SOMMARIO: Cosa è rimasto oggi del partito socialista, da sempre "grande forza di promozione sociale, politica e civile della classe operaia?". In questo congresso di unificazione, il grande protagonista è il "vecchio" Pietro Nenni, nel quale sembrano confidare oggi anche le forze della conservazione. Ma dopo i fallimenti del 1946 e poi del 1953-56, "l'uomo non ha più nulla da offrire al partito". Milioni di persone si attendono dai socialisti "una politica conseguente di riforme", ma la classe dirigente socialista confonde questa aspirazione come adesione alla politica del centro sinistra, che è "di collaborazione subalterna" con la DC.
(NOTIZIE RADICALI, 26 ottobre 1968)
Dall'inizio del secolo e fino alla caduta del fascismo il Partito socialista è stato in Italia la grande forza di promozione sociale, politica e civile della classe operaia: i suoi successi e i suoi errori sono stati successi ed errori della classe operaia, le sue sconfitte sono state sconfitte della democrazia e del socialismo.
Cosa rimane oggi di quel partito? Ancora una volta, in questo congresso, il primo dopo l'unificazione socialdemocratica, il grande protagonista del dibattito socialista, l'uomo al di sopra delle parti, il leader al quale anche De Martino, Giolitti, Tanassi sembrano riservare la funzione di arbitro è Pietro Nenni. Non meraviglia che la stampa moderata e le forze del regime riservino ormai a questo vecchio uomo politico biografie agiografiche e oleografiche: è naturale che le classi dirigenti borghesi e clericali del nostro paese confidino soprattutto in lui nel mantenere il Partito socialista asservito ai loro disegni.
Se c'è una continuità nella attività politica di Pietro Nenni dal dopoguerra ad oggi questa continuità è nella alienazione del patrimonio socialista e della sua autonomia, come stalinista negli anni '40 e '50 non meno che come succube alleato del partito di regime oggi. Le adulazioni della "Stampa" e del "Corriere" hanno per il socialismo italiano lo stesso triste e avvilente significato che aveva nel 1950 l'assegnazione del premio Stalin.
Per due volte Pietro Nenni - prima nel 1946 all'epoca della lotta per la Repubblica, poi nel 1953/56 con la riscoperta della autonomia socialista dallo stalinismo - ha suscitato entusiasmi popolari, raccolto la fiducia di ampi settori della classe operaia e del movimento democratico italiano. Dopo i clamorosi fallimenti della politica di fronte popolare prima e della politica di centro-sinistra più recentemente, l'uomo non ha più nulla da offrire al Partito. Ma la classe dirigente socialista, nelle sue diverse componenti, si attarda sugli errori e sui fallimenti di cui è stato protagonista, dimostrando di non voler trarre nessun insegnamento dalla collaborazione governativa a lungo sperimentata con la Democrazia cristiana e dagli stessi duri risultati elettorali del 19 maggio scorso.
Milioni di operai, di tecnici, di democratici che votano socialista, si aspettano da questo partito una politica conseguente di riforme politiche, economiche e sociali. Questa aspirazione alle riforme viene confusa dalla classe dirigente socialista come una adesione e un avallo alla politica di centro-sinistra cioè alla politica di collaborazione subalterna con la Democrazia cristiana nella gestione del potere. Il dramma di questo congresso socialista è purtroppo nel fatto che nonostante la frantumazione politica e ideologica del partito in cinque correnti quattro di queste cinque correnti ritengono ancora possibile la collaborazione di governo con la DC. Per questa strada non c'è prospettiva di riforme ma solo la prospettiva di una crescente complicità con il regime, chiunque sia il protagonista di questa collaborazione, De Martino, Giolitti o Tanassi.