotta divorzista, se seguita nei suoi ultimi sviluppi, autorizza speranze di positivo rinnovamento. Come sapete Togliatti era contro il divorzio ed altre rivendicazioni ``borghesi'' (in realtà profondamente aderenti alla coscienza ed alla vita delle grandi masse lavoratrici, che contano cinque milioni di ``fuorilegge del matrimonio''). Lo stesso Nenni ha avuto serie di incarnazioni anti-divorziste, nel corso delle sue metamorfosi. L'Unione Donne Italiane è stata per quindici anni, accanitamente contro questa riforma, e solo due anni fa una nuova maggioranza, formatasi in un congresso nazionale dell'UDI, che venne qualificata come radicale, cominciò ad imporre una diversa posizione, tuttora contrastata, ad esempio, dall'on. Cinciari-Rodano, vicepresidente comunista della Camera, che è sostanzialmente contro il divorzio. Ma quando la nostra campagna, dopo anni di apparente insuccesso, si è concretata in vere e proprie manifestazioni di massa, ed è so

rta la" Lega Italiana per il Divorzio, "le forze progressiste all'interno del PCI hanno potuto finalmente far prevalere l'attuale indirizzo. Negli ultimi mesi, il PCI ha avuto una netta posizione laica, espressa, a più riprese, con chiarezza e coraggio, specie dall'on. Jotti. Per non intralciare il dibattito sul progetto dell'on. Loris Fortuna, il PCI ha anche rinunciato a presentare un suo disegno di legge per la riforma del diritto familiare, già pronto da questo inverno. Così, padre Lener va in giro in Italia dicendo che i veri nemici sono ``i quattro gatto radicali'' che rischiano di trascinare ``contro il Concordato'' anche ``i più responsabili e seri'' dirigenti comunisti e socialisti!".

Abbiamo voluto documentare un episodio di particolare gravità perché abbiamo fiducia nel giudizio meditato e non passionale di coloro ai quali ci rivolgiamo.

Molte affermazioni dell'intervista di Pannella possono apparire come molto gravi e marcare una distanza troppo grande, per poter essere percorsa in tempi politici utili, fra due diverse formazione politiche. Ma basta riandare ad affermazioni anche recenti di quello che resta il migliore e il più autorevole degli ispiratori del Partito Radicali, Ernesto Rossi, o il più indietro nel tempo alla polemica ideologica di "Giustizia e Libertà" o del "Partito d'Azione" fino ad arrivare all'intero arco della attuale pubblicistica radicaleggiante per comprendere che bisogna avere il coraggio di esprimere finalmente e compiutamente il contesto storico che caratterizza il contrastato rapporto fra democratici e comunisti. Né di può prescinderne, se si vuol dar vita a rapporti davvero unitari e non soltanto strumentali e contingenti. Ed è nella prima direzione e non nella seconda che si muove il nostro partito.

Questa stessa documentazione sarebbe d'altra parte certamente incompleta se non si concludesse sottolineando il fatto che poco più di due mesi dopo quell'attacco dell'"Unità" (la quale per suo conto sembra insistere, soprattutto nella sua edizione romana, in un atteggiamento astiosamente antiradicale) Marco Pannella chiudeva, in un comizio unitario con un esponente nazionale comunista, la campagna elettorale che i due Partiti avevano affrontato a Ravenna con liste comuni.

La prospettiva di una alternativa di sinistra alla Democrazia Cristiana comprendente i comunisti è stata la direttiva di fondo che ha caratterizzato la politica del nuovo gruppo dirigente radicale. La stessa corrente di "Sinistra Radicale", da cui in gran parte il nuovo gruppo dirigente proveniva, si formò in seguito alle polemiche aperte all'interno del Partito da un articolo di Marco Pannella, pubblicato dal "Paese Sera", il 22 marzo 1959. E' significativo che in quell'articolo che provocò gli attacchi di Saragat e della "Voce Repubblicana" e che ebbe una replica di Togliatti fossero contenute tesi e argomentazioni non dissimili da quelle che più recentemente hanno provocato l'attacco dell'"Unità". In esso tuttavia si avanzava e si poneva come prospettiva politica ""possibile e perseguibile"" quella della ""alleanza della sinistra democratica e di quella comunista per la difesa e lo sviluppo della democrazia"" in Italia e in Europa. Né le divergenze, non certamente tattiche, o le lotte anche aspre e contin

ue che avevano diviso per decenni democratici e comunisti in Europa e non solo in Europa, né le diverse posizioni assunte da queste forze dal 1945 in poi in Italia, potevano evitare - affermava l'esponente radicale - che si disconoscessero ormai l'""urgenza"" di ""iniziare a discutere una comune politica tra comunisti e democratici"". riportiamo alcuni brani di quell'articolo:

"Proporre in questo lavoro una corresponsabilità del PCI; operare senza ipocrisie e senza paura in questo senso, è compito serio della sinistra democratica, cosciente della propria irriducibile autonomia non meno che del proprio diritto a porsi come forza che si candida al potere. Se per edificare in Italia uno stato democratico e moderno, almeno quel tanto che è previsto dalla Costituzione, è necessaria una nuova maggioranza nel Paese e nel Parlamento perché, fra le altre, non verificare l'eventualità di una azione comune della sinistra democratica, di una parte dei cattolici e dei comunisti?

Credere che i grandi monopoli e gli interessi reazionari controllino ormai ineluttabilmente l'economia europea e, attraverso questa, la politica dei vari stati nazionali, significa peccare per lo meno di disfattismo nell'ambito delle forze democratiche, operaie e proletarie europee. Riaffiora anche qui l'errore che i comunisti devono superare con maggior vigore; dai laburisti, inglesi ai sindacati francesi, compresi quelli cattolici e quelli socialisti, alla socialdemocrazia tedesca, "il potenziale democratico esiste. Sono questi gli interlocutori effettivi cui il PCI deve rivolgersi: non gli sparuti gruppi comunisti belgi, olandesi, scandinavi, inglesi che non rappresentano nessuna reale posizione democratica e popolare nei rispettivi paesi"". [Dal "Paese", del 22-3-1959]

Fu ovviamente però all'inizio del 1963, con la situazione di una nuova direzione radicale che furono stabiliti primi rapporti ufficiali tra il PR ed il PCI, attraverso colloqui con Pietro Ingrao, Alessandro Natta e Romagnoli (nel periodo delle elezioni politiche) e Franco Calamandrei. Alle elezioni politiche del 1963 la Direzione Nazionale del PR invitata i radicali a dare il loro voto ad ""uno dei quattro partiti della Sinistra"": alcuni dirigenti radicali dichiararono pubblicamente di votare per il PCI, che era allora l'unico partito schierato all'opposizione del Centro-Sinistra.

In tutto il periodo in cui "Agenzia Radicale" ebbe periodicità quotidiana la stampa comunista ne seguì attentamente e spesso riprese e sviluppò le notizie. Questa situazione tuttavia non dette luogo a rapporti organici e continui fra i due partiti. La Segreteria del PR non mancò, alla fine del 1963, di richiamare l'attenzione della Segreteria del PCI sui pericoli insiti nella frammentarietà e occasionalità di questi rapporti. In effetti già in quel periodo accanto a numerose occasioni di incontro, soprattutto alla base, in settori come la scuola, la lotta per la pace e lotte operaie, manifestazioni sindacali ed anticolonialiste, non mancarono di presentarsi occasioni di dissenso che un diverso rapporto tra le due direzioni avrebbe consentito di superare positivamente per entrambi i Partiti. Se ne registrarono all'interno della Consulta della Pace, sui modi di organizzazione autonoma di questa associazione e sui rapporti internazionali con le organizzazioni pacifiste europee e americane, come all'interno dell

'ADESSPI sulle direttive della lotta per la democratizzazione della scuola pubblica. La più grave fu quella che si verificò in occasione della campagna radicale contro la nuova dirigenza nazionale dell'ENI. Anche in questa occasione la Direzione del PR non mancò di sollecitare l'incontro e la collaborazione, anche per la verifica delle rispettive posizioni politiche con la Direzione del PCI. E non fu responsabilità dei radicali se non si tentò di concordare un atteggiamento comune. Questa situazione generale costrinse la Direzione del PR ad escludere tassativamente accordi elettorali con il PCI in occasione delle elezioni amministrative del novembre 1964, nonostante che alcuni di questi accordi fossero già intervenuti tra le rispettive federazioni dei due partiti in alcuni luoghi (in particolare a Roma l'accordo era già stato firmato) ed altri fossero in via di perfezionamento in altri luoghi (nelle Marche). Anche in questo caso non fu infatti possibile arrivare a un accordo nazionale che i radicali consider

avano l'unica valida garanzia per condurre in comune la campagna elettorale.

La sostanziale mancanza di rapporti al livello delle direzioni nazionali dei due partiti non impedì tuttavia nel periodo '64-'65 l'attiva partecipazione radicale alle manifestazioni politiche di base, nei dibattiti, in tavole rotonde, in numerose iniziative di lotta, spesso sollecitate dai quadri locali comunisti. In particolare all'epoca delle elezioni del Presidente Saragat i radicali sostennero, anche in polemica con altre forze della Sinistra, la scelta unitaria effettuata nel momento decisivo dai comunisti.

Lo sviluppo di un forza politica come quella radicale e della linea che il PR indicava per l'unità e il rinnovamento della sinistra comportava necessariamente iniziative, "di carattere sempre unitario ma spesso nuove sia nei contenuti che nei metodi di lotta" rispetto alla prassi del PCI e in genere rispetto alle abitudini degli apparati. Su queste iniziative era inevitabile che di volta in volta si verificasse il consenso o il dissenso non solo con i militanti che ne erano coinvolti, ma anche con la stessa direzione del PCI. Come abbiamo tuttavia ricordato, ogni volta che i motivi di dissenso si sono presentati non è stato mai possibile un franco confronto con i compagni della direzione comunista. Quando c'era il dissenso, ripetiamo, prima per l'ENI, poi nel "dialogo con i cattolici", il PCI si è limitato, con il comportamento di alcuni suoi dirigenti e della sua stampa, ad ignorare ciò che i radicali sostenevano e facevano, come se si fosse trattato di posizioni che non avevano alcuna legittimità all'inter

no della Sinistra. Su questo la nostra posizione è stata sempre chiara: "non siamo un partito che si rassegna ad essere riconosciuto come interlocutore o alleato in caso di consenso e ignorato o considerato inesistente in caso di dissenso". La risposta radicale non è stata mai di carattere settario: quello che i radicali hanno sempre chiesto e si sono cercati di guadagnare con la loro azione è stato il diritto ad una informazione obiettiva, da parte della stampa di Sinistra, e, tra questa, da parte di coloro i quali portano la responsabilità di essere la maggiore forza organizzativa della opinione pubblica democratica.

Questo compito non è stato nei confronti dei radicali, se non raramente, come possiamo documentare con alcuni episodi, scelti tra i più recenti:

a. Il 4 novembre, i due giovani dirigenti radicali milanesi vengono arbitrariamente arrestati, successivamente tradotti in carcere, poi processati per direttissima per aver distribuito manifestini antimilitaristi e non-violenti. "L'Unità, nonostante la gravità dei fatti e nonostante che nel collegio di difesa fossero presenti il sen. Maris, gli on.li Basso e Malagugini, dà scarso rilievo all'avvenimento, deforma l'informazione, non sostiene la campagna politica a favore dei giovani, mentre contemporaneamente si occupa con grande rilievo della "Zanzara"".

b. Nell'autunno 1965, tra i molti dibattiti tenutisi a Roma sul "dialogo con i cattolici", "l'Unità" dedica ampio spazio al resoconto di quello avvenuto nella sede della Fondazione Besso, tra Ingrao, Jemolo e Forcella. "L'articolo de "l'Unità", a firma del giornalista Ugo Baduel, falsifica le tesi sostenute nell'intervento del rappresentante radicale, avverse al "dialogo". Una lettera di circostanziata protesta viene inviata immediatamente al direttore Mario Alicata, senza ottenere alcuna risposta.

c. Il PR funge in parecchie occasioni come centro di servizio e di "assistenza" per gli "obiettori di coscienza". Conferenze stampa furono tenute nella sede del PR per gli obiettori Ivo della Salvia, Fabrizio Fabbrini, Antonio Susini, Andrea Valcarenghi e Ottavio Vassallo. I radicali considerano l'obiezione di coscienza come una posizione giusta e valida nel quadro di una battaglia politica che abbia come suo obiettivo la riconversione delle strutture militari in strutture di servizio civile. ""L'Unità", pur riportando le notizie relative agli obiettori, ne minimizza la portata politica, facendo invece risaltare le motivazioni individualistiche ed umanitarie.

d. Il 24 maggio 1967, la sezione romana del PR in cooperazione con indipendenti, pacifisti e libertari, organizza la manifestazione antimilitarista e pacifica al monumento al Milite Ignoto, culminata in un "teach-in" con dibattito politico sulle scalinate del monumento. "L'"Unità" registra l'avvenimento, attribuendone però la paternità genericamente a "pacifisti" e senza farne rilevare le caratteristiche di impostazione e di metodo. Le omissioni sono evidenti, non casuali".

e. Dal 27 luglio al 4 agosto 1967 si svolge, promossa dalla Federazione milanese del PR, una marcia antimilitarista da Milano a Vicenza, passando paesi, tra i quali Peschiera, sede di un carcere militare con rinchiusi numerosi obiettori di coscienza. Nel corso della marcia, i radicali, i pacifisti, i libertari riscuotevano l'entusiastica adesione di cittadini democratici e militari di partiti di sinistra. "L'"Unità" forniva una formazione incompleta e tardiva, rendendo così più difficile il successo della marcia, che, tuttavia riusciva come una delle più efficaci manifestazioni antimilitariste e pacifiste degli ultimi temi".

f. Il 31 agosto 1967, tre esponenti radicali vengono denunciati dalla polizia per "vilipendio ad un capo di Stato". "L'"Unità" fornisce un reportage fotografico, confonde la manifestazione con quella organizzata l'indomani dai giovani comunisti, definisce i tre dirigenti radicali genericamente "giovani democratici", e censura il comunicato stampa laddove questo indica chiaramente l'appartenenza politica dei manifestanti".

Questo atteggiamento della stampa comunista, di cui abbiamo subito tutto il peso, ci sembra grave non tanto e non soltanto per le difficoltà che crea alla nostra politica, difficoltà che non hanno per altro impedito al partito radicale di sviluppare e di affermare le sue iniziative, quanto e soprattutto per il fatto che sottrae sistematicamente ai compagni degli altri partiti e dello stesso PCI - dirigenti, parlamentari, quadri locali, militanti di base - necessari elementi di valutazione e di giudizio.

Nonostante il comportamento ufficiale, discriminatorio, nei confronti dei radicali, i rapporti tra i due partiti non potevano non proseguire e non svilupparsi nel corso di questi anni per l'obiettiva convergenza di molte battaglie. I radicali, dal canto loro, non hanno cessato di sollecitare la collaborazione con il PCI ed il leale incontro e confronto su temi comuni.

Durante le elezioni amministrative romane del giugno 1966, nonostante che il PCI ed il PR si presentassero in liste diverse, l'on. Boldrini partecipava "come relatore" al convegno organizzato dalla sezione romana del PR sul tema "la politica estera e militare della sinistra". Anche in seguito a quel confronto di posizioni l'on. Boldrini veniva invitato, ed accattava nel maggio 1967, di essere tra tre relatori ufficiali al IV congresso nazionale del PR (Firenze 3, 4 e 5 novembre 1967) insieme al socialista on. Ballardini ed al socialista autonomo on. Anderlini.

A Ravenna, nel novembre 1966, a sole poche settimane dall'attacco dell'"Unità" in cui si parlava della "dissoluzione e scomparsa di questo partito [PR] dalla topografia politica nazionale", le federazioni locali dei due partiti trovavano opportuno ed utile stringere una alleanza elettorale che riscuoteva un successo nella lotta contro il Centro-Sinistra.

Al III congresso nazionale radicale di Bologna, la direzione nazionale del PCI delegava il segretario nazionale per l'Emilia-Romagna e membro del comitato centrale, Sergio Cavina, a portare il saluto del PCI. All'indomani del congresso Cavina inviava al segretario nazionale del PR una lettera, di cui riproduciamo uno stralcio:

"Il giudizio sul Congresso di Bologna - e mi pare che l'Unità l'ha più volte sottolineato - è francamente positivo: al di là di aspetti marginali e di tematiche particolari, mi pare che il quadro generale che ne è uscito chiaramente collochi la forza radicale nell'ambito della sinistra e in questo sottolinei il rapporto di collaborazione con il nostro Partito. Questo rapporto, e lo constato con piacere, è di convergenza, di intesa, di collaborazione da cui può trarre nuovo impulso il discorso dell'unità delle sinistre che faticosamente viene avanti, ma che deve spingere le volontà politiche unitarie a una continua lotta e tensione.

Il discorso dell'unità delle sinistre è ancora difficile, travagliato, soggetto alle manovre e ai giochi, ma tuttavia capace di andare avanti via via che il dibattito ideale e l'azione politica scartano e superano le vecchie incrostazioni, gli irrigidimenti, i sospetti e le incomprensioni.

Io credo che i rapporti tra i nostri due partiti possono procedere in un clima nuovo di comprensione e di collaborazione su delle piattaforme politiche che chiamerei di rinnovamento democratico del Paese e di sviluppo di una nuova società. Non v'è dubbio che su aspetti e momenti particolari di questo processo possono esserci scontri-incontri. E' d'altronde la libertà dialettica democratica che per dispiegarsi ha bisogno di tutto questo, ben tenendo ferme impostazioni e finalità unitarie dello schieramento delle forze di sinistra. Tanto più necessarie mi paiono queste linee direttive generali in un momento come il presente, gravido di pericoli e minacce alla pace e perciò soggetto anche a tentativi o a tentazioni antidemocratiche all'interno del Paese".

I rapporti erano stati ripresi a livello di direzione nel marzo 1967 su una richiesta di colloqui avanzati dai radicali. In quel periodo la direzione incaricò l'on. Macaluso di tenere i rapporti con il PR, incarico passato poi ad Achille Occhetto. Tre volte le delegazioni del PCI e del PR si incontrarono nel corso della primavera: al primo colloquio parteciparono Macaluso e Modica (PCI) e Spadaccia, Mellini e Pergameno (PR); al secondo Napolitano e Macaluso (PCI) e Spadaccia e Pergameno (PR), al terzo Macaluso ed Occhetto (PCI) e Pannella, Spadaccia, Mellini e Pergameno (PR).

I radicali, che avevano sollecitati gli incontri, chiarirono che non avevano proposte specifiche da avanzare al PCI se non una richiesta politica di carattere generale e preliminare: quello cioè che si desse luogo a "rapporti improntati a reciproca lealtà, a obiettività di informazione ed a franco dibattito anche su problemi dove potesse manifestarsi, il dissenso". I colloqui si conclusero positivamente con un reciproco impegno delle due delegazioni in questo senso.

Dopo la parentesi congressuale, tuttavia, alla disinformazione e distorsione delle notizie pubblicate dall'"Unità" in riguardo all'attività radicale, alla discriminazione nei confronti del PR in tutte le manifestazioni unitarie, faceva riscontro la difficoltà incontrata dalla segreteria del PR a riprendere e sviluppare i colloqui. Il segretario del PR non poteva allora prendere atto ed in tal senso scriveva una lettera ad Achille Occhetto ed all'Ufficio politico.

5.2. Il PR e il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria

Prima ancora della scissione del Partito Socialista Italiano, che portò alla costituzione del PSIUP, il PR aveva individuato nelle correnti socialiste che non erano favorevoli al Centro-Sinitra un interlocutore valido nel disegno unitario per l'alternativa di sinistra.

Nelle elezioni politiche del 1963, il PR, che usciva da una crisi politica e di dirigenza, non riteneva opportuno presentarsi alle elezioni politiche e invitava l'elettorato italiano a sostenere, con il proprio voto, i partiti della sinistra, (PSI, PSDI, PSI, PCI), sottolineando che quella scelta voleva essere anche una indicazione di prospettiva dell'unica alternativa di progresso e di libertà che si offriva al nostro paese ed all'Europa, "l'unità cioè della sinistra italiana e la costruzione di una nuova sinistra europea". La sezione romana del PR diffondeva, di conseguenza, una propria dichiarazione che interpretava i deliberati della direzione nazionale. In essa si invitava:

"a") gli elettori di sinistra che volessero votare PRI a ricordare che nelle liste repubblicane è presente a Roma, in maniera caratterizzante, non la persona dell'on. La Malfa, ma la persona dell'on. Pacciardi;

"b") gli elettori orientati a votare PSI, ad appoggiare, nella persona dell'on. Tullio Vecchietti e degli esponenti della Sinistra Socialista, la coraggiosa azione da essi condotta per impedire che la politica del PSI provochi nuove fratture e ulteriori debolezze nello schieramento della sinistra italiana;

"c") ad avere presente in genere, nella scelta dei candidati dei quattro partiti, la necessità che il loro voto favorisca la formazione di una classe dirigente capace di intendere le istanze che i radicali formulano nel tentativo di sollecitare le premesse per una nuova politica della sinistra italiana, rispondente alle richieste del nostro tempo e aderente alla lotta politica del nostro paese".

Nel settembre 1963, "Agenzia Radicale" forniva alla stampa alcuni tra i primi dati, ancora necessariamente parziali, sullo svolgimento dei progressi sezionali del PSI, mettendo in rilievo i successi conseguiti dalla corrente di sinistra che poi avrebbe largamente partecipato alla formazione del PSIUP. Nelle stesso periodo, "AR" dava largo spazio a dichiarazioni di Vecchietti, Foa e Libertini, i quali due ultimi rilasciarono alla agenzia, in anteprima esclusiva, il teso di loro editoriali per "Mondo Nuovo".

Il comune giudizio sul Centro-Sinistra - pure se originario nei due partiti da ragioni differenti - era per i radicali la premessa perché tra i due partiti si potesse avvivare una collaborazione su molti problemi. La convergenza nella lotta non impediva tuttavia il manifestarsi di divergenze su alcuni punti:

"a") il ruolo della sinistra cattolica; come conseguenza la questione della elezione del Presidente della Repubblica. Mentre i radicali, fin dall'inizio, appoggiavano la candidatura di Saragat, i social-proletari fornivano il loro appoggio, fino all'ultimo, all'on. Fanfani.

"b") il ruolo del PSU nella prospettiva dell'unità e dell'alternativa alla DC. I radicali hanno indicato nelle masse operaie e democratiche che fanno capo alla socialdemocrazia europea, come pure in quei settori della classe dirigente socialista che anche all'interno del Centro-Sinistra intendono promuovere seri obiettivi di riforma, interlocutori validi per i partiti di opposizione.

"c") il problema della lotta per la pace; pur riconoscendo l'importanza delle lotte di liberazione nazionale e socialiste dei paesi sottosviluppati, i radicali rifiutano di accettare una strategia che condanni la classe operaia europea ad un ruolo subalterno nella promozione del socialismo, e ritengono che questa strategia implichi nei nostri paesi una forte lotta antimilitarista caratterizzata da metodi pacifisti e non-violenti.

"d") Nella campagna sull'ENI anche il PSIUP, come il PSU, non meno che i partiti al governo, non riprese le gravi accuse che i radicali andavano facendo. Un articolo pubblicato su "Mondo Nuovo", contenente alcune informazioni non esatte, smentito dalla dirigenza dell'ENI, fu il pretesto per chiudere il problema.

Nelle elezioni amministrative parziali del novembre 1964, l'appoggio radicali, nonostante le divergenze di carattere generale, alle liste del PSIUP di esplicito e fruttuoso. In tutta Italia i radicali indicarono ai propri elettori di votare PSIUP ed in alcune città presentarono propri candidati sotto il simbolo socialista, tra cui a Fermo nelle Marche dove il dott. Luigi Del Gatto risultò l'unico eletto della lista unitaria.

L'appello rivolto dalla direzione del PR attraverso "AR" del 16 settembre 1964, diffusa a molte diecine di migliaia di copie in tutta Italia, così diceva:

"La competizione elettorale amministrativa del 22 novembre priva anche questa volta i radicali italiani largamente presenti in diversa forma nei capoluoghi, nelle città, nei centri minori. La grande maggioranza delle sezioni e delle federazioni del Partito Radicale ha raggiunto accordi elettorali con le federazioni del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. In molte città candidati radicali sono presenti nelle liste del PSIUP; in altre le sezioni radicali appoggiano dall'esterno le liste di questo partito.

Pur avendo la Direzione del Partito Radicale affidato alla autonomia delle federazione e delle sezioni la conclusione di accordi elettorali con le altre forze della sinistra, una spontanea convergenza si è verificata quasi ovunque fra i due partiti. Riteniamo che essa rispecchi la posizione attuale del Partito Radicale e la funzione che esso intende assolvere nell'ambito della sinistra italiana.

"L'obiettivo fondamentale dei radicali resta quello di sempre: il rinnovamento della sinistra italiana e la ricostruzione della sua unità per creare una chiara alternativa di potere alla democrazia cristiana.

I radicali si battono perché sia restituita al gioco democratico la chiarezza delle alternative, perché sia evitata la confusione delle responsabilità, perché le forze della sinistra italiana smettano di formare facili alibi alla DC".

Il principale ostacolo su questa strada è quello rappresentato dalla divisione e dalla lacerazione della sinistra italiana. Per quanto giuste possano essere state le ragioni che questa divisione hanno determinato in un recente passato, sempre più si afferma nelle rivendicazioni delle masse non meno che nella evoluzione della situazione politica italiana l'esigenza dell'unità.

Questa unità non può nascere che da un profondo rinnovamento della sinistra. L'eredità del frontismo - una delle maggiori conseguenze della divisione della sinistra - continua purtroppo a condizionare il comportamento dei comunisti nei rapporti con le altre forze democratiche e socialiste, si tratti del PSIUP, della sinistra socialista, dei radicali o degli organismi unitari e di massa, sempre costretti a seguire il ritmo della evoluzione comunista e non quello delle nuove realtà oggettive che ha dinnanzi.

"L'intransigenza nello svolgere questi temi, nell'opporli alla classe politica di governo e alla forze che in varia maniera lo sostengono è condizione essenziale per i radicali. Il PSIUP ci sembra costituire oggi il partito della sinistra che più di ogni altro afferma questa volontà di contrapposizione frontale al mondo cattolico e della conservazione. E' anche per questo che noi riteniamo giusta l'indicazione emersa dalle decisioni elettorali della maggioranza delle federazioni radicali. Voteremo quindi PSIUP e invitiamo formalmente i nostri amici radicali che non vedono ufficialmente impegnato il partito radicale nei loro comuni, a votare queste elezioni amministrative le liste di quel partito".

Gli accordi che sono stati raggiunti fra radicali e socialisti del PSIUP possono costituire un nuovo esempio dei rapporti che devono intercorrere fra i partiti della sinistra. Il rispetto reciproco per le posizioni di ciascuno dei due partiti fa sì che gli stessi elementi di dissenso e le differenze ideologiche non costituiscano elementi di frattura, ma di positivo confronto e di complessivo arricchimento nelle lotte politiche che radicali e socialisti unitari decidono di condurre insieme.

"La direzione del PR""

Nel giugno 1966, in occasione delle elezioni comunali e provinciali di Roma, Genova e altre città, fu realizzato un accordo nazionale tra le due direzioni dei partiti. I radicali, che avevano a Roma già presentato le proprie liste di candidati, le ritirarono in data 14 maggio 1966, annunziando che il Pr sarebbe stato presente con liste PR-PSIUP. A Roma furono presentati 16 candidati su ottanta alle elezioni comunali, occupanti gli ultimi 16 posti in lista e 5 su trenta alle elezioni provinciali. A Genova si presentarono due candidati radicali, tra i quali l'esponente della resistenza Leonida Balestrieri, già consigliere comunale. Altri candidati radicali furono presenti in comuni minori. Pubblichiamo integralmente i primi due documenti dell'accordo PSIUP-PR.

L'INVITO DEL PSIUP

"La Direzione del PSIUP esaminata la situazione politica generale e le conseguenti caratteristiche che sempre più va assumendo la campagna elettorale per il rinnovo di alcuni importanti consigli comunali e provinciali, ne sottolinea il particolare significato politico, che è contraddistinto dalla gravità crescente dei grandi problemi economico-sociali delle lotte in corso dalla drammaticità degli avvenimenti internazionali e della esistenza di una formula come il centro-sinistra, ostinatamente tenuta in piedi dai suoi fautori e sempre più in armonia con il processo di riorganizzazione capitalistica.

L'attuazione accelerata della unificazione socialdemocratica fornisce una copertura e un sostegno al centro-sinsitra e apre la via a nuove divisioni fra i lavoratori e fra tutte le forze democratiche.

Di fronte a questa situazione, che si ripercuote in modo drammatico sulla vita e sulla attività degli Enti locali, non solo è necessario fare avanzare l'alternativa di sinistra nei Comuni e nelle Provincie dove si nota, ma è importante rafforzare, con un successo delle liste del PSIUP, la presenza elettorale di una formazione autenticamente socialista in Italia, capace di contribuire alla costituzione di un nuovo schieramento politico in alternativa al centro-sinsitra.

E' in questo quadro che la Direzione del PSIUP si rivolge alla Direzione del Partito Radicale, che combatte una battaglia unitaria di opposizione al centro-sinistra e alla DC, perché essa concorra insieme al PSIUP per l'affermazione di questa alternativa democratica, laica e socialista della quale sono elementi importanti i temi della riforma della società, della famiglia e dello Stato, attorno ai quali il Partito Radicale è particolarmente impegnato.

A questo fine al Direzione del PSIUP invita la Direzione del Partito Radicale a voler esaminare queste nostre valutazioni politiche e concordare quindi una comune battaglia elettorale e la formazione delle liste che esprime tale collaborazione".

LA RISPOSTA DEL PR

"La Direzione Nazionale del PR ha rilevato che già in due analoghe circostanze i radicali avevano in un caso espresso il loro formale appoggio alle liste del PSIUP, in un altro caso assunto, pur nell'ambito di una più generica indicazione a favore delle forze della opposizione di sinistra, sostanzialmente analogo atteggiamento nelle varie città.

Nel frattempo gli alibi e le illusioni riformistiche della maggioranza quadripartita sono crollati; la politica clericale e classista della Democrazia Cristiana ha relegato anche formalmente al livello della sistematica ed avvincente corruzione del sottogoverno ogni pur tenue iniziale concessione programmatica all'accordo con le forze laiche del centro-sinistra; la stessa unificazione fra PSDI e PSI acquista ogni giorno di più il significato di un attacco provocatorio verso le forze del PSI rappresentate in particolar modo dagli on.li Lombardi e Santi, onde realizzare ulteriori lacerazioni delle forze democratiche e legare all'interclassismo ed all'integralismo clericale le sorti di ampie zone del mondo operaio. Ovunque, insomma, nella scuola, nella famiglia, nella sicurezza sociale, nell'assistenza pubblica, nella politica economica fatta di nominalismo programmatorio e di incapacità e di asservimento alle baronie economiche, nella politica estera in quella militare, si afferma un regime che è necessario in

vece abbattere, e la maggioranza rivela ogni giorno di più la sua vocazione di copertura alle peggiori tentazioni sempre ricorrenti nella nostra società.

Sembra quindi urgente ed essenziale richiedere all'elettorato democratico di condannare recisamente, radicalizzando e precisando la sua opposizione, con il clericalismo ed il classismo democratico-cristiano, i drammatici errori di quanti, fra i laici ed i socialisti, ne costituiscono oggi un obiettivo sostegno.

Si impone la prospettiva di una alternativa radicale ed unitaria al regime, modernamente ed autenticamente laica e socialista, che costituisce il punto di riferimento obbligato e consapevole delle nuove generazioni, del movimento operaio, dei nuovi ceti che si formano nel Paese e di tutte le forze di ispirazione democratica.

In questo quadro la Direzione Nazionale del Partito Radicale ha deciso di accogliere senza riserve l'invito rivoltole dalla Direzione Nazionale del PSIUP come gesto di consapevolezza e di responsabilità democratica ed unitaria che, ben oltre l'importanza certo non secondaria della battaglia elettorale, risponde ad una esigenza di fondo del momento politico italiano. Il Partito Radicale assicurerà quindi, per questi motivi, nei modi che verranno assieme concordati, la propria presenza a fianco del PSIUP nella campagna elettorale.

La Direzione Nazionale del PR esprime inoltre la convinzione e la speranza che questo accordo venga sorretto dallo spontaneo apporto di coloro che, nella opposizione di sinistra in Italia, vogliono che l'unità e l'alternativa laica e socialista si affermino attraverso concrete scelte unitarie responsabili ed innovatrici".

Pochi giorni dopo le elezioni amministrative, (20 giugno 1966) in seguito al modo nel quale era stata condotta la campagna elettorale a Roma ed ai suoi risultati, la sezione romana del PR sentiva il dovere di inviare una lettera al Comitato centrale del PSIUP in cui chiariva la propria posizione e le responsabilità sei risultati elettorali. La lettera non otteneva nessuna risposta.

"Cari amici,

da almeno due anni cerchiamo in ogni modo di creare duraturi e profondi legami fra i nostri due partiti. Abbiamo incontrato molto disinteresse, molto senso di sufficienza, molte incomprensioni. Malgrado questo si è giunti anche per le elezioni del 12 giugno, ed in forma che sembrava dover essere finalmente potenziata, ad un nostro appoggio alle liste del PSIUP, ampiamente motivato dal Partito Radicale nel corso di tutta la campagna elettorale. Possiamo sin d'ora iscrivere all'attivo un punto relativo alla situazione romana: con semplicità e spontaneità si è venuto creando alla base, fra i militanti e gli iscritti, un senso di amicizia e di effettiva concordia politica che ha annullato equivoci e pregiudizi, creando le premesse, almeno a Roma, per una reale collaborazione politica generale.

Ma altre voci del bilancio di queste settimane di campagna elettorale sono francamente passive. Teniamo in particolare a portarne una alla vostra diretta conoscenza: quella che ha impedito la conquista di due consiglieri della nostra lista (che sarebbero stati probabilmente entrambi del PSIUP) invece del solo quoziente raggiunto.

A Roma esistevano le condizioni per una grande affermazione del PSIUP e nostra. Motivi che conoscete certamente meglio di noi hanno però determinato la presentazione di una lista dove molte assenze di vostri esponenti hanno sicuramente ridotto l'udienza che potevate riscuotere nell'elettorato socialista e di sinistra romano. Ma, ancora a pochi giorni dalla chiusura dei comizi, il secondo quoziente (perso per 2300 voti) poteva darsi per acquisito: la presenza nella lista dei candidati radicali, di redattori dell'Astrolabio, l'appello a nostro favore di giornalisti dell'ambiente radicale e de "L'Espresso", l'impegno di Ernesto Rossi, Bruno Villabruna, dell'ex consigliere comunale Arnoldo Foà, e di molti altri davano al Partito Radicale la possibilità di assicurare almeno diecimila voti alla lista che avevamo presentato in comune, oltre a costituire un elemento favorevole nel nostro lavoro di recupero della base socialista di sinistra e lombardiana.

Inoltre alcune iniziative prese in periodo elettorale, ma non "elettoralistiche", visto che si inserivano in una campagna che conduciamo da oltre un anno, quali la denuncia alla Procura Generale del Sindaco Petrucci e dell'intero comitato romano della DC (avvenuta 48 ore prima del dibattito fra comunisti e clericali all'Adriano), si dimostravano, nei comizi, e nella propaganda elettorale, estremamente utili rispetto alla generalità degli elettori.

Si è naturalmente risposto da parte avversaria, forze e giornali di destra, o concorrente, partito comunista e sua stampa, con una totale congiura del silenzio contro l'accordo PSIUP-PR, e la presenza di candidati radicali nella vostra lista. Possiamo calcolare che solo cinquantamila elettori romani erano ala corrente, alla fine della campagna, dell'avvenuto accordo e della presenza di candidati radicali nelle liste PSIUP.

Malgrado questo almeno seimila radicali hanno votato PSIUP e Pannella ha riportato la stessa votazione preferenziale del vostro consigliere uscente Licata, e dal segretario della Federazione Maffioletti.

Alcuni giorni prima delle elezioni, "Lo Specchio" e l'"Agenzia Dies", quest'ultima ripresa da altri giornali fascisti e clericali, annunciavano che la Segreteria del PCI aveva ottenuto dalla Segreteria del PSIUP l'assicurazione che l'accordo con i radicali non sarebbe stato valorizzato: questo in risposta ad un passo compiuto dai comunisti, che sarebbero stati preoccupati dal tipo di azione politica perseguita dal PR.

Respingemmo e respingiamo questa interpretazione, offensiva per entrambi i nostri partiti, di fatti che purtroppo non hanno mancato di verificarsi: in particolare un atteggiamento di incomprensibile rinuncia a far valere uno degli argomenti di forza della campagna del PSIUP a Roma da parte del compagno Vecchietti, praticamente allineato alla generale congiura del silenzio contro i radicali e contro l'accordo stipulato dal PSIUP con noi.

Infatti:

1) in una lunga intervista rilasciata a "Paese Sera", alla vigilia del voto, con gli altri capolista, Vecchietti non menzionava neppure l'accordo fra PSIUP e radicali;

2) nelle sue dichiarazioni alla televisione, pochissimi giorni prima delle votazioni, Vecchietti assumeva lo stesso atteggiamento, tanto più grave in quanto un preciso accordo era fra noi intervenuto perché fosse consentita a noi radicali l'utilizzazione di due o tre minuti della trasmissione per rivolgere un appello a favore delle liste del PSIUP, o di quelle comuni. Una sola giustificazione, notarile e speciosa, potrebbe essere addotta: che nell'accordo sottoscritto dalle due Segreterie Nazionali, si era parlato della partecipazione radicale ad una emissione televisiva "elettorale", mentre quella a cui ci riferiamo s'iscriveva formalmente in un quadro già prestabilito indipendentemente dalle elezioni del 12 giugno;

3) d'altra parte, nello stesso comizio di chiusura a S. Giovanni, non una sola volta Vecchietti menzionava i radicali.

Sono fatti che richiedono almeno, come comprendete, una spiegazione, politica a non individuale. Vogliamo sapere se è questo il modo in cui i compagni della direzione del PSIUP e del Comitato centrale intendono rispettare e potenziare le loro alleanze con formazioni politiche "minori", fra le quali il Partito Radicale.

Ma intendiamo anche sottolineare che ad unanime avviso, anche fra molti compagni del PSIUP con i quali abbiamo parlato, ben più di ipotetiche insufficienze della Federazione Romana, che se ci sono state (non sta a noi giudicarlo) hanno giocato nella fase di impostazione della campagna elettorale, l'atteggiamento della Segreteria o del Segretario del PSIUP ha per lo meno provocato la mancata conquista del secondo seggio per il PSIUP in Campidoglio.

E' infatti certo che, ove si fosse aperta una sola breccia nel generale silenzio sulla presenza radicale, almeno altri duemila voti di laici e anticlericali, o comunque di voti di ferma protesta contro la DC sarebbero stati guadagnati. Non ignorate che a Roma si sono avute almeno cinquantamila schede bianche, e ventimila almeno delle nulle che avevano chiare espressioni di protesta politica.

Per finire, non possiamo non aggiungere che (contrariamente al passato) non è stata richiesta dalla Direzione del PSIUP alla nostra Direzione Nazionale nessuna forma di partecipazione alla campagna elettorale in altre città; che "Mondo Nuovo", dopo la pubblicazione dei documenti dell'accordo PSIUP-PR, non ne ha più fatto cenno; e che nella sua riunione post-elettorale la Direzione Nazionale del PSIUP, o la Segreteria, non hanno nemmeno sentito l'obbligo di rivolgere un qualsiasi ringraziamento ai radicali, o di fare cenno qualsiasi della nostra presenza nella lotta elettorale.

Ci auguriamo che vogliate accogliere questa franca protesta che vi inviamo per quel che è e vuole essere: un tentativo di analizzare errori che riteniamo tutt'altro che necessari al fine di superarli per il futuro, creando le condizioni per una più proficua e costruttiva collaborazione.

Per la Sezione Romana del Partito Radicale (Massimo Teodori)".

Le collaborazioni elettorali, l'incontro continuo sulle battaglie politiche in molte città d'Italia, le iniziative comuni prese alla base tra militanti del PSIUP e del PR, non si traduceva però in quella cordialità di rapporti, nel rispetto delle autonomie e delle posizioni dei singoli partiti, che ne sarebbero dovuti naturalmente discendere. Facendo eco ad un analogo tentativo della stampa comunista di alcuni mesi prima, smentito dai fatti successivi, il giornalista Piero Ardenti, dalle colonne di "Mondo Nuovo" (n. 15 dell'aprile 1967) pubblicava un corsivo dal titolo "Evasioni laiciste" che tendeva a mistificare fatti e screditare dirigenti radicali.

All'articolo, i radicali erano costretti a rispondere con una "querela per diffamazione", della quale l'ufficio stampa del PR, così dava notizia il 19 aprile 1967:

"Questa mattina l'avv. Franco De Cataldo, per incarico del dott. Marco Pannella della Segreteria Nazionale del PR, ha presentato una querela per diffamazione contro l'estensore di una notizia dal titolo "Evasioni laiciste" pubblicata nel n. 15 del settimanale del PSIUP "Mondo Nuovo" e contro il direttore responsabile della pubblicazione.

E' stata concessa la più ampia facoltà di prova.

Nello scritto che è all'origine della querela era stato affermato che in occasione delle manifestazioni di sinistra tenute a Roma durante il soggiorno del vice presidente Humphrey, il dott. Marco Pannella aveva assistito in compagnia di giovani di "Nuova Repubblica", da un balcone della sede di questo Movimento, agli incidenti fra manifestanti e polizia. Si affermava anche che in tale occasione erano stati dileggiati e provocati i manifestanti da parte delle persone presenti sul balcone. Si concludeva rilevando che, in tal modo, impegnando anche la responsabilità della Lega Italiana del Divorzio, della cui Segreteria fa parte il dott. Pannella, questi realizzava dialoghi con giovani gollisti, attraverso una "evasione laicista", mentre le forze democratiche si facevano "picchiare" dalla polizia.

La Segreteria Nazionale del Partito Radicale fa rilevare che questo episodio di falsificazione e diffamazione si inquadra in un generale atteggiamento di ostilità del settimale del PSIUP contro il Partito Radicale, e in una polemica antilaicista che si svolge ormai, in vario modo, da numerosi mesi. Questo malgrado i rapporti si stretta e puntuale collaborazione politica fra i due partiti che, evidentemente, una qualche fazione interna del PSIUP, con mezzi spesso privi di semplice dignità politica, intende colpire.

A proposito dell'episodio che è servito di pretesto allo scritto contro cui è stata presentata la querela, dovrebbe essere superfluo ricordare che il dott. Pannella aveva partecipato ad un dibattito cui era stato invitato come esponente divorzista dal Movimento di Nuova Repubblica, come numerosissimi altri, nelle più svariate sedi ed occasioni politiche. Ma era di dominio pubblico, in particolare negli ambienti democratici di sinistra, che fra gli 11 iscritti al Partito Radicale fermati e denunciati per la loro manifestazione pacifista e per gli incidenti con la polizia, era anche il dott. Pannella, trattenuto nei locali di polizia del 1· distratto di Roma da prima delle 20 a dopo le 24".

Questo spiacevole episodio giudiziario, reso necessario dal settarismo di alcuni episodi esponenti del PSIUP, si è concluso con una sentenza di condanna del Tribunale di Roma a carico del direttore responsabile di "Mondo Nuovo", al termine del processo di 1· grado.

Al III Congresso del PR di Bologna, nonostante l'attacco di "Mondo Nuovo", la Direzione del PSIUP veniva invitata a partecipare e portare il saluto. Il compagno Livigni, per conto della direzione socialproletaria, parlava in congresso sottolineando in particolare le ragioni di convergenza tra il PSIUP e PR. Il giudizio positivo sul congresso radicale veniva riaffermato da Livigni in una lettera inviata al Segretario del PR in data 16-6-1967 in risposta al ringraziamento dei radicali.

"...tornando dalla Sicilia, trovo la tua lettera. Ti ringrazio per le tue gentili espressioni. Effettivamente sono partito dalle cose da te dette al nostro congresso, perché penso che, pur con le differenze esistenti, sia possibile individuare importanti punti di contatto nella linea politica dei nostri due partiti.

Non entro nel merito dei motivi di contrasto che in precedenza ci sono stati: ritengo che dopo il vostro Congresso (e in questo senso ho riferito alla Direzione del mio Partito) sia non solo possibile ma necessario riprendere contatti fra i nostri Partiti".

Su iniziativa radicale veniva allora sollecitato un colloquio a livello delle segreterie, avvenuto il 20-10-1967. Durante il colloquio non poteva non registrarsi, tra l'altro, la convergenza nell'azione di alcune battaglie politiche sviluppatesi nel Paese.

Infatti in molte sedi radicali e socialproletari si sono trovati accanto: negli Abruzzi come nel Veneto, a Bologna come a Milano. In questa ultima città la collaborazione tra le due federazioni è stata molto stretta soprattutto nel corso del 1967, quando, tra l'altro, i radicali hanno partecipato con un intervento al congresso del PSIUP sulla "carta rivendicativa" (30-9-1967), hanno organizzato in collaborazione le manifestazioni per la Grecia, per Debray, per il Vietnam, hanno aderito alla manifestazione anti-NATO di Vicenza (11-10-1967) dopoché le locali federazioni del PSIUP avevano cooperato ed aderito alla riuscita della marcia Milano-Vicenza di dieci giorni (fine luglio 1967) organizzata dalla federazione milanese del PR.

 
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