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Notizie Radicali - 5 luglio 1968
LA NOTA: SIFAR

SOMMARIO: Prendendo spunto da un dibattito svoltosi sull'argomento, nella sede del partito radicale, tra il sen. Lino Jannuzzi e Marco Pannella, si ricostruiscono alcune vicende politiche legate ai servizi segreti - in particolare al SIFAR - dopo la nomina del generale Celi a vicecomandante dei Carabinieri e lo "strano suicidio" del col. Rocca: in particolare viene analizzato il ruolo tenuto in queste vicende dall'ex Presidente del consiglio on. Aldo Moro. A lui, infatti, si deve se è stato impossibile, al processo all"Espresso", fare luce sui fatti del luglio 1964: a lui si deve se il cosidetto rapporto Manes è stato sottratto all'opinione pubblica con la numerosa serie di "omissis" che ne hanno impedito la comprensione e la stessa lettura; fu ugualmente Moro a difendere la tesi del "segreto militare" con la quale si coprivano "sporchi segreti", non militari ma di altra natura. Anche il cosidetto rapporto Bolchini, fondamentale atto d'accusa contro il generale De Lorenzo, venne presentato purgato dagli "omi

ssis" e dal segreto di Stato. In definitiva, Moro tiene in pugno il ministero Leone, fino al momento in cui potrà riprendere la sua politica di centro-sinistra. Per tenere in mano la situazione, Moro ha persino imposto a ministro della Difesa un suo uomo, Gui, vietando la nomina dell'on. Scalfaro, con il pretesto che si tratta di uno "scelbiano". Moro ha avuto, ancora nel luglio 1964, incontri segreti con il generale De Lorenzo, con lo stesso Rumor, il sen. Gava e l'on. Zaccagnini.

(NOTIZIE RADICALI, 5 luglio 1968)

Il dibattito che si è svolto presso la sede del Partito Radicale con la partecipazione del sen. Jannuzzi e del compagno Pannella è servito a mettere in rilievo un dato politico importante e fino ad ora trascurato nelle polemiche sul SIFAR, riaccesesi in questi giorni dopo la nomina del gen. Celi a vice-comandante dell'arma dei carabinieri e dopo lo strano suicidio del col. Rocca: il ruolo che in tutta la vicenda politica e parlamentare ha avuto ed ha l'ex Presidente del Consiglio, Aldo Moro.

Quando sembrava che il processo all'"Espresso" potesse consentire di far piena luce sui fatti del luglio '64, fu l'allora Presidente del Consiglio ad intervenire personalmente per chiudere ogni seria possibilità di sviluppo alle indagini e per impedire che l'accertamento della verità facesse il suo corso.

Se Tremelloni non fu portato dal gen. Ciglieri a conoscenza del rapporto Manes, è certo che Moro invece ne era a conoscenza. Tremelloni o è stato raggirato o è stato complice, ma Moro è stato il diretto responsabile del tentativo di sottrarre alla conoscenza dell'opinione pubblica e della magistratura i risultati dell'inchiesta del vice-comandante generale dell'arma dei carabinieri.

Quando di questa inchiesta si arrivò per altre vie, non ufficiali, ad avere notizia, fu l'on. Moro a richiamare il rapporto consegnato nel suo testo integrale alla Magistratura, fu personalmente l'on. Moro a sottrarre alla valutazione del giudice i 72 "omissis", fu ancora l'on. Moro a difendere davanti al Parlamento l'assurda tesi del "segreto militare" che serviva in realtà a coprire sporchi segreti di altra natura. Tutti ricordano come il calmo, il moderato, l'imperturbabile Moro perse le staffe alla Camera quando l'on. Anderlini rivelò il contenuto di alcuni degli "omissis". Tutta la "Roma politica" sa come il rapporto Bolchini - l'altro fondamentale atto d'accusa contro De Lorenzo e contro il cancro dello spionaggio politico - fu portato dal governo a conoscenza del Parlamento praticamente a Camere chiuse e in un testo purgato anche qui dal "segreto di stato". Tutti sono in grado di valutare come un uomo famoso per la sua capacità di compromesso e di mediazione abbia dimostrato su questo argomento e in q

uesta occasione spirito di intransigenza e di intolleranza nei confronti dei suoi troppo succubi alleati di governo fino al punto da rischiare la crisi prima delle elezioni; come quest'uomo altrettanto famoso per la sua predilezione dei "tempi lunghi" abbia voluto bruciare ogni indugio nel procedere alle sostituzioni al vertice delle forze armate per nominare a capo di stato maggiore della difesa quel gen. Vedovato che è in questi giorni il protagonista della "caccia alle streghe" iniziata fra gli alti gradi militari e della attività repressiva e punitiva nei confronti di generali che per un attimo hanno dimostrato la capacità e il coraggio civile di non essere in tutto succubi del regime e dei suoi metodi.

Rimaneva un piccolo punto nero, su cui i timidi ministri socialisti (non tutti, per la verità) erano riusciti ad imporsi alla volontà di ferro del "molle" Moro: la permanenza del gen. Manes nella carica di vice comandante dell'arma dei carabinieri.

Con il governo Leone e la nomina del "moroteo" Gui al ministero della difesa anche questo vuoto viene riempito: Manes è allontanato e sostituito con il gen. Celi, ex collaborazionista e repubblichino, uomo di fiducia di De Lorenzo, il generale dei carabinieri che preparò nel luglio 1964, sempre per incarico di De Lorenzo, i campi di concentramento in Sardegna per gli uomini politici delle liste di proscrizione. E sempre con il governo Leone, l'inchiesta addomesticata del gen. Lombardi - voluta da Moro, complice Tremelloni - giunge a compimento per spiegare, se le informazioni sono esatte, che le attività di De Lorenzo nel luglio 1964 furono legittime.

Moro può essere soddisfatto. E ancora una volta può ringraziare l'abitudine agli schemi e alle classificazioni parlamentaristiche di schieramento, che hanno impedito alla sinistra di accorgersi in tempo, e di denunciare in tempo, ciò che si nascondeva dietro la nomina di Gui al ministero della difesa, preferito in questo incarico a Scalfaro colpevole di essere "scelbiano".

Grazie a questa operazione la "lunga mano" di Moro condiziona il governo fantoccio del sen. Leone, il cui compito è appunto quello di sistemare alcune faccende rimaste in sospeso per liberare la strada a un più grande "centrosinistra", magari ancora diretto dall'ex presidente del consiglio.

Scalfaro è uno scelbiano, ma in una delle ultime riunioni del Consiglio dei Ministri pare che abbia avuto sufficiente senso dello stato per opporsi ad alcune delle più spudorate proposte del Presidente del Consiglio in carica. Non abbiamo nessuna particolare simpatia per questo ministro. Lo consideriamo un nostro avversario. Ma anche fra gli avversari è necessario fare delle scelte, è necessario saper distinguere fra quelli che sono politicamente onesti e quelli che non lo sono. La lotta politica anche fra avversari delle più lontane ed opposte frontiere non deve necessariamente scadere ai livelli più bassi di regime, come purtroppo avviene in Italia.

E' necessario che le sinistre di governo e di opposizione rimedino in tempo a questi errori di valutazione e non diamo tregua all'on. Gui nel suo tentativo di concludere a via XX Settembre il disegno di Moro. Per chi poi avesse dei dubbi sugli interessi che muovono l'ex Presidente del Consiglio in questa vicenda, ricorderemo una notizia che fu data da questa agenzia: la notizia di una riunione dell'on. Moro, dell'on. Rumor, del sen. Gava e dell'on. Zaccagnini, avvenuta a casa di quest'ultimo nel luglio 1964, con il gen. De Lorenzo. La nostra notizia fu ripresa alcune settimane dopo dall'on. Pacciardi su un giornale, e dall'on. Amendola nel dibattito parlamentare sul SIFAR.

L'on. Moro non avvertì mai l'esigenza di rispondere o di fornire smentite o precisazioni su questo episodio.

 
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