Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
ven 22 nov. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
MLD - 26 ottobre 1970
MLD - Movimento Liberazione Donna

SOMMARIO: Il Movimento di Liberazione della Donna dà avvio ad una "pubblicazione periodica" per informare sui propri obiettivi e iniziative, che almeno inizialmente si avvarrà della testata di "Notizie radicali", nella speranza di poter al più presto adottare una testata "indipendente". Si chiariscono quindi alcune delle caratteristiche del MLD. Si chiarisce che il MLD è "innanzitutto un movimento politico", volto alla "liberazione" e non semplicemente alla "emancipazione" della donna, a carattere anti-capitalista e anti-autoritario, ma anche anti-clericale, "federato" al partito radicale che già nel 1968 aveva indetto un Convegno sul tema "Repressione sessuale e oppressione sociale" e al congresso del 1969 aveva approvato una mozione che esplicitamente promuoveva la nascita di un movimento di liberazione della donna. Gli obiettivi "prioritari" del MLD (di cui si spioegano ampiamente le ragioni) si incentreranno sulla "abolizione degli articoli del codice penale che proibiscono la divulgazione dei mezzi anti

concezionali e il ricorso all'aborto": in particolare, "una politica per la pillola" che si batta contro 1) gli abusi dell'industria farmaceutica; 2) l'illegalità "consuetudinaria" largamente diffusa; 3) la pavidità della coscienza "laica"; 4) il conflitto tra Chiesa e "dissenso ecclesiale".

(NOTIZIE RADICALI, 26 ottobre 1970)

Le ragioni del movimento

Finalmente, dopo un periodo di riflessione, di preparazione, di contatti e di sondaggi durato alcuni mesi, il collettivo promotore del Movimento di Liberazione della Donna ha deciso di dare inizio a una sua pubblicazione periodica interamente dedicata ai problemi del movimento, alla divulgazione delle notizie che lo riguardano e alla discussione di temi politici, ideologici, psicologici e sociali connessi con questo nuovo fronte di lotta libertaria e socialista.

Il nostro movimento non ha finanziatori, né palesi né occulti: esso vive sull'autofinanziamento. Ecco perché abbiamo dovuto accettare la cortese offerta di servirci della testata di NOTIZIE RADICALI per poter dar vita alla nostra pubblicazione, che ritenevano ormai necessaria per fornire uno strumento di collegamento tra tutti gli ormai numerosi aderenti e simpatizzanti sparsi in tutta Italia, per fornire a loro e agli altri potenziali aderenti un punto di riferimento e un'arma per la lotta politica quotidiana. Ma è nelle nostre intenzioni di adottare una nostra testata indipendente non appena le disponibilità finanziarie (che sono evidentemente legate alla diffusione del movimento) ce lo consentiranno.

Sicuramente molti dei nostri lettori hanno già un'idea sufficientemente precisa di cosa sia il Movimento di Liberazione della Donna, ma in un momento in cui la grande stampa e persino la radiotelevisione dedicano uno straordinario interesse agli svariati gruppetti neo-femministi in Italia e fuori, coprendoli - assai spesso ad arte - con una sempre immeritata ironia, riteniamo opportuno precisare alcuni caratteri che identificano il nostro movimento fra i tanti apparentemente analoghi.

"Il nostro è innanzitutto un movimento politico": partendo da un'analisi e da una valutazione generale della società in cui viviamo (una società autoritaria e alienante) e quindi delle relative strutture di potere politico, economico e ideologico, il nostro movimento ha identificato nella condizione della donna, oppressa, repressa e sfruttata, una situazione particolarmente esplosiva, su cui è indispensabile puntare per aprire un nuovo fronte di lotta libertaria e socialista. Le contraddizioni specifiche di cui è protagonista la donna nella nostra società, e di cui essa va acquistando sempre più coscienza, tendono a trasformare la sua tradizionale soggezione da pilastro della società autoritaria in una mina collocata alle fondamenta stesse di questa società. Ecco perché il nostro è un movimento di liberazione, e non di semplice emancipazione della donna: non è più all'ordine del giorno la lotta per una semplice uguaglianza di diritti formali nell'ambito di "questa" società, bensì quella mirante a porre le fo

ndamenta di una società basata su strutture e valori nuovi (ispirati ai principi dello egualitarismo, dell'anti-autoritarismo e di un'effettiva autogestione), nel cui ambito soltanto è possibile realizzare la liberazione della donna. Ecco anche perché il nostro movimento non è affetto da quel "razzismo sessistico" che affligge tanti movimenti femministi contemporanei. La lotta per questa nuova società interessa infatti non solo le donne, ma anche gli uomini più consapevoli, che quindi non sono i nostri nemici, ma anzi sono invitati a militare nel nostro movimento su un piede di assoluta parità: il fronte della liberazione della donna può assumere nell'ambito della lotta per una nuova società la stessa funzione che i movimenti anti-coloniali, anti-segregazionisti e anti-razzisti stanno assumendo in tutto il mondo.

"Oltre a essere anti-capitalista e anti-autoritario, il nostro movimento è anticlericale". Innanzitutto in senso generale, perché è contrario a ogni "clero", a ogni potere costituito a favore di "élites" di iniziati (o di pretesi tali), giacché esso fa appunto dell'anti-autoritarismo uno dei suoi principi fondamentali; e in secondo luogo, esso è anti-clericale in un senso specifico, legato alla realtà della società italiana, in cui il peso economico e il condizionamento ideologico direttamente e indirettamente esercitato dalla gerarchia cattolica si presentano con caratteri particolarmente insopportabili, e gravano in maniera specifica sulla donna (si pensi all'ideologia della famiglia patriarcale, all'esaltazione della castità e del pudore, agli ostacoli frapposti alla limitazione delle nascite, al sostanziale monopolio delle istituzioni educative assistenziali per l'infanzia).

Tutto ciò spiega e giustifica il fatto che il MLD abbia deciso di costituire un gruppo federato al partito radicale: del resto questo partito ha sempre manifestato particolare interesse per i temi della repressione sessuale e della liberazione dei gruppi oppressi. Già nel 1968 un Convegno da esso organizzato sul tema "Repressione sessuale, oppressione sociale" riscosse un grande successo, anche se non dette l'avvio a una vera e propria fase della lotta politica, per mancanza di precisi obiettivi politici. Lo stesso collettivo che ha promosso la nascita del movimento MLD ebbe origine da una mozione presentata e approvata a maggioranza al congresso del p.r. svoltosi a Milano nel novembre 1969. Lungi dal costituire un'ipoteca a favore di questo partito, tale federazione costituisce quindi solo un legame con un movimento politico che si propone sostanzialmente gli stessi nostri scopi generali, e, mentre non legittima nessuna interferenza del partito radicale nella nostra linea politica, permette a noi di influen

zare la linea di questo ultimo partecipando ai suoi congressi e addirittura delegando nostri membri a far parte dei suoi organismi dirigenti. La qual cosa assolutamente non esclude la militanza dei nostri membri in altri partiti politici: il fatto che del resto ci siano tra noi degli iscritti a diversi partiti costituisce una prova concreta del nostro potenziale contributo all'invocata ristrutturazione della sinistra, nel quadro di un superamento dell'attuale grave frattura tra società civile e classe politica.

In altre parti del nostro giornale, oltre a pubblicare il testo del documento-base da cui ha preso le mosse il nostro movimento, illustriamo quali sono gli obbiettivi su cui intendiamo puntare prioritariamente per agganciare la nostra lotta alla realtà socio-politica attuale. Ma vogliamo ribadire con forza che non intendiamo costituire un movimento di appoggio (sia pure di massa) a questa e a quella riforma legislativa: quei nostri obbiettivi intendono essere solo un primo e non esclusivo punto di riferimento per una mobilitazione politica, ma è soprattutto a quest'ultima che puntiamo, per dar inizio a un processo di "rivoluzione culturale" in vista della progressiva costituzione, qui e subito, dei primi nuclei di una società socialista e libertaria. Questo è infatti, il nostro modo di intendere la "rivoluzione" in una società altamente industrializzata e socialmente articolata: ma qui tocchiamo un problema troppo importante e complesso perché se ne possa trattare in questa sede, in termini che sarebbero nec

essariamente sbrigativi e superficiali, e perciò ci ripromettiamo di farne uno dei fondamentali temi di discussione nei numeri successivi del nostro giornale. Ma non si tratterà di una discussione puramente accademica perché proprio le nostre esperienze quotidiane di lotta, a cui invitiamo tutti noi, e soprattutto le donne, a partecipare in prima persona e a dare il proprio contributo di esperienza e di riflessione, proprio queste esperienze, dicevamo, ci permetteranno di verificare quei discorsi ancorandoli nella pratica della lotta.

Amiche e amici lettori, scriveteci, iscrivetevi al nostro movimento, costituite nelle vostre città dei collettivi autonomi, elaborate proposte per rendere più efficace la lotta per i nostri obbiettivi, o eventualmente proponetene altri precisando contemporaneamente la linea di lotta che ritenete più funzionale. Giacché il nostro è un movimento autogestito, in cui non ci sono "vertici" che elaborano una linea e militanti come semplici esecutori: la nostra linea sarà quella che scaturisce dall'incontro e dal dibattito con tutti voi.

Pillola e aborto, obiettivi prioritari perché

Il primo obiettivo concreto che il Movimento di liberazione della donna propone e si propone è quello di una totale liberalizzazione della propaganda anti-concezionale e legalizzazione dell'aborto. Perché questo obiettivo primario? Vediamo di riassumere qui il senso dei dibattiti che hanno portato il collettivo a questa conclusione.

All'inizio dell'anno il collettivo radicale contro la repressione sessuale e le istituzioni psichiatriche organizzò il seminario di lavoro politico sulla liberazione della donna. Ogni riunione del seminario, cui partecipò un folto e attento pubblico di donne e uomini, fu dedicata ad approfondire un particolare aspetto dello sfruttamento e dell'oppressione della donna nell'attuale società italiana.

I momenti fondamentali in cui si ritenne di individuare tale oppressione furono tre: quello economico, quello psicologico e quello sessuale.

Questa suddivisione fu effettuata con piena consapevolezza della sua arbitrarietà, per motivi puramente pratici e funzionali, poiché si ritenne preferibile una piattaforma in qualche misura artificiosa al pericolo di fare un discorso puramente astratto.

Quando si vuole affrontare un tema di così ampio respiro e di tale complessità quale quello della condizione della donna è necessario avere presente in ogni momento una visione globale del problema anche quando si centra un aspetto specifico o si avvia una lotta per un obiettivo specifico.

Riconosciamo l'importanza dell'aspetto economico - rivendicazione di una effettiva parità salariale, accesso indiscriminato della donna a tutte le carriere e ai gradi più alti, ecc. - ma lo riteniamo terreno più proprio di una lotta sindacale, necessariamente parziale e limitata. E' infatti evidente che, anche ove questa parità di diritti fosse raggiunta, rimarrebbe sempre il condizionamento psicologico sia del mondo maschile, con la sua caratteristica diffidenza nelle capacità produttive e intellettive della donna, sia del mondo femminile stesso, ormai avvilito da una secolare sfiducia nelle proprie capacità intellettuali. Attorno alla donna, come oggetto di una mistificazione storica si era creato un tipo di famiglia. Quella famiglia dalla quale la psichiatria vede sorgere le situazioni nevrotiche e i comportamenti devianti; quella famiglia resa coattiva e autoritaria attraverso l'ideologia della necessaria repressione sessuale.

Infatti il ruolo che è sempre stato imposto alla donna e in cui la donna si è identificata acriticamente è stato quello di "moglie", "madre" e in particolare modo "procreatrice". Questo ruolo le ha dato, nell'ambito della famiglia, quel minimo di gratificazione che le ha fatto rinunciare a qualsiasi potere decisionale, incontestatamente lasciato nelle mani dell'uomo. Nella società attuale la donna, rifiutando sempre più l'isolamento della vita di casalinga e immettendosi nel mondo del lavoro, comincia a rendersi conto dei falsi valori sui quali si basava il suo rapporto familiare e sociale.

La donna, oltre che scontrarsi con le difficoltà di inserimento alla pari con l'uomo nel mondo del lavoro, si trova a dover fronteggiare le difficoltà di un doppio lavoro, quello esterno e quello domestico, che rimane pur sempre "di sua competenza". Oltre alla inesistente educazione dell'uomo nell'ambito familiare, esiste una totale carenza di strutture sociali atte a liberare la donna da questa schiavitù. Riteniamo quindi importantissimo appoggiare tutte le battaglie che da alcuni fronti politici si sono iniziate per la istituzione di asili-nido, strutture sociali collettivizzate e qualsiasi nuovo esperimento di vita associativa, ma sono battaglie che hanno valore sempre parziale se non sono inserite in un discorso generale laico e antiautoritario, e che in ogni caso costituiscono obiettivi di riforma perseguiti anche da movimenti che non hanno i nostri obiettivi specifici.

A nostro giudizio quindi il primo momento della fase di liberazione della donna è quello che realmente riunisce i tre aspetti - sessuale, psicologico ed economico - e cioè il raggiungimento della capacità di autodeterminarsi come soggetto in tutti i momenti della propria vita.

La donna, ribellandosi all'autorità maschile, nega la proprietà indiscriminata del suo corpo all'uomo e rivendica il diritto di autodeterminazione completa e la libera scelta della maternità. Qualsiasi lotta che la donna possa fare per raggiungere una fase più avanzata di liberazione passa attraverso la libera gestione del proprio corpo. La rivendicazione della donna a una piena vita sessuale che la metta sullo stesso piano del compagno è strettamente legata, anzi condizionata, alla libertà dalla paura di una gravidanza indesiderata. Riteniamo perciò che il primo obiettivo cui deve tendere un movimento quale il nostro sia l'abolizione di tutti gli articoli del codice penale che proibiscono la divulgazione dei mezzi anticoncezionali e il ricorso all'aborto. E' ormai noto che una certa borghesia può spesso eludere tale legge, ma è indubbio che questi problemi non sono risolti completamente per nessuna donna di nessun ceto sociale e che coloro che maggiormente soffrono per ignoranza e per indigenza della mancat

a liberalizzazione dei mezzi anticoncezionali e dell'aborto sono le donne delle classi più povere. Il nostro impegno si articola pertanto su due piani: quello politico-sociale (che intende mettere tutte le donne alla pari) e quello politico-psicologico, volto a rendere conscie le donne dei loro diritti individuali. Noi pensiamo che questo nostro tema di impegno vada anche al di là dei suoi stessi obiettivi per la carica di "rottura" che contiene nei confronti di tutti gli schemi, i totem, i dogmi, i conformismi su cui si regge la società autoritaria.

La politica della pillola

La lotta per la liberalizzazione degli anticoncezionali ormai è diventata la politica della pillola, e questa politica vien fatta sia dalle case farmaceutiche con la loro speculazione, sia dalla Chiesa, in special modo nella nostra società, con le sue campagne sanfediste.

Per "pillola" intenderemo d'ora in poi quella assunta dalla donna secondo certe modalità per evitare una gravidanza e una maternità non desiderata, anche se non tralasciamo di interessarci a tutti gli altri mezzi anticoncezionali che, attraverso la divulgazione, ogni donna potrà in seguito accettare quale più congeniale.

Una delle prime cose da condannare è questa "illegalità consuetudinaria" per cui si vendono ogni giorno centinaia di migliaia di pillole in Italia con il tacito consenso di quella autorità che ancora mantiene in piedi gli articoli del codice penale che proibiscono la propaganda e l'uso degli anticoncezionali a salvaguardia della specie e della razza.

Da una parte si parla di riforma sanitaria e di freno alla speculazione delle case farmaceutiche, dall'altra ogni giorno vengono immesse sul mercato italiano pillole anticoncezionali a totale profitto delle case stesse. In genere si tratta di pillole già sperimentate all'estero ma per le quali si raffazzona una documentazione italiana, firmata da cattedratici, per quel tanto che serve ad ottenere il permesso del Ministero della Sanità. Da quello stesso ministero cioè dove sin dai primi tempi di un ministro socialista giace un progetto di legge per la legalizzazione della pillola.

Apriamo quindi il dibattito sulla pillola, innanzitutto promuovendo l'abrogazione degli articoli del codice penale che limitano la libertà di discussione e di propaganda in proposito; in secondo luogo rispolverando eventualmente i progetti di legge già approntati in vista di una produzione di stato e di una distribuzione gratuita di massa. Resa disponibile la pillola, come qualsiasi altro medicamento, si tratterà da parte di ogni donna di deciderne o meno l'uso, dietro il consiglio e l'osservazione del medico.

Non è questo il luogo di parlare degli aspetti farmacologici della pillola, tuttavia, tanto per fugare le opinioni terroristiche (che fanno ricordare i manuali di catechismo con le fiamme dell'inferno), ricordiamo che i due organismi internazionali che più a lungo hanno condotto osservazioni (l'OMS e The National Institute of Maternity) hanno consigliato l'uso a tempo indeterminato della pillola, pur avendola consentita, all'inizio, solo per 1 anno e successivamente per 4 anni. Non dimentichiamo inoltre che la stampa (particolarmente quella che si vende dinanzi alle chiese) è la stessa che porta avanti, in coincidenza, una campagna contro "altri pericoli per lo Stato".

Un altro aspetto che noi siamo costretti a prendere in esame perché siamo in un paese clericale e sotto la diretta influenza del Vaticano riguarda il conflitto che si è manifestato all'interno del mondo cattolico attorno alla pillola. Non solo da parte dei cattolici inglesi, olandesi, tedeschi al tempo della Humanae Vitae, ma anche da parte di teologi. A questo livello si discute sulla "funzione del matrimonio", sul significato della frase "contro natura", ecc., cioè ancora un divario da far esplodere tra chiesa dogmatica e autoritaria da una parte e religiosità dall'altra, tra clericalismo e coscienza religiosa.

Nel propugnare la liberalizzazione della pillola, proponiamo in Italia il diritto di ciascuna donna di disporre di sé, il suo diritto di arrivare ad una maternità desiderata, nei tempi e nei modi che sceglierà. Nella difesa di questo diritto dobbiamo confutare l'automatico passaggio che si fa del controllo delle nascite da parte dello Stato. Questo è un problema di altra natura: è politica demografica che per avere significato dev'essere fatta su scala mondiale e perciò in condizioni politiche che non sono quelle attuali.

Similmente si associa abbastanza arbitrariamente la pillola alla Fame nel mondo. C'è già una politica della fame ed è di natura puramente assistenziale, addirittura neo-colonialista ed è svolta da quelle stesse forze che hanno affamato i popoli attraverso la politica della colonizzazione.

Riassumendo, affermiamo di scegliere una politica per la pillola perché attorno ad essa si sono ancora una volta presentate le caratteristiche del nostro paese:

1) industria farmaceutica, subalterna a quella americana e unicamente preoccupata della speculazione;

2) l'illegalità consuetudinaria con la connivenza della classe politica dirigente;

3) la coscienza laica sempre pavida dinanzi alla resistenza clericale;

4) il conflitto della chiesa dogmatica e il dissenso ecclesiale.

Aborto: un grave problema sociale

Se è difficile stabilire il numero esatto delle famiglie interessate al divorzio, è ancora più difficile rilevare statisticamente il numero delle donne che hanno abortito durante l'anno o che abortiscono giorno per giorno: questo perché l'aborto, tranne pochissime eccezioni, è sempre un fatto clandestino e punito dalla legge.

Secondo alcuni ginecologi l'aborto ormai riguarda in minima parte le ragazze "nei guai", è divenuto un problema della donna sposata: professionista, insegnante, impiegata, commessa, operaia, casalinga, senza distinzioni di sorta. La qual cosa tende a trasformare le leggi contro l'aborto in veri e propri strumenti di repressione: solo una minoranza trascurabile dei casi di aborto viene di fatto perseguita (né sarebbe possibile altrimenti). Questa sorta di decimazione finisce per servire solo ad alimentare il racket di coloro che approfittano dei pericoli della clandestinità per sfruttare chi si trova nella necessità di abortire.

In una città come Roma possiamo dire che avvengono, giornalmente centinaia di aborti procurati. Esistono stimati professionisti i quali, non potendo organizzare industrialmente la loro attività - dato il rigore della legge - hanno scelto la via dell'artigianato specializzato. Ogni medico di famiglia conosce i nomi di alcuni ginecologi che - specie entro i primi tre mesi della gravidanza - risolvono le difficoltà di una famiglia per un prezzo medio di centomila lire e con un intervento della durata di quindici minuti circa; dopo una breve sosta di venti minuti nella saletta d'attesa la paziente è rispedita a casa con la raccomandazione di rimanere a letto almeno tre giorni e con la prescrizione medica di una certa quantità di antibiotici.

Oltre a questo standard proprio del ceto medio romano, esiste una ristrettissima cerchia di persone che possono ricoverarsi in clinica per otto giorni e affrontano con tutta tranquillità un intervento con anestesia totale: intervento motivato con presunte ragioni terapeutiche, quando non è possibile mascherarlo diversamente.

Ma al di sotto di questo standard c'è tutta la massa delle persone che non dispongono di centomila lire o non conoscono gli indirizzi utili. Per queste donne l'aborto è un'avventura che talvolta purtroppo si chiude in modo tragico, ma che è sempre traumatizzante e comporta conseguenze notevoli per la salute.

Nelle classi subalterne per l'aborto si è costretti a ricorrere a professionisti squalificati o già bruciati da precedenti penali in materia; a ostetriche e mammane di notevole esperienza, ma spesso incapaci di arginare le possibili complicazioni sopravvenienti; a praticone incompetenti; o peggio ancora sono le stesse donne che ricorrono a mezzi rudimentali e pericolosi. Tanto più pericolosi perché una donna del proletariato o del sottoproletariato delle borgate non affronta un solo aborto ma spesso fino ad una dozzina ed oltre.

Noi riteniamo quindi che anche per l'aborto esista una obbiettiva situazione classista. Anche perché si arriva all'aborto sempre in seguito ad una scarsa o pessima informazione ed educazione sessuale, entrambe osteggiate e punite dal famigerato art. 553 c.p., i cui doni sono stati ampiamente e ripetutamente elargiti ai criminali dell'AIED.

Naturalmente noi siamo convinti che sia sempre meglio prevenire una gravidanza piuttosto che interromperla, ma riteniamo inutile affrontare il problema dell'aborto tirando in ballo i casi lacrimevoli e patetici, violenza carnale, pericolo di morte, feti individuati come focomelici. Lasciamo agli organi ufficiali dell'ipocrisia borghese queste facili trincee. Per noi soltanto i genitori - e in modo preminente la madre - hanno diritto di scegliere il momento di far nascere un figlio, con tutti i problemi connessi. La maternità deve essere un fatto cosciente e voluto, non dovuto al caso o a quella mancanza di educazione sessuale che abbiamo già deprecata. La legalizzazione dell'aborto, in questo contesto, non sarebbe fine a se stessa, bensì romperebbe una situazione classista già consolidata e, come abbiamo visto, andrebbe essenzialmente a favore della maggioranza delle donne non abbienti, evitando loro esperienze debilitanti e umilianti.

Per iniziativa di due giovani insegnanti, attente ai problemi della primissima infanzia, si è aperto a Roma un "asilo della libertà" che si rifà al modello promosso da Neill a Summer Hill, in Inghilterra. L'asilo accoglie bambini compresi fra i 18 mesi e i 5 anni, dal mattino al tardo pomeriggio.

Essendo questo il primo e lodevole tentativo fatto a Roma di una scuola libertaria che rompa il "trust" degli asili-nido gestiti o comunque condizionati dalle suore, invitiamo coloro che fossero interessati all'esperimento a rivolgersi a: Scuola Libertaria, Via San Marino, 23 (Quartiere Trieste-Nomentano) Roma - Telefono 86.45.18.

L'MLD ha sede in Via Torre Argentina 18 - 00186 Roma. Per l'adesione all'MLD è necessario accettare il documento riportato nelle pagine seguenti e versare una quota che non può essere inferiore a £ 500 mensili.

La sopravvivenza del Movimento ed il suo potenziamento, come strumento di lotta libertaria, dipendono esclusivamente dalle capacità di autofinanziamento del Movimento stesso e dai contributi quindi degli aderenti.

I versamenti possono essere effettuati con vaglia postale o con assegno, direttamente al MLD - Movimento per la Liberazione della Donna - Via Torre Argentina 18 - 00186 Roma o tramite il c/c postale 1/20932, intestato a Franca Martinucci (Tesoriera del Movimento).

 
Argomenti correlati:
femminismo
contraccettivi
aied
stampa questo documento invia questa pagina per mail