di Wladimiro DorigoSOMMARIO: "Profonda soddisfazione" per la approvazione del progetto di legge Fortuna sul divorzio viene espressa da Wladimiro Dorigo, direttore di "Questitalia", in una lettera inviata al segretario della LID, Marco Pannella. I dirigenti democristiani pensino ai problemi della casa, della scuola, dei trasporti piuttosto che chiedere il referendum o minacciare guerre di religione, afferma Dorigo: »Fra l'altro, le guerre di religione si possono anche perdere, e per un partito democratico "cristiano" ciò potrebbe risultare assai grave .
(NOTIZIE RADICALI N. 81, 4 dicembre 1969)
"Sebbene io possa nutrire delle riserve sui singoli aspetti tecnici del provvedimento, che potranno del resto essere riconsiderati nel quadro di una nuova più ampia revisione del diritto di famiglia, sono lieto di affermare la mia profonda soddisfazione per la finalmente avvenuta approvazione alla Camera del progetto di legge Fortuna-Baslini. Lo affermo in quanto cittadino, consapevole di quali gravi arretratezze nella nostra vita civile siano connesse con la nostra attuale legislazione matrimoniale, e con il Concordato che l'ha consacrata, ma lo affermo anche da credente, sebbene tale status sia insignificante e non debba essere condizionante ai fini della valutazione e del giudizio sui problemi politici o sociali.
La dichiarazione sulla libertà religiosa, seppure non sia uscita dal Concilio nella formulazione più ampia e più felice che i dibattiti e le prime bozze del documento lasciavano prevedere, ha pur reso, insieme con la Costituzione "gaudium et spes", affermazioni importanti per la coscienza dei credenti, e tali da porre il problema del divorzio - indubbiamente uno dei più difficili da risolvere per chi condivide una visione religiosa della vita - in una nuova luce, quella della libertà di coscienza. Il legame che la coscienza del credente può accettare in questa materia è indubbiamente posto dalla dottrina cristiana sul matrimonio e dalla sua natura di sacramento, ma il legame sociologico-culturale posto in essere dall'interpretazione di diritto naturale della famiglia come società naturale indissolubile non tiene conto di quelle stesse correnti contemporanee che in campo cristiano e cattolico ammettono la precisazione e la ricerca storica - nell'hic et nunc - del contenuto del diritto naturale medesimo, o com
unque connette scorrettamente l'affermazione dell'"indissolubilità" con quella della "sacralità".
Se "gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, dentro debiti limiti di agire in conformità ad essa" (dichiarazione "dignitatis humanea"), sarà ben doveroso, in sede politica e civile, affrontare positivamente anche da parte di credenti il problema del rispetto dell'esigenza morale e sociale di chi non crede (e anche di chi, credendo, assuma su particolari problemi politici autonoma posizione): ciò è inconfutabile, anche se non sfugge la formula unilaterale dell'impostazione del dettato conciliare citato, che è stato concepito certamente nell'intento di affermare il diritto alla pratica religiosa di fronte ai poteri pubblici e statuali, ma non può d'altra parte, logicamente, escludere il diritto a una normazione non religiosa dell'istituto matrimoniale.
Invece è proprio il contrario di ciò quello che avviene attualmente in Italia; per esempio chi abbia contratto il solo matrimonio civile, come ho ricordato altra volta in Questitalia (nn. 98-99, maggio-giugno 1966), non può oggi fruire di quei motivi di annullamento di cui, mediante il rinvio al diritto canonico, beneficiano invece coloro i quali abbiano contratto matrimonio concordatorio, senza neppure entrare nel problema dell'istituto del divorzio.
Sembra a me che oggi la coscienza dei credenti, superati vecchi e nuovi integrismi e intolleranze civili non giustificabili, possa e debba ammettere che in uno Stato laico e democratico, con tutte le garanzie sociali opportune, sia riconosciuto quel "diritto individuale allo scioglimento del vincolo matrimoniale" che, mentre porrà in chiara luce l'atteggiamento di quei credenti i quali, conformemente alla fede e alla disciplina cattoliche professate, non volessero esercitarlo, non contrasterà per sé a quel "diritto sociale alla libertà del divorzio" di cui chi voglia potrà avvalersi nella propria sfera familiare e nel contesto della grande maggioranza delle famiglie.
Certo, potranno insorgere pericoli, potrà esservi, specie all'inizio, un eccesso di ricorso al nuovo istituto. Ma l'esperienza di quasi tutti i paesi del mondo è lì ad ammonire che non è certo il divorzio, ma ben altre cause economiche e sociali, il più grave pericolo di dissoluzione della cellula familiare e dello organismo societario, mentre l'esperienza italiana, e dei pochi altri paesi non divorzisti, non sembra certo poter essere prodotta a modello di una società in cui valori familiari comunitari autentici, l'educazione dei figli, la fedeltà dei coniugi siano favoriti e protetti. In ogni caso è necessario che la soluzione di questo problema riporti all'attenzione di tutti gli altri fondamentali problemi di adeguamento del nostro diritto familiare ai dettati costituzionali e alla coscienza di libertà di cui oggi godono più vaste masse di cittadini, in modo da far fronte organicamente e serenamente ai problemi che uno status laico, uguale e libero dei coniugi porrà certamente alla nostra vita sociale.
I dirigenti e i parlamentari democristiani - compresi quelli che si atteggiano `di sinistra' - pensino ad affrontare questi problemi, trascurati per decenni, insieme con quelli della casa, della scuola, dei trasporti, delle condizioni di lavoro, etc. piuttosto che chiedere il referendum e minacciare una sorta di guerra di religione. Fra l'altro, le guerre di religione si possono anche perdere, e per un partito democratico "cristiano" ciò potrebbe risultare assai grave".