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Basso Lelio - 1 luglio 1968
Per essere più liberi
di Lelio Basso

SOMMARIO: Nella lotta per il divorzio due ostacoli da superare: conservatorismo delle istituzioni e confessionalismo clericale - Contro una concezione autoritaria della famiglia - Necessaria la riaffermazione dei diritti di laicità e di indipendenza della società civile da quella religiosa.

(BATTAGLIA DIVORZISTA N. 6-7, giugno/luglio 1968)

Credo che a nessuno sia sfuggita l'importanza del fatto che la proposta di legge sul divorzio sia stata presentata subito all'inizio della nuova legislatura e con numerose firme di deputati appartenenti a quattro partiti diversi, di cui due di governo (almeno in quel momento) e due di opposizione. Tuttavia sbaglierebbe chi pensasse che questa unità felicemente raggiunta sia già una garanzia di successo, che la battaglia del divorzio possa essere senz'altro vinta dalla coalizione di forze laiche che si è formata sulla proposta di legge con l'ulteriore apporto dei liberali.

Il problema del divorzio non è un problema tecnico che possa essere avulso dal quadro generale della lotta politica e di costume che si combatte nel paese, ma è un momento di questa lotta e gli amici divorzisti potranno tanto maggiormente sperare nel successo quanto più spingeranno a fondo la loro battaglia.

Due sono essenzialmente gli ostacoli che devono essere affrontati: uno è il conservatorismo delle istituzioni, tanto più grave in un ambiente provinciale e conformista come è il nostro, e l'altro è il confessionalismo clericale che domina da oltre un ventennio la vita italiana, e che ha posto con l'art. 7 il suo segno anche nella nostra carta costituzionale.

Sul primo punto la battaglia per il divorzio si inquadra nella lotta per l'emancipazione da tutte le schiavitù, anche da quelle che derivano da istituzioni antiquate e da tradizioni sorpassate. Fra queste istituzioni antiquate c'è la famiglia come è ordinata adesso. Quando i cattolici si oppongono al divorzio in nome dei "valori della famiglia", secondo l'espressione dell'on. Moro, dobbiamo domandare: di quale famiglia si tratta? Quella patriarcale-tradizionale, in cui il padre è il padrone del destino dei figli e la moglie è schiava del marito? Questo tipo di famiglia, che fu proprio di una civiltà agraria superata, è oggi un ostacolo allo sviluppo civile, che richiede la libera espressione della personalità, che vuole che ognuno sia protagonista del proprio sviluppo, della propria educazione, della propria formazione culturale, del proprio destino nella vita. Mentre il principio dell'autorità è attaccato da tutte le parti, perché costituisce un ostacolo allo sviluppo civile, sarebbe assurdo voler difendere

un'istituzione familiare di tipo autoritario, e per giunta di una autorità che non può essere mai messa in discussione perché l'atto su cui si fonda - il consenso dato una volta - sarebbe un atto irreversibile e creerebbe in vincolo indissolubile. In una società che si trasforma rapidamente, che crea continuamente nuove forme di aggregazione umana, questa unione indissolubile è una sopravvivenza arcaica che deve sparire. E tanto più presto appunto dovrà sparire quanto più impetuosamente sarà condotta la battaglia per dare una nuova dimensione ai rapporti umani, per fare degli uomini altrettanti soggetti e protagonisti della propria vita, per affermare il diritto della personalità umana alla sua libera espressione, perché in tale quadro ritorni ad avere l'antico insegnamento romano che "matrimonium facit consensus" e che nessuno può essere tenuto schiavo di un vincolo che abbia perduto ogni significato.

Perché la società avanzi davvero e nuovi traguardi siano conquistati, occorre che l'avanzata sia coerente e non si creino situazioni di troppo grave squilibrio. Una delle ragioni per cui oggi in Italia tutto è in crisi - dalla campagna ai trasporti, dalla scuola alla giustizia, dalla famiglia allo Stato - e che allo sviluppo economico di alcuni settori non ha corrisposto un eguale sviluppo della società civile, della pubblica amministrazione, delle idee e del costume, sicché sembra che nulla sia più in piedi e l'edificio scricchiola da tutte le parti. Bisogna far leva su questa situazione, sulla più che giustificata insoddisfazione generale per cercare di far fare all'Italia un grande passo avanti, per portare le nostre strutture sociali al nostro tempo. In questo quadro la battaglia per il divorzio può essere più facilmente vinta perché un'avanzata generale della società travolge necessariamente gli ostacoli del conservatorismo e del tradizionalismo.

L'altro nemico da combattere è il confessionalismo clericale, che oggi ripudia anche una larga parte della generazione cattolica. Bisogna riaffermare i diritti della laicità, l'indipendenza della società politica dalla società religiosa, l'autonomia dalle diverse sfere di attività. Sotto questo aspetto la battaglia contro i Patti lateranensi è strettamente connessa con quella per il divorzio. Non che sia giuridicamente necessario, come è stato asserito da parte cattolica, liberare la Costituzione italiana dall'art. 7 per poter introdurre il divorzio nella nostra legislazione: è stato già ampiamente dimostrato che nessun ostacolo di natura costituzionale si oppone al divorzio (anche se purtroppo o non bisogna dimenticare che le leggi sono poi soggette al controllo della Corte Costituzionale la quale, in questi ultimi tempi, non si è proprio collocata all'avanguardia con il progresso). Occorre però che muti il clima generale in cui si svolge la vita politica del nostro Paese: quel clima che ha permesso qualche

anno fa di ingiuriare pubblicamente due cittadini solo perché contratto matrimonio civile e ha permesso alla magistratura di assolverlo tranquillamente, quel clima che ha consentito cinque anni fa ad un governo di dispensare illegalmente il Vaticano dal pagamento dell'imposta cedolare senza che i governi succedutisi di poi, nonostante la partecipazione di partiti che si richiamano ai principi laici, abbiano creduto di dover annullare quella disposizione illegale. La battaglia per la revisione, e, se questa non bastasse, per la denuncia dei patti lateranensi (il che presuppone l'abrogazione dell'ultimo comma dell'art. 7), deve essere anch'essa ripresa e continuata con maggior energia, fino a diventare una battaglia di massa come lo è diventata quella per il divorzio. Perché solo nella misura in cui sapremo creare nel paese questo spirito laico, questa esigenza di una vita civile sottratta ad influenze clericali, potremo ottenere che anche partiti che amano chiamarsi laici non si mostrino poi disposti a barat

tare i principi laici contro poltrone ministeriali.

L'unità che si è raggiunta nella presentazione della proposta di legge sarà esposta a mille insidie nel corso della legislatura. Il ricatto clericale si rinnoverà ad ogni momento e molti sono i modi in cui si può insabbiare una legge anche facendo finta di difenderla. Solo la saldezza di uno schieramento laico e progressista nel paese potrà fornire il necessario apporto alla battaglia parlamentare e imporre questa volta quel successo che è mancato nella passata legislatura.

 
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