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Signorino Mario - 11 ottobre 1970
DIVORZIO PERCHE' LO SCANDALO
di Mario Signorino

SOMMARIO: Il voto di giovedi al Senato ha fatto riaffiorare la paura per la reazione che esso potrà suscitare fuori dell'ambiente parlamentre. Il problema è quella di capire perchè la DC non si è comprata, con il solito sistema della corruzione, i voti necessari per non far passare la legge Fortuna. La risposta è che in questo momento la DC bisogno di credibilità e per averla è disposta a far passare una legge che in ogni caso prima o poi verrà votata. Questa è la ragione per la quale i democristiani sono disposti a trattare, ma la loro trattativa non è relativa alla causa divorzista, riguarda, invece, i veri problemi di regime. Dall'andamento della vicende emerge una profonda diversità di metodi tra democristiani e divorzisti: la LID era favorevole addirittura alla contrattazione degli emendamenti purchè la DC si impegnasse a votare la legge emendata, secondo una mai tradita logica di dialogo. Ciò che la LID disapprova totalmente è la contrattazione segreta.

(ASTROLABIO, 11 ottobre 1970)

Poi è venuta la paura. Si poteva vincere si poteva gelare la legge sul divorzio: ma a quale prezzo? Perché proprio questo era il fatto traumatizzante per i politici democristiani: la reazione suscitata, nella opinione pubblica e nello stesso ambiente parlamentare, dal voto a sorpresa di giovedì. Un dato inaspettato che si rivelava veramente pericoloso, di più forse dello stesso passaggio della legge. Ma perché?

Comprare un pugno di voti, via, non è una prassi sconosciuta nei corridoi di Palazzo Madama o di Montecitorio. Nel linguaggio politico oltretutto non si dice comprare voti, si dice contrattare. E odor di contrattazioni ce ne era tanto, in Senato, in attesa del decretone. Si poteva seguire un metodo diverso per il divorzio, per di più in presenza di una maggioranza laica così risicata? Certi Senatori, da altra parte, costano così poco. Un soldo di qua un ricatto di là e il gioco è fatto: giovedì 1· ottobre alla maggioranza divorzista resta solo un voto in più rispetto al fronte democristiano-missino.

Comincia la caccia al "traditore": l'unico caso chiaro è quello di Marullo, debitore di un voto antidivorzista al vescovo di Caltagirone; ma si sa anche che Marullo ha chiarito da tempo le proprie posizioni al suo gruppo, impegnandosi a sparire dopo il primo voto. Per il resto sono illazioni che toccano un po' tutti, finché un comunicato della Lega per il divorzio non butta allo scoperto cinque esponenti liberali. Povero Malagodi. In senato la situazione è più confusa: il sospetto circola tra i vari partiti laici e all'interno stesso di essi, si enumerano le possibili forme di ricatto esercitate (esempio: blocco delle richieste di autorizzazioni a procedere per peculato, furto o addirittura violenza carnale) e i possibili favori promessi; pochi si sentono di giurare sulla compattezza del proprio gruppo. L'indignazione è grande, e anche la paura. L'invenzione di Marco Pannella, il fronte laico, sembra essersi volatizzata dopo il colpo basso della DC. Il divorzio è lontano, conviene trattare.

I democristiani sono pronti a trattare, devono farlo, ad ogni costo. La deplorazione e lo scandalo non colpiscono solo i corrotti, si rivolgono sopratutto a loro, i corruttori, i manovratori occulti. La LID, con i suoi comunicati a valanga, spinge in questo senso e la DC si ritrova isolata, per la prima volta, insieme ai fascisti, sente che un'ondata di odio va montando nel paese. L'unica via di scampo è recuperare qualche punta di credibilità, scrollarsi di dosso questo dannato odore di corruzione. Vale la pena, per una legge sul divorzio che prima o dopo sarà votata, far saltare equilibri politici generali, congelare cinque milioni di cittadini - due, cinque o dieci - in una rabbia anticattolica e antidemocristiana senza precedenti? La guerra religiosa deve proprio cominciare con una sconfitta? E' la parte più consapevole della DC a porsi questi problemi, stimolata anche dalle notizie preoccupanti che arrivano dal Vaticano. Basta scavare un po' la superficie per non farsi trarre in inganno dal commento sfa

cciato e sprezzante dell'"Osservatore Romano" al voto al Senato. Nella cittadella pontificia, più ancora forse che nella DC, circolano la paura e il malumore. Il calcolo è presto fatto: può la chiesa permettere che l'agnosticismo di larghi strati di cittadini italiani si ribalti in anticlericalismo? Non sarebbe possibile venire a patti con i divorzisti e recuperare quel prestigio che la condotta grossolana della DC ha compromesso? Una parte del fronte cattolico comincia a muoversi: in modo non chiaro e involuto, certo, ma è inevitabile dopo che ci si è logorati in una lotta veramente ostruzionistica senza una seria speranza di vittoria. E' così che, dopo il voto di giovedì, a Piazza del Gesù si succedono a ritmo serrato le riunioni per mettere a punto emendamenti "seri" alla legge Fortuna, da mercanteggiare poi con i gruppi laici. L'importante è di "non vincere", o almeno di non vincere in virtù, si fa per dire, di bruta e palese corruzione.

Il cosiddetto fronte laico offre una mano. Molto fronte poco cervello, scrisse in altra occasione il vecchio Salvemini. In realtà l'effetto disfattista del voto di giovedì ha radici complesse e lontane, non riconducibili tutti al carattere artificioso e conservatore di questo ramo del parlamento. Torna a galla adesso la timidezza, l'abitudine subalterna rispetto al partito di maggioranza: la convinzione inconscia che contro di esso, contro il regime, contro il Vaticano, non è possibile vincere; d'altra parte, in venticinque anni non si è mai vinto. L'occasione alla trattativa offerta da Leone, cavallo di riserva della DC, viene subito afferrata per una sorta di riflesso condizionato, frutto più dell'abitudine alla sconfitta che della paura di un nuovo insuccesso. Ma trattare che cosa?

Vediamo: ha senso concordare emendamenti con un gruppo politico che rifiuta in ogni caso la legge e che non voterà gli emendamenti stessi che propone? Ha senso discutere con l'avversario le forme della propria sconfitta? Ha senso, sopratutto, togliere l'avversario dalle spine, tirarlo fuori dall'isolamento, ridargli quella credibilità che ha perduto con i ricatti e la corruzione? Questa è la fase più oscura dell'ultima battaglia divorzista. Il vero oggetto della trattativa va certamente oltre il caso del divorzio, tocca problemi di governo e di regime e rimarrà sempre nel sottofondo, sconosciuto. C'è poi la preoccupazione, nei gruppi laici, che l'episodio di pirateria di giovedì intacchi l'ormai scarso prestigio delle istituzioni; ma la strada del cedimento e dei compromessi di vertice è certamente quella sbagliata. C'è infine, in taluni, la volontà reale di concludere nel modo più positivo la battaglia per il divorzio: ma con quali tipi di accordo e con quali garanzie da parte della dc?

E' qui che esplode la carica dirompente di una lotta condotta finora sul piano extraparlamentare e finita nell'imbuto istituzionale per spinte esclusivamente dal basso. L'invenzione del "fronte laico" - artificiosa come e forse più di ogni altra sovrastruttura politica - trova un riscontro puramente formale nella geografia parlamentare. La spinta popolare che ha imposto ai politici il problema del divorzio, assicura la continuità del fronte, vale a dire l'unità d'azione contro la DC; ma non basta assicurarsene la solidità. Anzi, è proprio la coscienza della fragilità del fronte che spinge la LID in questi anni, ma sopratutto negli ultimi mesi, a intensificare l'azione di pungolo, quasi sempre sgradito, nei confronti dei parlamentari a bruciare le tappe di una lotta per molti versi inedita che forse richiedeva tempi molto più lunghi. Cosa sono cinque anni della storia politica italiana? Basta pensare a tutte le riforme mai attuate dalla liberazione ad oggi: è chiaro che il miracolo "divorzista" c'è stato, è r

iuscito, ed è finito positivamente. Ma di miracolo si tratta, appunto; vale a dire di un dato contraddittorio e carico di conflittualità nei confronti di prassi e strutture di regime.

Lo scandalo di questi giorni è la conferma migliore. E le trattative tra partiti laici e DC segnano con precisione il superamento della extraparlamentare della lotta e il suo sbocco ultimo a livello istituzionale. In queste contrattazioni, infatti, anche negli esponenti laici più convinti si rileva una profonda diversità di metodo che quelli della LID avrebbero dovuto dare per scontata da tempo: ed è la tendenza all'accordo di vertice, alla contrattazione segreta, che contrasta con tutta l'azione svolta dalla Lega in questi cinque anni. Un fenomeno certamente inevitabile, che ha trovato una sanzione ufficiale e simbolica nelle dimissione del segretario e presidente della LID, che con questo gesto hanno voluto staccare in maniera inequivocabile le proprie responsabilità. I dirigenti della lega avevano proposto un metodo, uno stile completamente diversi, dichiarandosi favorevoli anche alla contrattazione degli emendamenti purché la DC, o una parte insignificante di essa, si impegnasse a votare la legge emendat

a. La Lega probabilmente non sarebbe stata contraria a trattare anche con quei settori vaticani che si mostravano più realisti degli stessi esponenti democristiani; e in questo spirito ha seguito con attenzione le prese di contatto tra ambienti vicini rispettivamente alla Segreteria di Stato e a un'altissima autorità della repubblica. La parola d'ordine divorzista non è mai cambiata: dialogo, non contrattazione.

Chiudiamo questa nota quando sono ancora in corso gli incontri tra i gruppi laici e la Democrazia Cristiana. Qualunque sia l'esito vogliamo ricordare che voti a sorpresa, senatori corrotti e contrattazioni di vertice non devono far dimenticare i lati positivi della vicenda. Imprevedibilmente, e quasi senza accorgercene, abbiamo assistito ad una grande battaglia: una lotta democratica, dal basso, che impone una grossa riforma civile alla classe politica e che termina lasciando segni profondi nel regime e nel paese.

 
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