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Spadaccia Gianfranco - 3 novembre 1967
IV CONGRESSO: RELAZIONE DEL SEGRETARIO DEL PARTITO
Gianfranco Spadaccia

IV Congresso Nazionale

"La Sinistra contro il regime"

SOMMARIO: Il partito radicale si presenta al suo IV Congresso come "componente autonoma e unitaria della sinistra", come forza di minoranza intransigente, che ricerca le "costanti di fondo", le "fondamentali linee di sviluppo" della realtà politica, sulle quali misurare la propria iniziativa. Il partito considera positiva l'approvazione della legge elettorale regionale, e si augura che anche l'istituto del referendum trovi presto in Parlamento la sua approvazione. E' necessario infatti che la sinistra sviluppi di più l' iniziativa sui "contenuti democratici della politica costituzionale", per modificare gli assetti che si sono realizzati sotto la guida della DC. La sinistra ha per almeno due volte assicurato la difesa delle condizioni di democrazia contro le minacce delle destre, ma in generale la Costituzione è ancora malamente attuata: anche la realizzazione delle regioni subito dopo la guerra e la liberazione avrebbe prodotto risultati ben diversi. La stessa Corte Costituzionale ha subìto un processo di

grave involuzione, clericale e conservatrice, per la quale ci sono responsabilità anche a livello di Presidenza della Repubblica. Ma il partito radicale pone anche la questione del Concordato, della sua abrogazione: è attraverso il canale concordatario che passa oggi il tentativo di dichiarare la non costituzionalità del progetto Fortuna sul divorzio, nonché le forme della collaborazione dei laici con la DC. Vi sono poi i problemi dell'abolizione del prefetto, del finanziamento delle scuole clericali, ecc., sui quali la Costituzione è stata svuotata o distorta. Sempre più valida, insomma, è la denuncia fatta da Pannella, secondo cui "la DC ha realizzato il sistema corporativo del fascismo". La verità è che, con la liberazione, non si è avuta una radicale modificazione dell'ordinamento giuridico, cosicché la Costituzione si è sovrapposta a strutture che la contraddicevano. Ma anche nel settore dell'economia pubblica, il potere effettivo è stato affidato a forze politiche e sociali che sono espressione di un p

otere non democratico ma di classe e che vanno combattute, facendo ricorso alla magistratura ma sopratutto spezzando le resistenze delle sinistre e dei sindacati, così come è stato fatto con il SIFAR. Queste forze conservatrici e di classe si sono alleate in molti settori con la DC. Di quì, il tema del Congresso, "La sinistra contro il regime". Quali che siano le responsabilità storiche della sinistra, oggi si apre comunque una stagione nuova, e in questa il nuovo partito radicale, non più partito di "intellettuali" e di "professionisti legati alla rispettabilità del proprio ceto", ha sviluppato le sue battaglie militanti. Per farlo, esso ha anche corso il rischio di "uscire dalla politica", un rischio compensato dall'intensa partecipazione alle sue lotte di cittadini che votano per uno dei partiti della sinistra. Grazie a queste battaglie, l'indicazione di unità delle sinistre e di alternativa alla DC diventa credibile, se saprà passare non per i vertici dei partiti ma attraverso il rinnovamento dei contenu

ti di lotta e di organizzazione politica. Tra queste lotte, ci sono l'internazionalismo, l'anticlericalismo, la lotta per i diritti civili, il pacifismo e l'antimilitarismo. L'esperienza degli ultimi anni, e dei cinque mesi dall'ultimo congresso consente oggi al partito di evitare alcuni seri rischi: il partito non si limita più infatti a "un'opera di sollecitazione e di stimolo nei confronti delle altre forze di sinistra"; né si è chiuso in una sterile "critica" degli errori delle sinistre. In questo modo, esso ha superato le critiche di "scarso realismo", di "astrattezza", di "massimalismo laico". Seguono alcune analisi sull'attualità del confronto sul Concordato, sull'uscita dell'Italia dalla Nato, per il disarmo, per la "conversione delle strutture militari in strutture civili": tutte lotte che non sono affatto, come si ripete a sinistra, "sovrastrutturali", ma incidono profondamente sui livelli di vita e sui diritti delle grandi masse e restano "momenti essenziali" di una società socialista. Su almeno d

ue dei temi di riforma, i radicali hanno già incontrato le masse e i loro bisogni: nella battaglia contro la classe dirigente dell'ENI e in quella sull'assistenza pubblica.

Queste battaglie hanno anche dimostrato che non necessariamente il settore pubblico è più democratico di quello privato: vi è tutta una serie di esempi "che dimostrano come gli enti pubblici si traducano in strumenti di regime", in assenza di adeguati strumenti di controllo e di garanzia dello "Stato di diritto". E' assurdo, allora, riproporre prospettive di "socializzazione, di autogestione o almeno di controllo operaio" per il settore, senza cadere nel massimalismo di chi attende la "rivoluzione" che consegni le fabbriche ad un nuovo tipo di gestione, "gerarchica e burocratica". La validità delle battaglie radicali è confermata anche alla luce degli avvenimenti internazionali: dall'anticlericalismo, non inficiato, ma semmai confermato, dallo svolgimento del Concilio e dalle nuove speranze ed esigenze emerse nel mondo eccleiale, fino all'antimilitarismo e all'internazionalismo, contestato da destra e da sinistra con argomentazioni falsamente "scientifiche".

A sostegno e a fondamento di queste battaglie e della strategia generale del partito vi è ora il suo nuovo statuto, esperienza peculiare e profondamente rinnovatrice per tutta la sinistra e la sua tradizione fatta di "chiese e sette" nelle quali il dibattito interno è cancellato o reso impossibile: il partito radicale si propone ora come il partito dalla concezione "libertaria",nel "rifiuto dell'ideologismo collettivo", laico, federalista e federato, fondato sul volontariato e sull'autofinanziamento [seguono dettagliate chiarificazioni sul significato di queste definizioni, sopratutto per quanto riguarda: a) L'operato degli organi direttivi; b) La preparazione del Congresso; c) L'autofinanziamento; d) Il funzionamento degli organi direttivi ed esecutivi del partito; e) I rapporti con gli altri partiti della sinistra]. Vengono quindi ricordati ed analizzati gli insuccessi subiti: Progetto Thirring di disarmo unilaterale austriaco, Comitato per l'unità della sinistra, Comitato per l'unità della sinistra, Comit

ato promotore del sindacato della scuola pubblica. Valida invece si è dimostrata - ricorda l'a. - l'esperienza della LID, organismo pienamente autonomo ma nato dalle stesse esperienze e con gli stessi metodi. Il IV congresso, il primo congresso ordinario del partito rinnovato, deve ora porsi gli obiettivi da raggiungere nella lotta politica: sul terreno dell'anticlericalismo, in particolare, per fare affermare il principio e la politica dell'abrogazione del Concordato; sui diritti civili, per l'introduzione del divorzio e la democratizzazione della pubblica sicurezza, per la conquista di una vera libertà sessuale ecc. Per raggiungerli, si indicano come prioritari gli sforzi per a) il rafforzamento delle struture centrali; b) l'ampliamento dell'esperienza federativa con altri gruppi; c) la costituzione di alcuni comitati regionali.

(IV Congresso Nazionale del Partito radicale - Firenze, PALAGIO DI PARTE GUELFA, 3-4-5 Novembre 1967)

Lo slogan, il tema di un congresso ha sempre un valore indicativo, un valore necessariamente approssimativo di sintesi quasi forzata degli obiettivi generali per un partito politico. E tuttavia questo tema che abbiamo scelto per il nostro IV Congresso per noi significa almeno due cose: che nonostante le sue divisioni, le sue carenze e i suoi errori, nonostante la lontananza che spesso ci divide dalle altre componenti politiche, noi crediamo nella sinistra politica; che di questa sinistra noi ci consideriamo una componente autonoma e unitaria e indirizziamo la nostra azione e la nostra lotta verso obiettivi che contribuiscono al suo rinnovamento e al suo rafforzamento.

Il compito di una forza politica di intransigente minoranza - quale noi siamo - è quello di guardare alla situazione politica, senza fermarsi ai dati contingenti di schieramento che assorbono tanta parte del dibattito politico e obbligano ad analisi tattiche che esigono una continua rielaborazione e un continuo aggiustamento alla mutevole realtà politica, ma cercando di individuare alcune costanti di fondo, alcune fondamentai linee di sviluppo di questa stessa realtà. E su questi dati assai meno superficiali e assai meno mutevoli vanno individuati i nostri obiettivi politici e va misurata l'efficacia e la validità della nostra azione.

Mi sforzerò quindi in questa relazione di guardare alle istituzioni e al loro funzionamento, di esaminare i rapporto di forze non quale si presenta alla luce dell'attuale schieramento parlamentare, ma quale realmente si manifesta a livello delle strutture di potere della società e dello stato. E mi auguro che da questo esame acquistino preciso risalto, si staglino nettamente gli effettivi spartiacque politici, che dividono una politica di riforma e di rinnovamento da una politica di conservazione e di regime.

Così come mi auguro che sia possibile al partito, su questa base, approfondire la propria strategia generale di lotta e scegliere degli obiettivi che ci consentano di portare avanti nel prossimo anno con efficacia quelle scelte generali che abbiamo compiuto nel III Congresso nazionale del maggio scorso e che hanno reso irrevocabile una profonda svolta nella vita del Partito Radicale.

Proprio mentre apriamo questa assemblea, si sta concludendo alla Camera la battaglia contro l'ostruzionismo delle ali liberali e neofasciste della destra per l'approvazione della legge elettorale regionale. L'approvazione di questa legge apre la strada all'attuazione nel corso della prossima legislatura di uno dei fondamentali istituti della nostra carta costituzionale. Se per quell'epoca anche l'istituto del referendum sarà approvato ed entrato in funzione potrà considerarsi attuato, anche se attuato con venti anni di ritardo l'intero quadro costituzionale.

Noi consideriamo positivo questo completamento non solo perché, anche se parzialmente svuotate e fortemente limitate nei loro contenuti innovatori, quelle riforme offriranno comunque maggiore articolazione, nuovi strumenti e nuovi punti di riferimento alla lotta democratica, ma anche perché il completamento del quadro costituzionale repubblicano obbligherà la sinistra nel suo complesso a riesaminare la propria politica, anche quella costituzionale, al di là dei compiti di attuazione che in questa anni si era fissata.

"Attuare la costituzione" è stato per venti anni lo slogan della sinistra. Si potrà sostenere che la politica per l'attuazione non sarà per questo esaurita, che la realizzazione dei più importanti istituti costituzionali comporterà uno spostamento ancora più accentuato sui contenuti della politica costituzionale ma non è sulle formule, sugli slogan, ma sugli obiettivi generali di una politica che intendiamo aprire il dibattito, richiamare l'attenzione e il rinnovato impegno delle forze della sinistra.

Una lotta per i contenuti democratici della politica costituzionale non può prescindere da una profonda modificazione dell'equilibrio costituzionale quale si è venuto realizzando in questi venti anni di democrazia repubblicana. Il problema non si può più porre - neanche per coloro che venti anni fa potevano auspicarlo - in termini di confronto fra forze progressive e forze frenanti, che si muoverebbero tuttavia all'interno di una omogenea concezione della società e dello stato.

Nessuno può ignorare che già nei dibattiti dell'assemblea costituente l'unità che di volta in volta si realizzava con i costituenti della destra e cioè prevalentemente di parte cattolica - il difficile e complicato equilibrio su cui si fondava l'unità delle forze del CLN - lasciava aperte almeno due linee di sviluppo. E su problemi di fondamentale importanza - da quelli del diritto familiare, a quelli della organizzazione delle autonomie, a quelli stessi della proprietà e della organizzazione della economia, fino a quelli dei diritti civili e dei rapporti fra stato e cittadini - quelle due possibili linee di sviluppo si presentavano già allora come opposte e alternative.

Ma se questa era la situazione negli anni 1946 e 1946, dobbiamo domandarci quale è oggi la situazione; come si presenta oggi quel confronto che con il compromesso costituzionale si era sperato di incanalare e regolare nell'ambito di una articolata convivenza democratica.

Il potere della Democrazia Cristiana, perpetuandosi in questi venti anni, senza che mai si delineassero valide prospettive di alternative, ha profondamente alterato i termini del confronto, ha profondamente deteriorato le basi stesse del compromesso costituzionale. Delle due linee di sviluppo che era possibile prevedere solo una si è affermata, quella di cui naturali e legittime protagoniste dovevano diventare le forze e gli interessi che fanno capo alla Democrazia Cristiana o che nella alleanza organizza con il potere democristiano hanno trovato la migliore tutela dei loro privilegi. L'altra linea di sviluppo - quella democratica, laica, socialista e in questo ambito liberale è stata per venti anni soffocata dal predominio democristiano.

L'unica espressione che ha avuto è stata quella della difesa delle condizioni di democrazia, che la sinistra con le proprie lotte è riuscita in genere ed in parte ad assicurare al paese contro la vocazione che in almeno due occasioni si è tramutata in aperta minaccia rivolta contro le istituzioni democratiche e la stessa costituzione.

Se solo guardiamo all'attuazione della costituzione, non è possibile non domandarsi quale influenza avrebbe dispiegato l'attuazione delle regioni all'indomani della lotta di liberazione e quale può dispiegare oggi; quale efficacia avrebbe avuto se accompagnata dalla abolizione dei prefetti quale può averne con l'istituto prefettizio ancora in vita, dopo venti anni di politica accentratrice dei governi, con la compressione autoritaria, la crisi finanziaria, lo svuotamento dei poteri delle autonomie locali, incapaci di far fronte ai loro compiti istituzionali e diventate spesso esse stesse strumento di corruzione e di potere di questo regime.

Non possiamo non domandarci quale ruolo abbia finito per assumere in questo quadro la Corte Costituzionale, per la cui attuazione si impegnò all'inizio degli anni cinquanta in una giusta e necessaria battaglia tutta la sinistra. Dall'epoca delle dimissioni di De Nicola abbiamo assistito a un processo continuo in involuzione sia nella giurisprudenza sia nel comportamento generale della Corte soprattutto per quanto riguarda i rapporti con gli altri poteri dello stato. Abbiamo avuto presidenze conservatrici e poi democristiane, compromessi con il governo sulla attuazione delle sentenze; rinuncia ai compiti specifici della Corte e fuga dalle responsabilità attraverso le cosiddette sentenze interpretative; sentenze spesso conformiste e conservatrici, a volte apertamente reazionarie, in quasi ogni campo della interpretazione della costituzione.

Sarebbe vano ricercare le ragioni di tutto ciò sul piano istituzionale o riversare ogni responsabilità sulle resistenze governative o sulla inefficienza del Parlamento. Dietro il problema istituzionale c'è il problema politico della composizione della Corte. L'involuzione della nostra giurisprudenza costituzionale è la risultante obbligata del blocco clerico-conservatore strettosi fra i giudici nominati da presidenti della repubblica democristiani e la maggioranza di quelli eletti del parlamento e degli alti gradi della magistratura. E' quindi un problema politico di controllo della Presidenza della repubblica (e anche da questo punto di vista non è indifferente che la suprema magistratura sia affidata ad un laico e ad un socialista moderato o ad un clerico-sociale, di maggioranza parlamentare); di rottura del monopolio di potere degli alti gradi della magistratura.

Purtroppo, aderendo al progetto di revisione costituzionale proposto da Segni, le sinistre hanno prolungato i tempi e allontanato le possibilità di rimettere in discussione radicalmente alla scadenza dodecennale, che saggiamente i costituenti avevano fissato come scadenza collettiva della Corte, l'intero equilibrio politico politico che si è costituito all'interno di questo istituto. Il compito diventa più difficile e forse più logorante, ma proprio per questo riteniamo di doverlo porre all'attenzione dell'opinione pubblica e di richiamare su di esso le responsabilità e le scelte della sinistra.

Ma se esaminiamo ciò che è avvenuto per un altro punto della nostra Costituzione, e di fronte al quale la posizione del Partito Radicale è sempre stata netta ed inequivocabile, non possiamo non giungere ad analoghe conclusioni. Noi non riteniamo né irrealistico né astratto proporre al paese il superamento della soluzione concordataria e porci l'obiettivo della abrogazione del concordato: su questo la nostra posizione rimane la stessa di Ernesto Rossi e di Piccardi, del Partito Radicale degli anni '50. Ma se ci poniamo dal punto di vista di coloro che invece ritengono di poter basare sullo strumento concordatario soluzioni democratiche e laiche, dobbiamo rilevare che queste stesse soluzioni si scontrano e non da oggi con una opposta ed irriducibile concezione e volontà politica del partito clericale. All'interno dello schieramento delle forze che accettarono, al momento del voto e successivamente, quel compromesso costituzionale, sono convissute due interpretazioni e due concezioni inconciliabili su tutti i p

roblemi di attuazione costituzionale posti dall'art. 7: dal problema della costituzionalizzazione o meno dei patti lateranensi, a quello del rapporto fra norme costituzionali e norme concordatarie in conflitto fra loro; a quelli di interpretazione della norma costituzionale ai fini della applicazione di alcune norme concordatarie.

Di questo irriducibile contrasto si è avuta una prova nel dibattito sulla costituzionalità del progetto Fortuna, un dibattito che non si è naturalmente concluso con la votazione della Commissione affari costituzionali della Camera dei Deputati, e che è destinato a farsi più duro quando si vorranno affrontare i problemi di revisione del Concordato, anche secondo la insoddisfacente mozione proposta alla Camera dal governo di centro sinistra e approvato della maggioranza parlamentare.

Anche qui per venti anni non vi è stato alcun confronto. Coloro che speravano, a partire dall'art. 7 e dalla "pace religiosa" che l'art. 7 avrebbe dovuto assicurare al paese, di aprire rapidamente il discorso e le prospettive della revisione, le hanno viste invece rapidamente chiudersi all'indomani dell'entrata in funzione della Costituzione; hanno dovuto rendersi conto che le promesse e le buone volontà cattoliche erano ingannevoli, non per la mala fede degli uomini che le avevano espresse - i De Gasperi, i Dossetti, i Moro, i La Pira - ma per la ferrea logica degli interessi clericali di cui quegli uomini erano espressione.

La "pace religiosa" dell'art. 7 che avrebbe dovuto costituire la nuova base di convivenza democratica fra cattolici e laici, ha costituito il canale attraverso il quale è passato in questi venti anni e si è sviluppato nel paese, senza trovare alcun freno legislativo e costituzionale, il processo di clericalizzazione della società e dello stato.

Non c'è neppure bisogno di ricordare che in quel canale che i comunisti hanno contribuito con il loro voto ad edificare, sono poi quotidianamente passate le acque della collaborazione governativa di altre forze della sinistra: quelle stesse forze che non perdono occasione di riaccendere la polemica nei confronti del PCI in merito all'art. 7 pur non avendo mai contrastato, ed avendo anzi facilitato, il consolidamento delle posizioni di potere della D.C. e della Chiesa.

E se oggi il discorso sembra riaprirsi non è, come si pretende, per le improvvise aperture della Chiesa e le sue innovazioni, ma perché il paese, assai prima della classe politica, si è dimostrato insofferente di quei vincoli costituzionali e rivendicazioni che sono state per venti anni considerate secondarie o liquidate come piccolo-borghesi diventano oggi rivendicazioni popolari.

Il quadro non muta se guardiamo ad altri problemi di interpretazione e di attuazione della costituzione: da quello della costituzionalità o meno dell'istituto prefettizio, a quello sui finanziamenti alle scuole materne clericali, a quelli della libertà di insegnamento, alle garanzie di libertà del cittadino nei confronti delle forze di polizia, alle speranze di controlli democratici delle forze armate, e ad innumerevoli altri sui quali l'attuazione della costituzione è stata largamente svuotata o fortemente limitata e distorta da una interpretazione autoritaria o clericale.

Un equilibrio costituzionale, quale quello che si è determinato nel nostro paese, non può tuttavia valutarsi e giudicare sulla base del solo processo di attuazione delle norme costituzionale e della loro interpretazione.

Non si può non tener conto del peso e dell'influenza che il potere e i nuovi rapporti di forze hanno esercitato in ogni campo della vita politica e sociale, concorrendo anche a modificare profondamente i termini del confronto fra forze cattoliche e forze della sinistra laica e socialista.

Se nel campo del diritto familiare e matrimoniale il problema si pone ancora nei suoi termini tradizionali di riconquista della sovranità dello Stato e lo stesso può dirsi per quell'articolo del concordato che considera la religione cattolica "coronamento dell'istruzione", in altri settori dove la Costituzione poneva degli argini o apriva prospettive positive di rinnovamento istituzionale ci troviamo oggi ovunque di fronte a nuovi e urgenti problemi di scelta e di lotta politica.

Il dettato costituzionale, che fissava in qualche misura degli argini ai finanziamenti alla scuola privata, è stato travolto da una pratica di governo che ha integrato e sostituito le strutture clericali già esistenti con un'opera di graduale impossessamento delle strutture pubbliche della istruzione.

Ciò che una volta la destra si assicurava solo o prevalentemente attraverso la rete delle scuole confessionali, oggi lo assicura anche attraverso il controllo ministeriale, attraverso il sottogoverno, attraverso il maneggio dei bilanci, attraverso una fitta rete di organizzazioni parascolastiche che di pubblico hanno soltanto i finanziamenti. Rispetto a questi aspetti nuovi della clericalizzazione della scuola, la tradizionale rete delle scuole confessionali diventa meno necessaria alla vecchia concorrenza e bipolarità fra scuola statale e scuola privata (quella cui faceva riferimento Salvemini nel suo "i clericali all'assalto della scuola"); si è infatti sostituita una gestione unica confessionale, autoritaria, di destra - dei due tipi di scuola. E attraverso questi nuovi strumenti ne risulta - sulla formazione dei quadri e sulla loro selezione come in genere su tutta l'organizzazione parascolastica - un'opera di spossessamento delle funzioni dello Stato, di fatto trasferite o delegate ad organismi di chiar

o orientamento clericale.

Fenomeno non diverso - come abbiamo potuto dimostrare nelle nostre denunce e nelle nostre inchieste - da quello che si verifica nell'intero campo della sicurezza sociale e assistenza e cioè in gran parte della previdenza pubblica, settori che amministrano ormai una cospicua parte del reddito nazionale per somme pressoché corrispondenti a quelle del bilancio dello Stato. Non ho bisogno di richiamare il quadro che è emerso dalle nostre lotte in questo settore. Mi limiterò a richiamare ciò che denunciava Pannella nella sua relazione al III Congresso Nazionale: "avere la democrazia cristiana compiutamente realizzato quel sistema corporativo di cui il fascismo aveva gettato le basi normative senza che la guerra mondiale gli consentisse di assicurarne la realizzazione".

Il fatto che sia mancata, al termine della lotta di liberazione, una radicale modificazione di tutto l'ordinamento giuridico e la profonda trasformazione delle strutture create dal fascismo ha consentito che la Costituzione si sovrapponesse a strutture che la contraddicessero, che poggiasse le proprie basi, in questo settore ma non solo in questo, su un vuoto democratico in cui si sono inserite in questi anni forze che hanno operato un'opera continua e costante di manomissione delle funzioni dello stato, non solo ma proprio nel settore che basa i propri finanziamenti soprattutto sui contributi dei lavoratori, il corporativismo fascista che aveva ispirato le leggi istitutive di quegli enti e la volontà della classe dirigente hanno posto, nella gestione e nel controllo, in una posizione assolutamente subordinata e marginale le rappresentanze dei lavoratori rispetto alle rappresentanze dominanti e determinanti della burocrazia ministeriale di falsi organismi sindacali e settoriali, di numerosi organismi del reg

ime. Accettando questa rappresentanza fittizia e impotente, in organi di gestione che gli erano estranei e avrebbero dovuto essergli avversari, i sindacati dei lavoratori hanno finito spesso per rendersi, consapevolmente o no, corresponsabili dell'opera di spossessamento che quotidianamente veniva compiuta a danno dello Stato e dei lavoratori.

Ma anche nel campo dove la costituzionale sembrava avere più innovato aprendo la strada ad importanti riforme istituzionali, nel settore cioè del pubblico intervento nell'economia, anche qui il potere conquistato dalla democrazia cristiana e che gli è venuto e si è rafforzato grazie anche alla saldatura di interessi, alla alleanza organica con la tecnocrazia dei nuovi enti economici dello Stato, pone alla sinistra problemi che non possono essere più a lungo ignorati. Sia i teorici dell'economia a due settori, sia i teorici del trasferimento crescente di settori dell'economia dalla mano privata a quella pubblica non possono più a lungo continuare ad ignorare, nella valutazione della efficacia dell'intervento pubblico, le forze politiche e sociali che sono destinate a controllarlo e a dirigerlo. Così è avvenuto che tutte le più importanti riforme della nostra vita politica in questo ventennio sono diventati potenti strumenti di potere della classe dirigente, per cui anche da questo punto di vista si può parlar

e di potere di classe, e in questo modo strumenti di controllo e di corruzione della vita politica e non solo potenziali veicoli, ma in realtà oggettivi elaboratori di un nuovo autoritarismo; nuovo perché più tecnocratico e legato allo sviluppo industriale del paese invece che alle condizioni della vecchia società rurale, che rappresentano ancora gran parte della realtà del nostro paese.

Significa questo che democratici e socialisti siamo improvvisamente contro tutto quanto è venuto proprio dal nostro mondo e dal nostro ambiente negli anni cinquanta? Significa che intendiamo rinunciare per questo agli strumenti della nazionalizzazione e dell'intervento pubblico? No, significa che per noi le forze che gestiscono quegli strumenti e i modi istituzionali di gestione sono per noi elementi determinanti nel valutare l'efficacia democratica dell'intervento pubblico. Significa che là dove questi strumenti si trasformano da strumenti dello stato in strumenti di questo potere e di questo regime, lì occorre condurre una lotta senza quartiere, anche se necessario con le denunce alla magistratura come noi siamo stati costretti a fare in alcuni casi, ma soprattutto attraverso lotte coraggiose nel parlamento, nel paese, nella azione sindacale dei lavoratori.

E' quanto la sinistra ha fatto in questo ultimo anno nei confronti del SIFAR e dalla sua utilizzazione a scopi di spionaggio politico e di corruzione. Solo apparentemente si tratta di problemi diversi che esigono comportamenti diversi. Ed è una analisi che, con maggiore o minore gravità, si potrebbe estendere tranquillamente ad altri settori della vita pubblica.

Un elemento infine che non può non essere sottolineato, nell'individuare le componenti che hanno concorso a determinare questo profondo mutamento del nostro equilibrio costituzionale attraverso il controllo delle strutture di potere, è la confluenza fra gli interessi della classe dirigente clericale e alcuni settori, alcune grandi corporazioni della borghesia italiana: una confluenza di interessi che in molti casi è vera e propria alleanza organica, vero e proprio blocco clerico conservatore. Nel libro di Giorgio Galli "bipartitismo imperfetto" viene ricorrentemente indicato come uno dei motivi del successo democristiano, la capacità di questo partito di fondere e attrarre insieme intorno alla sua politica i settori dell'elettorato popolare cattolico e non cattolico e quelli dell'elettorato moderato e conservatore. Galli considera questa come una delle due grandi contraddizioni della nostra vita politica e del nostro equilibrio costituzionale. Si tratta di una analisi prevalentemente elettorale. Molto di più

di Galli noi riteniamo che le modificazioni sociologiche aprano sul terreno elettorale molte possibilità di modificazione politica alla sinistra. Ma se spostiamo la analisi di Galli dal terreno elettorale dove riguarda soprattutto i ceti medi e il loro orientamento politico a quello delle strutture di potere vediamo che la confluenza che si è verificata è assai meno intaccabile, assai più solida, tale insomma da non apparire affatto una contraddizione ma una alleanza naturale e inevitabile. Pensiamo ai gradi più alti della magistratura, alla alta burocrazia, agli ordini professionali. Non è un caso ad esempio che nella lotta sorda che si è sviluppata all'interno del centro-sinistra intorno alla riforma ospedaliera del Ministro Mariotti, questi si è trovato a fianco solo i medici ospedalieri, mentre le resistenze di Bosco hanno potuto far perno sugli amministratori degli ospedali e su tutti gli ordini professionali d'Italia.

E' da elementi di analisi come questi che nasce il tema del nostro congresso: "La sinistra contro il regime". La sinistra non può non tener conto che, all'interno dell'involucro costituzionale, la democrazia Cristiana è riuscita ad imporre la propria concezione autoritaria, clericale, corporativa, interclassista della società e dello stato. Ha potuto farlo attraverso venti anni di ininterrotto esercizio del potere, ritardando e svuotando o distorcendo l'attuazione di alcuni fondamentali istituti costituzionali, esprimendo e tutelando gli interessi di classe della borghesia, avvalendosi in questo lungo arco di tempo delle più disparate alleanze politiche e utilizzando - come oggi avviene con il centro-sinistra - la collaborazione di importanti settori della sinistra.

In questi venti anni tutto lo schieramento della sinistra - quella di governo non meno che quella di opposizione - si è ritenuto costretto ad un ruolo difensivo per impedire che questo processo avesse sviluppi apertamente totalitari. La sinistra si è divisa in questi anni soprattutto sui problemi di politica internazionale. Queste lacerazioni non hanno lasciato posto ad altri problemi, ad altre scelte, ad altre attenzioni, soprattutto non hanno lasciato posto alla lotta contro le trasformazioni delle strutture stesse dello stato repubblicano che la Democrazia Cristiana, rafforzata da quelle divisioni, veniva attuando. Ed oggi i socialisti con venti anni di ritardo cercano di attuare ciò che ha costituito per venti anni rivendicazione comune di tutta la sinistra; cercano di attuarlo con una collaborazione e un rapporto di forze che è già un insuccesso, mentre una parte del PSU subisce di nuovo la tentazione di limitare il confronto con il resto della sinistra ad una diatriba sui problemi internazionali - pro

e contro la NATO, partito americano contro partito russo - come dimostra ciò che è avvenuto per la guerra dei nove giorni. Il ruolo più positivo che un partito come il comunista ha saputo assicurare alla democrazia italiana è stato quello di difendere con la propria esistenza e i propri interessi, di fatto, i più ampi margini di libertà all'interno dell'equilibrio costituzionale che si veniva formando, contrapponendo la più forte organizzazione del movimento operaio, presente, ad un certo momento, in ogni zona del paese, in ogni luogo di lavoro, in ogni sezione elettorale.

Né individuiamo in questo ruolo del partito comunista un limite o una colpa, caso mai un merito della opposizione di sinistra.

Preferiamo lasciare ad altri o ad altra sede il compito di ricercare un definitivo giudizio sulle responsabilità storiche della sinistra, di governo e di opposizione. Per mio conto sento che sarebbe errato riprendere le polemiche che si svolsero all'interno delle forze della Resistenza e calarle nella realtà attuale. E a cosa dovremmo rifarci e cosa potremmo contrapporre se non la storia di molti fallimenti di minoranze che non ebbero la capacità e il coraggio di essere fino in fondo tali? Sarebbe sterile, presuntuoso, arbitrario aprire oggi il processo alla esistenza e alla lotta di liberazione e al loro sbocco politico, parlare di Resistenza tradita o di Resistenza incompiuta. C'è una stagione politica dietro le nostre spalle che coinvolge le responsabilità di tutta la sinistra e, in quanto componente della sinistra, è inutile cercare di dimostrare la estraneità del P.R. o la sua presenza di fronte a queste responsabilità.

E' passata con le sue luci e le sue ombre, e un'altra se ne apre, senza soluzioni di continuità, ma ponendo problemi diversi, esigendo nuove scelte politiche.

Guardiamo alla realtà presente, quella nella quale dobbiamo operare. E' a partire da questa realtà che si sviluppa il nostro confronto con il resto della sinistra. E' un confronto che non intendiamo affidare alle contrapposizioni ideologiche e programmatiche, ma alla validità dei nostri obiettivi di lotta e alla efficacia della nostra azione politica. Quanto rivendichiamo oggi non lo rivendichiamo in polemica con il passato della sinistra italiana, ma anche sulla base di quanto la sinistra è riuscita a realizzare in termini di difesa della democrazia, di organizzazione del movimento operaio, di emancipazione civile e politica di vaste masse di lavoratori e di cittadini.

Quando affermiamo che la lotta democratica è riuscita a difendere alcune condizioni di democrazia ma non è riuscita ad impedire che si costituisse e si consolidasse una situazione di regime, quando indirizziamo contro questo regime la nostra lotta, sappiamo che la realtà di questa situazione e le esigenze di questa lotta sono presenti alla consapevolezza e alla responsabilità di settori sempre più ampi della classe dirigente della sinistra, sappiamo che questa stessa richiesta viene oggi avvertita e avanzata verso ogni altro raggruppamento politico dalle masse democratiche e socialiste.

Il tema di questo congresso non è un tema nuovo nella storia del nostro Partito. Uno dei convegni dell'Eliseo, promosso dalla vecchia classe dirigente radicale e negli anni cinquanta, ebbe un tema analogo ("Verso il regime"). Di nuovo c'è il fatto che questo regime oggi non lo denunciamo più e non lo combattiamo più soltanto sulla base di analisi astratte della realtà del nostro paese.

Questo regime noi lo abbiamo incontrato e combattuto in questi anni con le nostre lotte, lo abbiamo incontrato nelle piazze e nei commissariati, subendo le violenze e le illegalità della polizia, alcuni di noi lo hanno incontrato e altri lo incontreranno nelle aule dei tribunali; lo abbiamo combattuto con iniziative politiche intransigenti e, crediamo, efficaci; scegliendo di volta in volta gli obiettivi da colpire; svincolandoci dalla logica di un inaccettabile equilibrio politico, di una inaccettabile "opportunità" politica; avendo il coraggio di riproporre battaglie e obiettivi di lotta che da decenni ormai venivano considerati superati e impopolari, mentre in realtà erano stati soltanto dimenticati e abbandonati.

Siamo diventati così non più un partito di intellettuali e di professionisti legati alla rispettabilità del proprio ceto e del proprio ambiente, ma un partito di militanti della sinistra, un partito profondamente e direttamente legato alle aspirazioni, alle rivendicazioni, alla protesta della nuova società italiana, un partito di questa società capace di organizzarsi a partire da quelle stesse rivendicazioni, da quelle stesse aspirazioni, da quella protesta. Abbiamo avuto il coraggio di essere il partito dei divorziati e dei separati, il partito dei giovani non importa se beat o provo o hippie che si battono contro le strutture militari e per la libertà sessuale, il partito dei lavoratori degli enti di stato, il partito dei bambini sfruttati dagli ordini religiosi e dagli appaltatori dell'assistenza pubblica, il partito delle donne che continuano a vedersi negata una condizione di effettiva parità giuridica ed economica. Un partito della società e non un partito dello Stato. Ogni volta che abbiamo condotto l

e nostre battaglie questo Stato lo abbiamo incontrato non come qualche cosa di nostro, ma come qualcosa di estraneo, qualcosa di nemico.

Può darsi che sia vero quello che ci rimproverano molti compagni di altri partiti: che così siamo usciti dalla vita politica. Ma mai come in questi anni abbiamo avvertito che questa che facciamo è politica, la vera politica, il resto è rassegnazione, il resto è amministrazione. Può darsi che siamo usciti dalla vita politica ufficiale. Se è così siamo contenti di averlo fatto. E preferiamo fallire come uomini politici, non rientrarvi affatto se non riusciremo a rientrarvi per trasformare in uno stato democratico un regime che oggi è contro la società.

Ma di nuovo rispetto ad allora, oltre a questa trasformazione del Partito e alla consapevolezza delle scelte che abbiamo compiuto, c'è anche la consapevolezza delle forze politiche e sociali che sole possono essere, che devono essere protagoniste di questa lotta. Sono le stesse forze che si esprimono elettoralmente, al momento del voto, nell'ampio schieramento delle forze della sinistra e che noi incontriamo quotidianamente nelle nostre iniziative di lotta: questo e non altro fu il motivo che ci spinse nel 1963, quando eravamo nella impossibilità di essere altrimenti presenti in quella campagna elettorale, a rivolgere un appello agli elettori perché riversassero i loro voti su uno dei partiti della sinistra; ad indicare come unica prospettiva politica valida per la sinistra quella di una nuova unità e della alternativa di potere alla Democrazia Cristiana; a parlare per tendere e che poteva essere raggiunto.

Se nonostante le ironie che suscitò allora, quello slogan è stato poi ripreso da altre forze politiche, se questo è stato lo sbocco del difficile travaglio interno del PCI nel dibattito sul "dialogo con i cattolici" e sull'unità della sinistra, se all'interno del PSU proprio dalla collaborazione con le forze cattoliche e dalle file autonomiste, perfino da posizioni di responsabilità ministeriale, sono sembrate affiorare impostazioni nuove, noi non possiamo non considerare questi fatti positivi, sintomi importanti e significativi di una evoluzione positiva all'interno della sinistra.

Quella stessa evoluzione dimostra che avevamo ragione nel 1963 a fornire quella indicazione, in una situazione cui il dibattito della sinistra sembrava avere come unici poli alternativi la scelta fra un centro-sinistra fanfaniano moderatamente aperto ai comunisti o un centro-sinistra moroteo chiuso ai comunisti.

Ma non abbiamo mai pensato, neanche nel 1963, che l'obiettivo della alternativa, di una alternativa di potere della sinistra, fosse un obiettivo facilmente raggiungibile così come non abbiamo mai pensato alla nuova unità della sinistra come ad un incontro di vertici e di apparati intorno ad una prospettiva di schieramento.

Se lo avessimo pensato e ci fossimo mossi in quella direzione avremmo ripetuto l'errore che la vecchia classe dirigente radicale ha commesso nel 1960 quando scelse di appoggiare la equivoca politica, la non politica della maggioranza del partito socialista e vi si legò mani e piedi.

Saremmo scaduti nel giro di pochi anni a modesta frangia frontista o ci saremmo ritirati nella posizione di attesa dei commentatori politici e dei sollecitatori di mutamenti. Abbiamo invece sviluppato la nostra azione autonomamente sapendo che una politica di alternativa non può nascere che da un profondo rinnovamento dei contenuti di lotta e che nuove forme di unità passano anche attraverso n profondo rinnovamento dei metodi e delle strutture di organizzazione politica e l'appoggio, l'adesione, la partecipazione cosciente e attiva di nuove masse di cittadini.

La crescita, lo sviluppo della nostra autonoma azione politica, e insieme il precisarsi di strutture e metodi di organizzazione, ci ha portato nel maggio 1967 a individuare alcuni contenuti generali di lotta che appartengono al patrimonio ideale e alle tradizioni politiche del movimento repubblicano e socialista del nostro paese e che il partito radicale ritiene debbano essere riconquistati e riproporsi con rinnovato vigore. Non consideriamo l'internazionalismo, l'anticlericalismo, la lotta per i diritti civili, il pacifismo e l'antimilitarismo alla stregua di astratti contenuti ideologici, ma come validi obiettivi di azione politica, valide ipotesi di sviluppo del nostro partito e di rinnovamento e di rafforzamento dell'intero movimento democratico e socialista.

Io credo che l'esperienza di questi cinque mesi che si separano dal precedente congresso abbia aumentato la nostra consapevolezza sul significato di quella scelta congressuale:

a) in termini di strategia generale nella nostra lotta politica;

b) in termini di azione politica da sviluppare nel prossimo anno;

c) in termini di rapporti con gli altri partiti della sinistra.

Ed è così avvenuto che proprio dal congresso del maggio scorso tenuto sul tema "i radicali per l'alternativa laica", noi non uscimmo con una semplice indicazione di schieramento, ma giungessimo quasi naturalmente da una parte alla approvazione dello statuto, che costituisce per noi prima che una serie di norme e di procedure regolamentari un programma e un metodo di organizzazione politica e dall'altra alla rivendicazione di alcuni grandi contenuti di lotta.

Quasi naturalmente: cioè ci siamo arrivati traendo quelle conclusioni del dibattito congressuale dalla nostra esperienza e azione politica degli anni precedenti.

Ed abbiamo così evitato che rischi ricorrenti nelle minoranze non militanti: a) quello di porci al riparo delle indicazioni di schieramento limitando il partito ad un'opera di sollecitazione e di stimolo nei confronti delle altre forze della sinistra in vista di obiettivi, che poi non si è capaci di perseguire con la diretta azione politica e militante, rinunciando così a dare qualsiasi contributo al rinnovamento e al rafforzamento della sinistra e affidando in ultima analisi il successo di quegli obiettivi politici proprio a quelle forze che si pretende di sollecitare e di stimolare;

b) quello di chiudersi in un'azione di critica delle altre forze della sinistra, denunciandone gli errori e smantellandone le scelte politiche, esaurendosi in un lavoro di contestazione dei loro contenuti programmatici e di azione, senza riuscire anche in questo caso a contrapporre altro che contenuti intellettualistici o brevi frenesie attivistiche avulsi da qualsiasi esperienza di lotta.

Nel primo caso fare il partito radicale avrebbe costituito davvero quella "fuga in avanti" che Luigi Ghersi ci rimproverava sull'Astrolabio, perché per una semplice opera di stimolo e di sollecitazione bastano strutture pubblicistiche che abbiano la capacità di mantenersi indipendenti e sarebbe presuntuoso e assai poco costruttivo pretendere su questo di fondare strutture partitiche. Nel secondo caso ci saremmo riservati il destino che purtroppo nei trascorsi decenni non hanno saputo evitare tutte le piccole eresie socialiste sorte ai margini delle organizzazioni di massa socialdemocratiche o comuniste: quelle di una azione settaria e frazionistica che gioca in ultima analisi solo come forza dissolvitrice.

Per una forza minoritaria, che non voglia ridursi a Club di intellettuali illuminati o a piccolo gruppo di ideologi eretici, ma voglia essere una forza militante, fissarsi un obiettivo - quello della alternativa - comporta indubbiamente l'individuazione delle forze che devono essere coinvolte ed interessate al perseguimento di quell'obiettivo; ma comporta anche e soprattutto la capacità di darsi quelle strutture e quei contenuti di lotta suscettibili di accelerare il processo di alternativa, di arricchire il potenziale democratico che esiste nel paese, di indebolire l'avversario, di determinare l'impegno di un numero sempre più vasto di militanti.

Abbiamo scelto quei contenuti di lotta: - perché rappresentano, tutti, in qualche misura elementi dirompenti rispetto all'attuale equilibrio politico e costituzionale del paese, suscettibili, se sviluppati attraverso una adeguata azione politica, di diventare precisi obiettivi di attacco di alcune grandi strutture di potere, elementi di crisi della attuale situazione di regime e di nuovo sviluppo democratico;

- perché proprio per il fatto di mettere in causa direttamente le strutture autoritarie, clericali, militari del potere, costituiscono anche in prospettiva al di là della loro utilità tattica immediata fondamentali elementi di scelta per la stessa sinistra.

Anticlericalismo, lotta per i diritti civili, antimilitarismo, pacifismo, internazionalismo sono tutti contenuti di alternativa.

I motivi della nostra battaglia laica, la lotta contro le strutture clericali che si sono consolidate in questi venti giorni si scontrano direttamente con alcuni dei principali punti di forza del potere. Lo stesso può dirsi per ogni battaglia ingaggiata sul terreno dei diritti civili, si tratti di affermarne di nuovi come il divorzio e l'obiezione di coscienza, o di rivendicare la piena attuazione di altri già riconosciuti dal nostro ordinamento giuridico ma calpestati nella pratica di governo e svuotati di ogni contenuto.

Antimilitarismo, pacifismo, internazionalismo sono contenuti strettamente connessi di una politica che supera la tradizionale distinzione fra politica interna e politica estera per saldarle verso obiettivi di lotta che per essere operanti ed efficaci devono essere innanzitutto rivolti contro le strutture che abbiamo davanti nella concreta situazione storica, politica e istituzionale nella quale agiamo come forza politica. Costituiscono per noi motivo di riflessione alcune critiche che ci vengono rivolte all'interno della sinistra sulla validità ed efficacia di questi contenuti di lotta.

Una critica che vi viene spesso rivolta è quella di scarso realismo, di astrattezza, di massimalismo laico.

Proporre obiettivi quale la revisione della costituzione per la denuncia del concordato, o come la conversione delle strutture militari e di guerra in strutture di pace, e la stessa battaglia per la istituzione del divorzio sarebbe astratto ed irrealistico. Ciascuno di questi obiettivi non terrebbe conto dei rapporti di forza esistenti nel nostro paese, degli stessi orientamenti prevalenti all'interno della sinistra, dell'esistenza nello schieramento delle forze di sinistra alle quali noi guardiamo come naturali interlocutrici e alleate di una forte componente moderata, della necessità dei compromessi che questa generale situazione impone, della necessaria gradualità di una politica di rinnovamento.

Sono argomenti che sono indubbiamente presenti alla nostra azione politica.

Crediamo però di avere anche presenti tutti i dati della situazione, di avere fra le forze della sinistra un alto grado di consapevolezza sulle difficoltà di modificare i rapporti di forza: non crediamo di coltivare facili illusioni. Ma sappiamo che il compito di una politica di sinistra è quello di non subire ma di trasformare i rapporti di forza. Ammesso che si abbiano gli stessi obiettivi - quelli di smantellare alcune norme concordatarie che creano nel paese privilegi ecclesiastici e strutture clericali - è più realistico affidare questi obiettivi alla speranza e alle prospettive di una pacifica revisione concordataria o alla difficile e dura prospettiva di una denuncia del Concordato? I nostri avversari sono avvertiti e maturi su questo problema: non interessa loro lo strumento concordatario come modo astratto di risolvere il problema fra stato e chiesa, quanto ciò che è dentro il Concordato, ciò che il Concordato assicura alla Chiesa e alle forze clericali del paese. I commenti dell'Osservatore Romano,

il discorso pronunciato alla Camera da Gonella, un recente articolo di Andreotti non lasciano dubbi su questo. I cattolici non sono disposti ad accettare revisioni sostanziali delle norme concordatarie.

Commentando l'ordine del giorno approvato alla camera, un cattolico laico Arturo Carlo Jemolo scriveva che purtroppo per il superamento della soluzione concordataria bisognerà attendere un'altra generazione. Jemolo ha forse ragione ma perché nell'arco di una generazione si possa giungere a quell'obiettivo è necessario riproporre alle masse democratiche e socialiste e alle stesse masse cattoliche nei suoi termini reali il problema del Concordato, facendone davvero uno dei punti fondamentali dell'azione politica della sinistra.

Se ci limitassimo a registrare passivamente i rapporti di forza non dovremmo forse arrivare alla conclusione che anche la battaglia per l'uscita dell'Italia dalla NATO, che anche noi chiediamo insieme a molta parte della sinistra, è una battaglia scarsamente realistica?

Le prospettive di successo di questa battaglia non sono più realistiche di quelle di una chiara e intransigente battaglia per il disarmo del nostro paese, per l'abolizione dell'esercito, per la conversione delle strutture militari e di guerra in strutture civili e di pace. Nel recente dibattito alla Camera Malagodi ha tentato un calcolo degli ospedali, delle scuole, delle case che si potrebbero costituire con i finanziamenti necessari per l'istituzione delle regioni. Noi rivendichiamo il dovere della sinistra di contrapporre ai calcoli di Malagodi, in termine di programma economico, le riforme che si potrebbero realizzare con gli stanziamenti che ogni anno lo stato destina alle forze armate. Non siamo per questo massimalisti. Sappiamo che ogni piccolo passo, ogni piccolo progresso può divenire una grande conquista strappata agli avversari. Il massimalismo del "tutto o niente", del "tanto peggio tanto meglio" non ci è mai appartenuto, ci è profondamente estraneo.

I compagni che hanno combattuto in questi mesi battaglie importanti per una interpretazione democratica di alcune norme della Costituzione e del Concordato ci hanno avuto al loro fianco in quelle battaglie. Così come ci hanno avuto al loro fianco quelle forze politiche che hanno sollevato i problemi del SIFAR, i problemi della democratizzazione delle forze armate. Una lunga strada è possibile fare insieme ai compagni che, a differenza di noi, credono nella revisione del concordato, e si battono per la riforma e il controllo democratico delle forze armate.

Ma riteniamo che alle masse democratiche debbano essere riproposti alcuni valori, alcune grandi opposizioni ideali e programmatiche, e che questa sia la via della nuova unità e del rafforzamento della sinistra. Lo sta dimostrando il successo della lotta per il divorzio.

Più importante un'altra critica che ci viene rivolta, perché non deriva da considerazioni di opportunità e di efficacia, ma riguarda la gerarchia di importanza e di valore delle nostre rivendicazioni nella battaglia generale della sinistra. Questa critica ci ripropone la vecchia polemica in base alla quale scuola, sicurezza sociale, istituzioni, tutela dei diritti civili sono sovrastrutture. La lotta politica determinante deve essere invece condotta a livello delle strutture economiche, al livello cioè nel quale avviene il diretto scontro fra capitale e lavoro. In questi termini la polemica è davvero vecchia e io credo che questa concezione piattamente deterministica, addirittura meccanicistica dei rapporti fra struttura e sovrastruttura sia ormai da tempo stata messa in crisi dalla concreta esperienza di questi venti anni. Chi può pensare davvero che si possano isolare le riforme economiche dalle soluzioni istituzionali attraverso le quali si realizzano e dai problemi del potere delle forze che saranno poi

destinate a gestirle?

Se il problema invece si pone nei suoi termini giusti di coscienza e partecipazione delle masse, noi riteniamo di poter affermare che sempre più chiaramente i problemi stessi del lavoro si pongono in termini di democrazia industriale, di controllo operaio, di tutela dei diritti dei lavoratori, di libertà rispetto ad uno sfruttamento che si manifesta all'interno della azienda e fuori della azienda, i problemi del diritto alla sicurezza sociale, i problemi del diritto al lavoro, del diritto allo studio, di libertà nel luogo di lavoro, di maggiore libertà nella vita civile sono problemi che il lavoratore avverte come fondamentali, per lo meno tanto fondamentali quanto i problemi salariali. Ma - ciò che più conta - sono problemi che possono tradursi in coscienza di lotta in maniera assai più diretta e immediata rispetto a prospettive di programmazione economica e a riforme che il lavoratore sa che sfuggiranno largamente al suo controllo politico.

Non ci si attribuiscano però conclusioni errate: noi non riteniamo per questo che non siano di estrema importanza le lotte sindacali per il miglioramento del tenore di vita dei lavoratori, per il rafforzamento del loro potere contrattuale: ma riteniamo che sia sbagliato ed ingannevole attribuire a queste lotte una importanza superiore a quella che esse effettivamente hanno, quasi che da ogni vertenza di lavoro potesse ogni volta derivare una profonda modificazione del sistema.

Più grave e in parte almeno più fondata l'obiezione che questi contenuti non sono direttamente legati alla problematica e alla prospettiva del socialismo. Noi pensiamo che questo non sia vero: riteniamo che anticlericalismo, antimilitarismo, lotte democratiche per i diritti civili siano momenti essenziali di lotta per la costruzione di una società socialista, siano parte integrante e fondamentale della prospettiva socialista. E' vero invece che nessuno di questi contenuti investe direttamente i rapporti di produzione.

La ragione di questa assenza è da ricercare nel fatto che non siamo vincolati da nessuna camicia di nesso ideologico.

Ciascuno dei contenuti individuati e rivendicati nel documento congressuale del III congresso è un contenuto di lotta, deriva cioè direttamente dalla nostra esperienza di lotta e ci impegna - come ci ha impegnato in questi cinque mesi - in questa direzione.

Riteniamo che un partito politico non debba dare una risposta a tutti i problemi, ma debba dare e darsi indicazioni precise ed operative sui problemi che è in grado di affrontare efficacemente.

I problemi dei lavoratori noi li abbiamo incontrati nelle nostre battaglie su questi contenuti - si trattasse di diritti civili, o di battaglie laiche, di lotte antimilitariste o di lotte contro determinate situazioni di potere - e in molte occasioni abbiamo potuto registrare una forte adesione popolare. In almeno due occasioni di lotta - la battaglia contro la classe dirigente dell'ENI e quella sulla assistenza pubblica - siamo entrati in contatto con la realtà di quegli enti economici, di quegli strumenti dell'intervento pubblico nella economia che hanno costituito e costituiscono ancora uno dei più importanti punti di riferimento nella politica economica della sinistra. Non intendo richiamare qui i motivi ed i contenuti di quelle battaglie che proprio in questi giorni in un libro bianco abbiamo, insieme a molti altri problemi che riguardano le iniziative del nostro partito, sottoposto alla attenzione della sinistra. Ma da allora la nostra attenzione è stata costante su tutti i problemi del settore pubblic

o dell'economia, del vasto settore di capitalismo di Stato che si è venuto creando nel nostro paese a fianco del capitalismo privato. Ci siamo posti e poniamo all'attenzione della sinistra due ordini di interrogativi:

- il primo ordine di problemi riguarda il rapporto fra il settore pubblico della economia e le forze che detengono il controllo del potere politico nel paese: possiamo ritenere ancora vero che lo spostamento crescente di settori dell'economia dalla mano pubblica alla mano privata costituisce un importante modificazione dei rapporti di forza e di potere? Possiamo continuare ad ignorare la gestione democristiana di questi strumenti di intervento pubblico o il fatto che questi stessi strumenti di intervento pubblico vengono messi in atto anche da governi fascisti in paesi in fase di decollo industriale come la Spagna?

Di fronte a tutta una serie di esempi che dimostrano come gli enti pubblici si traducano in strumenti di regime, non è importante porre il problema di adeguati controlli democratici, politici e di gestione, in termini cioè di estensione delle garanzie dello stato di diritto al settore industriale pubblico?

- il secondo ordine di interrogativi riguarda invece direttamente il problema dei rapporti di produzione che non subiscono, o almeno non hanno subito, alcuna seria modificazione all'interno delle strutture del capitalismo di stato: è assurdo, è irreale riproporre di fronte a questa situazione prospettive di socializzazione, di autogestione e quanto meno di controllo operaio almeno su aspetti del processo produttivo che più direttamente riguardano le condizioni dei lavoratori? Una risposta positiva a questa domanda comporterebbe riprendere quelle rivendicazioni di autogestione di controllo operaio che appartennero nel passato alle diverse componenti del movimento socialista, quella riformista non meno di quella rivoluzionaria; la difficoltà di dare soluzioni tecniche al problema di conciliare prospettive di autogestione con le esigenze del processo produttivo non può essere negata, ma questa stessa difficoltà non sarà né studiata né superata fino a quando questa rivendicazione non sarà di nuovo considerata co

me una legittima ipotesi di lavoro per la sinistra e il movimento operaio.

Né riteniamo che la componente rivoluzionaria della sinistra possa continuare a prendere in considerazione questa ipotesi come ipotesi valida solo in momenti rivoluzionari, nei quali il movimento operaio attraverso soluzioni sovietiche diventa attore della rivoluzione per poi consegnare le fabbriche sottratte al capitalismo ad un nuovo tipo di gestione gerarchica e burocratica della produzione. Ci rifiutiamo di accettare questo tipo di direzione del processo produttivo come una sorta di maledizione legata allo sviluppo industriale e necessariamente sottratta a qualsiasi possibilità di intervento da parte della comunità dei lavoratori e da parte della più vasta comunità democratica dei cittadini.

Ci sembra che il dibattito economico della sinistra abbia ridotto di molto i margini di dissenso fra le diverse scelte di politica economica. Questo è un fatto importante e significativo. Possiamo al più tentare una analisi critica di questo dibattito, come è stato fatto in una delle relazioni integrative, senza tuttavia avere la pretesa di indicare soluzioni nuove o diverse. Quello che sentiamo però anche su questi problemi di dover affermare è che la strada dell'unità che su di essi la sinistra nel suo complesso ha percorso in questi anni incontra un limite invalicabile nello schieramento politico del paese. Questo limite è nella politica corporativa ed interclassista della Democrazia Cristiana. Una politica economica della sinistra che voglia davvero attuare una programmazione efficace al fine di superare gli squilibri sia territoriali che sociali del nostro sistema economico non può attuarsi solo a partire da una alternativa di governo e di potere.

Altri motivi di riflessione ci si propongono su alcuni dei contenuti di lotta anche alla luce dei più recenti avvenimenti politici interni ed internazionali.

Anticlericalismo - I motivi di contestazione che da sinistra ci vengono in merito al nostro anticlericalismo non riguardano l'esistenza di strutture clericali nel paese, ma l'opportunità di promuovere una campagna anticlericale per combatterla. Questi motivi di opportunità riguardano soprattutto il processo di liberazione che il concilio avrebbe messo in moto presso le masse cattoliche. Uno dei momenti di maggiore attenzione nella nostra vita politica si è avuto proprio in questi mesi in occasione del convegno delle ACLI, a proposito del quale si è parlato di una forma di radicalismo cattolico di sinistra.

Il concilio ecumenico ha indubbiamente aperto speranze nel mondo cattolico, facendo affiorare fermenti, esigenze e richieste di libertà che la Chiesa aveva in precedenza duramente soffocato. Questo fenomeno non poteva non investire anche l'Italia dove la politica concordataria della Chiesa e le condizioni di potere assicurate prima dal compromesso con il regime fascista e poi da governi democristiani si erano tradotti in un pesante clericalismo politico e in gravissime forme di chiusura, di prevaricazione e di intolleranza sul piano sociale e su quello culturale nei confronti degli stessi cattolici.

Questo fenomeno apre quindi nel nostro paese delle contraddizioni profonde in seno stesso al mondo cattolico. Ma queste contraddizioni non sono quelle che si verificherebbero fra le aperture della chiesa del concilio e il papato di Paolo VI e da una parte la politica conservatrice della Democrazia Cristiana; la vera contraddizione che noi denunciamo è fra le aspirazioni democratiche, anticoncordatarie e antitemporaliste di molti cattolici e la politica della Chiesa, che in Italia e non solo in Italia, attraverso la DC e non solo attraverso la DC continua invece, dietro un diverso comportamento tattico e un adeguamento alle nuove situazioni che si sono create, ad essere una politica clericale, una politica neoconcordataria e neotemporalista. La vera contraddizione è fra le condizioni che, come cittadini, i cattolici di molti paesi del mondo si sono conquistati rispetto agli interessi di potere della Chiesa e la condizione dei cattolici italiani rimasti irretiti in un vincolo clericale che li priva sostanzialm

ente di ogni autonomia.

E' su queste contraddizioni che occorre far perno, senza ipotizzarne altre che possono solo dar luogo a qualche momentaneo successo propagandistico. Il dibattito delle ACLI è uno dei sintomi di questa contraddizione, forse il sintomo più importante, l'unico comunque che investa una organizzazione sociale cattolica. Gli sviluppi che questo dibattito potrà avere dipendono molto anche dall'atteggiamento che la sinistra saprà assumere nei confronti dei fenomeni nuovi che si verificano all'interno del mondo cattolico: se la sinistra saprà rinnovarsi ed offrire un effettivo centro di attrazione e se saprà condurre con vigore la battaglia contro l'unità politica con la DC o se invece preferirà soluzioni tattiche volte a utilizzare strumentalmente queste posizioni e questi fermenti nelle lotte settoriali in episodi contingenti della vita politica, con ciò favorendo un loro rapido riassorbimento nell'ambito dell'egemonia democristiana e nell'intatta e intangibile unità politica dei cattolici. Ciò che ha scritto Natta

recentemente sull'Unità non può non essere condiviso: o le ACLI riusciranno a rompere il vincolo dell'unità, a dare sbocco ed espressione politica ai loro fermenti fuori della DC, oppure rimarranno nei limiti di una ambiguità che non le sottrarrà alla complicità con le responsabilità democristiane. Ma l'evoluzione in un senso o nell'altro dipenderà anche in maniera determinante dal tipo di politica che la sinistra attuerà nei confronti dei cattolici. La sinistra tanto più potrà incidere sul mondo cattolico, tanto più potrà facilitare l'esprimersi di quelle contraddizioni, quanto più farà una politica intransigentemente laica e antitemporalista.

Internazionalismo e antimilitarismo - Non mi soffermerò su questo tema che è oggetto specifico di una relazione integrativa se non per osservare che ci si ripropone spesso una desolante alternativa fra la accettazione pura e semplice della politica di potenza che si esprime nell'equilibro dei blocchi e il ricorso a una impossibile lotta armata: la possibilità di una lotta democratica, non violenta, antimilitarista viene negata da destra e da sinistra sulla base di pretese argomentazioni scientifiche.

Da destra queste argomentazioni servono per giustificare una passiva accettazione dello statu-quo, dalla sinistra, ma soprattutto da frange di estrema sinistra per affidarsi alla teorizzazione della contro-escalation o comunque alla speranza di una supremazia e di un rinvigorimento della politica di potenza sovietica e cinese in una prospettiva che confina il movimento democratico e socialista dei paesi occidentali in una posizione secondaria e subalterna di impotente attesa: l'unico sbocco politico concreto che in questo caso si presenta è la logica della politica di piccola potenza, la logica nazionalistica del piccolo cabotaggio internazionale, ma ciò che rimane inesorabilmente tagliato fuori è l'internazionalismo, è la possibilità e la prospettiva di una politica democratica e di classe, e quindi di un ruolo autonomo nella politica internazionale delle masse operaie e democratiche europee.

La allarmante conseguenza che se ne può trarre è che a cospetto degli aspetti utopistici del socialismo ottocentesco, la "scientificità" del pensiero democratico e socialista contemporaneo finisce per essere una scuola di impotenza, di stanca rassegnazione o di rivoluzionarismo verbale.

Ho voluto di proposito fondare la relazione generale di questo Congresso sulla strategia generale del Partito - che è quella della lotta al regime, di una intransigente politica di alternativa - e sui nostri contenuti ed obiettivi di lotta. Ed ho voluto farlo tenendo conto che è soprattutto su questi problemi che si articola normalmente il dibattito politico interno alle forze della sinistra. Ma la funzione di un partito, la sua esistenza, la sua validità non si giudica solo dalla sua strategia e dai suoi contenuti di lotta, si giudica anche dalle forme di organizzazione che decide di adottare, dai metodi con i quali si propone di perseguire i propri obiettivi politici.

Nello statuto che ci siamo dati, nello sforzo che abbiamo fatto per assicurare già in questi mesi un primo funzionamento, qui è la peculiarità della nostra esperienza partitica, qui avvertiamo assai più che per i contenuti e gli obiettivi di lotta più netto il distacco con l'esperienza politica del resto della sinistra. Abbiamo voluto respingere quella contraddizione per cui per combattere più efficacemente l'avversario se ne devono adottare i metodi e tanto più è sicuro il successo quanto più quei metodi di organizzazione centralizzata, gerarchica e verticale sono fedelmente ricalcati e battono in efficacia quelli dell'avversario; quella stessa contraddizione per cui si critica da sinistra il centralismo democratico dei comunisti e poi si realizzano partiti che sono assai più centralisti e assai meno democratici del partito comunista; quella stessa che spinse gli amici del Mondo a metà degli anni cinquanta a mettere in piedi un partito che avrebbe dovuto condurre una intransigente lotta democratica nel paes

e mentre contemporaneamente i radicali che avrebbero dovuto essere i protagonisti di quella lotta si videro negata ogni democrazia interna, con un piccolo gruppo di dirigenti che avocava a sé ogni decisione politica, con i consigli nazionali divenuti strumenti subalterni della Direzione, nessuna autonomia riconosciuta di fatto alle sezioni e alle federazioni.

Partiti così concepiti non sono organizzazioni politiche democratiche, sono chiese e sette. I gruppi dirigenti che nascono da una democrazia interna chiusa e spesso soffocata, che può manifestarsi solo attraverso meccaniche contrapposizioni congressuali, finiscono per essere investiti di ogni responsabilità, nei campi più disparati della vita politica, anche su quei problemi e a quei livelli che sono più lontani dalle grandi responsabilità collettive nazionali. Le scelte politiche della più piccola sezione comunale o del più piccolo nucleo aziendale, se esiste e dove esiste, devono procedere all'unisono con le scelte nazionali omnicomprensive del vertice politico del Partito. E lo stesso avviene per qualsiasi problema di scelta politica quotidiana, anche per quei problemi per i quali più legittima si rivela la libertà di scelta dei militanti secondo il loro orientamento, il loro concreto impegno politico, le loro convinzioni. Il dibattito democratico, staccato dalla iniziativa politica di base, finisce per a

vere importanza solo ai fini della formazione e del controllo degli organi dirigenti. Ogni iniziativa politica autonoma o si muove in armonia con le direttive del vertice e del centro o viene praticamente emarginata, diventa eterodossa, da legittima espressione della vita del Partito diventa quasi naturalmente manifestazione antipartito.

E' una democrazia questa troppo indiretta, si fonda su una delega di responsabilità troppo generale e incondizionata da parte degli iscritti e dei militanti, perché noi si possa accettarla. Vogliamo realizzare un partito che sia un partito antiautoritario non solo per gli obiettivi che si propone di perseguire rispetto alla società e allo Stato, ma che lo sia già nella propria organizzazione politica, nei propri metodi di azione e di lotta.

Più che i nostri contenuti, questo partito che vogliamo costruire, che stiamo costruendo, sarà, se avremo successo nella nostra azione, il migliore e più serio contributo, la migliore e più seria indicazione che noi potremo fornire all'unità e al rinnovamento della sinistra.

E lo facciamo rovesciando la tradizionale impostazione della organizzazione politica che la sinistra si è data negli ultimi decenni, prendendo come base per l'adesione dei militanti non una ideologia o un programma, ma la accettazione di uno statuto antiautoritario e libertario.

Credo che valga la pena, a sei mesi dal precedente congresso, di soffermarmi ancora sui punti fondamentali nei quali si esprime la concezione libertaria della nostra organizzazione politica, che sono: rifiuto dell'ideologismo collettivo e quindi laicità del partito; federalismo; volontariato dei militanti e autofinanziamento.

"Rifiuto dell'ideologismo e laicità del partito": il partito non può pretendere di dare una risposta soddisfacente, seria, valida e impegnativa per tutti i militanti su tutti i problemi della vita civile.

Il compito di un partito è quello di trovare la propria unità e la propria disciplina su alcune grandi - due o tre - iniziative di lotta, su alcuni grandi obiettivi di riforma da perseguirsi in un determinato arco di tempo. Ciò che chiediamo a ciascuno di noi è su cosa vuole agire e in quale direzione vuole operare, non quale sia la propria ideologia, quali siano le proprie convinzioni morali, filosofiche o religiose. Così come in questo partito possono convivere atei e panteisti, cattolici e protestanti, così già oggi vi convivono operando fianco a fianco nelle iniziative di lotta libertari e socialisti, democratici riformisti e marxisti, liberali gobettiani e Reichiani.

Per rendere ancora più chiare le garanzie su questo punto abbiamo voluto limitare le iniziative politiche sulle quali tutto il partito è vincolato nell'intervallo fra due congressi a quelle sole deliberazioni congressuali che abbiano riportato i 3/4 dei voti. Al di là di questo vincolo collettivo c'è la piena libertà autonoma delle organizzazioni del Partito, e al di là di questa autonomia c'è la piena libertà del radicale in quanto cittadino.

"Federalismo del partito": il faticoso lavoro di mediazione che assorbe tanta parte del lavoro dei dirigenti deve essere sostituito dalla più ampia democrazia diretta, dalla più ampia autonomia dei militanti e delle organizzazioni di base. Abbiamo spezzato a metà la tradizionale piramide organizzativa, che procede dalla base verso il vertice attraverso una serie successiva di mediazioni cui corrisponde la responsabilità di corpi dirigenti via via sempre più ristretti (votazioni precongressuali, congresso, consiglio nazionale o comitato centrale, direzione, giunta esecutiva, segreteria).

Per quanto riguarda la politica federativa nazionale del partito, segretario e giunta esecutiva ne sono pienamente responsabili di fronte al congresso annuale per tutti i punti sui cui il congresso si è espresso con i 3/4 dei voti; per ogni altra iniziativa politica c'è il parere vincolante e qualificante del consiglio federativo in cui è proporzionalmente presente e rappresentato il congresso e sono presenti e rappresentate le organizzazioni di base. Al di fuori di questo, autonomi partiti regionali anche essi organizzati con criteri federativi, l'autonomia di tutte le altre organizzazioni di base, l'autonomia dei militanti, la possibilità di dar vita a nuove ed autonome strutture organizzative.

In questa organizzazione di tipo federativo, in cui il centro oltre alla responsabilità di portare avanti alcune iniziative collettive, ha soprattutto la responsabilità di assicurare efficienti strutture di servizio, si esprime ma non si esaurisce il federalismo del partito. Questo stesso partito federativo si presenta come un partito aperto verso l'esterno, alla adesione federativa di associazioni e organizzazioni che potranno mantenere, pur avendo aderito ed avendo diritto di rappresentanza negli organi del partito, la loro peculiarità e la loro autonomia. Il partito è infine aperto alla collaborazione con i militanti di ogni altra forza politica; può promuovere legami unitari di tipo federativo con altre forze politiche nazionali ed internazionali. Noi crediamo che qui sia la strada dell'unità, una unità che trae dalla autonomia la propria migliore garanzia e la propria forza.

"Volontariato dei militanti e autofinanziamento":

Un partito come il nostro, un partito che vuole essere una struttura politica che si organizza dal basso, che si organizza a partire dalla rivendicazioni che vengono dalla società, non poteva non riconquistare quella che è una dimensione, una condizione essenziale per un impegno di rinnovamento che sia effettivamente tale: il diretto impegno dei militanti nella attività, nella gestione e nel finanziamento del Partito.

Il Partito non ha funzionari. Coloro che non sono chiamati a dirigerlo svolgono la loro attività politica insieme alla loro attività professionale e di lavoro. Il partito non vive di finanziamenti esterni, ma dell'autofinanziamento dei propri aderenti. Questa è la migliore garanzia per i militanti che il partito davvero gli appartiene, perché non esisterebbe senza la loro attività, senza il loro impegno, senza il loro sacrificio anche finanziario. Questa è la migliore garanzia, compagni di altri partiti o di altre organizzazioni, amici che numerosi avete appoggiato in questi mesi le nostre iniziative, che non sentirete mai il Partito Radicale come qualcosa di estraneo o di infido, come una struttura che sfugge - al di là della loro buona fede - al controllo e alla responsabilità dei radicali con i quali collaborate. E sentiamo in questo di non essere diversi da quei socialisti che pagavano di persona con il loro impegno di militanti nella difficile opera di costruzione delle strutture del movimento operaio,

da quei lavoratori che finanziavano con una parte del loro mensile la camera del lavoro, le prime sezioni operaie e repubblicane, le prime case del popolo, anche se oggi la situazione sociale è profondamente diversa e diversa è la situazione politica. Oggi questo sforzo, questo tentativo può apparire forze velleitario, sproporzionato alle difficoltà da superare e ai mezzi e alle possibilità di cui dispone l'avversario. Questa dimensione artigianale della lotta politica può apparire inadeguata in un mondo dove dominano il gigantismo industriale, gli strumenti di organizzazione e di comunicazione di massa. Ma non solo in Italia, come noi abbiamo sperimentato in questi anni, in tutto il mondo del benessere questa dimensione artigianale è l'unica possibile per i movimenti radicali, l'unica che consente con mezzi relativamente poco costosi e con l'azione diretta di forzare il monopolio della informazione.

"Attuazione dello statuto": Questo statuto, che abbiamo approvato al III Congresso Nazionale, non è un insieme di norme che devono regolare la vita di strutture organizzative già realizzate; è ancora un insieme di direttive di azione di obiettivi di organizzazione politica, che devono essere raggiunti. Ma già in questo periodo di necessaria transizione, di graduale attuazione dello statuto, nel compito di creazione di nuove strutture politiche e nella quotidiana azione politica, siamo impegnati a rispettare quelle direttive d'azione e i principi fondamentali che ne sono alla base.

E' quanto abbiamo cercato di assicurare in questi sei mesi che ci separano dal precedente congresso.

La mia è stata la prima esperienza di un segretario politico eletto direttamente dal Congresso e responsabile direttamente davanti al Congresso della propria attività politica esecutiva.

Possiamo tentarne nelle grandi linee un bilancio politico:

a) Gli organi direttivi ed esecutivi, direzione da una parte, segreteria e giunta dall'altra, si sono concentrate su un'unica iniziativa: quella di assicurare l'impostazione politica e la preparazione organizzativa del IV Congresso Nazionale, come momento di sviluppo del dibattito avviato nel maggio scorso e ulteriore momento di crescita collettiva del Partito. A fianco a questo, Segreteria e giunta esecutiva hanno assicurato il funzionamento delle strutture nazionali e il coordinamento di alcune iniziative autonome.

Attraverso queste iniziative autonome, da quelle pacifiste a quelle dello sviluppo dell'iniziativa anticlericale, alle numerose manifestazioni di azione diretta, si è soprattutto sviluppata l'azione del Partito.

b) L'azione di preparazione del congresso e le iniziative autonome ci hanno consentito di stringere ancora di più i rapporti e la collaborazione con forze minoritarie pacifiste o anticlericali che agiscono su posizioni analoghe alle nostre. Credo che i progressi in questa direzione siano stati notevoli: non siamo più ai tentativi di coordinamento, alle prime faticose esperienze volte a realizzare convergenze difficili. Esistono oggi gruppi consapevoli di militanti radicali, anarchici, pacifisti, non violenti che stanno per la prima volta realizzando una esperienza comune e che riescono ormai, attraverso l'azione diretta, a superare e a rompere i riflessi condizionati e le abitudini stereotipate delle tradizionali manifestazioni per la pace. Per la prima volta si cominciano a realizzare manifestazioni comuni e coordinate in diverse città su un unico obiettivo e sempre con i metodi propri della non violenza. Ai critici di questi metodi ricordiamo che mai come in questi mesi abbiamo visto rincrudirsi l'attività

repressiva della polizia, il ricorso crescente e arbitrario ai fogli di via contro giovani incensurati e privi di ogni pendenza giudiziaria, per il solo fatto che hanno partecipato ad una di queste manifestazioni o anche per molto meno. Cominciano oggi a delinearsi le condizioni e le possibilità di strutture di lotta, che sottraggano questi fermenti all'isolamento, al rischio che è proprio di tutti i fermenti, quello di rimanere tali e come tali morire. Noi invitiamo questi nostri compagni a diventare sempre di più forza politica pacifista e libertaria, capace di mettere salde radici nel nostro paese. Mettiamo a loro disposizione le strutture aperte del nostro partito, come abbiamo fatto nel passato, come abbiamo fatto anche in questi mesi, senza altra condizione che non sia quella della comune azione militante su precisi obiettivi di lotta.

Questa collaborazione si è tradotta spesso in un arricchimento del Partito sia per quanto riguarda le esperienze di lotta sia per quanto riguarda i metodi della nostra posizione politica. A titolo di esempio non posso non sottolineare l'importanza che ha avuto, non solo per Del Gatto e per i radicali che operano in Abruzzo, ma per tutti noi la collaborazione con quel gruppo di giovani di Sulmona che si è costituito in gruppo pacifista con uno statuto che già in una delle commissioni del precedente congresso ha costituito per noi una indicazione preziosa proprio ai fini della realizzazione di quelle strutture autonome e libertarie che ci proponiamo di realizzare. Lo stesso è avvenuto con un gruppo di compagni di Milano che esercitano un lavoro critico di estremo rigore metodologico e che si preoccupano di ricercare e di fornire indicazioni politiche operative, che sfuggano alle evasioni ideologiche.

Di valore non minore la ripresa e lo sviluppo della iniziativa "1967 - anno anticlericale", nata e sviluppatasi come una iniziativa autonoma della sezione romana del Partito, con la partecipazione, l'adesione, il sostegno di centinaia di cittadini indipendenti, di compagni di altri partiti che hanno concorso al suo successo con la loro attività e con il loro contributo finanziario. Una iniziativa radicale è così diventata occasione di incontro, di impegno, di collaborazione per cittadini e compagni che hanno condiviso l'opportunità di un rilancio della campagna anticlericale nel paese. Ed è significativo che fra le adesioni molte siano quelle di giovani cattolici che, proprio a partire dalla loro fede religiosa, si battono per l'affrancamento dai vincoli del clericalismo e dagli interessi temporali della Chiesa. Questa larga iniziativa unitaria non sarebbe stata possibile - i nostri mezzi non l'avrebbero consentito - senza il successo della sottoscrizione nazionale lanciata all'inizio dell'anno in occasione

dell'organizzazione del comizio all'Adriano dell'11 febbraio e che ha permesso nello scorso mese di agosto le pubblicazioni di un numero speciale a rotocalco di Agenzia Radicale. Secondo gli impegni assunti dai promotori della iniziativa, la sottoscrizione ha dato vita ad "un fondo autonomo anticlericale", gestito dal Partito Radicale. Gli amici che hanno avuto la responsabilità della iniziativa hanno provveduto a far pervenire ai sottoscrittori un primo bilancio sulla utilizzazione e sulla gestione del fondo.

c) L'attività del partito si è completamente autofinanziata in questi mesi. Gli unici finanziamenti esterni che abbiamo avuto non sono venuti da altri partiti o da enti economici pubblici o privati, o da contributi di sottogoverno ma da cittadini, da simpatizzanti, da compagni di altri partiti. Devo qui ricordare, oltre al fondo autonomo anticlericale, la sottoscrizione per questo IV Congresso nazionale convocato, come già il precedente e come tutte le nostre manifestazioni politiche, come congresso aperto. Anche questa volta questa assemblea si svolgerà con questa caratteristica di apertura e di unitarietà. Non sono infatti venuti meno i motivi che ci spinsero a questa scelta di metodo già all'inizio del 1967, al momento della convocazione del congresso di Bologna del maggio scorso. I problemi posti dalla nuova realtà internazionale sono problemi comuni a tutta la sinistra. I motivi di dibattito e di confronto su di essi non dividono e non contrappongono rigidamente, come nel passato, i partiti di questo sc

hieramento politico, ma passano attraverso ciascuno di essi, dal repubblicano non meno che del socialista, del comunista non meno che del radicale o del socialproletario.

E' per questa considerazione che la Commissione per la preparazione del III Congresso Nazionale ha ritenuto di dover evitare che proprio in un momento così importante per le proprie scelte politiche il Partito Radicale si chiudesse in un dibattito limitato ai soli iscritti, estraniandosi del più vasto dibattito che interessa oggi tutte le forze democratiche e socialiste. Per queste ragioni, relazioni su argomenti di particolare interesse ai fini di questo dibattito sono state sollecitate a personalità indipendenti ed a esponenti politici e parlamentari degli altri partiti. Per queste stesse ragioni si è deciso che il terzo congresso Nazionale del Partito Radicale sarà un congresso aperto alla partecipazione dei militanti di altri partiti della sinistra e di democratici indipendenti. Questi parteciperanno al dibattito non in veste, come normalmente avviene in casi analoghi, di semplici osservatori, ma di congressisti, cui il regolamento riconoscerà diritto di intervento sia nei lavori assembleari sia in quell

i di commissione.

Che questa stessa esigenza sia sentita da numerosi compagni ed amici, anche di altri partiti, lo dimostra il fatto che anche molti che non hanno potuto partecipare come congressisti hanno voluto aderire al congresso nella forma concreta della sottoscrizione. E sottoscrizioni sono venute non solo da simpatizzanti e da indipendenti, ma anche da compagni comunisti, socialisti o repubblicani. Non possiamo non lamentare che a questo congresso aperto ed unitario sia venuto a mancare, contro ogni legittima aspettativa, quell'ulteriore contributo di confronto di riflessione di dibattito che tre qualificati e stimati parlamentari si erano impegnati a fornire con loro relazioni su argomenti di essenziale e comune interesse.

d) Il funzionamento degli organi direttivi ed esecutivi del partito ha costituito una prima importante esperienza, credo abbastanza soddisfacente, sulla strada della attuazione dello statuto. La direzione che, sulla base delle norme transitorie, assolve le funzioni che lo statuto attribuisce al consiglio federativo e la giunta esecutiva che ha compiti operativi hanno agito in collaborazione, senza sovrapposizione di funzioni e di compiti. Segreteria e giunta esecutiva hanno assicurato il funzionamento delle strutture e dei servizi centrali del partito oltre a svolgere l'ordinaria iniziativa politica. Il risultato è stato nel complesso positivo, salvo in un punto del nostro programma che è rimasto purtroppo inattuato: l'impossibilità ancora di assicurare strumenti di informazione continuativi al partito, sia per quanto riguarda l'informazione degli iscritti, sia per quanto riguarda l'informazione esterna alla stampa. Mancanza di energie e difficoltà finanziarie ce lo hanno purtroppo impedito. Rimane un compit

o del prossimo anno, che non è più oltre possibile rimandare senza gravi danni per la nostra azione politica.

La direzione ha invece preso alcune decisioni politiche riguardanti l'impostazione politica del lavoro precongressuale e le modalità e i temi di convocazione del Congresso, oltre ad assicurare un lavoro di coordinamento politico nazionale. Di alcuni problemi che potevano rientrare nelle autonome competenze del Segretario del Partito ho voluto investire la Direzione, per assicurare il più ampio consenso alle iniziative che dovevano essere prese. In particolare ciò è avvenuto per quanto riguarda i rapporti con gli apparati degli altri partiti della sinistra: ad esempio il libro bianco è stato realizzato da tre membri della Giunta Esecutiva dopo un ampio dibattito e una deliberazione politica della Direzione.

e) Rapporti con gli apparati degli altri partiti della sinistra: abbiamo dovuto registrare in questi mesi un aggravamento di questi rapporti. Senza alcuna responsabilità da parte nostra, siamo stati spesso oggetto di una pratica discriminatoria e settaria, che abbiamo ritenuto di dover documentare ampiamente e dettagliatamente in un libro bianco e che non possiamo qui non denunciare. A livello della stampa di informazione c'è stata da parte dei giornali della sinistra una costante e continua censura politica nei confronti di tutte o quasi le notizie riguardanti nostre iniziative. In tutte le manifestazioni unitarie - anche in quelle dove venivano invitati dirigenti cattolici accanto socialisti e comunisti o socialproletari - il nostro partito è stato mantenuto estraneo, è stato sempre discriminato. In alcuni casi la stampa di sinistra ha superato la disinformazione per giungere ad una presentazione tendenziosa e a volte apertamente falsa di notizie che ci riguardavano. Se avessimo dovuto reagire ogni volta c

on il metro di giudizio che è proprio degli apparati degli altri partiti, avremmo dovuto fornire nei loro confronti una risposta almeno altrettanto settaria. Anche se questi fatti non possono non essere da noi considerati importanti e non possono purtroppo non lasciare conseguenze anche visibili nelle vicende dei nostri rapporti politici, la Segreteria e la Giunta Esecutiva si sono attenute a quel senso di responsabilità che ha sempre ispirato l'azione del nostro partito negli ultimi anni e che ci induce a giudicare le altre forze politiche per ciò che rappresentano nel paese e per la politica che attuano piuttosto che per gli atti di inimicizia nei nostri confronti, per gravi che possano essere.

Compagni,

questa può apparire una fredda, ed anche modesta, analisi, di successi e di insuccessi, di compiti e di responsabilità, di impegni di lavoro e di difficoltà da superare. Ma sappiamo che la strada per creare nuove strutture, modeste ma efficaci strutture di lotta, è lastricata di questi problemi. Il rigore, la pazienza, il lavoro che abbiamo dedicato a questo compito ci ha consentito di dar vita a strutture e ad iniziative unitarie, nate e sviluppatesi all'interno del nostro partito e con piena autonomia all'esterno del partito, ma che sono state sempre non le strutture di una chiesuola, di una piccola setta, ma strutture aperte e strutture di democrazia diretta. Accanto ai successi, accanto alle iniziative che sono diventate popolari o che comunque si sono rivelate capaci di forzare il fronte della indifferenza e quello della ostilità, ce ne sono state altre che abbiamo dovuto abbandonare, che non abbiamo potuto sviluppare. Ed erano iniziative e strutture valide al pari delle altre, suscettibili come le altr

e di essere realizzate e di svilupparsi nel paese solo che non fossero mancate le energie, le disponibilità finanziarie, i canali di comunicazione, solo che i quadri che vi erano impegnati non fossero stati assorbiti da compiti più urgenti e da altre difficoltà. Pensiamo ad alcune delle iniziative documentate nel libro bianco: campagna intorno al progetto Thirring di disarmo unilaterale austriaco sotto la garanzia dell'ONU e di trattati bilaterali con i paesi confinanti fra cui l'Italia, una iniziativa che pure era partita con una sottoscrizione popolare abbastanza vasta e con l'adesione ed il voto di sostegno di circa trecento consigli comunali e provinciali; pensiamo al comitato per l'unità della sinistra, che pure aveva raccolto in una associazione autonoma alcune centinaia di militanti di sinistra appartenenti ai diversi partiti o a nessun partito: o al comitato promotore del sindacato della scuola pubblica nato dall'iniziativa di alcune centinaia di professori e studenti radicali, indipendenti o di altr

i partiti della sinistra stanchi di dover subire all'interno della scuola la scelta umiliante fra sindacati qualunquisti e corporativi e sindacati falsamente unitari, di fatto a direzione clericale.

Quando insuccessi come questi si sono verificati, sappiamo che sono venute a mancare occasioni e possibilità di lotta, strutture importanti non solo per il nostro partito ma per un più ampio arco di forze, sappiamo che un vuoto di democrazia e di azione diretta si è immediatamente ricreato o che tempi politici preziosi - come nel caso della lotta sindacale nella scuola - sono stati perduti dalla sinistra ai fini della mobilitazione delle forze che avrebbero dovuto esservi interessate.

Quando siamo riusciti a realizzare quelle strutture, ad affermare quelle iniziative abbiamo visto che nuovi strumenti di penetrazione politica, nuovi strumenti di unità venivano posti a disposizione della sinistra, di tutta la sinistra, creavano nuova fiducia nella lotta, fornivano occasione di impegno a un arco di forze assai più vasto di quelle del partito radicale, formavano nuovi militanti.

E i compagni, gli amici che abbiamo visto impegnarsi non erano sottratti ad altre forme di impegno politico, ma caso mai di disimpegno verso cui li spingevano strutture che non sentivano come proprie o inadeguati e freddi obiettivi di lotta. Di tutto questo la Lega per l'Istituzione del Divorzio - che è un organismo pienamente autonomo nei confronti del partito radicale e di ogni altro partito, ma nasce da questi stessi metodi - è forse l'esempio più significativo. La Lid è nata e si è sviluppata come un organismo di democrazia diretta, la lega davvero dei divorzisti e dei separati, strumento di pressione e di rinnovamento sulle forze politiche e non modesto organo di mediazione fra correnti e interessi di diversi partiti. E' naturale che i partiti possano guardare con preoccupazione e con diffidenza questa organizzazione di forsennati, che non subiscono le ragioni dell'equilibrio politico, che non accettano le opportunità tattiche, che non si rassegnano a subire gli attuali rapporti di forza ma vogliono mod

ificarli. Ma in definitiva la battaglia per il divorzio sarà servita a rafforzare e non a indebolire la sinistra, avrà dato coscienza della loro condizione a migliaia di cittadini, li avrà spinti a ribellarvisi e ad organizzarsi, avrà creato perciò stesso forze nuove. E quale altro, se non questo, deve essere il compito della sinistra?

C'è invece una sorta di rassegnazione a individuare nelle resistenze opposte dalle strutture esistenti l'ostacolo insuperabile di ogni rinnovamento. Dobbiamo sottrarci all'alternativa tra il rischio della sterile denuncia e della contestazione verbale delle strutture esistenti e la tentazione di esserne assorbiti o captati. La possibilità di rinnovamento sta nella nostra capacità di lotta, nella nostra volontà e nel nostro impegno di trasformare vaghe e profonde rivendicazioni in forza politica.

La possibilità di rinnovamento non sta nella contestazione delle vecchie strutture, ma nella creazione di nuove strutture, non sta nella critica della vecchia sinistra, ma nella creazione di una nuova sinistra.

E' necessario misurare le energie sui compiti e gli obiettivi che ci proponiamo di raggiungere, è necessario formare e tradurre in strutture e forza politica di libertà esigenze, fermenti, rivendicazioni altrimenti soggetti al rischio continuo del dissolvimento.

La scelta libertaria che abbiamo compiuto dandoci il nuovo statuto comporta un estremo senso di responsabilità. Non abbiamo nessuno cui delegare, nemmeno in parte, questa responsabilità. Il successo o l'insuccesso delle nostre iniziative e della nostra azione politica complessiva dipende quindi essenzialmente da noi, dall'impegno collettivo dei radicali italiani. Per portare avanti, a partire da ciò che abbiamo già realizzato, e per sviluppare la nostra politica e le nostre strutture dobbiamo evitare fughe in avanti sia per quanto riguarda i metodi e i mezzi di organizzazione politica. Il III congresso nazionale ha indicato alcuni contenuti generali e di lotta. Con quel congresso e con le nostre iniziative, il partito si è affermato nel paese come una forza intransigente di alternativa, come una forza anticlericale, antimilitarista, come il partito dei diritti civili. Ma in questo congresso, che è un congresso ordinario, il primo congresso ordinario che si svolge sulla base del nuovo statuto, noi abbiamo il

compito di scegliere, nell'ambito di quei contenuti di lotta, alcuni precisi e delimitati obiettivi, alcune iniziative politiche che devono essere prese nell'arco di un anno.

Senza ipotizzare traguardi impossibili, ma sulla base della stessa azione che abbiamo svolto in questi mesi e alla luce dell'evoluzione della situazione politica, noi disponiamo già di alcune precise indicazioni.

Anticlericalismo: dalla rivendicazione della validità della battaglia anticlericale e della necessità di riconquistare pienamente alla lotta democratica i valori e gli obiettivi della laicità dello stato, dobbiamo passare ad obiettivi intermedi di lotta e di propaganda. Se la mozione del PSIUP per la revisione del concordato ha avuto l'eco e il successo che meritava, se per tentare di riassorbire l'iniziativa e per evitare uno scontro frontale con le rivendicazioni laiche che sorgono dalla società e con il movimento anticlericale che di nuovo si organizza nel paese il governo di centro sinistra è stato costretto a concludere il dibattito con una mozione che accetta il principio della revisione, questo è stato possibile anche per l'ampiezza della campagna che abbiamo condotto e per la rispondenza che essa ha avuto, a dispetto dello scetticismo, della diffidenza e, a volte, della dichiarata ostilità delle altre organizzazioni della sinistra. Come ho già detto in altra parte della relazione, condivido il giudiz

io espresso da Piccardi sulle prospettive revisioniste; non credo che queste prospettive possano davvero avere successo. Le forze revisioniste, quelle all'interno del governo di centro sinistra, socialiste e repubblicane, non meno di quelle della opposizione, comuniste e socialproletarie, si scontreranno con l'intransigenza della chiesa e della democrazia cristiana su ogni problema importante in revisione.

A differenza di Piccardi non credo però che la battaglia ingaggiata dal PSIUP alla camera e la mozione del governo, costituiscano per la sinistra e per il movimento laico del paese un fatto negativo. Al contrario, quella mozione impegnativa per il governo e per la maggioranza, riapre il confronto fra destra e sinistra sul concordato. E sarà un confronto che non potrà facilmente essere chiuso e riassorbito con un compromesso su una revisione soltanto formale delle norme concordatarie. In un solo caso Piccardi avrebbe ragione: nel caso in cui al di fuori dell'equilibrio politico della maggioranza, al di fuori dello stesso equilibrio politico parlamentare e degli interessi dominanti della nostra vita politica, non si affermasse nel paese e non si sviluppasse un autonomo movimento laico, capace di fare avvertire in questo confronto la pressione di rivendicazioni popolari sulle forze politiche della sinistra, quelle di governo come quelle di opposizione. Ma proprio in vista di questo confronto che dobbiamo condur

re ad esprimersi sui problemi nodali del concordato - quelli del monopolio clericale sulla istruzione pubblica e sul diritto familiare, quelli dell'ingerenza della chiesa nella vita dello stato - noi dobbiamo qualificare ulteriormente e meglio precisare gli obiettivi della nostra battaglia anticlericale.

Diventa a questo punto di essenziale importanza cercare di realizzare, come era previsto nel programma iniziale dell'iniziativa "1967 - Anno Anticlericale", i convegni su clericalismo e scuola, clericalismo e stato, clericalismo e assistenza pubblica.

"Diritti civili": qui la nostra battaglia incontra due temi, quello del divorzio e quello della democratizzazione delle forze di pubblica sicurezza. Una volta tanto la nostra attualità coincide con l'attualità politica del parlamento e del paese. La battaglia delle forze divorziste non è rientrata, non si è affievolita, come forse speravano i nostri avversari e come speravano anche, purtroppo, molti uomini della sinistra, scarsamente consapevoli dei loro compiti e delle loro responsabilità. Nel corso di un anno si è riusciti a impedire che la proposta Fortuna venisse insabbiata nelle secche della procedura parlamentare e degli accordi governativi. Si è riusciti anche a far fallire e cadere nel ridicolo alcune assurde proposte di compromesso che avrebbero comunque destinato all'insuccesso la battaglia divorzista ma che, anche in caso di successo, si sarebbero realizzate sulla pelle di milioni di separati. Questo è stato possibile perché abbiamo incontrato nella battaglia divorzista un deputato socialista come

Loris Fortuna che ha dimostrato di comprendere pienamente il significato che questa battaglia ha nel movimento parlamentare socialista del paese, perché abbiamo incontrato parlamentari socialisti, comunisti, socialproletari che hanno saputo efficacemente trasferire questa battaglia popolare nelle loro lotte parlamentari. Ma è stato possibile soprattutto perché si è organizzata nel paese, per la prima volta forse da molti anni senza l'intervento diretto dei partiti, un grande movimento popolare quale la Lega Italiana per il Divorzio. Nostro compito come radicali è quello di scatenare l'azione della lega perché si arrivi al voto alla camera già nel corso di questa legislatura. Ma a pochi mesi dalle elezioni noi abbiamo anche il compito di contribuire ad assicurare le condizioni che comunque nella prossima legislatura questa possa essere una battaglia definitivamente vittoriosa per la sinistra. E dobbiamo prendere posizione su questo già nel corso del congresso, studiarne le forme e i modi.

Alla prossima legislatura sembra trasferirsi anche la battaglia contro le leggi sbirresche di pubblica sicurezza presentate da Taviani. Sembra improbabile infatti che, dopo il successo della opposizione democratica ottenuto in senato su alcuni articoli della legge, e l'eco e l'allarme che quella battaglia parlamentare ha avuto nel paese, il governo voglia presentare la stessa legge alla camera per l'approvazione.

Nel tema e nel quadro dei diritti civili colloco anche le rivendicazioni e le possibili iniziative sul tema della libertà sessuale, un tema che giustamente è avvertito all'interno del partito come un momento impegnativo e qualificante nella lotta contro l'ipocrisia del sistema sessuale italiano, che le giovani generazioni stanno finalmente infrangendo. E' una lotta che deve essere chiaramente indirizzata contro la nostra prevalente giurisprudenza, contro una serie di norme illiberali e assurde del nostro ordinamento giuridico. Credo che, rispetto al maggio scorso, quando il tema giunse all'attenzione del congresso attraverso una impostazione improvvisata o almeno in parte unilaterale, il lavoro svolto per la preparazione di un convegno sulla libertà sessuale e alcuni dibattiti e discussioni avvenuti in questi mesi, ci consentono oggi di affrontarlo in maniera più completa e più precisa.

Ho indicato solo alcuni temi e possibilità di iniziative che già comportano, essi soli, uno sforzo politico e organizzativo non indifferente, forse difficilmente sopportabile dal partito. E rimangono fuori da questa indicazione, il collegamento con le forze pacifiste internazionali, il nostro contributo al rilancio di una azione federalista di sinistra su scala europea, la nostra presenza sui temi del lavoro e dell'economia. Settori diversi su cui si avverte la necessità di una iniziativa rinnovatrice e su cui difficilmente avremo la possibilità di operare. Si tratta di indicazioni operative che fornisco al congresso e su cui il congresso deve decidere.

In modo analogo devono essere affrontati i problemi della attuazione graduale del nostro statuto, misurando le energie sulle concrete possibilità di crescita del partito. Su questo piano abbiamo il dovere di acquisire, consolidare, migliorare e rendere definitive le strutture e i servizi centrali del partito, quelli senza i quali non sarebbe avvenuto in questi anni il rilancio della nostra azione politica.

Renderli stabili e definitivi, per poterli sottrarre allo sforzo quotidiano del partito, il quale sempre più dovrà poter contare sullo sviluppo di autonome iniziative di base, su una maggiore articolazione della sua organizzazione. Questa stessa maggiore articolazione è la condizione perché a partire dai diversi impegni di gruppo e regionali si delineino anche e si esprimano liberamente diverse, oggi solo potenziali e solo in nuce, ipotesi di sviluppo dell'azione radicale.

Ma anche qui è necessario evitare fughe in avanti, concentrandosi su obiettivi delimitati e raggiungibili:

1) rafforzamento delle strutture centrali;

2) ampliamento dell'esperienza federativa con altri gruppi minoritari;

3) costituzione di alcuni comitati regionali.

E' uno sforzo che non si realizza senza una classe dirigente radicale sempre più consapevole delle difficoltà da superare, dei compiti cui far parte, sempre più omogenea sul piano nazionale sugli obiettivi che ci sono comuni.

E' a partire da questo sforzo che si colloca e deve essere affrontato il problema del rapporto con le altre forze della sinistra. E' un rapporto dialettico, è un rapporto difficile. Deve essere un rapporto unitario e non settario o frazionistico.

Ogni radicale deve rendersi conto che tanto più questo rapporto sarà correttamente impostato e tanto più potrà portare a risultati positivi, quanto più sarà sviluppata la nostra autonomia politica, saranno rafforzate le nostre strutture, si affermerà la nostra politica di rinnovamento e di nuova sinistra.

 
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