di Mauro MelliniSOMMARIO: Il problema della posizione intransigente della Chiesa Cattolica è destinato a suscitare polemiche in quei paesi stranieri in cui alta è la percentuale dei cattolici eppure esiste la legge sul divorzio. La Chiesa sembra ignorare la tesi secondo cui il cattolico credente non deve avvalersi del divorzio, ma può ben consentire che le leggi dello Stato, fatte non soltanto per i credenti e oer i santi, ammettano tale istituto. Ormai sono molti gli intellettuali cattolici che criticano apertamente la posizione della CEI, ma si tratta di cattolici che rifiutano un inquadramento politico, di cattolici nella sinistra e non di cattolici di sinistra. L'atteggiamento della Chiesa sulla questione del divorzio si pone in netto contrasto con le "aperture" conciliari e addirittura mette in discussione tali "aperture". Questo è l'alto prezzo che la chiesa si accinge a pagare.
(BATTAGLIA DIVORZISTA N. 1-2, gennaio/febbraio 1968)
(S'aggrava lo stridente contrasto nel mondo cattolico sull'autonomia dello Stato e sul divorzio - Cattolici di sinistra e cattolici nella sinistra - Reali limiti delle "aperture" conciliari)
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I cattolici italiani sono definitivamente votati a combattere il divorzio anche come istituzione delle leggi dello Stato? Questo interrogativo, cui in Italia sembra ovvio si debba dare una risposta affermativa, comincia ad esser posto con interesse crescente anche in ambienti stranieri, in cui l'esperienza oramai pluridecennale di un atteggiamento opposto da parte delle gerarchie e dei fedeli cattolici dei rispettivi paesi, costituisce un dato di stridente contrasto nel raffronto con la situazione italiana.
A giudicare dall'atteggiamento delle supreme gerarchie ecclesiastiche italiane e vaticane, dai discorsi del Papa, dalle dichiarazioni della Conferenza episcopale, non sembra davvero che l'allineamento con le posizioni dei cattolici stranieri sul problema dell'autonomia dello Stato e della sua legislazione nella questione del divorzio sia facile e prossima.
Tutti ricordano il discorso ai giudici rotali nel febbraio dello scorso anno, quando il Papa entrò in polemica con la Commissione Affari costituzionali della Camera e la affermazione secondo cui l'Italia sarebbe più civile degli altri paesi che hanno il divorzio. I recenti avvenimenti alla Commissione Giustizia che ha approvato gli articoli fondamentali della legge Fortuna hanno puntualmente provocato irati commenti dell'Osservatore Romano, anche se in tale occasione l'autorevole organo vaticano ha ritenuto più prudente capovolgere la tesi del Pontefice di un anno prima, che aveva suscitato all'estero vivaci reazioni negative, sostenendo che in Italia la società è più gravemente insidiata, e per questo il divorzio da noi arrecherebbe danni ben maggiori che all'estero.
E' vero che quest'anno il discorso papale ai giudici rotali è stato assai meno specificamente e direttamente polemico sulla questione del divorzio in Italia, ma in compenso il giorno precedente, nell'anniversario dei patti lateranensi, Paolo VI aveva espresso addirittura una ben poco velata minaccia di riaprire la questione romana.
Insomma sembrerebbe veramente che per la Santa Sede e per tutto il mondo ufficiale cattolico la lotta contro il divorzio sia la cosa più importante che vi sia da affrontare in Italia, e che la morale nel nostro paese non sia affatto messa in pericolo dai ladroni impudenti che fanno man bassa del denaro pubblico, che danno la scalata al potere cinicamente sfruttando i fondi dell'assistenza pubblica, riuscendo magari a carpire un pubblico elogio papale e una medaglia d'oro da parte di chi deve perseguirli. Il vero pericolo, i veri "delinquenti" come direbbe padre Rotondi, sono i divorzisti e, al più, giornalisti e giornalai che diffondono la stampa "pornografica".
Tutti gli ambienti e tutti i "centri di potere" cattolici sono allineati su tali posizioni. Tradizionalisti ed innovatori, paolini e giovannei, ignorano disinvoltamente la tesi secondo cui il cattolico credente non deve avvalersi del divorzio, ma ben può consentire che le leggi dello stato, fatte non soltanto per i credenti e per i santi, ammettano tale istituto. In realtà in Italia la strumentalizzazione del fattore religioso alle necessità del potere e della sua conservazione condiziona ogni presa di posizione cattolica, dalla destra alla sinistra e costituisce il limite di ogni rinnovamento.
Se qualcosa di diverso si sta determinando tra i cattolici, ciò avviene al di fuori degli organismi in qualche modo impegnati con questioni di potere, fuori dell'obbedienza "politica" alle gerarchie, fuori dalla DC. E' di qualche giorno fa la dichiarazione dei circoli e degli intellettuali cattolici contro la Conferenza episcopale. In un dibattito nella sede della Lega a Roma un esponente di questo gruppo, l'avv. Fiorentino ne ha chiarito la posizione decisamente favorevole all'istituzione del divorzio come riforma della legislazione civile. Ma si tratta di cattolici che rifiutano un inquadramento politico in quanto tali, di cattolici nella sinistra e non di cattolici di sinistra.
Tuttavia l'avvio di una contestazione delle posizioni integraliste e clericali da parte di cittadini italiani di fede cattolica, renderà sempre più difficile ed imbarazzante per la Chiesa sostenere in Italia tesi opposte a quelle sostenute o accettate all'estero. Sulla questione del divorzio essa ha già perduto ogni copertura da parte dei partiti laici ed il suo atteggiamento, in stridente contrasto con le "aperture" conciliari, appare come la riprova dei reali limiti di tali "aperture" e tale viene giudicato da cattolici e non cattolici di tutto il mondo. E' un prezzo assai alto che la Chiesa si accinge a pagare per la sua opposizione ad una civile riforma nel nostro paese.