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Pannella Marco - 20 ottobre 1970
Murri e il divorzio
di Marco Pannella

SOMMARIO: Partendo dal ricordo di Romolo Murri, il sacerdote che fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana e poi militante della sinistra radicale, Marco Pannella analizza la vicenda che non ha consentito, il 9 ottobre, l'approvazione definitiva della legge divorzista al Senato: l'inutile resa dei senatori laici, il bastone della corruzione e la carota del sen. Leone. La responsabilità dei laici che continuano a concedere in affitto i credenti ai clericali.

(NOTIZIE RADICALI, 20 ottobre 1970)

Qualcuno m'interroga, com'è logico, sul divorzio e mentre m'accingo a rispondergli, con sorpresa m'accorgo che dentro di me l'argomento ha oggi come perso d'urgenza; è invece di Romolo Murri che vorrei poter parlare; della sua viva, lancinante tensione religiosa e civile donde nacque all'inizio del secolo la prima ``democrazia cristiana'' subito spazzata via dalla furiosa reazione clericale; poi l'appassionata milizia politica nella sinistra del partito radicale, della quale fu deputato, animatore, bruciante e presto bruciato testimone. Questo sacerdote scomunicato, vilipeso, massacrato dell'empietà tutta ``romana'' dell'aggiornato potere clericale e dei nostri pavidi ``laici'' di sempre, già esprime con sconvolgente chiarezza politica anche se drammaticamente contraddittoria quanto i lodati e imperversanti ``giovannei'' del nostro paese cominciano appena ad intuire grazie alla via di Damasco del Vaticano secondo, nel 1962 ed oggi. Certo, Murri morrà, con quanto più d'altro amiamo della nostra storia politic

a di questa prima metà del secolo, ``nella'' guerra, ``nel'' fascismo, ``nella'' chiesa. Testimone, e non eroe: l'abbiamo detto; per questo avevamo scelto d'amarlo, con la sua storia, ``vieta'' perché ``vietata'' da cinquant'anni: come ogni altra che meriti, appunto, il nome di storia e coinvolga religiosità oltre che ``nazione'' e guerre e governi, da Galilei, a Campanella, dai valdesi a Sarpi, a Murri, appunto. Religiosità, dicevo: cioè coscienza, affermazioni e obiezioni di coscienza, manifestazioni di coscienza...

Finalmente apprendiamo che gli eruditi ed i colti hanno deciso di parlare, discutere, studiare, di lui; manifesti costosi, pubblicitari, lo annunciano. E infine la nostra grande stampa ne parla, per esteso: soprattutto perché Arnaldo Forlani vi ha pronunciato un discorso politico, quale segretario nazionale della Democrazia Cristiana.

Pietà, almeno, per i morti, per questo morto; se non per milioni di ``fuorilegge del matrimonio'', di donne, di uomini, di famiglie inchiodati alla separazione ed alla unità giuridica della violenza dello Stato, se l'amore e la ``grazia'' saranno mancati! E' empio che il partito vaticano, della conservazione, dell'unità politica dei cattolici-clericali, degli eredi di Gentiloni e delle ``opere dei congressi'', del voto segreto, della corruzione eretta non senza innocenza a sistema di governo ed a dignità di politica, della difesa ad oltranza degli interessi mondano-confessionali e della realtà concordataria, pretenda di richiamarsi a Romolo Murri; è intollerabile che troppi laici tacciano, consentano.

Mi si perdoni dunque: a ben vedere, anche questo è un avvio di risposta pertinente. Quel che è accaduto la settimana scorsa in Senato ed in Italia a proposito del divorzio è roba antica, storia sempre ricorrente. Gli attori sono gli stessi, solo il ``personaggio'' della vittima cambia.

Il 9 ottobre il Senato avrebbe dovuto votare definitivamente la legge Fortuna, senza emendamenti: la maggioranza si era formalmente, solennemente, reiteramente impegnata in tal senso. Invece l'ha rinviata alla Camera, modificata spesso in peggio, protraendo uno stato di pericolo e perpetuando così una storia fatta di ostruzionismi, rinvii pretestuosi, crisi di governo, dibattiti poco degni e di una incredibile povertà per quanto riguarda i contributi clericali e paleo-fascisti.

Questa volta il ``rinvio'' è stato possibile grazie ad una inequivocabile politica di corruzione tentata nel fronte laico, emersa con il drammatico voto del 1· ottobre. E' bene mettersi in testa, dinanzi all'aria fritta che quasi unanime il mondo politico e la stampa ci hanno ammannito dal 10 ottobre, questo fatto.

Le trattative attorno al tavolo del sen. Leone non sono state che una ``copertura'' concessa, a questa verità, da una parte; ad altre, vere contrattazioni o discussioni, da un'altra; e ad un inutile cedimento laico, dovuto non a malafede o ``tradimenti'' ma ad un ormai assurdo, tradizionale riflesso di debolezza e ad un modo vecchio e suicida di ``far politica''.

Così, al Senato, il confronto sul divorzio s'è ridotto ad una storia di ``franchi tiratori'', di comportamenti pavidi e vergognosi; la DC ne ha prodotti prima nel fronte laico e poi nel suo seno, per controbilanciare quelli. Gli uni non sono peggiori degli altri. Non erano, certo, ``obiettori di coscienza'' i ``riperticati'' dell'on. Evangelisti fra i divorzisti; non lo sono stati nemmeno, altrettanto certamente, coloro che hanno seguito la storia pubblica e rispettabile, per alcuni versi, del sen. Leone, votando con i ``laici'' gli emendamenti concordati e contribuendo a respingerne (non in modo determinante) gli altri.

Hanno votato in tal senso, presumibilmente, una parte di quei democristiani che avevano il terrore di una vittoria contro il divorzio ottenuta al prezzo di uno schieramento clerico-fascista irrobustito dai risicati risultati di un'operazione di corruzione. Lo hanno fatto malgrado che, nel paese, da due giorni, con una massiccia campagna di stampa, l'atmosfera fosse ormai diversa e si fossero lanciate da ogni parte spesse cortine fumogene per far dimenticare il 1· ottobre. Se questo, con l'operazione Leone, non fosse stato reso possibile, molti altri loro colleghi si sarebbero certamente cautelati dalla disastrosa eventualità della sconfitta della legge Fortuna, votandola. Invece...

Dice ad esempio La Malfa: interessa che ``questa grande battaglia fra cattolici e laici circa una riforma che interessa la società civile si sia conclusa al Senato nel più democratico civile e corretto dei modi''. Par di sognare. Nel 1970, uno fra i più stimati uomini politici ``laici'' sembra credere che abbiamo assistito davvero ad una ``grande battaglia fra cattolici e laici''. E da destra e da sinistra è la stessa solfa.

``Cattolici''? L'ottanta per cento della cattolicità nel mondo, ed almeno la metà di quella italiana, ha sul divorzio la nostra posizione e non quella degli anti-divorzisti; e l'immensa maggioranza dei credenti, cattolici e no, concordano nel ritenere arbitrario e clericale, integralistico qualsiasi tentativo di presentare come ``cattolica'' una particolare battaglia politica. E i ``laici'', chi sono? Tutti miscredenti, agnostici, iscritti alla Giordano Bruno? O, non, piuttosto, tutti coloro, credenti o non credenti, che, ad esempio, sono per la dissolubilità civile del matrimonio? ``Grande'' battaglia? A suon di franchi senatori, di interventi ideologici che - non dico un qualsiasi altro parlamento democratico, ma - una qualsiasi assemblea di studenti europei riterrebbe trogloditici e squalificanti? O l'on. La Malfa, che notoriamente non si interessa di problemi giuridici, ritiene davvero ``grandi'' le schermaglie giuridico-avvocatesche che hanno servito da copertura all'operazione ``rinvio alla camera'' co

n il pretesto di essenziali miglioramenti tecnici?

Così assistiamo ad uno spettacolo che ha dell'incredibile. ``L'Avvenire'' che sale in cattedra o per dare lezioni di moralità e di umanità al direttore di ``La Stampa'', reo d'aver solo accennato all'esistenza di ``clericali'' nel nostro paese, affermando che contro la corruzione del mondo contemporaneo non v'è ancora una volta altro ricorso che il mondo ``cattolico'', cioè la sua componente integralistica e clericale.

Così ``L'Osservatore Romano'' può annotare: ``... da parte laica si loda ora l'``atmosfera civile'' ed il ``clima democratico'' in cui si è svolta la battaglia parlamentare... ``Noi non daremo questa cauzione. Né abbiamo mai ritenuto, nei giorni scorsi, che avessimo il diritto e la convenienza di fornirla. Dopo il 1· ottobre, quotidianamente, con dichiarazioni riprese dalla stampa, ho sempre affermato, a non della LID, che rifiutavamo a priori nessun dialogo, per metodo politico sempre affermato, non meno che per valutazioni di opportunità, ma a due insuperabili condizioni: che il fronte laico si mantenesse unito e che ogni proposta di compromesso fosse innanzitutto pubblica, responsabile e comportasse come conseguenza espressa e preventiva il voto della legge da parte di chi avesse proposto emendamenti da noi eventualmente accolti. Il ragionamento è stato sempre formale, chiaro, senza eccezioni: se davvero la maggioranza laica è in pericolo, chi vuole collegarsi ad essa, rafforzarla, lo faccia con proposte

pubbliche e chiare. Con queste premesse, la LID poteva tranquillamente e doverosamente vagliare qualsiasi richiesta di emendamento della legge. Si è invece andati a trattare attorno del tavolo del sen. Leone, senza nessuna garanzia e concedendo in partenza la rinuncia all'approvazione della legge il 9 ottobre. E' stato un errore; ma tutti ne commettiamo. Non è stato per denunciarlo, ma per tentare di correggerlo, da una parte, e per sottolineare che eravamo ormai dinanzi ad un giuoco parlamentare cui non potevamo (né avremmo in ogni caso voluto) partecipare, dall'altro, che Mellini ed io ci siamo dimessi.

Se queste dimissioni sono state tempestive ed utili, lascio con fiducia giudicarlo ad altri; ma mi pare chiaro che le cronache dei giorni scorsi apparse sui quotidiani sono unanimi nel situare solo a dopo l'annuncio delle nostre dimissioni le iniziative dei vertici ``laici'' per garantirsi che fosse a quel punto salvato il salvabile: cioè il rinvio alla Camera. La LID, per suo conto, ha già dato un giudizio politico conforme al nostro, le notte stessa del 9 ottobre. Questo mi basta.

Resta forse da spiegare perché non fossimo entusiasti, in alcuni, quella sera?

Non credo, ma vale forse la pena di aggiungere che, come sempre, ritenevamo più utile mettere già l'accento sui pericoli e preparare subito la battaglia per superarli.

Stiamo già lavorando intensamente in questa direzione: l'approvazione della legge da parte della Camera è tutt'altro che scontata.

Comunque, continueremo, in queste battaglie per i diritti civili, nella LID e nel Partito Radicale a ritenere che un modo nuovo di fare politica, un modo ``laico'', che parta dal basso, che sia pubblico, che non viva e non conti su trattative segrete di vertice e che non rifugga dal confronto chiaro e drammatico, quando le condizioni oggettive le richiedano, sia essenziale: anni fa questo ci veniva rimproverato come astrattezza di intellettuali, i fatti hanno mostrato che si tratta invece di forza di militanti.

Il ``dialogo civile'' dei giorni scorsi non è stato altro, e una volta di più, che un drammatico, pericoloso tentativo di celare la verità al paese, da parte di chi continua a ritenerlo evidentemente immaturo e inferiore a sé. Ma la verità è semplice: senza erigere dei solidi definitivi steccati contro il clericalismo ed il prepotere vaticano e dei suoi clienti, non v'è possibilità di crescita della nostra società, né sul piano civile né sul piano religioso.

I ``cattolici'', i ``fuori-legge del matrimonio'', ogni laico autentico, ne sono oggi i testimoni: come Romolo Murri.

 
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