V· CONGRESSO NAZIONALE DEL PARTITO RADICALE - RAVENNA 2-3-4 NOVEMBRE 1968SOMMARIO: In piena esplosione del movimento studentesco, il Pr deve superare la tentazione di ritenere che, di fronte a fenomeni apparentemente più vasti ed incisivi, perché di massa, sia svuotata la propria funzione di partito. Il miglior contributo che il Pr può dare al movimento della contestazione è invece proprio quello di tener fermi i propri obiettivi politici. Piuttosto che aggiungere altri obiettivi a quelli già definiti, è necessario aprire una discussione sui metodi e sulle prospettive di lotta e sui problemi di crescita organizzativa. In particolare bisogna chiedersi come si collocano gli obiettivi classici del Pr (laicismo, anticlericalismo, antimilitarismo, antiautoritarismo) rispetto al movimento della contestazione globale; qual'è il valore delle singole battaglie per i diritti civili; con quali metodi tali battaglie devono essere condotte; qual'è la funzione delle minoranze radicali (devono dissolversi nelle azioni di massa?); quale deve essere il rapporto fra nuove e vecchie sinistre. I pun
ti in comune con il movimento della contestazione e la lontananza del Pr con il dogmatismo rivoluzionario e le illusioni violente della "nuova sinistra". Lotta al sistema o lotta al regime? Spadaccia conclude affermando che esistono tutti gli elementi per una efficace strategia radicale: ma esiste un partito capace di sostenerla?
(NOTIZIE RADICALI N. 51, 18 ottobre 1968)
PARTE Iª - "Il Partito Radicale e il movimento radicale nel Paese: una strategia politica per la nuova sinistra".
Arriviamo al quinto congresso nazionale del Partito in una situazione politica profondamente diversa e mutata rispetto a quella di un anno fa.
Appena al congresso di Firenze dello scorso anno ci trovavamo soli, con a fianco solo piccoli gruppi di estrema minoranza, a portare avanti obiettivi di lotta radicale di fronte agli apparati della sinistra ufficiale e alla loro politica di dialogo e di pratica integrazione.
I fatti dell'inverno e della primavera 1968 - radicalizzazione della lotta politica.
Nell'inverno e nella prima vera del '68, si sono verificati una serie di fatti che hanno contribuito a una forte radicalizzazione della situazione politica. Non c'è infatti dubbio che quella che è stata definita da Amendola come "l'esplosione" del movimento studentesco, alcuni aspetti nuovi delle agitazioni operaie e il manifestarsi in forma così diffusa del dissenso cattolico hanno profondamente modificato il quadro delle lotte e dei rapporti politici della sinistra italiana. Così mentre nel novembre dello scorso anno avevamo di fronte una sinistra ufficiale stagnante ed immobile, ad un anno di distanza il partito si trova ad operare in presenza di un vasto, articolato e spesso contraddittorio movimento radicale nel paese di cui è difficile stabilire la consistenza e la durata, ma che in alcuni casi ha acquistato dimensioni di massa, scavalcando e sconvolgendo le abitudini della sinistra. Questo movimento ripropone anche in termini nuovi il problema dei rapporti con le altre forze della sinistra, soprattutt
o quelle della opposizione, che hanno dovuto e devono fare i conti con questa realtà.
E' innegabile che tutto ciò si è mosso nella stessa direzione sulla quale si era da tempo incamminato, da posizioni di minoranza, il Partito Radicale. Il primo compito che il partito ha quindi davanti è quello di dare un giudizio politico su quanto di nuovo si è verificato a sinistra e che si presenta con connotati radicali, di esaminare attentamente le nuove possibilità che esso offre e i nuovi compiti che esso impone alla nostra azione politica.
Due tentazioni da evitare
Il rischio infatti che dobbiamo evitare è quello di abbandonarci a due tentazioni: quella ottimistica di ritenere in presenza di nuovi ed in alcuni casi impetuosi fenomeni e movimenti radicali nel paese, che solo per questo si sia rafforzata la nostra posizione di Partito Radicale; quella pessimistica di ritenere, di fronte a fenomeni apparentemente più vasti e incisivi, perché di massa, in tutto o in parte svuotata la nostra funzione di partito. Nell'uno e nell'altro caso si tratterebbe di un riflesso di immaturità o comunque di scarsa convinzione sui compiti di lunga distanza che comporta la promozione del partito radicale, cioè la pretesa di dare al movimento radicale solide basi, una strategia politica e soprattutto strutture che siano adeguate agli obiettivi politici che si intendono raggiungere e nello stesso tempo non siano contraddittorie rispetto ai principi di libertà, di democrazia diretta e di autogestione che si professano. Sono rischi e tentazioni cui il partito nel suo complesso non ha saputo
sottrarsi nell'inverno e nella primavera del 1968. Così è accaduto che il partito, che poteva trarre da questa novità della situazione politica, occasione di più intensa iniziativa e di crescita ha finito invece per assumere un atteggiamento non dissimile da quello degli altri partiti della sinistra, l'atteggiamento cioè di chi si sente sorpreso e scavalcato dagli avvenimenti tanto più grave in una forza di minoranza che non può e non vuole contare sulle resistenze di autoconservazione proprie delle altre organizzazioni politiche.
Movimento studentesco, dissenso cattolico, aspetti nuovi delle lotte operaie.
Il miglior contributo che possiamo dare al movimento della contestazione: tener fermi i nostri obiettivi politici.
Il miglior contributo che noi possiamo dare allo sviluppo e al rafforzamento del movimento di contestazione è proprio quello invece di tener fermi i nostri obiettivi, di sviluppare su di essi la nostra azione politica, migliorare le nostre strutture e i nostri metodi di organizzazione laica e libertaria. Tutto ciò non comporterà forme di chiusura verso l'esterno, al contrario, oltre ad offrire un preciso punto di riferimento e di confronto politico e ideale, consentirà di non disperdere e di arricchire una esperienza di lotta acquisita nell'arco di ormai cinque anni di lavoro. Con tutti i suoi limiti, lungi da sottovalutarla, dobbiamo essere consapevoli che questa esperienza di lotta non è ormai un patrimonio soltanto nostro ma un patrimonio che può e deve diventare di utilità generale per tutte le forze radicali del paese. Proprio per le loro caratteristiche di massa sia il movimento studentesco, sia il dissenso cattolico, sia le nuove manifestazioni di lotta del movimento operaio sono fatti rivelatori di u
na situazione che avevamo analizzato e previsto. Essi non esprimono ancora tutto ciò che di nuovo c'è o è suscettibile di esprimere la situazione sociale del paese. Ma soprattutto questi fatti non sono in grado di per sé stessi di riempire il vuoto di organizzazione e di strategia politica della nuova sinistra. Su di essi al contrario si innestano e si confrontano ipotesi, strategie politiche e contenuti di lotta diversi, a volte contraddittori e sempre in via di faticosa sperimentazione.
Autogestione e democrazia diretta nei movimenti.
L'autogestione delle lotte che si è affermata nelle università, l'organizzazione libertaria che i gruppi spontanei si sono dati, la maggiore partecipazione della classe operaia alle agitazioni sindacali sono il terreno positivo e nuovo in cui questo confronto si verifica, impedendo la cristallizzazione di gruppetti ideologici o l'affermarsi definitivo di una direzione politica univoca. Possiamo, credo, essere tutti d'accordo nel dire che proprio questo aspetto carattere libertario dei nuovi movimenti e principi di autogestione che per la prima volta si affermano contro il tradizionale centralismo è quello che più sentiamo in comune con le forze di nuova sinistra che si sono manifestate nel paese, dal momento che lo abbiamo ritenuto essenziale nel formulare il nuovo statuto del partito. Ma dobbiamo anche tener presente che esso è anche, probabilmente, l'aspetto più labile perché affidato a strutture ancora pressoché inesistenti e perché, di conseguenza, è sostenuto soprattutto dalla partecipazione spontanea e
dai mutabili - quando sono in gioco fenomeni di massa - movimenti di opinione.
Alla stessa maniera possiamo affermare di riconoscerci fino a identificarci nelle lotte antiautoritarie che hanno costituito l'essenza delle agitazioni universitarie, nelle rivendicazioni socialiste e fortemente laiche che ha assunto il movimento dei gruppi spontanei, nella rottura dell'equilibrio sindacale che si è verificato nelle agitazioni operaie della FIAT, della Marzotto e in numerosi altri casi. Ma ritenere che tutto questo costituisce già la nuova sinistra, quando ne è invece, nella migliore delle ipotesi, soltanto una premessa, non sarebbe soltanto in salto logico, ma un gravissimo errore politico dettato da ottimismo e superficialità. Dobbiamo quindi tener fermo con estremo rigore sulla politica che ci siamo dati nei due precedenti congressi di Bologna e di Firenze.
Due temi di dibattito congressuale: strategia politica; obiettivi di promozione del partito.
Credo che il dibattito congressuale non debba prevalentemente insistere sui contenuti e sugli obiettivi di lotta. In questo campo non solo ritengo che nel partito non esistano divergenze sostanziali, ma penso che non avremmo molto da aggiungere a quanto già è stato acquisito nei Congressi di Firenze e di Bologna. Sarebbe quindi un errore mettere nuova carne al fuoco, andando alla ricerca di altri obiettivi, quando il problema più urgente e grave che abbiamo davanti è quello di metterci in condizione di perseguire nella maniera più efficace quelli che ci siamo dati. Per far questo è necessario portare il dibattito su altri due piani: 1· una franca discussione sui metodi e sulle prospettive (e cioè la strategia politica complessiva) di lotta delle forze radicali e di nuova sinistra; 2· i modi e gli obiettivi di crescita politica e organizzativa del Partito Radicale.
Dedicherò pertanto questa prima parte del documento ai metodi e alle prospettive di lotta, cioè alla strategia della nostra iniziativa politica. Una seconda parte, che sarà resa nota all'inizio della prossima settimana, ad una analisi della situazione interna del partito sulla base dell'esperienza di questo ultimo anno di lavoro. Questo documento vuole essere soltanto un primo contributo del Segretario del Partito al dibattito congressuale. Esso non è quindi espressione di dibattiti avvenuti all'interno del partito o di posizioni collegiali. Per ragioni di funzionalità esso prescinde, per il momento, da una più ampia analisi politica che mi riservo di portare in Congresso con la relazione introduzione dei lavori.
5 domande al Congresso.
Esso si propone di dare una risposta alle seguenti domande:
1) come si collocano gli obiettivi politici che ci siamo dati (laicismo e anticlericalismo, antimilitarismo, antiautoritarismo) rispetto al movimento della cosiddetto contestazione globale. In particolare quale è il rapporto fra quella che nel nostro ultimo congresso abbiamo definito come lotta al regime e la contestazione globale del sistema.
2) Qual è il valore delle singole battaglie che nell'ambito di quegli obiettivi generali di lotta il partito ha promosso e che sono prevalentemente battaglie per i diritti civili. Le battaglie per il divorzio, per l'obiezione di coscienza, per l'abolizione del concordato, per l'abolizione delle leggi repressive, per la libertà sessuale, quelle contro la manomissione clericale del patrimonio pubblico e contro la corruzione e le altre nelle quale siamo stati e siamo impegnati hanno un valore soltanto riformistico e sono tali una volta realizzate da essere riassorbite dal sistema? Qual è la strategia che unisce queste battaglie e gli stessi obiettivi generali di lotta che ci siamo dati?
3) Con quali metodi queste lotte devono essere condotte e sviluppate nel paese. In particolare qual è il giudizio che diamo della utilizzazione degli strumenti della democrazia politica e dei metodi non violenti, che abbiamo largamente utilizzato fino ad ora nella nostra azione politica.
4) Qual è la funzione delle minoranze radicali. Devono dissolversi nella azione di massa o, al contrario, hanno una funzione insostituibile nel preparare i movimenti di massa e nell'assicurare strutture permanenti di carattere laico e libertario per la lotta?
5) Quale deve essere il rapporto fra nuova sinistra e vecchia sinistra, fra forze radicali e forze e apparati della sinistra ufficiale e tradizionale.
Restano invece fuori da questa parte del documento altri temi (la funzione del capitalismo di Stato, il giudizio sui paesi di democrazia popolare, internazionalismo e vie nazionali, rapporto fra forze rivoluzionarie del terzo mondo e lotte per la democrazia e per il socialismo nel mondo occidentale, democrazia di partito, rapporto fra partito e forze sociali) sui quali anche se ancora in maniera non sufficientemente approfondita la posizione del partito è maturata da tempo e sui quali non ritengo esistano divergenze sostanziali.
Possiamo individuare molti elementi che sono comuni alla nostra azione e ai movimenti della contestazione: innanzitutto la riscoperta dell'elemento soggettivo e volontaristico in un'azione che voglia essere davvero rivoluzionaria.
Il rifiuto dell'equilibrio esistente.
Per anni l'ideologia della sinistra ha fatto sì che la sopravvalutazione degli elementi oggettivi diventasse un alibi per il rinvio di ogni scelta politica e per giustificare una politica di dialogo e di pratica integrazione. La facile constatazione dell'assenza di condizioni rivoluzionarie è stata la copertura di una massima accettazione dell'equilibrio esistente e dell'appiattimento burocratico di ogni iniziativa di lotta. I movimenti di contestazione rifiutano l'accettazione dell'equilibrio esistente e hanno ricordato a tutta la sinistra che le condizioni rivoluzionarie vanno preparate e create con un'azione rivoluzionaria. In questo senso il riferimento a Mao Tse Tung, a Guevara e a Fidel Castro è soprattutto un riferimento polemico e valida contrapposizione sul piano della prassi più che sul piano ideologico.
Il rifiuto dell'economicismo.
L'altro elemento che avvertiamo comune è il rifiuto dell'economismo, cioè la pretesa di combattere l'avversario e di trasformare il sistema risalendo a monta, alle condizioni economiche e tentando di trasformarle attraverso la politica economica e sociale. La rivendicazione di potere studentesco come il potere operaio dimostrano che i movimenti della contestazione hanno compreso che il potere va invece combattuto a valle là dove esercita la propria funzione autoritaria oppressiva e repressiva: nella scuola, nella fabbrica, nella giurisdizione, nei rapporti con la polizia, ecc. Questo mi sembra il senso, per quanto riguarda il movimento studentesco, della lotta contro l'autoritarismo accademico e di quella che è seguita nella primavera del '68 contro la repressione.
Il rifiuto della politica di potenza.
Il terzo punto che possiamo ritenere di avere in comune con i movimenti della contestazione è l'internazionalismo o meglio la rivendicazione di un nuovo internazionalismo che si basi sul rifiuto della distinzione assurda fra politica estera e politica interna e sul rifiuto della politica di blocco e di potenza quale mezzo valido per affermare la lotta per il socialismo nel mondo. La comprensione che non si appoggiano i movimenti di liberazione del terzo mondo attraverso iniziative diplomatiche e dichiarazioni di solidarietà ma portando avanti con tenacia la lotta per il socialismo nel nostro paese ci ha indotto già da molto tempo ad affermare, come partito radicale, che una politica internazionalista che sia davvero tale passa necessariamente attraverso l'antimilitarismo e la lotta contro le strutture militari, quelle nazionali non meno di quelle sovranazionali e internazionali nelle quali le forze armate italiane sono integrate.
Il pericolo di un nuovo dogmatismo.
Fin qui le cose che possiamo ritenere comuni. Da qui in poi dobbiamo invece approfondire e riproporre i nostri metodi, i nostri obiettivi e la nostra strategia di lotta senza alcun complesso di inferiorità. E questo è tanto più necessario in una situazione nella quale rischiano di riproporsi e di accentuarsi tutti i vizi tradizionali della sinistra italiana: l'astrattezza, il massimalismo, il rivoluzionarismo verbale, il settarismo, il dogmatismo.
Aspetti di questo genere sono probabilmente da considerarsi naturali e inevitabili in un movimento spontaneo e di vaste dimensioni come è stato ed è il movimento studentesco. Proprio per questo, tuttavia, essi esigono chiarezza di giudizio politico e consapevolezza delle differenze e dei momenti di dissenso. Già oggi su tutta una serie di fatti e di prospettive di lotta noi avvertiamo la tentazione all'interno del movimento studentesco di nuove forme di dogmatismo rivoluzionario. E ci troviamo - come è accaduto a Roma - a dover registrare ad esempio sulla Cecoslovacchia, o sulla necessità di una lotta antimilitarista o sulla politica anticlericale non solo posizioni diverse ma obiezioni ideologiche non dissimili da quelle che ci venivano contrapposte in passato dalla sinistra marxista delle organizzazioni socialiste e comuniste tradizionali e ufficiali. Su questi fatti e su questi momenti di dissenso, il partito deve esprimere il proprio giudizio politico, far conoscere la propria posizione.
Lotta contro il regime e contestazione globale del sistema.
Inoltre nella misura in cui il dibattito all'interno del movimento studentesco e all'interno del dissenso cattolico si approfondisce e si allarga noi dobbiamo saper individuare le diverse posizioni, le diverse linee e prospettive politiche che vi emergono, sottolineare queste diversità, entrare nel dibattito politico e operare scelte conseguenti. Già questo congresso si trova a dover far fronte a questa esigenza. Non possiamo infatti fingere che quella che abbiamo definito nel nostro ultimo congresso lotta contro il regime sia la stessa cosa della lotta contro il sistema, della contestazione globale del sistema che costituiscono le parole d'ordine dei nuovi movimenti della protesta e del dissenso. Non possiamo ignorare infatti che la contestazione globale non ha più soltanto molto spesso il significato di rifiuto della società attuale e volontà di trasformarla in modo radicale ma finisce per assumere il significato di ricerca di uno scontro totale e definitivo con l'avversario di classe. Tale globalità non è
utile né sul piano dell'analisi né sul piano della lotta politica. Da questi punti di vista essa non è meno nociva di quella globale che abbiamo criticato in passato nei partiti della sinistra. Il più grave difetto di questa globalità è nella sua genericità e, nello stesso tempo, nella sua unidimensionalità. Nella sua genericità perché la lotta contro il sistema capitalistico globalmente inteso finisce per far dimenticare e passare in seconda linea le caratteristiche peculiari che caratterizzano "questo" sistema capitalistico contro cui dobbiamo combattere qui in Italia e non altrove e che lo differenziano nettamente dal modo in cui il sistema capitalistico si organizza e si manifesta in altri paesi e in altri stati; d'altra parte, nonostante ogni intenzione contraria, una tale globalità, proprio nella misura in cui pretende di individuare e di colpire il fattore primo ed essenziale del sistema - cioè il potere capitalistico - finisce inevitabilmente per trascurare tutte le altre componenti e tutti gli altr
i fattori del potere di classe. Se questo è vero sul piano dell'analisi e della ideologia, gli inconvenienti non sono meno gravi sul piano dei metodi e degli obiettivi di lotta.
Una strategia di lotta articolata e flessibile quanto il sistema che vuole combattere.
Proprio per la sua articolazione e per la sua flessibilità il sistema è in grado di contenere e di isolare movimenti che hanno la pretesa di realizzare una tale forma di contestazione globale. L'uso degli strumenti repressivi e il monopolio degli strumenti di informazione di massa consentono al potere di rinchiudere in un ghetto movimenti che non abbiano la capacità di darsi una strategia di lotta che sia altrettanto articolata e altrettanto flessibile del sistema che pretende di combattere. Può essere indicativo, a questo proposito, che il momento più felice del movimento studentesco è stato quello della contestazione del potere accademico, proprio perché si scontrava con un dato di crisi del sistema, e più facile quindi era affrontare e condurre, a partire da un problema di comprensione generale, la lotta anche contro gli stessi tentativi di razionalizzazione e di soluzione moderata e conservatrice di quella crisi. Per contro proprio nel momento in cui giustamente si ricercano alleanze esterne quelle natur
ali con il movimento operaio del paese, si rischia di cadere in una sorta di operaismo generico e vecchia maniera. L'insuccesso che in molti casi ha coronato infelicemente questa giusta ricerca di collegamento con la classe operaia dipende probabilmente proprio dal fatto che si è voluto inserire nelle lotte operaie delle parole d'ordine generiche, non accompagnate da una comprensione dei fatti specifici e degli specifici scontri di interesse che erano all'origine di quelle agitazioni operaie.
Realpolitik ed estremismo vanificano ogni politica radicale.
Noi dobbiamo superare questa situazione per la quale la sinistra, nelle sue componenti ufficiali e parlamentari, non sembra riuscirsi a dare altro obiettivo che non sia quello della lotta ad una formula e ad un programma di governo, e che nelle sue componenti nuove ed extraparlamentari si dà l'obiettivo suggestivo ma astratto della lotta contro il sistema. Realpolitique ed estremismo velleitario si danno una mano nel vanificare ogni lotta radicale e rivoluzionaria e sono stati entrambi responsabili della incapacità ed impossibilità di trovare e dare sbocco politico in Francia alle agitazioni di massa del maggio 1968.
La lotta contro il regime è il terreno giusto di una efficace e non velleitaria contestazione del sistema perché consente di individuare le diverse componenti del blocco di forze che detiene il potere, i processi autoritari che si sviluppano per consolidare questo potere, i modi concreti con i quali viene messo in atto il tentativo di integrare e vanificare l'azione delle opposizioni.
Al di fuori di questo concreto e preciso terreno di lotta è facile perfino alla Chiesa, nel cui potere temporale è uno dei capisaldi del regime e quindi in Italia una delle componenti fondamentali del sistema, apparire e proporsi come una forza di contestazione ideologica grazie ad un atteggiamento anticapitalistico di carattere in gran parte ancora pre-industriale. E contemporaneamente è possibile alle forze ufficiali della sinistra tentare di mettersi al paese con il movimento della contestazione attraverso concessioni di carattere "ideologico" e agitatorio senza modificare in nulla i loro obiettivi politici che restano spesso compromissori rispetto al regime. I contestatori rimarranno a parole anticlericali e continueranno in maniera settaria a lanciare le loro condanne contro il revisionismo, ma le masse interessate alla contestazione perderanno di vista lo spartiacque fra una politica davvero radicale e di alternativa e una politica che non lo è.
La falsa alternativa fra via pacifica e via insurrezionale alla rivoluzione.
Così pure dobbiamo sfatare la pretesa e false alternativa fra via pacifica e via insurrezionale alla rivoluzione, due pretesi sbocchi rivoluzionari che servono in realtà a nascondere da una parte la pacifica e per nulla rivoluzionaria accettazione dell'equilibrio esistente e l'altra e rimandare ogni iniziativa al momento di uno scontro definitivo di carattere generale, che quando si verificasse troverebbe le sinistre come è avvenuto in Francia incapaci di sostenerlo politicamente e aprirebbe la strada o ad un successo della destra (maggio 1968 in Francia) o a nuove soluzioni compromissorie della sinistra (luglio 1960 in Italia).
Riforme e rivoluzione.
In realtà il contesto di lotta che ci siamo scelti - quello contro il regime - e le analisi di carattere antimilitarista, e anticlericale sulle quali si è mossa la nostra azione politica ci hanno consentito di condurre battaglie efficaci, di aprire nuovi fronti di lotta per la sinistra che hanno rappresentato e rappresentano cunei importanti nell'equilibrio di potere su cui si regge il nostro sistema.
Divorzio, obiezione di coscienza, diritti civili - obiettivi riformistici o elementi di crisi del sistema?
Dalla battaglia per il divorzio alla obiezione di coscienza, dalle lotte contro le ipoteche clericali sulla scuola, sulla famiglia e sulla assistenza e quella più generale contro il concordato, della battaglia per la libertà sessuale a quella contro gli indirizzi repressivi e autoritari della giurisprudenza nel campo dei diritti civili, da quelle per la sicurezza sociale a quella contro il capitalismo di stato, ci siamo sentiti riproporre una serie di obiezioni da destra e da sinistra, dall'interno e dall'esterno del Partito.
Ciò che viene contestato alle nostre iniziative politiche è:
1) la pretesa loro episodicità e settorialità, che escluderebbe una strategia politica complessiva, necessaria per rendere valida l'esistenza di un partito politico;
2) il loro carattere riformistico, che renderebbe ciascuna di queste battaglie, una volta che abbia avuto successo, suscettibile di essere riassorbita dal sistema;
3) la necessità per molte di esse di trovare espressione anche sul piano della iniziativa legislativa aprendo quindi la strada a rapporti con le componenti parlamentari della sinistra e in molti casi non soltanto quelle della sinistra di opposizione ma della stessa sinistra di governo.
Così alla nostra lotta per l'obiezione di coscienza viene semplicisticamente contrapposto lo slogan "guerra no, guerriglia sì" e, all'interno stesso del nostro partito una battaglia come quella per il divorzio di cui siamo stati protagonisti ha finito per essere sottovalutata come un fronte di lotta arretrato, riformistico e parlamentare.
Classi borghesi, capitalismo e clericalismo nella specifica realtà italiana.
Alla base di tutto questo c'è una insufficienza e un errore di analisi della situazione politica e sociale, dei fattori specifici sui quali si basa l'organizzazione del sistema capitalistico nel nostro paese, dove dopo la Resistenza la borghesia e il capitalismo hanno affidato la difesa dei propri interessi a un partito clericale e non ad un tradizionale partito conservatore ad ideologia nazionalistica come avviene in altri paesi europei. Questa scelta del resto non è nuova nella storia d'Italia, dove le élites borghesi, tranne nel periodo della destra storica, hanno sempre sostanzialmente rispettato l'egemonia della chiesa nel campo della cultura di massa e del costume. Ciò che quindi non è incompatibile in altri sistemi capitalistici, o che anzi in altri sistemi capitalistici si è realizzato per iniziativa delle forze politiche liberali, può divenire in Italia un forte elemento di crisi non del sistema capitalistico in astratto, ma del concreto equilibrio e sistema di potere che si è realizzato nel nostro
paese.
Le forze di regime, clericali, vere forze egemoni e di punta del sistema capitalistico.
Ma un altro dato non possiamo dimenticare: all'interno di questo equilibrio fra forze borghesi e capitalistiche e forze clericali e di regime, non è affatto vero che le prime sono, quali motrici dello sviluppo economico capitalistico del nostro paese, le forze di avanguardia, mentre le seconde ne rappresenterebbero invece la retroguardia rurale, conservatrice e oscurantista. Non è vero che il clericalismo ed il reazionarismo italiano è qualcosa che i capitalisti sono costretti a sopportare a malincuore, che si oppone alla razionalizzazione dello stesso sistema capitalistico, e di cui quindi le forze capitalistiche farebbero volentieri a meno se disponessero di una alternativa politica moderata (liberale o socialdemocratica); questo quadro non corrisponde alla realtà, è ormai smentito dai fatti, anche se ci sono state negli ultimi due o tre anni forze socialdemocratiche e anche grossi interessi capitalistici che hanno coltivato queste ambizioni e questi disegni. E' vero invece sempre di più il contrario, si d
imostra sempre più fondata una analisi che noi, isolati, abbiamo portato avanti per anni contro tutta la sinistra: quella secondo la quale le forze del regime, attraverso il capitalismo di stato, non costituiscono la retroguardia, le forze frenanti, gli elementi di contraddizione, ma rappresentavano in potenza alcuni anni fa e rappresentano oggi sempre di più le vere forze egemoniche e di punta del nostro sistema capitalistico. E' la comprensione di questa realtà che ci ha portato a combattere le tendenze settarie della sinistra che portavano a individuare il nemico da battere nella socialdemocrazia assai più che nel partito democratico-cristiano e nelle forze clericali del paese; che ci ha permesso di capire che il disegno socialdemocratico e gli stessi obiettivi di una politica riformistica e socialdemocratica non soltanto erano irrealizzabili, al contrario di quello che è avvenuto in altri paesi, ma erano elementi di crisi della stessa socialdemocrazia e terreno di lotta per una effettiva sinistra di oppo
sizione.
Rafforzato il sistema oppressivo e di classe attraverso il capitalismo di Stato.
Basta del resto guardare alla ristrutturazione avvenuta negli ultimi anni nella nostra struttura economica, con la crescente integrazione fra tecnocrazia pubblica e privata, con il peso crescente dei gruppi capitalistici di stato, con la crescente capacità di manovra e di intervento degli strumenti pubblici nel campo della finanza e dell'industria, per rendersi conto di questa realtà. Il regime non si è rafforzato contro la logica e gli interessi del sistema capitalistico, ma al contrario conquistando all'interno del sistema capitalistico essenziali e determinanti posizioni di controllo e di guida, non a fini di socializzazione e di interesse collettivo, ma ai fini del rafforzamento di un potere di classe non meno autoritario e repressivo di quello dei tradizionali padroni del vapore (non a caso sono proprio le aziende pubbliche le punte più avanzate nella politica di ridimensionamento e di ristrutturazione e nella politica di repressione delle libertà sindacali). Non muta ovviamente per questa via la natura
del sistema capitalistico, non si verifica neppure più quel passaggio di settori dell'economia dal capitalismo privato al capitalismo di stato; mutano semplicemente, attraverso una nuova dislocazione, le forze che gestiscono il sistema e in questo nuovo equilibrio sono le forze del regime che si avviano ad assumere il ruolo egemone e dominante.
Iniziative dirette dal basso, parlamentarismo e extra-parlamentarismo.
Sulla base di questa analisi, per ora solo accennata, mi limito ad esporre alcune convinzioni in maniera estremamente sommaria:
1) i nostri obiettivi di lotta investono posizioni fondamentali di potere e sono suscettibili quindi di creare gravi brecce nell'equilibrio politico italiano;
2) l'attuale situazione di regime, nonostante ogni convinzione in contrario, vanifica in realtà ogni possibilità di affermare questi obiettivi attraverso il meccanismo istituzionale e la delega parlamentare. Essi possono pertanto affermarsi soltanto attraverso l'iniziativa diretta dal basso;
3) la contrapposizione fra iniziative di minoranza e iniziative di massa va pertanto respinta. Il compito delle minoranze è quello di aprire con le loro battaglie fronti di lotta, capaci di interessare vaste masse di cittadini;
4) il giudizio sulla impossibilità di affidarsi al meccanismo parlamentare per condurre una lotta efficace contro il regime e per la conquista di nuovi diritti civili e politici, non deve significare rinuncia a servirsi ogni qual volta è utile e necessario degli strumenti della democrazia politica. L'azione diretta e l'iniziativa dal basso lungi dall'essere incompatibile con gli strumenti della democrazia politica è l'unica che invece può renderli di nuovo operanti ai fini di una lotta per la trasformazione della società e dello Stato; non devono essere accettate pertanto le posizioni di alcune componenti della sinistra extraparlamentare secondo le quali la democrazia politica è uno strumento del potere di classe e come tale va combattuta.
Gli strumenti della democrazia politica, conquistati dalla classe operaia con le proprie lotte e svuotati nei loro contenuti e nella loro funzionalità dalle forze del regime, rimangono oggi il più potente fattore di contraddizione all'interno della logica autoritaria e tecnocratica del sistema.
I rapporti con la sinistra tradizionale.
E' anche da respingere la esclusione pregiudiziale di ogni forma di rapporto e di alleanza con le forze della sinistra parlamentare. Il problema va posto in altri termini: a quale condizione e quando questi rapporti vanno ricercati e sviluppati. L'esempio della LID credo che sia un esempio indicativo di rapporto valido garantito da un efficace forma di democrazia diretta. Il problema quindi è essenzialmente quello della esistenza di forze radicali autonome. Non credo che gli stessi problemi elettorali vadano posti in maniera diversa;
Violenza e nonviolenza.
5) va infine attentamente considerata, di fronte alle tecnologie della repressione a disposizione del sistema, l'ondata di rivalutazione della violenza rivoluzionaria, che vediamo diffondersi nel nostro paese all'interno della sinistra extraparlamentare. Noi abbiamo in passato sempre praticato metodologie nonviolente, senza peraltro fare della nonviolenza l'unico possibile metodo di lotta e senza teorizzarla in forma religiosa o ideologica. Anche sul piano metodologico tuttavia occorre un discorso politico e concorrono delle scelte. Personalmente ritengo superficiale ed errata la teorizzazione della violenza - anche soltanto come autodifesa - nella nostra situazione politica. Credo che ci sia anche un equivoco da sfatare: quello secondo il quale si tende a identificare una lotta nonviolenta con una lotta necessariamente di tipo legalitario. Il problema è di efficacia di fronte agli strumenti repressivi di cui dispone il regime. Il problema richiede quindi un dibattito e delle scelte politiche. Affermare che
la violenza dei negri, o degli studenti o degli operai è giustificata di fronte alla tacita violenza quotidiana che il sistema esercita contro gli oppressi è una affermazione morale ma non fornisce un valido criterio di comportamento politico di fronte alle prospettive di lotta.
Io ritengo, nonostante la necessaria sommarietà di queste indicazioni in questo primo documento congressuale, che esistano tutti gli elementi per una efficace strategia radicale.
Il problema è invece un altro: se esiste un partito capace di sostenere questa strategia e se siamo capaci di costituirlo.