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Partito radicale - 10 giugno 1969
IL PARTITO RADICALE PER IL REFERENDUM ABROGATIVO DEL CONCORDATO

SOMMARIO: Il Partito Radicale si oppone ad ogni forma di revisione del concordato poichè non condurrebbe ad altro che ad affermare il potere clericale; ritiene che solo una mobilitazione popolare, che nasca dal basso, possa creare le condizioni per modificare i rapporti tra Stato e Chiesa.

Obiettivo del Partito Radicale è, invece, l'abrogazione del concordato tramite il referendum abrogativo secondo il disposto dell'art. 75 della Costituzione. La natura di atto internazionale del concordato e la pretesa costituzionalizzazione dei patti lateranensi potrebbero essere poste come obiezioni giuridiche circa la legittimità del ricorso al referendum.

Viene, infine, illustrato il meccanismo del referendum così come è disposto dalla legge 25 maggio 1970, n.352.

(NOTIZIE RADICALI N. 73, 10 giugno 1969)

"Il Partito Radicale conferma la propria opposizione ad ogni prospettiva di revisione del Concordato che si risolverebbe in un ulteriore avallo fornito dallo Stato alla legislazione concordataria e quindi in un suo ulteriore rafforzamento.

Ancora una volta il Partito Radicale indica perciò nella abrogazione del Concordato l'unico obiettivo politico valido, possibile e realistico, che possa essere perseguito da forze che intendano davvero affrancare lo Stato dalla grave ipoteca rappresentata dal potere clericale e indica a questo scopo nel referendum abrogativo, previsto dall'art. 45 della Costituzione, lo strumento di iniziativa popolare per raggiungere tale obiettivo.

I radicali italiani rivolgono pertanto un appello a tutti i cittadini che intendono lottare con intransigenza contro il potere clericale come contro ogni altra manifestazione autoritaria e di classe perché partecipino a questa campagna nazionale e collaborino a preparare gli strumenti organizzativi necessari per promuovere il referendum popolare. Uguale appello i radicali rivolgono a quei cittadini di fede cattolica, che sull'esempio del cattolicesimo di altri paesi lottano anche in Italia per il rinnovamento della loro religione e sanno che il potere clericale rappresenta il principale ostacolo a questo rinnovamento religioso".

No alla "revisione"

"Il Concordato fra la Chiesa e lo Stato Italiano costituisce la "magna charta" del clericalismo italiano, lo statuto dei privilegi e del potere conquistati dalla Chiesa durante il regime fascista e accresciuti e rafforzati in oltre venti anni di democrazia repubblicana.

Una revisione che non volesse limitarsi ad una modificazione soltanto formale della legislazione concordataria dovrebbe pertanto eliminare tutte quelle forme del Concordato che assicurano siffatti poteri e privilegi, le stesse che riducono lo Stato in settori delicatissimi della vita civile a braccio secolare della Chiesa e fanno scadere la stessa religione a mero" instrumentum regni, "principale sostegno politico ed elettorale di quel blocco di forze reazionarie e di classe che hanno trovato nel partito unico dei cattolici - la Democrazia Cristiana - la propria principale espressione politica.

Noi sappiamo che una tale revisione - la sola che potrebbe rendere inutile l'iniziativa dell'abrogazione - è assolutamente impensabile, e costituisce un obiettivo assai meno realistico e molto più velleitario di una decisa azione per la definitiva abrogazione del Concordato.

Il meccanismo della "revisione bilaterale" da attuarsi mediante trattative diplomatiche affida infatti praticamente al beneplacido della controparte - cioè della Chiesa - l'esito di ogni proposito revisionista.

Per quanto riguarda la Chiesa essa ha già dimostrato nelle polemiche di questi anni - più importante fra tutte quella sulla costituzionalità dei progetti di legge per l'introduzione del divorzio nell'ordinamento giuridico italiano - non solo di voler difendere la attuale legislazione concordataria, ma di volerne imporre, a danno ulteriore della autonomia e della sovranità dello Stato, l'interpretazione più reazionaria e restrittiva.

Per quanto riguarda l'attuale governo e l'attuale maggioranza parlamentare, nessuno può nutrire illusioni sull'atteggiamento della Democrazia Cristiana, che continua ad esserne la forza prevalente e condizionante. La Democrazia Cristiana ha già dimostrato infatti quale sia la sua volontà sia con i discorsi pronunciati dai suoi esponenti nel corso dei dibattiti che si sono svolti alla Camera sull'argomento, sia con il rifiuto di dar vita ad una Commissione comprendente anche le opposizioni, sia infine con la composizione della Commissione per lo studio delle proposte di revisione, nominata dal Governo Leone e confermata dall'attuale Governo di centro-sinistra.

Le forze laiche di governo, partecipando alle trattative e alle procedure della revisione, si renderebbero complici di un inganno all'opinione pubblica, di un alibi offerto alla Chiesa e alla Democrazia Cristiana e di un ulteriore attentato allo Stato democratico. La Chiesa ha infatti interesse ad una revisione, che mantenendo intatti il suo potere e i suoi privilegi, elimini gli aspetti più anacronistici del Concordato e quelle norme di natura giurisdizionalista che limitano in qualche misura la sua attività e prevedono controlli e interventi dello Stato.

In ultima analisi una tale revisione si rivelerebbe per lo Stato democratico più grave e nociva dello stesso art. 7. Con l'art. 7 la Repubblica si limitò infatti ad ereditare il peso della osservanza della legislazione concordataria voluta dal fascismo. Ora, invece, con una legge che ratificasse un accordo di revisione, ne assumerebbe direttamente la paternità e fornirebbe al potere clericale una nuova, più moderna e valida fonte di legittimità.

Ma la richiesta di abbandonare la prospettiva revisionistica non deve essere rivolta solo alle forze laiche della maggioranza, ma anche ai partiti laici della opposizione, e in particolare ai partiti della opposizione di sinistra. Non si tratta oggi di contrapporre ai propositi di revisione del Governo proposte di revisione più avanzate, per ispirazione laica e democratica, ma di rendersi conto che non esistono oggi, a causa dell'atteggiamento della Chiesa più che mai in Italia ancorata ai propri interessi temporali e per l'esistenza di un partito clericale di maggioranza relativa, né le condizioni né i rapporti di forza che consentano di affrontare con successo qualsiasi prospettiva revisionistica.

Occorre, al contrario, rendersi interpreti del crescente stato di insoddisfazione, dei sentimenti di protesta e di rivolta che le lotte sociali di questi ultimi anni hanno rivelato in settori come quello dell'assistenza, della scuola, della famiglia, della giustizia da parte di ampi strati e vaste masse di lavoratori e di cittadini contro un sistema, autoritario e classista, del quale il clericalismo rappresenta una componente fondamentale e il principale elemento di sostegno e di forza; è necessario rispettare ed accogliere le rivendicazioni anticoncordatarie, antitemporaliste e anticlericali che nascono ormai dall'interno stesso del mondo cattolico in masse di giovani e di fedeli che lottano per il rinnovamento della vita religiosa del nostro paese e per la sua liberazione dalle ipoteche della conservazione, della corruzione e del potere di classe.

Solo una mobilitazione popolare, che nasca dal basso, a partire da queste esigenze e rivendicazioni civili e sociali, può oggi creare le condizioni di forza necessarie per modificare i rapporti fra Stato e Chiesa".

Il Partito Radicale ha per questi motivi individuato nel referendum popolare, previsto dall'art. 75 della Costituzione e di cui è in discussione alle Camere la legge di attuazione, lo strumento più adatto per promuovere la lotta popolare verso l'obiettivo della abrogazione della legislazione concordataria. In adempimento di una decisione dell'ultimo Congresso Nazionale del novembre 1968, il Partito Radicale promuove fin da ora una campagna nazionale per un referendum popolare da realizzarsi subito dopo l'approvazione da parte del Parlamento delle leggi di attuazione di questo istituto previsto dalla nostra Costituzione".

Oltre le riserve giuridiche la battaglia politica

"Una serie di obiezioni giuridiche ci sarà sicuramente opposta circa la legittimità del ricorso al referendum, previsto dall'art. 75 della Costituzione, per ottenere l'abrogazione del Concordato.

Poiché il referendum previsto dall'art. 75 riguarda l'abrogazione delle leggi ordinarie possiamo prevedere che ci sarà obiettata sia la natura di atto internazionale propria, secondo i giuristi di parte clericale, del Concordato, sia la pretesa" costituzionalizzazione "dei Patti lateranensi che, sempre secondo una tesi clericale, sarebbe stata stabilita dall'art. 7 della Costituzione. Entrambe queste tesi devono essere respinte come artificiose. Per quanto riguarda la prima l'art. 75 impedisce infatti il ricorso al referendum soltanto per le leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, e il Concordato non è trattato internazionale. Per quanto riguarda la seconda, essa è respinta dalla maggior parte dei giuristi, in quanto - secondo quanto affermarono gli stessi costituenti democristiani sia nei lavori preparatori sia nella discussione e nelle dichiarazioni di voto sull'art. 7 - questa norma si limita a prevedere e a regolamentare le ipotesi di revisione dei patti e non li trasforma in no

rme costituzionali.

Il problema semmai è rappresentato dalla espressa statuizione dello stesso art. 7 secondo cui le modifiche dei Patti accettate dalle due parti non richiedono procedimento di revisione costituzionale, prescrivendo quindi implicitamente tale procedimento per le modifiche non accettate. Ma si tratta pur sempre di modifiche che possono o no essere accettate, e l'accettazione è posterius alla modifica. Non è quindi necessario un preventivo accordo tra le parti e la parte italiana può procedere a modificare per propria iniziativa i Patti anche con forma ordinaria, salvo l'accettazione del Vaticano. Ove la modifica consista nella soppressione di parte di tali Patti, essa può avvenire mediante referendum abrogativo. Spetterà poi al Vaticano rifiutare l'eventuale abrogazione.

Abbiamo voluto anticipare le prevedibili obiezioni che verranno avanzate dai nostri avversari, perché riteniamo che non soltanto debbano essere subito superate le perplessità che questi problemi possono suscitare, ma che l'esistenza stesa di questi problemi, lungi dall'indebolire, rafforzi la validità della iniziativa.

In venti anni di governi praticamente dominati dalla Democrazia Cristiana è stato sempre evitato ogni confronto ed ogni dibattito non solo sul contenuto, ma anche sulla interpretazione di molte norme concordatarie.

Che si abbia una interpretazione clericale o una interpretazione laica e democratica delle leggi, anche questo è un problema di battaglia politica. La richiesta di referendum, promosso dalla sottoscrizione di mezzo milione di cittadini, consentirà di arrivare a questo confronto con una forza politica e ideale che nessun'altra iniziativa potrebbe assicurare, almeno fino a quando non esisteranno forze parlamentari decise a sollevare nelle Camere il problema del Concordato con la stessa convinzione e con la stessa fermezza che sembrano ormai finalmente raggiunte per il divorzio. Ma anche a questo fine l'iniziativa del referendum non costituisce una alternativa all'iniziativa parlamentare; al contrario molto probabilmente ne è una indispensabile premessa: la spinta necessaria che solo un grande movimento di opinione pubblica può fornire".

Il meccanismo del referendum

"Presentato dal Governo Leone il 31 agosto 1968, il disegno di legge sul referendum è già stato discusso e approvato dal Senato della Repubblica ed è ora in attesa della discussione da parte della Camera dei Deputati. Dato l'interesse della Democrazia Cristiana alla approvazione della legge sul referendum, è probabile che già nel 1970 si possa ricorrere alle procedure previste dalla legge e che nel 1971 si possano avere le prime liste elettorali, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione.

Di questa iniziativa sarà dato l'annuncio sulla Gazzetta Ufficiale.

Per la raccolta delle cinquecentomila firme, necessarie per la richiesta del referendum, dovranno essere usati fogli di dimensioni uguali a quelli di carta bollata, i quali devono contenere al loro inizio la dichiarazione della richiesta del referendum con le indicazioni della norma che si intende abrogare.

Successivamente alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, i fogli dovranno, in ciascuna città e in ciascun paese in cui si raccolgono le sottoscrizioni, essere bollati e datati presso le segreterie comunali o le cancellerie degli uffici giudiziari.

La raccolta delle firme dovrà essere ultimata entro tre mesi dalla data apposta sui fogli in uno di questi uffici ed entro questo termine i fogli dovranno essere consegnati dai promotori presso un apposito ufficio costituito presso la Corte di Cassazione.

Le firme devono essere autenticate da un notaio, da un cancelliere giudiziario della circoscrizione a cui appartiene il comune nelle cui liste è iscritto il sottoscrittore o dal segretario dello stesso comune. I fogli devono recare la data in cui avviene la autenticazione. Accanto ad ogni firma devono essere indicati per esteso nome, cognome, luogo di nascita del sottoscrittore e il Comune nelle cui liste elettorali questi è iscritto.

Ai fogli devono essere allegati i certificati elettorali di tutti i sottoscrittori, da richiedersi al sindaco del comune nelle cui liste è iscritto il sottoscrittore.

La richiesta di referendum consiste nel deposito presso l'Ufficio della Corte di Cassazione delle cinquecentomila firme necessarie. Questo deposito dovrà essere effettuato dai promotori. Il disegno di legge prevede che le richieste di referendum possano essere avanzate ogni anno nel periodo dal 1· gennaio al 30 settembre, tranne nell'anno che precede la scadenza di una legislatura e nei sei mesi che seguono le elezioni politiche.

Alla scadenza del 30 settembre seguono le procedure di accertamento della regolarità della richiesta e della sua ammissibilità, presso l'ufficio elettorale della Corte di Cassazione e presso la Corte Costituzionale, che si concluderanno entro e non oltre il successivo 10 febbraio.

Il Presidente della Repubblica indirà successivamente il referendum, nei termini formulati dalla richiesta, in una delle domeniche comprese fra il 15 aprile e il 15 giugno".

 
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